
Un’offerta da Baku potrebbe salvare l’Ilva dalla nazionalizzazione
L’azienda azera Baku Steel, interessata ad acquisire Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, avrebbe già comunicato al governo italiano – secondo quanto apprende l’agenzia stampa Nova da fonti vicine al dossier – la volontà di dimezzare l’offerta, diminuendo il valore dell’equity o, in alternativa, non valorizzando il magazzino costituito dai parchi minerali, dai materiali e dai pezzi di ricambio che, nel corso delle negoziazioni, era stato valutato 500 milioni di euro. Il governo non avrebbe risposto e starebbe ragionando su ipotesi diverse, compresa la nazionalizzazione.
Il Consiglio di Stato, peraltro, ha appena confermato la natura pubblica di Dri d’Italia, partecipata al 100 per cento da Invitalia, è la società nata per volere del governo e del parlamento allo scopo di studiare la sostenibilità della realizzazione di impianti di produzione di direct reduced iron (DRI) o preridotto, e successivamente procedere alla loro costruzione e gestione, utilizzando i fondi pubblici per la decarbonizzazione dei settori “hard to abate”. Per raggiungere questo obiettivo, secondo quanto riferito a Nova da una fonte, Dri ha riallacciato “molto rapidamente” il dialogo con il ministero dell’Ambiente, in modo da mettere a terra il prima possibile un impianto per la produzione di preridotto nell’area di Taranto: il valore dell’opera ammonterebbe a un miliardo di euro.
In questo modo il governo dimostrerebbe la volontà di andare avanti con il rilancio dell’Ex Ilva e mantenere il sito produttivo a Taranto, ponendo gli azeri di Baku Steel di fronte ad una scelta definitiva. Nel caso in cui questi mantenessero la loro rigida posizione, l’esecutivo prenderebbe in considerazione l’ipotesi di una nazionalizzazione, sull’esempio di British Steel, l’azienda siderurgica britannica nazionalizzata per decisione del governo di Keir Starmer. I due altoforni di Taranto sono gli ultimi a ciclo integrato esistenti in Italia.
Lo Stato avrebbe dunque tutte le ragioni per intervenire su un’azienda dichiarata di “interesse strategico nazionale” e che richiede degli investimenti importanti per rispondere alle stringenti prescrizioni ambientali dettate da Bruxelles e dal ministero dell’Ambiente. Del resto, se il governo dovesse impegnare somme importanti per garantire la cassa integrazione straordinaria ad oltre quattromila lavoratori, e per la rimessa in funzione dell’altoforno 1, incassando peraltro mezzo miliardo in meno da Baku Steel, i costi di un’eventuale nazionalizzazione apparirebbero assai meno impegnativi. Senza contare il fatto che diversi politici e soprattutto esponenti sindacali, in particolare il segretario della Cgil, Maurizio Landini, chiedono proprio questa soluzione.