International

Pericolose somiglianze espansionistiche

Non ci si piglia se non ci si somiglia.

Proverbio

Il 24 agosto è una data che per gli ucraini ha un importante valore storico. Era proprio il 24 agosto del 1991 quando il Parlamento adottò ed approvò l’Atto d’indipendenza dall’Unione sovietica, dichiarando l’Ucraina uno Stato indipendente e democratico. Ragion per cui il 24 agosto scorso gli ucraini hanno celebrato il 31o anniversario dell’indipendenza, quest’anno però, e purtroppo, sotto la reale minaccia di attacchi da parte delle forze armate della Russia. Attacchi che proprio il 24 agosto scorso hanno causato altre vittime innocenti. Sono 25 le vittime di un bombardamento dei russi della stazione ferroviaria di Chaplyne nel sud-est del Paese. Tra quelle vittime civili due erano dei bambini. Nel frattempo sono passati ormai sei mesi dall’inizio dell’invasione russa dei territori ucraini. Era proprio l’alba del 24 febbraio scorso, quando il presidente russo ordinò l’attuazione di quello che lui stesso aveva annunciato alcune ore prima, la sera precedente, durante un suo lungo discorso in diretta televisiva. Cominciò così, sei mesi fa, una ben ideata e programmata invasione che il dittatore russo, con un irritante cinismo, la ha sempre considerata come una “operazione militare speciale”. Una spietata, crudele e sanguinosa invasione quella che ebbe inizio il 24 febbraio scorso, come parte integrante dell’attuazione di quella che ormai è nota come la strategia per la ricostituzione della “Grande Russia”. Il 24 agosto ha segnato il 182o giorno di una vera e propria guerra spietata e sanguinosa. Ormai sono di dominio pubblico le tante barbarie e crudeltà attuate dalle forze armate russe in Ucraina. Sono purtroppo di dominio pubblico anche le immagini che mostrano fosse comuni dove sono state buttate decine di vittime innocenti, dopo essere state uccise con le mani legate. E tutto ciò, nell’ambito di quella che il dittatore russo continua a considerare una “operazione militare speciale”! Durante questi sei mesi di guerra, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, sono stati 5.587 civili inermi uccisi e 7.890 feriti. Ma tutti sono convinti che il numero reale delle vittime civili sia molto più grande. Sempre facendo riferimento ai dati ufficiali delle vittime registrate risulta, secondo l’organizzazione Save the Children, che purtroppo 356 sono minori tra i quali il 16% aveva un’età inferiore ai 5 anni. Mentre, secondo quanto rapporta l’agenzia Ukrinform il 25 agosto, dal 24 febbraio scorso il numero dei bambini uccisi è di 376 e di quelli feriti è almeno di 733. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani conferma che la maggior parte dei morti e dei feriti “…sono state vittime di armi esplosive come artiglieria, missili e attacchi aerei”. Risulterebbe inoltre che dal 24 febbraio scorso, circa un terzo dell’intera popolazione dell’Ucraina è stata costretta ad abbandonare le proprie case. Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, i cittadini ucraini che hanno lasciato il Paese si valuta che siano più di 6.6 milioni. Durante i sei mesi di guerra, di quella guerra che però il dittatore russo, con un irritante cinismo, continua a considerarla semplicemente una “operazione militare speciale”, anche i danni materiali sono ingenti. Dalle valutazioni fatte da diverse istituzioni internazionali specializzate risulterebbe che la ricostruzione del Paese, a guerra finita, potrebbe costare oltre 750 miliardi di euro. Secondo una valutazione del ministero ucraino della Protezione Ambientale e delle Risorse Naturali, solo i danni ambientali, causati durante questi sei mesi di guerra, superano i 10.7 miliardi di euro.

Il 24 agosto scorso, al termine dell’udienza generale, Papa Francesco, sei mesi dopo l’inizio della sanguinosa guerra in Ucraina, ha rinnovato “l’invito ad implorare dal Signore la pace per l’amato popolo ucraino che da sei mesi patisce l’orrore della guerra”. Poi, riferendosi ai bambini ucraini, il Santo Padre ha detto che si tratta di “Innocenti che pagano la pazzia della guerra”.

Subito dopo l’invasione dei territori ucraini da parte delle forze armate russe, è stata immediata ed unanime la reazione delle più importanti istituzioni internazionali, nonché della maggior parte dei singoli Stati. Tutti hanno condannato, senza mezzi termini, l’invasione russa dei territori ucraini. Sono state tante anche le sanzioni imposte alla Russia, sia dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione europea, che da altri Stati in tutto il mondo. Cosa che, invece, non ha fatto la Serbia nonostante, come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, abbia obbligatoriamente sottoscritto, tra l’altro, anche l’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione. Sono state tante le richieste fatte alla Serbia da parte dei massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione Europa per aderire alle sanzioni imposte alla Russia. Richieste che però non hanno trovato il dovuto riscontro da parte della Serbia. Anzi, sono risultate tutte delle richieste vane. Ma visto i reali e riconfermati, a più riprese ed occasioni, rapporti di amicizia e di vasta collaborazione tra la Serbia e la Russia, tutto ciò era da aspettarselo. E non a caso anche la Serbia, da qualche anno, sta cercando di attuare, a sua volta, la strategia della “Grande Serbia”. C’è sempre da imparare dai “cari e storici amici”!

Una dimostrazione e testimonianza dell’attuazione di quella strategia espansionistica erano anche le pericolose provocazioni e i preoccupanti conflitti cominciati il 31 luglio scorso nel nord del Kosovo, per poi continuare anche il giorno successivo. Tutto scaturì dopo due leciti decisioni prese dal governo del Kosovo. La prima si basa sul rispetto della reciprocità per quanto riguarda il rilascio di un documento di entrata ed uscita per i cittadini serbi che entrano nel territorio del Kosovo. Come procede, da 11 anni, il governo della Serbia per i cittadini del Kosovo. La seconda si basa sul rispetto della reciprocità per quanto riguarda il rilascio delle targhe provvisorie per le macchine immatricolate in Serbia che entrano nel territorio del Kosovo. Proprio come procedono le autorità della Serbia per le macchine immatricolate in Kosovo che entrano nel territorio della Serbia. Ma subito dopo la messa in atto di queste due decisioni da parte delle autorità del Kosovo, nell’ambito del rispetto della reciprocità, nel nord del Paese alcuni gruppi ben strutturati ed organizzati di militanti serbi hanno bloccato diverse strade con degli autocarri ed hanno costruito delle barricate. In seguito a dei negoziati tra i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea ed altri ancora con le massime autorità del Kosovo, il governo ha deciso di posticipare l’applicazione delle due sopracitate decisioni per il 1o settembre prossimo.

Bisogna sottolineare però che dal 12 giugno 1999 ad oggi in Kosovo è attiva una forza militare internazionale che opera nell’ambito della NATO, meglio nota come KFOR (abbreviazione di Kosovo Force; n.d.a.). La KFOR, è diventata operativa sul tutto il territorio del Paese su mandato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, subito dopo l’adozione della Risoluzione 1244 dal suo Consiglio di Sicurezza. Il compito della KFOR è quello di stabilire e mantenere l’ordine e garantire la pace nel Paese. La Serbia ed alcuni altri Paesi, Russia compresa, non riconoscono ancora però l’indipendenza dello Stato del Kosovo, proclamata il 17 febbraio 2008 e fortemente voluta e appoggiata, allora come oggi, da tutte le grandi potenze mondiali. Attualmente la KFOR viene sostenuta dal contributo di 27 diverse nazioni, mentre sul territorio del Kosovo sono presenti 3.500 militari di quella struttura internazionale, con altri 3.000 militari di riserva.

Quanto è accaduto il 31 luglio scorso ed il giorno successivo nel nord del Kosovo ha causato una seria preoccupazione dei vertici della NATO. Ragion per cui i massimi rappresentanti della KFOR hanno immediatamente dichiarato ufficialmente che le truppe di quella struttura militare della NATO erano pronte ad intervenire se fosse stata messa in pericolo la stabilità in Kosovo, secondo il mandato che deriva dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ed erano proprio le pericolose provocazioni e i preoccupanti conflitti cominciati il 31 luglio scorso nel nord del Paese che, il 17 agosto scorso, abbiano costretto il segretario generale dell’Alleanza atlantica a convocare a Bruxelles ed incontrare, separatamente, sia il presidente della Serbia che il primo ministro del Kosovo. Egli aveva già avvertito il presidente serbo il 3 agosto scorso dicendo che “…bisogna che tutte le parti si impegnino in maniera costruttiva nel dialogo che sta negoziando l’Unione europea”, in modo che “le discordie si risolvano tramite la diplomazia”. Il 17 agosto scorso a Bruxelles il segretario generale della NATO ha incontrato il presidente della Serbia prima e poi il primo ministro del Kosovo. Subito dopo i due separati incontri il massimo rappresentante dell’Alleanza atlantica ha dichiarato che “…se sarà necessario noi faremmo muovere le nostre truppe ed aumenteremo la nostra presenza”. Egli ha ribadito che la KFOR è attualmente la più grande missione della NATO fuori dai territori dei Paesi aderenti all’Alleanza. Il che testimonia “il suo impegno per prevenire le tensioni”. L’indomani, il 18 agosto scorso, anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha incontrato, prima separatamente e poi insieme, il presidente della Serbia e il primo ministro del Kosovo. Durante l’incontro trilaterale era presente anche l’incaricato speciale dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo. L’incontro è finito senza un accordo tra le parti. Però l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza non ha perso la speranza ed ha dichiarato che “…non c’è accordo oggi, ma non ci fermeremo, non ci rassegneremo perché fino al 1o settembre c’è ancora tempo”. Ma lui è convinto che “le tensioni verificatesi ultimamente nel nord del Kosovo hanno testimoniato che ormai è tempo di muoversi verso la completa normalizzazione. Attendo che i due dirigenti siano flessibili e trovino la lingua comune”. Chissà però se quell’auspicio espresso si possa avverare, vista la ben nota intransigenza del presidente serbo a riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Indipendenza fortemente voluta e appoggiata però da tutte le grandi potenze mondiali. Ma non dalla Russia. Chissà perché?!

Si sa però che parte integrante della strategia della “Grande Serbia”, fatti accaduti alla mano, risulterebbe essere anche l’iniziativa Open Balkans. L’autore di queste righe, dal gennaio 2020 e a più riprese, ha informato il nostro lettore di questa iniziativa e di chi sta dietro come ideatore e sostenitore. Un progetto espresso dal multimiliardario e speculatore di borsa George Soros già nel 1999 in un suo articolo. Un progetto fortemente voluto e sostenuto, ovviamente, dal presidente della Serbia. Un progetto sostenuto anche dal primo ministro albanese e da quello macedone. Un progetto però, quello alla base dell’iniziativa Open Balkans, contestato dagli altri Paesi balcanici e dalle istituzioni dell’Unione europea, che riconoscono e promuovono il Processo di Berlino per i Balcani occidentali. E, non a caso, l’iniziativa Open Balkans viene riconosciuta ed appoggiata anche dalla Russia. Lo ha dichiarato convinto il ministro degli Esteri russo il 6 giugno scorso. Lui, riferendosi all’Unione europea ha detto: “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans, all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Aggiungendo convinto che “Ormai è chiaro per tutti che Bruxelles, la NATO e l’Unione europea vogliono convertire il progetto Open Balcans in un loro progetto, chiamato Close Balcans (Balcani chiusi; n.d.a.).”!

Chi scrive queste righe, dati e fatti accaduti alla mano, considera come preoccupanti e pericolose le somiglianze espansionistiche tra la Russia e la Serbia. Come considera preoccupanti e pericolose anche le “amicizie” tra l’ideatore, i promotori e gli ubbidienti sostenitori della famigerata iniziativa Open Balkans. Primo ministro albanese incluso. Proprio colui che da tempo ormai, criticando gli altri, sta facendo anche “l’avvocato difensore” della Serbia. Ma si sa e la saggezza popolare ce lo insegna che non ci si piglia se non ci si somiglia!

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