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In attesa di Giustizia: elogio degli avvocati e della difesa da parte di un p.m.

Quella che dovrebbe essere normalità appare, a volte, come qualcosa di eccezionale: in un momento storico in cui la Magistratura conosce un crollo di credibilità e di autorevolezza, è giusto “cedere la penna” a un Magistrato, uno dei tanti che svolge con scrupolo, onestà intellettuale e sacrificio il proprio ministero: questa, dovrebbe essere questa la normalità che denota cultura della giurisdizione e caratterizza i rapporti tra i protagonisti del processo penale. La parola al Pubblico Ministero, Dott. Marco Imperato.

“Ma come fai a difendere un criminale?”: è questa la domanda che spesso viene rivolta ad un avvocato.

Faccio il Magistrato, sono un pubblico ministero e quindi sono il responsabile delle indagini e il titolare dell’azione penale; forse penserete che anch’io me lo chiedo…e invece vi sbagliate.

Questa domanda è figlia di un grave e diffuso pregiudizio che vede il mestiere del difensore come almeno potenzialmente ambiguo dal punto di vista etico, se non peggio. Il dubbio nasce da almeno due gravi errori e fraintendimenti di partenza.

Prima di tutto si sta presumendo sin dall’inizio la colpevolezza di colui che viene difeso. Niente di più sbagliato, illiberale e pericoloso. E lo dice la nostra Costituzione: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Il giudizio di colpevolezza è l’approdo possibile ed eventuale del processo, non il presupposto o l’esito scontato. Le regole per la raccolta e la valutazione delle prove non sono cavilli da Azzeccagarbugli ma presidi fondamentali che fanno la differenza tra lo Stato liberale di diritto e i regimi (guardate la vicenda di Patrick Zacki in Egitto se avete qualche dubbio su quale sia il sistema migliore in cui vivere).

Tutto il processo penale moderno nasce con l’obiettivo principale di garantire i diritti di difesa dell’individuo di fronte alla forza del potere pubblico e di evitare di condannare persone che non siano responsabili al di là di ogni ragionevole dubbio (non una certezza scientifica ma uno standard molto alto che non viene richiesto in nessun altro ambito del diritto).

Il secondo pregiudizio che fonda quel sospetto verso gli avvocati dipende, invece, dal fatto che si tende ad identificarli con l’imputato (ingiustamente ritenuto presunto colpevole visto che giudicare ci fa sentire più sicuri e forti e invece comprendere e dubitare è attività sempre faticosa e scomoda).

L’avvocato non difende la presunta condotta illecita, bensì garantisce il rispetto delle regole e dei diritti del suo assistito e, d’altronde, i magistrati non giudicano la persona in quanto tale ma solo le sue azioni.

Vi garantisco che, se anche il mio mestiere spesso si traduce nel sostenere l’accusa (ma prima viene l’obbligo di cercare le prove anche a favore e, più in generale, la ricerca della verità processuale) io spero sempre di trovarmi di fronte avvocati professionali ed attenti: so che il processo avrà uno sviluppo migliore, sarà più approfondite il suo esito più vicino a quell’ideale così irraggiungibile di giustizia che dovremmo inseguire anche nelle aule di giustizia.

Chi vuole un difensore debole o intimidito non ha a cuore l’accertamento della verità e cerca solo mani libere per un comodo (e, quindi, spesso sbagliato) esercizio del potere di giurisdizione.

In questo periodo sto scoprendo un testo che ribalta il diffuso sentire giustizialista: “La Resurrezione” di Tolstoj. Il grande romanziere russo dipinge un affresco in cui in prigione finiscono soprattutto le vittime di un sistema ingiusto e diseguale mentre chi esercita il potere è spesso privo di sensibilità e di pietà.

Questo il paradosso finale …”attualmente l’unico posto che si convenga a un uomo onesto in Russia è la prigione!”.

Può sembrare una provocazione ma è un monito che da P.M. mi porterò dentro: un esercizio cieco e burocrate del potere rischia di tradursi in una perpetrazione di ingiustizia se non sono garantiti i diritti di difesa e non siamo tutti uguali di fronte alla legge.

L’Italia e l’Europa del 2020 non sono la Russia di fine Ottocento: siamo la patria di Beccaria e Calamandrei e le regole della Costituzione e della CEDU sono baluardi dei diritti, inclusi quelli di difesa.

Quello che si rischia è un scollamento tra il sentimento popolare diffuso e le regole del diritto: quando i principi non vengono più compreso e condivisi si crea una pericolosa frattura che produce un approccio non equilibrato verso i temi della giustizia e semina sfiducia verso le istituzioni e la legalità.

Occorre un dibattito pubblico che cerchi di fare appello alla ragione e non ai peggiori sentimenti che ci abitano.

Occorre vigilare e contribuire affinchè sui media e sui social la giustizia non sia oggetto di tifo e provocazioni ma di approfondimento e confronto. Spesso la cronaca e il chiacchiericcio da bar cercano solo capri espiatori mentre abbiamo bisogno di comprensione per contrastare davvero i fenomeni criminali che guastano la convivenza sociale.

Occorre, infine, che avvocatura e magistratura non siano percepite e non si percepiscano come nemici di cui diffidare. Certamente l’Autorità Giudiziaria ha un ruolo e delle responsabilità diverse da quelle dei difensori, ma gli avvocati incarnano le garanzie di difesa e indebolirli o attaccarli vorrebbe dire indebolire ed attaccare lo Stato di diritto.

Un Paese con degli avvocati meno liberi è un Paese in cui rischiamo di essere meno liberi tutti.

Standing ovation per queste riflessioni: che siano il migliore viatico per il futuro di tutti, un futuro in cui l’attesa di Giustizia sia affidata a persone come Marco Imperato.

Auguri di cuore.

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