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Lo stato americano del Missouri fa causa a Pechino per il coronavirus

Prima causa intentata da uno Stato americano contro la Cina per presunte responsabilità nella crisi del Covid-19, mentre gli Usa scoprono che il virus era sbarcato nel Paese già a gennaio. Il procuratore generale del Missouri Eric Schmitt ha presentato un’azione legale per la perdita di vite umane e le conseguenze economiche causate dalla pandemia nello Stato del Midwest. La causa, indirizzata contro il governo di Pechino, il partito comunista cinese e altre istituzioni cinesi, accusa il Dragone di aver nascosto informazioni, arrestato gli informatori e negato la “natura” del virus.

La mossa è stata respinta dalla Cina che l’ha subito definita “a dir poco un’assurdità” e priva di base fattuale o legale. Il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, ha sostenuto che la risposta cinese al coronavirus non è sotto la giurisdizione dei tribunali Usa, rilevando che sono state date informazioni a Washington sulla vicenda sin dal 3 gennaio. “Tale abuso di contenzioso non favorisce la risposta all’epidemia negli Usa e contrasta con la cooperazione internazionale”. Da quando è emersa l’emergenza, ha aggiunto, “il governo cinese ha sempre agito in modo aperto, trasparente e responsabile”.

Ma Pechino è sempre più nel mirino di Washington e della sua intelligence, che dopo aver avviato un’indagine su un possibile incidente nel laboratorio di virologia di Wuhan ora sospetta, come rivela il New York Times, che gli 007 cinesi abbiano alimentato dallo scorso marzo una campagna di disinformazione sui social e via sms per diffondere il panico negli Stati Uniti. Con tecniche non dissimili da quelle utilizzate dalla Russia per influenzare le elezioni presidenziali del 2016. La notizia potrebbe irritare Trump, che finora non ha infierito per vari motivi: la dipendenza dalla Cina per la fornitura di materiale medico cruciale nell’emergenza coronavirus, l’instabilità dei mercati e soprattutto i negoziati commerciali non ancora completati.

Nel frattempo il presidente ha firmato l’ordine esecutivo per bloccare temporaneamente l’immigrazione a tutela degli americani nello tsunami disoccupazione ma è stato costretto a fare un passo indietro dopo le proteste del mondo economico: ha congelato per 60 giorni le green card ma non ha sospeso l’ingresso di lavoratori a tempo che hanno un visto da non immigranti. “Vedo molta luce in fondo al tunnel”, ha esultato il tycoon parlando di 20 Stati americani che hanno già annunciato i loro piani per riaprire in sicurezza le loro economie. Ma non New York, anche se la situazione continua a migliorare, tanto che il governatore Andrew Cuomo ha dato il suo benestare allo spostamento della nave-ospedale Comfort inviata da Trump.

Di certo c’è che i primi morti per coronavirus negli States risalgono al 6 e 17 febbraio in California e non, come si era pensato inizialmente, al 26 febbraio, quando un contagiato è morto a Seattle, nello Stato di Washington: considerando le 2-3 settimane di incubazione, il virus era già sbarcato negli Stati Uniti a gennaio, ma le forti limitazioni riguardo a test e criteri di prevenzione impedirono di individuarlo prima.

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