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Cinque anni che testimoniano soltanto un fallimento

È un’esperienza che sempre si ripete nella storia;

il fatto che qualsiasi uomo abbia del potere è portato ad abusarne.
Montesquieu

Sì, sono passati ormai cinque anni da quando è diventata operativa la riforma del sistema di giustizia in Albania. Purtroppo adesso, dopo cinque anni, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo anche in queste ultime settimane alla mano, si potrebbe considerare una riforma che non ha quasi minimamente realizzato i suoi dichiarati obiettivi. Perciò si potrebbe considerare una riforma fallita. Anzi, consapevolmente ideata, programmata ed attuata per diventare tale. L’autore di queste righe ha trattato ed analizzato spesso questo argomento ed ha informato a tempo debito il nostro lettore, dal 2016 in poi.

Erano le primissime ore del 22 luglio 2016 quando tutti i deputati del Parlamento albanese hanno votato all’unanimità gli emendamenti costituzionali che permettevano l’attuazione di quella che comunemente è nota come la riforma di giustizia. Quella riforma che, sulla carta, doveva dividere definitivamente il potere giudiziario da ogni e qualsiasi influenza dai due altri poteri (esecutivo e legislativo), come previsto e sancito da Montesquieu nel suo noto libro Spirito delle leggi, pubblicato nel 1748. Quella riforma, cioè, che doveva rendere finalmente il sistema della giustizia indipendente, non influenzabile e non influenzato, da qualsiasi intervento politico. Quella riforma che doveva spezzare definitivamente qualsiasi legame e influenza politica e/o di ogni altro tipo che potevano condizionare la sovranità decisionale del sistema della giustizia in Albania! Ma la vera e vissuta realtà dimostra ben altro adesso, dopo cinque anni da quel 22 luglio 2016, quando tutti i deputati, della maggioranza e dell’opposizione, applaudirono contenti, come mai era accaduto prima, l’approvazione all’unanimità degli emendamenti costituzionali necessari per avviare l’attuazione della riforma di giustizia. Compresi anche i “rappresentanti internazionali” presenti nell’aula del Parlamento, nonostante l’ora insolita.

Adesso, dopo cinque anni da quel 22 luglio 2016, purtroppo risulterebbe proprio quello che avevano previsto e detto le cattive lingue. E cioè che si trattava di una strategia ideata, programmata ed attuata per permettere al primo ministro di controllare personalmente tutto il sistema, comprese le nuove istituzioni della giustizia costituite in seguito. Quanto è accaduto e sta tuttora accadendo ha semplicemente e palesemente dimostrato e testimoniato la totale cattura ed il personale controllo del sistema “riformato” della giustizia dal primo ministro e/o da chi per lui. Ormai è pubblicamente noto che si trattava di una “riforma” ideata e fortemente sostenuta, in tutte le sue fasi di stesura e consultazioni preliminari, da una fondazione con una vasta estensione internazionale, facente capo ad un multimiliardario speculatore di borsa oltreoceano. Anzi, erano proprio i massimi dirigenti in Albania di quella fondazione che, dopo il 22 luglio 2016, hanno pubblicamente espresso la loro piena soddisfazione per l’avvio dell’attuazione della riforma della giustizia. Hanno altresì dichiarato la “paternità” e hanno evidenziato il loro contributo nella stesura della riforma con i propri “specialisti”. E, guarda caso, alcuni di quegli “specialisti”, nonostante le leggi, ormai in vigore, in sostegno della riforma lo impediscano, hanno assunto e tuttora mantengono incarichi direzionali nelle nuove istituzioni del sistema “riformato” della giustizia! L’attuazione di una simile riforma di giustizia ha facilitato, anzi, è stata concepita per facilitare il consolidamento in Albania di un regime autocratico, di una nuova dittatura sui generis, camuffata da pluripartitismo. Una dittatura che in realtà è l’espressione dell’alleanza, in atto da alcuni anni, del potere politico con la criminalità organizzata che si sta rafforzando pericolosamente e con certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali.

L’autore di queste righe informava il nostro lettore nel luglio 2016 che “…Quanto è successo durante questi mesi e legato alla Riforma, rende chiaro che il primo ministro voleva a tutti i costi una riforma che gli poteva permettere il controllo del sistema” (Dopo il 21 luglio; 25 luglio 2016). Erano tante le evidenze che confermavano una simile conclusione. Una fra le tante era la legge, prevista e fortemente voluta dal primo ministro, per la costituzione dell’Ufficio Nazionale dell’Investigazione sotto il controllo del ministro degli Interni. Proprio di quel ministro che sarà ricordato per aver diretto la cannabizzazione di tutto il territorio del Paese. Ed accadeva, guarda caso, nel 2016! Una legge quella che è stata annullata dalla Corte Costituzionale dietro richiesta dell’opposizione. Durante questi anni sono state tante le prove inconfutabili e le evidenze che dimostrerebbero la cattura ed il personale controllo del sistema “riformato” di giustizia da parte del primo ministro. Bisogna sottolineare però che quel sistema, da anni, aveva dimostrato tanti seri problemi di funzionamento. Ragion per cui aveva urgente bisogno di essere ristrutturato. L’autore di queste righe scriveva alcuni mesi fa: “…che il sistema di giustizia in Albania avesse bisogno di essere riformato, nessuno l’ha messo mai in dubbio. Che il sistema subisse delle ingerenze politiche, ignorando consapevolmente la sua indipendenza, anche questo era un dato di fatto. Che il sistema fosse considerato corrotto e che la giustizia venisse data in funzione del “miglior offerente”, si sapeva bene”. E poi proseguiva “…adesso, sempre dati e fatti accaduti alla mano, risulterebbe anche che il sistema della giustizia sia pericolosamente e politicamente controllato da una sola persona. E cioè dal primo ministro e/o da chi per lui. Il che è proprio l’opposto contrario degli obiettivi strategici posti e che dovevano essere raggiunti con la Riforma del sistema di giustizia in Albania. Uno dei quali prevedeva la reale e garantita indipendenza del sistema dagli altri poteri istituzionali. L’altro prevedeva la fine dell’impunità dei politici corrotti e colpevoli, i quali costituiscono, purtroppo, una combriccola molto numerosa in Albania.” (Il fallimento voluto ed attuato di una riforma; 26 ottobre 2020). Adesso però, cinque anni dopo quel 22 luglio 2016, il sistema “riformato” della giustizia risulta essere molto più controllato di prima. E ciò che è peggio, è controllato da una sola persona, il primo ministro, mentre prima il controllo del sistema era “distribuito” tra i due/tre centri di influenza.

Purtroppo, una simile pericolosa realtà non poteva mai e poi mai accadere senza il beneplacito ed il dichiarato appoggio dei soliti “rappresentanti internazionali” in Albania. E neanche senza le loro palesi e significative minacce contro coloro che non dovevano votare in parlamento quanto richiesto. Erano quei “rappresentanti internazionali” che garantivano la “bontà” della riforma e promettevano pubblicamente che tanti “pesci grandi” sarebbero stati catturati dalla “rete della giustizia”. Adesso, fatti accaduti alla mano, tutti sanno che nessun “pesce grande” ha avuto quella sorte. Anzi, sono proprio loro che controllano il sistema “riformato” della giustizia. Tant’è vero che adesso si evita anche di usare simili parole. Proprio domenica scorsa, il 25 luglio, l’ambasciatrice statunitense in Albania ad una domanda di un giornalista sui “pesci grandi” ha risposto: “…io non sono una pescatrice, sono semplicemente una diplomatica”. Chissà cosa avrà pensato il suo predecessore, proprio colui che ha molto parlato di “pesci grandi che dovevano cadere nella rete della giustizia”?! E come se fosse arrivata ieri e non conoscesse per niente la realtà albanese, lei, l’ambasciatrice statunitense che, come tutti gli altri “rappresentanti internazionali’ in Albania ha continuamente e pubblicamente parlato dei “grandi successi” della riforma di giustizia, adesso ha cambiato anche il suo approccio verbale. Domenica scorsa l’ambasciatrice ha preferito chiedere ai cittadini di “continuare ad essere non contenti” e di “…essere più esigenti nei confronti dei governanti, delle persone da loro elette”! Riesce a capire però l’ambasciatrice che in Albania ormai è restaurata e si sta consolidando una nuova e molto pericolosa dittatura?! Riesce a capire l’ambasciatrice che di fronte ad una dittatura i cittadini non possono e non devono continuare ad esigere dai loro “eletti” di avanzare con la riforma della giustizia! Riesce lei a capire che una dittatura o si rovescia con la ribellione e le proteste continue, oppure si subisce fino in fondo?! Quanto sta dicendo adesso l’ambasciatrice è ipocrisia pura, è un’offesa ai cittadini che riescono a capire ed avere una loro opinione non condizionata, né da quanto dice il primo ministro e neanche dalle dichiarazioni dei soliti “rappresentanti internazionali”, lei compresa. Ma con le sue parole di domenica scorsa, l’ambasciatrice ha ammesso, nolens volens, che la riforma della giustizia non è un “successo” come si dichiarava prima. Anzi!

Nel frattempo sono tanti i casi oggetto di indagine da parte delle istituzioni specializzate. Perché sono tante ormai le denunce ufficialmente depositate presso la nuova Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata costituita nel dicembre 2019. La più significativa è quella riguardante la barbara demolizione del Teatro Nazionale, di cui il nostro lettore è ormai a conoscenza. Ma c’è anche il caso clamoroso di un imprenditore italiano al quale adesso i cittadini albanesi devono pagare alcune centinaia di milioni, soltanto per un “semplice capriccio” del primo ministro! Ci sono anche le denunce sul coinvolgimento delle persone molto altolocate nel riciclaggio del denaro in connivenza con la criminalità organizzata internazionale, ‘Ndrangheta compresa. Anche di questo il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Sono anche molte altre denunce ufficialmente depositate in attesa. Chissà se si avvieranno le dovute indagini però, visto il modo di operare delle nuove istituzioni del sistema “riformato” di giustizia. Una significativa testimonianza di quel modo di operare sono, tra le tante altre, anche due denunce sulle clamorose e pubblicamente note manipolazioni elettorali in Albania. Manipolazioni nelle quali sono stati coinvolti, come è stato appurato dalle intercettazioni ormai rese pubbliche, anche il primo ministro, alcuni ministri ed altri alti funzionari. Sarà una bella sfida per il “riformato” sistema di giustizia.

Chi scrive queste righe è convinto che quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Albania è la solita buffonata di un primo ministro in vistosa difficoltà. Il nostro lettore è stato informato. Egli è convinto che se non si comincia ad indagare sull’operato del primo ministro e dei suoi “fedelissimi” sarà una diretta e inconfutabile prova che il sistema “riformato” della giustizia è e sarà controllato direttamente proprio dal primo ministro e/o da chi per lui. Chi scrive queste righe è altresì convinto che per le nuove istituzioni è arrivato è il momento della prova. Adesso devono cominciare a dimostrare realmente e con atti concreti la loro indipendenza dalla politica, ragion per cui è stata avviata la stessa riforma. Adesso devono dimostrare la loro integrità morale e capacità professionale, partendo dai casi che vedono direttamente coinvolto il primo ministro e i suoi “fedelissimi”. In caso contrario tutti i cittadini responsabili e patrioti albanesi hanno il sacrosanto diritto di credere ed affermare ad alta voce che in questi cinque anni è stato palesemente dimostrato e testimoniato il voluto e programmato fallimento della riforma del sistema di giustizia in Albania!

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