
In attesa di Giustizia: gli irresponsabili
Al netto di nove mesi di gravidanza, in diciassette anni si conduce un figlio alle soglie dell’esame di maturità: qualcuno per il quale – magari – si è scelto di fargli anticipare l’inizio degli studi elementari in questi giorni è sui banchi ad affrontare le prime prove di quell’esame…e nello stesso periodo si conclude una vicenda processuale che, con buona pace dell’attesa di giustizia, ha l’età di quei maturandi.
Stiamo parlando del procedimento che ha visto coinvolto il Gruppo Bancario Delta, una società di credito al consumo di Bologna che dava lavoro a circa mille persone (rimaste, rigorosamente, senza impiego): nelle scorse settimane il GIP di Forlì ha finalmente archiviato tutte le accuse mosse nei confronti dei vertici dell’azienda, con un’inchiesta partita nel 2008 a seguito del sequestro di un furgone portavalori con a bordo oltre due milioni e mezzo di euro che dalla filiale di Forlì della Banca d’Italia viaggiava alla volta di un istituto di credito di San Marino…Secondo il P.M. forlivese quel denaro era frutto di riciclaggio ed evasione fiscale di cittadini italiani detentori di conti correnti proprio nella Repubblica del Titano ed il Gruppo Delta era sospettato di essere il “braccio armato italiano” della Cassa di Risparmio di San Marino.
Cinque arrestati con tanto di videoriprese per il successivo sputtanamento televisivo a puntate su Report…poi un lunghissimo silenzio e da un percorso giudiziario ancora più lento durante il quale ci sono stati trasferimenti del fascicolo ad altra Procura (Rimini) per competenza territoriale, di P.M. ad altra Sede o incarico, qualcuno è anche morto mentre già nel 2008 la Cassazione, affrontando il tema del sequestro dei due milioni e mezzo a bordo del furgone portavalori, avesse già espresso forti dubbi sulla sussistenza del reato di riciclaggio.
Finalmente, si fa per dire, nel 2021 fu emesso un decreto di rinvio a giudizio bocciato clamorosamente dal tribunale perché l’imputazione non risultava enunciata in forma sufficientemente chiara impedendo il corretto esercizio del diritto di difesa: come dire che in tutti quegli anni non si era stati in grado neppure di chiarire di cosa avrebbero dovuto essere accusati coloro che erano stati arrestati, indagati e rinviati a processo. Ci sono voluti altri tre anni perché nel gennaio 2025 venisse richiesta l’archiviazione per tutti gli indagati perché il fatto non costituisce reato e così si è finalmente giunti alla conclusione di cui si è detto all’inizio a costo del commissariamento giudiziario di Delta seguito dal fallimento, la perdita del posto di lavoro dei dipendenti e circa settecento milioni di euro andati in fumo.
Qualche riflessione di carattere generale si impone circa la irresponsabilità civile dei magistrati.
Come si sfoga in un’intervista al Foglio il Prof. Massimiliano Annetta che ha difeso alcuni degli indagati la responsabilità civile dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni infatti esiste, ma molto raramente sfocia in provvedimenti che vanno a intaccare le loro tasche. Al pari degli altri dipendenti pubblici, è una responsabilità indiretta: grava cioè sullo Stato. Quando però lo Stato cerca di rivalersi sulla toga ritenuta responsabile dell’errore, resta a mani vuote. Dal 2010 ad oggi su 815 azioni di rivalsa avviate dal presidente del Consiglio, solo 12 magistrati sono stati condannati (circa l’1,4 % del totale). Intanto, a giudicare sono i loro colleghi; inoltre, per arrivare a una sanzione nei confronti della toga, il giudice ordinario deve dimostrare che il provvedimento giudiziario contestato sia stato adottato con «dolo» o «colpa grave», oppure in seguito «a diniego di giustizia», inteso come il rifiuto, l’omissione o il ritardo nel compimento di atti del loro ufficio.
Fin quando resterà in vita la clausola che esonera i magistrati dalla responsabilità per l’interpretazione delle norme o la valutazione dei fatti e delle prove sarà impossibile chiedere conto degli errori che danneggiano i cittadini e le imprese. Questo è, con buona pace di vite (anche di impresa, che’ pure le imprese si possono uccidere) distrutte.