
Soltanto per merito e non per interessi occulti
I mediocri del ‘Politically Correct’ negano sempre il merito.
Oriana Fallaci; da “La forza della ragione”, 2004
Il progetto dell’Europa unita, ideato dai Padri fondatori subito dopo la seconda guerra mondiale, si basava, tra l’altro, anche su nobili e pacifici interessi comuni a tutti i Paesi aderenti. Paesi che erano sei quando il 25 marzo 1957 si costituì la Comunità economica europea con la firma del trattato di Roma. Una Comunità che dal 1o novembre 1993, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, divenne l’attuale Unione europea. Su tutti i documenti ufficiali dell’Unione europea si fa rifermiento, tra l’altro, anche ai principi e ai valori fondamentali dell’umanità e agli interesi nobili e pacifici comuni a tutti i Paesi aderenti. E anche i Paesi che hanno avviato il loro percorso per aderire all’Unione europea,devono rispettare gli stessi principi, valori e interessi.
Durante la seduta del Consiglio europeo a Copenaghen, nel 1993, sono stati approvati anche quelli che ormai sono noti come i criteri di Copenaghen. Si tratta di tre criteri che ogni Paese che ha ufficializzato la sua volontà a diventare Paese membro dell’Unione europea deve rispettare. Criteri che in seguito sono stati elaborati di nuovo durante la seduta del Consiglio europeo a Madrid nel 1995. I criteri di Copenaghen sono tre: il criterio politico, il criterio economico e quello dell’acquis comunitario. Il primo criterio, quello politico, obbliga ogni Paese che vuole aderire all’Unione europea ad avere delle “istituzioni stabili, che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela”. Il secondo criterio, quello economico, chiede che ogni paese candidato deve garantire “l’esistenza di un’economia di mercato affidabile, con la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione”. Mentre il terzo criterio, quello dell’acquis comunitario (dal francese “[droit] acquis communautaire”, “[diritto] acquisito comunitario”; n.d.a.), rappresenta il dovere, per ogni Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, di “accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, segnatamente, gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria”.
I tre criteri di Copenaghen devono essere adempiti e rispettati da tutti i Paesi che hanno avviato il loro percorso europeo. Anche dall’Albania, che ormai da più di venti anni ha ufficialmente espresso la sua volontà di diventare un Paese membro dell’Unione europea. Era il 31 gennaio 2003 quando l’allora presidente della Commissione europea Romano Prodi ha dichiarato l’apertura dei negoziati tra l’Unione europea e l’Albania per l’Accordo di Stabilizzazione e di Associazione. Con la decisione del Consiglio europeo del 26 febbraio 2009, entrato in vigore il 1o aprile 2009, si conferma la “conclusione dell’Accordo di Stabilizzazione e di Associazione tra l’Unione europea da una parte, e la Repubblica di Albania, dall’altra”. Il 28 aprile 2009 l’Albania ha presentato ufficialmente la richiesta per aderire all’Unione europea. In seguito, durante la seduta del 26 – 27 giugno 2014, il Consiglio europeo ha deciso la proclamazione dell’Albania come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea.
Da allora sono ormai passati undici anni e, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, comprese diverse decisioni del Consiglio europeo, purtroppo l’Albania non ha fatto quasi nessun progresso nel suo percorso europeo, tranne l’apertura di sette dei complessivi trentatré capitoli previsti dal processo di adesione per ogni Paese candidato. E tutti solo alla fine dell’anno scorso. I primi cinque capitoli, che sono stati formalmente aperti il 15 ottobre 2024, sono il capitolo 5 (appalti pubblici), il 18 (statistiche), i 23 e 24 (i cosiddetti capitoli sullo Stato di diritto: sistema giudiziario e diritti fondamentali da un lato, giustizia, libertà e sicurezza dall’altro) ed il capitolo 32 (controllo finanziario). Mentre il 17 dicembre scorso sono aperti il capitolo 30 per le relazioni esterne e il capitolo 31 per la politica estera, la sicurezza e la difesa. Dalle precedenti esperienze degli altri Paesi che stanno attuando il loro percorso europeo risulta però che per concludere tutti i capitoli previsti dalle procedure dei negoziati tra il Paese candidato e le istituzioni dell’Unione europea occorrono non meno di quattro o cinque anni. Invece, sempre in base alle precedenti esperienze degli altri Paesi, occorrono anche non meno di due o tre anni per diventare poi parte integrante dell’Unione europea, come Paese membro.
Nell’ambito dei negoziati dell’adesione all’Unione europea, ogni Paese candidato deve adempiere almeno tutto ciò che prevede il primo criterio di Copenaghen: il criterio politico. E cioè, come sopracitato, la presenza nel Paese candidato di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Mentre la Commissione europea monitora la situazione nel Paese candidato ed in base alla realtà osservata redige poi, annualmente, un rapporto. Bisogna purtroppo evidenziare che, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, quasi tutti i rapporti annuali della Commissione europea sull’Albania, dal 2014 in poi, non sono stati realistici, anzi! Fatto questo confermato ogni anno dalle ragioni che hanno portato alle decisioni negative del Consiglio europeo sull’Albania. Il nostro lettore è stato spesso informato di questi sviluppi e di simili preoccupanti realtà, sempre con la dovuta e richiesta oggettività, che hanno costretto il Consiglio europeo a prendere quelle decisioni. E sempre sono stati evidenziati casi clamorosi dell’abuso di potere, di malgoverno, della violazione del principio della separazione dei poteri, dell’oppressione dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, nonché della galoppante corruzione, partendo dai massimi livelli istituzionali ed altro. Chissà perché però i rapporti della Commissione europea sull’Albania, dal 2014 ad oggi, sono stati sempre “ottimisti”. Le cattive lingue però hanno sempre detto convinte che dei gruppi lobbistici, finanziati da un noto multimiliardario speculatore di borsa statunitense, sostenitore dell’attuale primo ministro albanese, il quale ha cominciato il suo primo mandato nel settembre 2013, sono riusciti a “convincere” alcuni alti funzionari della Commissione europea a redigere quei rapporti sull’Albania.
In Albania tra una decina di giorni comincia ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni parlamentari del 11 maggio prossimo. Il primo ministro, per spostare l’attenzione dalla molto preoccupante realtà in cui sono costretti a vivere gli albanesi, sta usando la carta dell’adesione all’Unione europea. Lui, non potendo ormai offrire niente, cerca di nuovo di ingannare, questa volta con il “passaporto europeo”. E purtroppo, di nuovo, ha avuto il supporto degli alti funzionari della Commissione europea. Durante una visita in Albania, tra il 12 ed il 14 marzo scorso, la commissaria europea per l’allargamento e la politica di vicinato era molto soddisfatta e ottimista dei progressi dell’Albania nel suo percorso europeo. Per lei “…l’Albania è sulla giusta strada [perciò] merita ed ha un posto nell’Unione europea” (Sic!). Ed ha dichiarato convinta che l’Albania concluderà con successo i negoziati, appena iniziati, con l’Unione europea entro il 2027.
Chi scrive queste righe pensa che simili dichiarazioni della commissaria europea per l’allargamento e la politica di vicinato non hanno niente a che vedere con la vera, vissuta, preoccupante e sofferta realtà albanese. Allora perché lei, come altri suoi colleghi, appoggia il primo ministro albanese? Proprio lui che è il diretto responsabile della drammatica, preoccupante e molto pericolosa realtà albanese. Anche per altri Paesi europei. Chi scrive queste righe è convinto che l’Albania deve diventare un Paese membro dell’Unione europea soltanto per merito e non per interessi occulti. Mentre, come affermava Oriana Fallaci, i mediocri del ‘Politically Correct’ negano sempre il merito. Ed alcuni di loro sono anche alti funzionari delle istituzioni dell’Unione europea.