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In attesa di Giustizia: referendum, che mistero

Ci siamo: in contemporanea con un limitato election day si voteranno i referendum sulla giustizia.

Sottoscritti da un elevato numero di cittadini, i quesiti ora sottoposti agli italiani sono poco conosciuti e, come da deprecabile tradizione, poco comprensibili ed il fronte del NO li bombarda neanche fossero le case di Mariupol: invece di provare a spiegarli si criticano perché troppo tecnici, lontani dalla gente, incomprensibili.

Fatto chiaro che il sottoscritto non solo andrà a fare il suo dovere alle urne ma che voterà convintamente sì a tutti, non è questa la sede per dare indicazioni di voto: piuttosto di provare a  spiegare, per chi non ne avesse ancora contezza (il cosiddetto servizio pubblico, non ha sin qui dedicato molto spazio all’argomento) di cosa si tratti. Poi, ognuno sceglierà: purchè la scelta non sia quella di andare al mare anche considerando che il week end appena trascorso dovrebbe aver saziato la sete di acqua salata.

Facciamo buon governo della sintesi procedendo per quesiti:

1 – Abolizione della “Legge Severino”

La norma prevede meccanismi automatici di incandidabilità, ineleggibilità o decadenza automatica per parlamentari, ministri, consiglieri regionali, sindaci ed amministratori locali; in taluni casi è possibile la sospensione dalla carica elettiva fino a diciotto mesi anche in assenza di una sentenza definitiva di condanna.  Deve precisarsi che l’interdizione dai pubblici uffici è già prevista dal codice penale come pena accessoria conseguente alla condanna per numerosi reati e la sua applicazione è demandata direttamente al giudicante.

2- Limitazione della carcerazione preventiva

La norma sottoposta a scrutinio è quella che prevede la possibilità di incarcerare anche per reati di minore gravità un indagato in attesa di giudizio ricorrendo alla formula generica che prevede il rischio di commissione di altri crimini anche in casi in cui il soggetto risulti oggettivamente non pericoloso.

3 – Separazione delle funzioni dei magistrati

Fatta la premessa che la distinzione dei magistrati per funzioni (giudicante o inquirente, Giudici e P.M., per intenderci meglio) è già prevista dalla Costituzione, la norma che si chiede di abolire è quella che prevede la possibilità di passare da un ruolo all’altro anche più volte senza significativi sbarramenti il che può costituire un limite per la effettiva terzietà del giudicante, a sua volta voluta dall’art. 111 della Costituzione

4 – Equa valutazione dei magistrati

La disciplina che si intende abrogare è quella che prevede l’esclusione di avvocati e docenti universitari facenti parte dei Consigli Giudiziari  – che sono definibili come dei C.S.M. “territoriali” – dalla possibilità di valutare l’operato dei magistrati del Distretto di Corte di Appello di appartenenza. Valutazione che, in seguito, verrà trasmessa al C.S.M. al fine di procedere a promozioni, attribuzione di funzioni e dirigenza di uffici. Si badi bene che del C.S.M. fanno parte anche membri “laici”, cioè avvocati e docenti di materie giuridiche che, in quella sede, hanno diritto di voto.

5 – Riforma del C.S.M.

Il referendum si propone di abolire la norma per la quale un magistrato che intenda candidarsi al Consiglio Superiore debba raccogliere almeno venticinque firme di colleghi che ne sostengano la candidatura: nei fatti, deve avere pertanto il sostegno di una delle “correnti” criticate per la tendenza a decidere questioni organizzative secondo logiche spartitorie. In sostanza si vorrebbe rendere libera la candidatura di chiunque a prescindere dall’appoggio di chicchessia: colleghi o correnti.

La speranza è quella di avere coniugato nel meno imperfetto dei modi sintesi e chiarezza: certamente, se qualcuno dei lettori necessitasse di un po’ di disinformazione c’è sempre la possibilità di passare dall’edicola e comperare il Fatto Quotidiano.

Sarà così possibile assistere ad un assedio ai referendum assimilabile a quello delle acciaierie di Azovstal. Si disegnano scenari apocalittici, soprattutto con riguardo al quesito sulla limitazione della carcerazione preventiva che – laddove vincente – farà liberamente scorrazzare bande di delinquenti e predatori.

Per carità cristiana evitiamo ai lettori i passaggi più pregnanti del ragionamento giacobino: basti dire che, secondo l’house horgan dei manettari le detenzioni ingiuste sono in percentuale da prefisso telefonico.

Tuttavia, tirando le somme sui dati proposti che sono relativi all’anno 2021 come qualcuno ha fatto, si ricava l’evidenza che su 1000 misure cautelari, ossia su 1000 casi di anticipazione della pena:

– 240 non sono giustificate, perché finite in assoluzione o pena da non scontare (la misura cautelare, infatti, presuppone una prognosi di condanna da scontare).

– 582 ancora non si sa se risulteranno giustificate (non essendo definitive);

– 178 erano le sole misure giustificate.

Stando a quanto scrive il Fatto, possiamo dire che le misure cautelari del 2021 saranno giustificate all’esito dei processi in una forbice compresa tra il 17,8% e il 76%.

Cioè, se tutto ve bene, un quarto di arresti ingiusti. Se va male, anche malcontati, quattro quinti.

Se lo ritenete, recuperate il numero del 4 giugno del Fatto Quotidiano e rivedete i calcoli: sicuramente, il 12 non andate al mare ma a votare: comunque sia il referendum dovrà esprimere il  sentiment del Paese Reale.

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