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In attesa di Giustizia: rimedi peggiori del male

Il cosiddetto “Avvocato degli Italiani” (uno da cui non farsi scrivere neppure una diffida al vicino di casa che ascolta i Rolling Stones ad alto volume in orario notturno) ha tolto il disturbo e vi è da sperare che la politica politicante non abbia la meglio imponendo, tra l’altro, al Premier incaricato la permanenza di Fofò Bonafede al Ministero della Giustizia… salvo che non possa rendersi utile per fare delle fotocopie.

Il cambio della guardia in via Arenula con una figura di ben altro ed alto profilo è tanto auspicabile quanto necessaria al fine di mettere in campo una riforma radicale della giustizia che è rivendicata altresì tra i presupposti fondamentali per garantirsi il riconoscimento dei fondi europei destinati a sostenere la rinascita del Paese dopo l’emergenza sanitaria.

Al momento il legislatore (l, rigorosamente minuscola) ha elaborato un disegno di legge delega per migliorare l’efficienza del processo penale che si può definire – tanto per utilizzare un eufemismo – per nulla convincente e risolutivo se confrontato con la attuale crisi di autorevolezza ed effettività della giurisdizione. Del resto, dall’homo ridens e dalla sua compagnia di giro non poteva attendersi di meglio.

Un progetto innovativo deve innanzitutto prevenire l’attuale irragionevole durata del processo che – con la attuale disciplina della prescrizione – ha perso certezza dei tempi. L’obiettivo può raggiungersi solo con la previsione di termini tassativi per la ultimazione delle diverse fasi e sanzioni nel caso che non vengano rispettati. Inadeguata, in proposito, appare la via ipotizzata della sanzione disciplinare – vista anche l’inaffidabilità dell’Organo preposto, quel C.S.M. ostaggio degli interessi correntizi e clientelari –  e sarebbe preferibile prevedere equi indennizzi in caso di proscioglimento se non l’improseguibilità dell’azione penale.

E’, inoltre, necessario riaffermare la centralità del dibattimento che, attualmente, è sbilanciato a tutto vantaggio delle indagini preliminari in contrasto con lo spirito informatore del codice del 1989; si badi che il progetto di riforma prevede addirittura l’eliminazione sostanziale di termini di durata per inchieste legate a specifiche ipotesi di reato ritenute di maggiore allarme sociale cioè a dire una variabile inconciliabile con le certezze richieste da una materia che incide sulla libertà dei cittadini.

In quest’ottica, appare irragionevole per non dire apertamente incostituzionale la previsione di una specie di “federalismo giudiziario” che rimette la selezione di criteri di priorità di trattazione dei reati da perseguire ad una casistica disomogenea e variabile misurata sui diversi uffici giudiziari presenti nel territorio nazionale.

Cercando di sintetizzare ed esemplificare il più possibile argomenti e concetti per “i non addetti ai lavori”, non si può, infine, trascurare la mortificazione tendenziale del giudizio di appello trasformato in un simulacro della giurisdizione: meglio sarebbe, piuttosto, stabilire un regime rigoroso di inammissibilità delle impugnazioni sul modello del processo civile. Non è la soluzione ottimale ma – se non altro – offrirebbe maggiori possibilità di una trattazione più approfondita e ragionata dei processi che superino tale sbarramento.

Tant’è: l’auspicio in questi giorni è per un “Governo dei migliori” ma basterà? Perché con le attese dei politici e la funzione parlamentare bisogna pure fare i conti e nei banchi di Montecitorio e Palazzo Madama non è che sieda proprio il meglio del Paese e una buona parte dei membri di quelle Assemblee prende ordini da una misteriosa piattaforma e da un comico che fa ridere solo il suo (ex) Ministro della Giustizia.

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