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In attesa di Giustizia: il giorno della civetta

“Civetta” è il nome dato a quelle locandine posizionate fuori dalle edicole con la più sensazionale delle notizie disponibili in evidenza così da sollecitare l’acquisto del giornale. Una di queste, richiamando l’articolo di un quotidiano locale veneto (non importa di dove e quale sia la testata), qualche giorno fa strillava: “LEGGE CARTABIA – IMPUTATI ASSOLTI”.

“Quattro gravi incidenti per i quali non ci sarà una verità giudiziaria” veniva precisato nell’articolo.

La clamorosa notizia si riferiva a processi per lesioni stradali in realtà non definiti con irragionevoli assoluzioni ma con sentenze di non doversi procedere per mancanza di querela.

Ovviamente, mancava una spiegazione per i non addetti ai lavori perchè l’esigenza degli organi d’informazione è piuttosto quella di assecondare una subcultura affamata di processo penale e vendetta.

Per ogni fatto, anche il più modesto e banale, anche di fronte all’incuranza della persona offesa, dev’esserci una “verità giudiziaria” e una condanna dell’imputato, preferibilmente “esemplare”.

Sarebbe stato, invece, opportuno spiegare che quelle non erano assoluzioni e tantomeno ingiuste ma che, da quest’anno, per le lesioni stradali non aggravante da guida in stato di ebrezza, velocità superiore al doppio di quella consentita, passaggio con il rosso ecc… si procederà soltanto se la vittima ne ha fatto richiesta: esattamente come avveniva prima della legge del 2016 sull’omicidio stradale.

Sarebbe stata l’occasione per informare che, per i fatti precedenti alla entrata in vigore della riforma Cartabia”, era stato previsto un termine di tre mesi a decorrere dal 1° gennaio 2023 per presentare la querela, se mancante.

Quali e quanti articoli sono stati scritti per comunicare, in tempo utile e termini comprensibili, queste notizie che per i cittadini potevano rivestire interesse?

Sarebbe stato corretto anche precisare che il semplice ritorno al precedente sistema è stato frutto di una scelta normativa una volta tanto sensata e come tale accolta dall’unanime favore dai giuristi.

Negli ultimi sei anni bastava un banale tamponamento per avviare un processo e sopportare lunghe sospensioni della patente di guida: numerosissimi erano i procedimenti, che – oltretutto – assorbivano risorse ed energie, magari a fronte dell’incuria della persona offesa la quale, lievemente danneggiata e probabilmente già risarcita dall’assicurazione, non aveva alcun interesse alla persecuzione penale del colpevole.

Dove sono, allora, lo scandalo e l’allarme?

La “Riforma Cartabia” – tra luci e ombre – ha introdotto alcune novità di rilievo e tra queste vi è proprio l’estensione dei reati procedibili a querela di parte: se la persona offesa non si attiva perché carente di interesse il processo non si fa. Macchinoso, per fare un altro esempio, ma non privo di senso l’istituto che prevede la sentenza di non doversi procedere per gli irreperibili: che senso ha giudicare dei fantasmi? Ferma restando la possibilità di riaprire il procedimento se la persona viene successivamente trovata e identificata.

In Italia si celebrano troppi processi inutili (spesso dedicati a fatti di poco o nullo allarme sociale) e si deve aggiornare il sistema con la previsione di pene diverse dalla reclusione: ciò per evitare il sovraffollamento carcerario, sia perché tutti gli studi statistici dimostrano che chi sconta la pena con una misura alternativa alla detenzione ha un rischio di recidiva inferiore.

E’ l’Europa che lo richiede la riduzione dei tempi di durata del processo penale è cruciale per accedere ai fondi del piano Next Generation EU.

Ma tutto ciò ci è prima ancora richiesto da elementari principi di civiltà giuridica, che vedono nel processo penale il luogo di accertamento della responsabilità per i fatti più gravi e che ritengono che la sanzione carceraria sia una extrema ratio.

Scrivere queste cose può avere meno appeal in una certa fascia dell’opinione pubblica che invoca la gogna sempre e comunque: ma qui siamo su Il Patto Sociale, non allochiamo “civette” sensazionalistiche dinanzi alle edicole e cerchiamo di offrire una comunicazione corretta e chiara che, se mai, stimoli il lettore alla riflessione.

In questa rubrica continueremo a invocare i principi del diritto penale liberale perché siamo certi che la cultura dei diritti, per quanto a volte controintuitiva, sia l’unica possibile in uno Stato autenticamente democratico.

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