In attesa di Giustizia: la giustizia nel paese reale
I tempi, i modi della Giustizia, la legislazione sottostante sono l’argomento di questa rubrica e negli ultimi tempi si è visto poco di buono, meno che mai, su tutti questi fronti complice la pandemia.
Una recente vicenda, che ha molto colpito l’opinione pubblica, però impone di essere commentata: l’omicidio di Willy, il ragazzo di colore vittima di una vile e violentissima aggressione avvenuta a Colleferro.
Sulla sua morte orribile si è detto e se ne parla ancora moltissimo, i presunti (e, francamente, probabili) responsabili sono stati celermente individuati e tratti in arresto: tuttavia un assassino è tale solo dopo la sentenza che lo ha definitivamente ritenuto tale, altrimenti i processi non servono e la regola forse vale ancora di più quanto più uno appare colpevole perché se si cede a questa suggestione la Giustizia è finita e tanto vale trascinare i sospettati in piazza per darli in pasto alla folla inferocita.
E non c’è minore violenza nello strumentalizzare frasi attribuite alle famiglie degli indagati la cui fonte è incerta, lo è invocare punizioni esemplari, scatenare una caccia al mostro collettiva con tutti i comfort tecnologici, impiegando le chat, i social network, le apparizioni, anche fugaci, sui media. Così significa alimentare la Giustizia che verrà di una carica emotiva rischiando di renderla ingiusta.
Non è mestieri affrontare il merito della vicenda, senza disporre degli atti che però sono finiti ai telegiornali prima ancora che nella cancelleria del Giudice ed a disposizione degli avvocati. E non è neppure il caso di fare ipotesi: sarebbero solo ragionamenti astratti sulla natura del reato – omicidio preterintenzionale o volontario – le colpe dei singoli partecipi, sulle circostanze.
Non è questo il punto. Il punto è che tutti dovrebbero sforzarsi di capire che senza un giusto processo (e quelli celebrati su Facebook, a Chi l’ha visto, o durante improvvisati comizi davanti alle telecamere non solo non è “giusto” come la Costituzione vuole ma nemmeno è un processo, senza il rigoroso rispetto del solo meccanismo che autorizza lo Stato a punire un individuo, ma è qualcosa che quello che assume il nome sinistro di vendetta. Insomma, chi invoca: “Dateli a noi”, sul piano etico si comporta esattamente come si sarebbero comportati gli accusati di quel crimine: si fa giustizia da solo e a modo suo.
E in tutto questo, non poteva mancare l’attacco a chi esercita il mestiere del difensore: gli avvocati sono stati bersaglio di insulti e minacce gravi, confermando che il popolo degli indignati non è migliore dei loro assistiti.
Per coloro che li denigrano e provano a intimidire sarebbe utile la lettura di una sentenza della Cassazione del 29.03.2000 in cu isi legge che “Il difensore di un imputato, invero, si trova astretto a dover osservare, da un canto, veri e propri doveri giuridici connessi alla nobile funzione che è chiamato a svolgere, espressi attraverso formule dai contorni spesso assai vaghi, ma assicurati dal giuramento che presta prima di entrare a fare parte dell’ordine. È indubbio che l’esercizio del diritto di difesa, in quella accezione particolare riferibile ai soggetti legittimati al patrocinio, ha nel nostro ordinamento il più ampio ambito di espansione, nella prospettiva di assicurare l’effettiva attuazione del principio di cui all’art. 24, 2 comma, della Costituzione. Deve, quindi, essere apprezzata la condotta del difensore, che ha il diritto – dovere, costituzionalmente garantito, di difendere gli interessi della parte assistita nel migliore modo possibile nei limiti del mandato e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici e cioè di adoperarsi con ogni mezzo lecito a sottrarre il proprio assistito, colpevole o innocente che sia, alle conseguenze negative del procedimento a suo carico.” E senza il contributo degli avvocati, l’attesa di Giustizia sarebbe del tutto vana.