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In attesa di Giustizia: liberté, egalité, fraternité

Si è appena insediato il nuovo Presidente dell’ANM ed è subito contestazione tra gli stessi iscritti all’Associazione per aver osato suggerire l’apertura di un dialogo con il Governo in merito alle riforme sulla giustizia: un atteggiamento che fa il paio con quello assunto durante le Inaugurazioni dell’Anno Giudiziario, compreso quello – di cui la rubrica si è occupata nello scorso numero – dell’Unione delle Camere Penali. Muro contro muro: di alternative le Toghe non ne vogliono sentir parlare e chissà che non chiedano al nuovo vertice del sindacato di dichiararsi apertamente antifascista o, quantomeno, allinearsi al pensiero di Elodie al Festival di Sanremo esplicitando che piuttosto che votare Giorgia Meloni si farebbe tagliare una mano.

E’ vero che anche noi abbiamo tradizioni rivoluzionarie rammentate da qualche valoroso episodio risorgimentale come le Cinque Giornate di Milano ma certamente nulla di comparabile agli accadimenti del 1789 che, al netto di soperchierie come il processo a Re Luigi (da consegnare ad ogni costo alla “Madame”), gettarono le fondamenta per fare della Francia una solida democrazia. Anche ai giorni nostri, in un contesto politico e di riforma della Giustizia si registrano alcune analogie ma – soprattutto – delle differenze: da un anno circa al Ministero della Giustizia d’Oltralpe siede Eric Dupond-Moretti: avvocato penalista di grande notorietà, figura sgradita, per usare un eufemismo, alla magistratura francese che – detto per inciso non ha le carriere separate ma il Pubblico Ministero dipende dall’esecutivo ad ulteriore dimostrazione della infondatezza delle ansie italiche che dovrebbero, tutt’al più,  basarsi su presupposti diversi e, peraltro, insussistenti.

E perché mai questo gentiluomo di chiara fama è così inviso all’Ordine Giudiziario tanto quanto il nostro carlo Nordio con l’aggravante di essere un avvocato? A causa, anch’egli, del programma di riforme che sta portando avanti sorretto però dall’appoggio bipartisan di tutte le forze politiche, nessuna delle quali è subalterna ai desiderata della magistratura associata, dei manutengoli della carta stampata che hanno giurato fedeltà alla Repubblica delle Procure e dei sodali di presunti avvocati transitati ineffabilmente dalla consolle di una discoteca a via Arenula e dei manettari con i polsi degli altri.

Eric Dupond Moretti, inoltre, non subisce il condizionamento di magistrati fuori ruolo insediati in ruoli chiave al Ministero, come accade da noi, ed il potere politico è libero di esprimersi in linea con il programma di governo senza renderne conto se non al Parlamento ed ai cittadini: vuole una riforma delle regole per la diffusione delle immagini videoregistrate dei processi che non deve essere un diritto di cronaca assoluto ed incondizionato, ma deve essere preventivamente vagliata la sussistenza dell’interesse pubblico prima di dare il via ad una totalizzante gogna mediatica e deve essere munita di comprensibili e corrette spiegazioni all’ opinione pubblica delle peculiari regole processuali che vengono rappresentate…e tutto ciò mai prima che vi sia una sentenza definitiva, e le immagini non più replicabili dopo un periodo di cinque anni dalla sentenza e con il previo consenso delle persone interessate: altro che Quarto Grado, Chi l’ha visto? (o, meglio, Chi l’ha fatto?), Porta a Porta con i plastici delle scene del crimine e pseudo esperti d’accatto che argomentano di colpevolezza con disinvoltura da bar sport commentando il campionato di calcio.

Un’altra area di intervento è la durata delle indagini, che il Ministro – ragionevolmente – non vuole che superino i tre anni, prorogabili a tre con adeguata motivazione solo se riguardano la criminalità organizzata.

Violenta, poi, è stata la opposizione alla proposta di riforma del segreto professionale con divieto assoluto di intercettazione delle conversazioni tra cliente e difensore, anche quando questi rivesta il ruolo di mero consulente con un gruppo di lavoro all’opera per realizzare un protocollo ed un sistema tecnologico in grado di immediatamente interrompere il flusso comunicativo del soggetto intercettato quando questi entra in contatto con il proprio difensore.

E su questi temi il confronto si surriscalda: “Gli studi legali sono dei luoghi sacri, non può esistere difesa senza segreto professionale”, dice il Ministro. “È in malafede e sta lavorando per i suoi amici avvocati”, accusa la locale Associazione dei magistrati; “Difendo lo Stato di diritto contro dei metodi da spie”, replica Dupond – Moretti, senza troppi giri di parole.

Tutto il mondo è paese e non si può escludere che qualcuno, come accadrebbe da noi, che qualcuno alluda che così il Ministro “mette in pericolo la sicurezza del Paese”, o “favorisce la Mafia”; ma, la differenza non banale è che da noi, il Parlamento francese vota in coscienza ed assoluta autonomia in piena condivisione della riforma.

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