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In attesa di Giustizia: la pazienza è la virtù dei forti

E’, probabilmente, noto a tutti  il caso di Chico Forti – i media ne hanno trattato anche ultimamente con una buona notizia – detenuto da vent’anni in un carcere della Florida, condannato per omicidio all’esito di un processo altamente indiziario che ha sollevato dubbi molto seri non solo sulla sua colpevolezza ma anche sul rispetto delle regole.

La buona notizia è che il Governatore della Florida ha accolto la richiesta di Forti di poter scontare il residuo della sua pena in Italia.

Il trasferimento nel paese di origine per l’espiazione di una condanna è previsto su base pattizia, convenzioni ed accordi internazionali e prevede che, preventivamente, vi sia il riconoscimento della sentenza straniera nella Nazione di cui il detenuto ha la cittadinanza.

Chico Forti si è risolto a chiederlo solo dopo moltissimi anni di carcere poiché seguire questa strada comporta la rinuncia a richiedere ed ottenere la revisione del processo, sua unica ragione di vita. Ma la ripetizione del processo gli è sempre stata negata ed ostinarsi a chiederla non avrebbe portato a nulla.

Il riconoscimento della sentenza americana da parte della nostra Autorità Giudiziaria determina la possibilità che Chico Forti, una volta rientrato sul territorio (ed in un carcere) nazionale sia sottoposto alle norme di diritto penale e ordinamento penitenziario italiano: il che significa che, sebbene negli USA sia stato condannato all’ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale, qui potrà fruire di benefici  – non automatici ma ben possibili previa valutazione dei presupposti da parte degli organi competenti – che in tempi non lunghi dovrebbero restituirgli la libertà.

Come si è detto, l’Italia sarà vincolata dall’accertamento dei fatti come risultano dalla sentenza emessa negli Stati Uniti e non potrà quindi concedere la revisione del processo: e questo per Chico Forti significa che non sarà mai consentito neppure di provare a vedere riconosciuta la propria innocenza ma, se non altro, lo sarà  tornare ad una vita normale da uomo libero.

A quest’uomo è dovuto grande rispetto per la dignità con cui ha accettato la sofferenza di una lunghissima prigionia trascorsa battendosi innanzitutto per la revisione, sacrificando la possibilità di ottenere altri vantaggi: richiama un po’ il caso di Raul Ghiani (ma chi lo ricorda tra i lettori più giovani?), condannato all’ergastolo in un processo che fece scalpore a cavallo tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, il quale si ostinò a sperare in una revisione del processo – che con il codice di procedura penale dell’epoca era straordinariamente difficile da ottenere – rifiutandosi di chiedere la grazia al Presidente Leone che, da avvocato penalista, non aveva mai nascosto il proprio dubbio circa la sua colpevolezza. Si arrese dopo ventotto anni e la ottenne da Pertini.

Ghiani è ormai preistoria della cronaca giudiziaria, Chico Forti il tragico testimonial della brutalità che caratterizza anche altri sistemi processuali. Se davvero è colpevole  – possiamo dirlo senza alcuna esitazione –  ha già pagato il suo debito e la lunghissima attesa di la giustizia merita di essere ricompensata almeno con la libertà in nome delle sofferenze che ha subito, per il dolore patito dai suoi familiari e, soprattutto, dello sgomento perché gli Stati Uniti non gli hanno riconosciuto la garanzia di un giusto processo, di una adeguata difesa né, pervicacemente, di una possibilità di riparazione vanificando l’impegno, la serenità e la dignità con cui si è battuto ma ha anche accettato tutto ciò.

Buona vita, buon ritorno a casa: anche salire su quel volo di rientro è una piccola vittoria, un riconoscimento alla pazienza, virtù dei Forti.

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