
In attesa di Giustizia: pesca a strascico
Quella di Torino sembra intenzionata a voler contendere ad altre Procure il primato in materia di clamorosi flop: celeberrimi quelli delle indagini imbastite dall’ormai ex P.M. Gianfranco Colace a cui dobbiamo le accuse all’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, a Chiara Appendino e Piero Fassino per il tempo in cui sono stati sindaci ed a svariati assessori, con ipotesi di inquinamento ambientale colposo a Torino così strampalate che sono stati tutti prosciolti in udienza predibattimentale: un evento talmente raro che si può dire costituisca una prova dell’esistenza di Dio. Non pago è stato sempre lui ad indagare gli ex vertici del Salone del libro di Torino, tra cui, ancora una volta, Fassino e l’ex assessore regionale alla cultura Antonella Parigi, per irregolarità negli appalti, con quale risultato? Tutti assolti ma dopo undici anni.
A tacer d’altro – e ce ne sarebbero da raccontare – la immergente carriera di Colace si è interrotta in seguito a quella che si è rivelata un’intercettazione illecita, protrattasi per tre anni e circa 500 ascolti, dell’allora senatore Stefano Esposito, rigorosamente senza autorizzazione del Parlamento ed anche in questo caso con esito assolutorio. Cioè a dire: gli piace perdere facile! Questa volta, però, la sua condotta è stata censurata dalla Corte Costituzionale ed il procedimento disciplinare apertosi al C.S.M. ha esitato di recente la sanzione della perdita di un anno di anzianità ed il trasferimento ad altra sede giudiziaria e diverse funzioni, lontano da indagini e manette, ad occuparsi di questioni civili.
Dietro quest’ultima vicenda, emblematica di come le intercettazioni siano strumento privilegiato di “pesca a strascico” con richieste ed autorizzazioni protratte all’infinito nella speranza che qualcosa rimanga nella rete più che sul presupposto che vi siano gravi indizi di reati in corso di commissione, si cela un’altra realtà ancora da esplorare ed inquietante: dagli atti giudiziari di altro procedimento è emersa l’esistenza di un nucleo di polizia giudiziaria “ombra” in servizio proprio alla Procura di Torino che sembra, tuttavia, non rispondere a nessun magistrato in particolare ma la cui operatività è nota senza che vi sia stato alcun interesse a fare chiarezza sulla sua attività proprio perché le iniziative autonome di questa “sottosezione” possono essersi rivelate utili, pur in assenza di deleghe e coordinamento come vuole la legge, ad estendere le investigazioni in quelle aree di sospetto di cui i P.M. si nutrono avidamente.
Se confermato nell’ambito di un processo in corso di celebrazione tutto ciò è destinato a scoperchiare un vero e proprio vaso di Pandora, una condizione di illegalità dilagante e – forse – tollerata, se non addirittura stimolata, che fa sfumare sempre più il ricordo delle ragioni per cui, in altri tempi, un po’ aulicamente ma a buon diritto, ci si rivolgeva in Aula al Pubblico Ministero chiamandolo “oratore della legge”.
Al giorno d’oggi, tra incriminazioni kafkiane, intercettazioni illecite, ipotesi di reato campate in aria per poter inoculare micidiali captatori informatici nei palmari e cani sciolti delle forze dell’ordine soccorre quasi la speranza di essere ufficialmente inseriti in un sistema su modello del Cile della buonanima del generale Pinochet: almeno si sapeva cosa aspettarsi invece che subire il quotidiano ma blasfemo richiamo ai principi sacrosanti della Costituzione ed a quelli informatori sullo Stato di Diritto.