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In attesa di Giustizia: il quarto (o quinto) stato

E sciopero è stato: parliamo di quello indetto dalla Associazione Nazionale Magistrati per protestare contro il disegno di legge che separa le carriere tra giudicanti e pubblici ministeri e ci sarà, come in tutte le occasioni simili, discordanza e opacità sui dati di partecipazione. Basti pensare che con una circolare è stato espressamente previsto che, “alla giapponese”, si potesse scioperare lavorando, qualora vi fossero delle urgenze da affrontare sia pur sfoggiando coccarde tricolori come a una festa patronale e volantini con il frontespizio della Costituzione…quasi a simboleggiare che il contenuto interessa meno o non se n’è compreso il senso. Corre voce che qualcuno (o più di qualcuno) le urgenze se le sia signorilmente inventate per non subire la trattenuta di un giorno di stipendio come previsto per tutti i dipendenti pubblici.

L’unica certezza è che questo sciopero deve considerarsi eversivo non potendo definirsi altrimenti definire lo sciopero di un potere dello Stato contro un altro potere dello Stato. Con buona pace del supposto clima eversivo creato dalla avvocatura a margine del dibattito sulle riforme: chissà, a proposito, come andrà a finire l’incontro congiunto tra la Premier, il Presidente dell’A.N.M e quello dell’Unione delle Camere Penali previsto tra pochi giorni? Forse alla maniera di quello tra Trump e Zelensky…

Tornando all’agitazione, per chiarirne i contenuti, non ha nulla di sindacale: non rivendica migliori condizioni di lavoro, né una migliore efficienza organizzativa ovvero un più adeguato trattamento salariale: ci mancherebbe altro! Per chi non lo sapesse lo stipendio dei magistrati è misurato su quello dei parlamentari ed aumenta automaticamente ogni qual volta che questi altri gentiluomini si aumentano l’indennità.

Questo sciopero, viceversa, è fortemente politico, indetto da un’associazione privata che rappresenta poche migliaia di magistrati che, in numero ancor minore, hanno inscenato flash mobs con coreografie in toga che ricordano il ‘Quarto Stato’ di Pellizza da Volpedo, protestando contro il legittimo esercizio delle prerogative del potere legislativo.

Mutatis mutandis è come se il Parlamento scioperasse contro la magistratura per lamentarsi di una sentenza con cui non è d’accordo: e se il paragone può risultare corretto corretto è come se la mobilitazione fosse contro una sentenza di primo grado, visto che la riforma sulla separazione delle carriere è ancora lontanissima dal “passare in giudicato” dovendo affrontare altre tre letture tra Senato e Camera dei Deputati con maggioranza qualificata.
Forse sarebbe apparso più istituzionale impegnarsi in una campagna referendaria successiva alla “riforma”, qualora approvata e, nel frattempo, svolgere opera di sensibilizzazione su problemi che dovrebbero scuotere la sensibilità degli operatori di settore come quello dei suicidi in carcere, per fare un facile esempio.

La novella sulla separazione delle carriere, pur opportuna, non è – tra l’altro – che l’ennesima toppa a un sistema in decomposizione, rimanendo irrisolti le moltissime criticità e problemi di cui è affetta la giurisdizione ed è verosimile che, con la parte dedicata alla ristrutturazione del C.S.M.  non estirperà neppure quel cancro che sono le “correnti” della magistratura.

Il rischio è che, gattopardescamente, si cambi tutto per non cambiare nulla.

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