In attesa di Giustizia: tutto il mondo è paese
Nella vicina Francia sta divampando un’accesa polemica tra il Ministro della Giustizia, Dupond Moretti, e l’U.S.M. che è il più importante sindacato di categoria dei Magistrati; come dire, l’equivalente della nostra equilibrata A.N.M. Motivo? Un presunto conflitto di interessi: accade nientemeno che Dupond Moretti – nell’ambito di un più ampio progetto di riforma del sistema giudiziario – abbia proposto all’Assemblea Nazionale una disciplina a maggiore protezione degli avvocati e…Dupond Moretti è un avvocato penalista.
Il Guardasigilli francese, in realtà, si è speso in favore non tanto della categoria quanto del diritto di difesa affermando (cosa ovvia che non dovrebbe scandalizzare nessuno) che gli studi legali sono luoghi sacri e non può esistere difesa adeguata senza segreto professionale: tanto è bastato per fare insorgere i magistrati che sostengono la malafede di un Ministro che lavorerebbe nell’interesse dei suoi amici e colleghi.
Dupond Moretti si è limitato a ribattere che il suo intervento è volto a riaffermare, e non a torto visti i precedenti, lo Stato di diritto contro metodi da spie.
Tutto il mondo è paese: veti incrociati e compromessi porteranno a delle modifiche della riforma nel suo insieme ma nel frattempo l’Assemblea, con voto bipartisan, ha approvato un emendamento che rafforza comunque la tutela del segreto professionale e si aspetta – da qui ad un paio di settimane – il voto del Senato.
Basta quindi intercettazioni selvagge, perquisizioni e sequestri senza garanzie negli studi legali e intrusioni con ogni metodo nel rapporto confidenziale avvocato/cliente.
Non è esattamente motivo di consolazione, ma in Francia sono successe cose che voi umani non potete neppure immaginare e che da noi, con grande scorno di Davigo e dei suoi claquers, non sono possibili mentre Oltralpe risultano ampiamente legittime: emblematico il caso giudiziario che ha coinvolto l’ex Presidente Sarkozy, condannato insieme al suo storico difensore grazie ad intercettazioni illegali – e poi ammesse in giudizio – dopo un’indagine condotta per tre anni senza che gli interessati ne sapessero nulla.
Lo scandalo, quindi, consiste nell’apporre un freno agli abusi investigativi, qualcosa che – evidentemente – si verifica anche altrove, anche in un Paese in cui vi è dipendenza gerarchica tra le Procure medesime ed il Ministro della Giustizia, e sebbene non via sia la separazione delle carriere che da noi viene presentata come il viatico per subordinare il potere giudiziario e l’esercizio dell’azione penale alla volontà della politica.
Anche da noi, tuttavia, succedono in continuazione cose strane come – tanto per ricordarne uno – il caso bizzarro del trojan inoculato nel cellulare di Luca Palamara che subiva improvvisi, inspiegabili, guasti intermittenti a seconda degli interlocutori intercettati e degli argomenti trattati…e non si trattava del Presidente della Repubblica o del suo entourage come nella nota vicenda del processo Stato-mafia.
No, al Quirinale Palamara – sia come Presidente dell’A.N.M. che come componente del C.S.M. – ci andava di persona: sistema più riservato e sicuro per confrontarsi con Giorgio Napolitano e i suoi collaboratori (come sostiene l’ex magistrato) o come, in termini più insidiosi sostiene Alessandro Sallusti, “per prendere ordini”.
Non lo sapremo mai: a quel tempo Palamara forse non era ancora intercettato e poi da noi il Colle è intoccabile e, se tutto va male, un palmare – come tutte le diavolerie moderne – può avere un inatteso problema di funzionamento.