
In attesa di Giustizia: ragionevoli dubbi
Passa tutto in secondo piano: i referendum, i dazi minacciati da Trump, Gaza…i media sembrano interessati più che altro alle nuove indagini sull’omicidio di Chiara Poggi che mettono in dubbio il teorema, alimentato da non pochi pregiudizi elaborati dalla Cassazione e nel secondo processo di appello, su cui è fondata la condanna di Alberto Stasi che, sintetizzato, consiste in un “Poteva essere stato solo lui”.
Se, oggi, quel ragionamento è messo in crisi è colpevole conseguenza del fatto che sia stato un processo indiziario? No perché il processo è innanzitutto logica e la valutazione degli indizi è la logica applicata al caso concreto ed è nota la distinzione tra indizio e congettura: tuttavia, nella pratica, possono verificarsi confusioni e ritenere indizio ciò che è solo una congettura. La colpa è di chi applica male le regole del processo accusatorio che si fonda sul confronto dialettico tra due parti, ciascuna delle quali si adopera a dimostrare la verità – o, meglio ancora, la sostenibilità – delle proprie asserzioni: un esito possibile è che non si raggiunga la prova della colpevolezza e l’imputato debba essere assolto. Il processo di impostazione accusatoria, cui è per natura connessa un’esplicazione totale del diritto di difesa, non offre certezza della scoperta del colpevole e per condannare vale la risalente regola di giudizio in dubio pro reo ovvero oltre ogni ragionevole dubbio avendo escluse tutte le implausibili alternative, regola sinteticamente tradotta nell’acronimo BARD (Beyond Any Reasonable Doubt) in omaggio al sistema cui il nostro si ispira, dimentichi che il diritto romano già conosceva il rito accusatorio. In sintesi, per affermare la responsabilità penale servono certezze mentre l’assoluzione si fonda sul dubbio: un principio che, pur di incontrovertibile civiltà, buon senso ed aderente al dettato costituzionale, si è ritenuto necessario – per rafforzarlo – inserire esplicitamente nel codice: tutti concetti che non è sempre agevole far metabolizzare ad una Corte d’Assise dove il problema sotteso al processo indiziario è maggiormente avvertito perché, il più delle volte, si giudicano quei fatti di sangue che appassionano il grande pubblico e animano i dibattiti televisivi e sono celebrati da un collegio di cui fanno parte (preponderante) sei giudici popolari estratti a sorte da elenchi di cittadini: questi ultimi devono avere il requisito minino del titolo di scuola media inferiore per la Corte di Primo Grado e scuola media superiore per l’Appello. Fino al 1951 contro le sentenze della Corte d’Assise non era previsto l’appello ma solo il ricorso per Cassazione sul presupposto che la Corte d’Assise è la massima espressione della partecipazione del popolo alla giurisdizione, un popolo è unico e sovrano che, a quel tempo, su circa 47.000.000 di abitanti 7.500.000 abbondanti erano analfabeti, oltre13.000.000 privi di titolo di studio ma sapevano leggere qualcosa, quasi 25.000.000 disponevano della licenza elementare, poco più di 3.500.000 di quella della media inferiore, mentre i diplomati erano 1.380.000 malcontati ed i laureati meno di mezzo milione. Oggi, i numeri sono ben diversi e su quasi 60.000.000 di abitanti il 42% della popolazione tra 18 e 74 anni ha un diploma di scuola superiore ed il 41% la licenza media, il 29% ha una laurea…ma il problema non è solo del grado di scolarità ma della suggestione che un po’ tutti possono subire in taluni occorsi rimane immutato.
Anche i due giudici togati che ne fanno parte devono avere qualifiche di grado particolari ma il dato appare irrilevante, visto il livello di professionalità acquisito (presuntivamente) con promozioni automatiche per il decorso del tempo.
C’era, peraltro, un motivo recondito nel divieto di appellare le sentenze della Corte d’Assise fino a metà del secolo scorso, successivamente possibile sia per l’imputato che per il P.M.: evitare la confusione e stupore (quella cui assistiamo quotidianamente leggendo un giornale o guardando la televisione) che nel popolo – che con i suoi rappresentanti aveva pronunciato quelle decisioni – derivano da sentenze contrastati.
Se oggi non è più così, solo nel 2017 è stato previsto il divieto – salvo che per tre limitate ipotesi di violazione di legge – di fare ricorso per Cassazione da parte del Pubblico Ministero dopo una doppia sentenza di assoluzione: il che costituisce ben più che il fondamento di un ragionevole dubbio.
I dubbi sono, dunque, connaturati al processo indiziario: se non si possono trasformare in ragionate certezze l’assoluzione è una via obbligata…e se l’emergere di prove nuove ne fa sorgere su una colpevolezza già conclamata è giusto che un processo ricominci daccapo: il giudicato non è indissolubile, particolarmente se in favore del condannato ed è per questo che esiste l’istituto della revisione. Confidando di aver fatto, o almeno tentato, un’operazione di chiarezza, la rubrica ha cercato di tradurre per i profani i concetti sottesi a una basilare regola di giudizio perché a tutti potrebbe capitare di essere chiamati al ministero di giudice popolare ed è in nome di tutti i cittadini che vengono pronunciate le sentenze. E non solo quelle giuste.