Lettere

E’meglio accendere un lumino che maledire l’oscurità

Jozef Cíger-Hronský

A Natale, il giorno della vigilia, penso non vi sia buio nel mondo. Almeno, non nel mondo in cui sono cresciuto e che mi si è impresso profondamente nell’anima. E nel cuore.

Da piccolo, aspettavo tutto l’anno la messa di mezzanotte, settimane prima della vigilia ci si litigava, tra fratelli, il privilegio di portare la lampada, poiché a quei bei tempi le luci stradali non c’erano ovunque, anzi, in certe valli sperdute non ci sono ancor oggi. Così, nella notte di Natale molti – e noi tra di loro – portavano la lampada, anche se il cielo era pieno di stelle e la luna largiva un ampio sorriso.

Ma così doveva essere.

Eppure, in lungo e in largo si diffondeva la canzone “Tu scendi dalle stelle, o re dei cieli…

” E come avrebbe potuto essere altrimenti?

A quel tempo mi sembrava che tutte le stelle si fossero date appuntamento nelle nostre valli e avrebbero preso a muoversi, laggiù, come in cielo.

Penso che il buio neppure sfiorasse le nostre menti, come se il buio, al mondo, non ci fosse per niente. Le finestre della chiesa risplendevano, dentro era pieno di luce e la gente aveva negli occhi tanta gioia…

Tanta gioia, tanti lumini li avevamo anche sull’albero di Natale e desideravamo averne ancora di più.

Ma gli anni passavano e con gli anni arrivarono Natali di ogni genere. Infatti, s’approssimava anche la tenebra.

Ricordo una grande tormenta, bioccoli di neve fradicia frustavano il viso, ma ciononostante andavamo alla messa di mezzanotte, forse sentendo che avevamo bisogno di racimolare più luce possibile, anche per domani, anche per gli anni futuri…

Il buio sta sempre in guardia. Subito ti si fa addosso, solo che per un attimo tu dimentichi di pensare allo splendore, che tu dimentichi di accendere un lumicino.

Un Natale uno dei fratelli si ammalò.

Un altro Natale la nostra madre non fu più con noi…

Poiché gli anni passavano.

Una volta, durante la guerra, in trincea, avevamo solo una candela, la vigilia di Natale. Qualcuno l’aveva serbata apposta per quella sera e così l’accendemmo, in quell’umido scavo, sotto ad un mantello e a turno l’andavamo a guardare.

Nel ’44, la sera della vigilia, sotto le nostre finestre scorrazzavano i carri armati, tremolavano i lumini sull’albero di Natale, gli aerei gironzolavano sotto le stelle, c’era tanta tenebra, tanta angoscia intorno, in molti si sapeva già che quello era l’ultimo Natale in Slovachia per noi, giacché erano vicine ormai anche luci, quali quelle di interi villaggi dati alle fiamme…

E tuttavia, quella sera cercammo di tenere a bada l’angoscia, e provammo a cantare “O Bambino mio divino, io ti vengo qui a trovar…”

Ma non c’era la gioia propria a quella sera, non c’era l’impeto della vigilia, c’era dell’altro.

C’erano i lumini che albergavano in noi dai Natali passati, i canti annidatisi nelle nostre anime in quei giorni di gioia, i Padrenostro instillatici nel profondo del cuore dalle nostre madri, la fede nella redenzione, in Cristo, nel Salvatore, erano i vecchi, remoti lumini, che ora ci proteggevano perché il buio non ci soffocasse, erano le speranze accese tempo addietro, che saremmo sopravvissuti anche a queste angustie…

Erano i doni più preziosi lasciatici dai nostri genitori e mi piacerebbe avere ora una voce capace di risuonare in ogni dove, di richiamare tutte le madri, tutti i padri:

– Meglio accendere un lumino per tempo!… Accendete per tempo, nelle anime dei vostri figli, dei lumini per Gesù Bambino, per il grande dono di Betlemme, i lumini della fede, i lumini della speranza, perché per ciascuno di noi da qualche parte sta in agguato il buio, ma chi porterà dentro di sé la luce non maledirà i momenti difficili…

Da tempo sono ormai canuto, ma non di rado mi sembra di stringere ancora in mano l’impugnatura di quella lampada natalizia della mia infanzia, ed essa mi illumina, mi indica una via chiara ancor oggi, nei momenti di smarrimento.

Jozef Cíger Hronský, è uno dei più celebri scrittori slovachi del Novecento. Per salvare la propria libertà di uomo e di artista davanti all’invadente e disumana ideologia comunista, nel 1945 egli lasciò la Patria e, passando per l’Austria, Baviera e Italia, trovò rifugio in Argentina. Il pseudonimo Hronský trae origine dal fiume Hron, sulle rive del quale Marco Aurelio aveva iniziato la stesura dei suoi Ricordi e che scorre lungo la città di Zvolen, nella Slovachia centrale, dove Jozef Cíger nacque ne 1896. Prima di espatriare, egli diresse la più importante istituzione culturale slovaca, Matica slovenská, portandola alla massima fioritura. Lo scrittore scomparve prematuramente nel 1960 a Lujan (Buenos Aires). Nell’estate del 1993, in adempimento di un suo desiderio ardente più volte espresso in esilio, i suoi resti mortali furono traslati in Slovachia e tumulati al Cimitero Nazionale di Turčiansky Sv. Martin.

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