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Casi simili, opinioni opposte della Commissione europea

Non siamo che menzogna, doppiezza, contrarietà
e ci nascondiamo e ci camuffiamo a noi stessi.

Blaise Pascal

Il 19 ottobre scorso a Strasburgo, durante la plenaria del Parlamento europeo, si è verificato anche l’inevitabile proseguimento dello scontro tra la Commissione europea e la Polonia. Uno scontro che continua da tempo e che si è ulteriormente accentuato dopo l’ultima sentenza della Corte Costituzionale di Polonia del 7 ottobre 2021 che sancisce la priorità della legislazione polacca a quella dell’Unione europea. Uno scontro che continua, mentre da alcuni anni si stanno delineando in Europa sempre più marcatamente e chiaramente due schieramenti: gli europeisti e i sovranisti. Schieramenti che non dibattono e non si scontrano soltanto nelle aule del Parlamento europeo, ma anche nei singoli Paesi membri dell’Unione. Molti analisti politici considerano questo scontro tra la Commissione europea e la Polonia come il più serio e problematico, dopo quello con il Regno Unito, finalizzato con il referendum del 23 giugno 2016, per l’uscita dall’Unione europea.  Tutto ha avuto inizio dopo la costituzione della Camera disciplinare della Corte Suprema polacca, nell’ambito della riforma del sistema della giustizia, avviata già dal 2015. Il compito istituzionale della Camera disciplinare era quello di fare la supervisione dei giudici, godendo anche del diritto di revocare la loro immunità. Il che significava renderli soggetti di procedimenti penali, nonché di altri provvedimenti punitivi. La riforma del sistema di giustizia non solo ha suscitato attriti politici ed istituzionali in Polonia, ma ha anche scaturito diversi contenziosi con la Commissione europea. Contenziosi che si focalizzavano sulle disposizioni delle nomine dei giudici come “passibili di violazioni del diritto comunitario” e che sono finiti poi alla Corte di Giustizia europea. La Camera disciplinare della Corte Suprema polacca, secondo le accuse depositate, veniva considerata come una struttura che metteva a repentaglio e comprometteva il principio della separazione dei poteri, essendo anche “un potenziale mezzo di intimidazione dei magistrati”. Tutto ciò perché la nomina dei membri della Camera disciplinare passava attraverso il Consiglio nazionale della Magistratura, la cui costituzione veniva fatta su base politica. Si contestava il fatto che la scelta dei membri della Camera disciplinare, alla fine dei conti, sarebbe stata influenzata politicamente del Parlamento. La Commissione europea ha avviato lo scorso anno una procedura di infrazione contro la Polonia. Le ragioni venivano rese note dal Commissario europeo per la Giustizia, il quale specificava che “…la legge sulla Magistratura non fosse coerente con una serie di disposizioni fondamentali dei Trattati”, riferendosi ai Trattati costituenti dell’Unione europea. Aggiungendo anche che “…la legislazione contestata mette a repentaglio l’indipendenza della magistratura in Polonia”. Nonostante tutto, la Corte Costituzionale polacca, non adeguandosi con quanto aveva stabilito la Corte di Giustizia europea, ha affermato, il 14 luglio scorso, che “…le sentenze emesse non erano giuridicamente vincolanti”. Ragion per cui non ha riconosciuto l’efficacia della sentenza C-791/19 della Corte di Giustizia dell’Unione. Sentenza, quella, che chiedeva alla Polonia di sospendere la legge nazionale, affermando il primato del diritto nazionale sul diritto europeo. Immediata è stata anche la risposta della Corte di Giustizia europea, la quale affermava che “…la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 267, secondo e terzo coma, del TFUE” (acronimo del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; n.d.a.). In più, dando ragione alla Commissione europea, la Corte di Giustizia europea stabiliva che “… il sistema disciplinare adottato dal governo polacco è del tutto incompatibile con il diritto dell’Unione e dovrà essere interamente smantellato”.

In seguito alle sopracitate sentenze della Corte Costituzionale polacca e della Corte di Giustizia europea, il 19 ottobre scorso, durante la plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, si sono verbalmente e duramente scontrati la presidente della Commissione europea ed il primo ministro polacco appartenente al partito nazionalista Diritto e Giustizia di estrema destra. La presidente della Commissione europea ha dichiarato, tra l’altro: “Noi siamo preoccupati per la recente sentenza della Corte costituzionale polacca. La Commissione europea sta valutando attentamente questa sentenza”. Affermando anche: “…posso, però, già dirvi oggi che sono fortemente preoccupata perché [la sentenza] mette in discussione la base dell’Unione europea e costituisce una sfida diretta all’unità degli ordinamenti giuridici europei”. Non si è fatta attendere neanche la risposta del primo ministro polacco. Secondo lui “…l’Unione europea, non è uno Stato; gli Stati membri restano padroni, sovrani dei trattati. Sono gli Stati membri che decidono quali competenze delegare all’Unione europea”. Perché per lui “la massima legge in Polonia è la Costituzione”, specificando che “…la Corte Costituzionale polacco non ha mai dichiarato che quanto previsto dai trattati dell’Unione europea sia incompatibile con la legge polacca”. Il primo ministro ha anche aggiunto che per la Corte Costituzionale polacca “… una specifica interpretazione del diritto dell’Unione europea è in conflitto con la Costituzione polacca”. Il primo ministro polacco ha fatto riferimento con sdegno a quella che ha definito una “rivoluzione strisciante” attuata dalle istituzioni dell’Unione europea, basandosi su quella che lui ha definito come “la logica del fatto compiuto”. Alla fine del suo intervento, il primo ministro polacco ha dichiarato convinto che “la Polonia è attaccata in modo parziale e ingiustificato. Le regole del gioco devono essere uguali per tutti. Respingo la lingua delle minacce e del ricatto”. Perché, secondo lui, “Troppo spesso abbiamo a che fare con un’Europa dei doppi standard”.

Che le istituzioni dell’Unione europea, soprattutto la Commissione europea, possano agire con dei “doppi standard” lo testimonia un caso simile a quello riferito prima, ma affrontato in un modo del tutto opposto dalla Commissione europea. Si tratta della riforma del sistema della giustizia in Albania e delle strutture simili con la Camera disciplinare della Corte Suprema in Polonia. Si tratta di strutture costituite nell’ambito della riforma di giustizia, sia in Polonia che in Albania. Strutture che hanno il compito di vagliare e verificare la compatibilità e l’integrità professionale e morale dei membri del sistema di giustizia. In Polonia dei giudici, in Albania dei giudici e dei procuratori. In Albania sono due le strutture, previste dalla Costituzione, che hanno avuto ed esercitano questo diritto: la Commissione Indipendente della Qualificazione e, in secondo grado, il Collegio Speciale d’Appello. I membri di queste due strutture sono selezionate dal Parlamento. Ma in Albania però, diversamente dalla Polonia, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, documentati ed ufficialmente denunciati dal 2017 ad oggi, tutte e due queste strutture costituzionali risulterebbero essere personalmente controllate dal primo ministro e/o da chi per lui. L’autore di queste righe ha spesso, da anni ormai, informato il nostro lettore di tutto ciò. Ma mentre la Commissione europea considera la Camera disciplinare della Corte Suprema in Polonia come politicamente controllata e perciò debba essere abolita, considera, invece, un successo le due sopracitate strutture in Albania! Come considera, da anni ormai, un “entusiasmante successo” tutta la riforma del sistema della giustizia in Albania. Anche di questo l’autore di queste righe ha continuamente informato il nostro lettore. La Commissione europea, trattando così due simili casi ed esprimendo due opinioni ben opposte, non fa altro che dare ragione a quello che ha dichiarato il primo ministro polacco durante la plenaria del Parlamento europeo, il 19 ottobre scorso. E cioè che “troppo spesso abbiamo a che fare con un’Europa dei doppi standard”.

Purtroppo, che la Commissione europea operi spesso con “due pesi e due misure”, è dimostrato e testimoniato ufficialmente da altri casi. Lo testimoniano anche quanto hanno pubblicamente detto due ministri della giustizia, quello della Macedonia del Nord e quella del Kosovo. L’occasione è stata una conferenza internazionale svolta a Tirana il 7 ottobre scorso. Riferendosi alla riforma della giustizia nel suo Paese, il ministro macedone ha dichiarato che “La Commissione europea ha proibito in maniera esplicita alla Macedonia [del Nord] di adattare la [sua] riforma di giustizia secondo il modello albanese”! Mentre, durante la stessa conferenza, la ministra della giustizia del Kosovo ha dichiarato che “la Commissione europea non solo non ci ha chiesto, ma ha insistito di non essere preso come esempio il modello albanese [della riforma di giustizia] a causa delle non buone ripercussioni che ha prodotto”! Ma non sono solo questi due Paesi ai quali la Commissione europea sconsiglia di attuare una riforma del sistema della giustizia simile a quella albanese. Chissà però perché la Commissione europea, tramite le sue massime autorità, continua a considerare la riforma della giustizia in Albania una “storia di successo”?! Di simili dichiarazioni infondate e preoccupanti, fatte dalle massime autorità della Commissione europea, il nostro lettore è stato spesso e da anni ormai informato dall’autore di queste righe. L’ultima volta è stata due settimane fa (Ipocrisia istituzionale svanita dopo una decisione unanime; 11 ottobre 2021).

Il 19 ottobre scorso, lo stesso giorno in cui a Strasburgo, durante la plenaria del Parlamento europeo, si è verificato lo scontro tra la presidente della Commissione europea ed il primo ministro polacco, è stato pubblicato anche il Rapporto di progresso della Commissione per i Paesi aspiranti all’adesione all’Unione europea, per il periodo giugno 2020 – giugno 2021. Ebbene, di nuovo nel caso dell’Albania, la Commissione affermava che “…l’Albania ha continuato ad implementare la complessiva riforma della giustizia che risulta [essere] un buon progresso” (Sic!). Ci sono anche altre constatazioni che urtano con la vera, vissuta e sofferta realtà albanese, come purtroppo accadde da alcuni anni. Chissà perché?!

Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno, anche in questo caso, di molto più spazio per trattare oggettivamente questo argomento per il nostro lettore. Ma lo farà in seguito, anche perché non mancheranno le occasioni nelle quali l’atteggiamento e le dichiarazioni delle massime autorità della Commissione europea risulteranno essere di “due pesi e due misure”. Occasioni nelle quali per dei casi simili, le opinioni della Commissione europea saranno ben opposte. Chissà però se qualcuno delle massime autorità della Commissione, in qualche momento di sincera riflessione, abbia pensato quello che ha scritto Pascal circa quattro secoli fa. E cioè che non siamo che menzogna, doppiezza, contrarietà e ci nascondiamo e ci camuffiamo a noi stessi.

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