
In attesa di Giustizia: femminismo punitivo
Ad metalla, ad bestias! L’ergastolo non basta: si è scatenata la querelle mediatica con un attacco frontale alla motivazione della sentenza di condanna di Filippo Turetta per l’omicidio della fidanzata, alimentata da indignati in servizio permanente effettivo che fomentano furori di piazza fuori luogo semplificando il senso di una decisione, attaccando giudicanti ed avvocati (per non farsi mancare mai nulla) nella più totale ignoranza del diritto.
Lo scandalo, denunciato con informazione spazzatura, non è altro che l’applicazione di giurisprudenza stabilizzata e costante della Cassazione in tema di aggravante della crudeltà nel reato di omicidio. Cerchiamo di fare chiarezza partendo dal presupposto che ogni omicidio è espressione di una forma di crudeltà ma la “crudeltà” che era stata in origine contestata a Turetta è qualcosa di differente, è una circostanza aggravante del reato…e qui non guasterebbe anche una dignitosa conoscenza del latino – ma sarebbe pretendere troppo – per meglio comprendere il significato di “circostanza”: qualcosa che sta intorno e che in diritto penale caratterizza una particolarità, negativa o positiva (sì: esistono anche le circostanze attenuanti per chi non lo sapesse) dell’azione nel commettere un reato. Dunque nel caso Turetta come in altri, qualcosa in più rispetto alla mera azione omicidiaria della quale deve essere valutata la modalità complessiva e l’intenzionalità soggettiva di infliggere un tormento aggiuntivo al dolore già generato dalla inflizione dei colpi.
Questo qualcosa in più (quid pluris, per gli addetti ai lavori…) non sta, dunque, necessariamente nel mezzo usato o nel numero di ferite inferte per uccidere ma nella provocazione voluta di una sofferenza: si pensi, per esempio, all’incaprettamento tipico di esecuzioni mafiose o qualsiasi lesione letale che però, volutamente, cagioni la morte solo a seguito di una lenta e tormentata agonia.
Femminismo punitivo, è questo che si vuole: inutile e fuori dalle regole? E’ comprensibile l’orrore provocato da taluni fatti di sangue non lo è lo stimolo a voler allontanare da noi un soggetto deviante dipingendolo a tutti i costi come un mostro che non solo uccide ma lo fa con crudeltà; certamente così è più facile perché è anche un facile modo per autoassolverci in quanto si tratta di un ragazzo come tanti, ahimè cresciuto in una società che non ha saputo educarlo a gestire le proprie emozioni e ad accettare un rifiuto, un ragazzo che sicuramente non ha mai tenuto un coltello in mano e che in quel contesto ha agito in modo confuso e violento. Ma la crudeltà è un’altra cosa.
Il terreno del dibattito è delicatissimo e scivoloso, in parte costruito e sorretto dalle emozioni ma prima di insultare e strepitare occorrerebbero almeno una decina di anni di studi giuridici, possibilmente non conseguendo il titolo abilitativo su Facebook o Chat CPT che consentono unicamente di iscriversi all’Albo degli Imbecilli, istruiti si fa per dire, da docenti poco meno che analfabeti: quelli che parlano di “reato penale”, per intenderci.