Alfie

  • La Brexit diventa un bene se allontana dall’Europa un Paese i cui giudici hanno consentito il sequestro di un bambino, ma è tutta questa Europa che non va bene…

    Alla luce dei recenti avvenimenti che hanno portato alla fine prematura di Alfie, bambino che forse sarebbe morto ugualmente ma non per decisione delle autorità del Regno Unito, vediamo la Brexit come l’inizio di una liberazione. Inizio perché il percorso è ancora lungo e difficile per liberare l’Europa dalla visione utilitarista e materialista che appartiene ad alcuni Stati e che rischia di contagiare  gli  altri.

    L’Europa che ha preferito i servizi e la finanza virtuale all’economia reale portando nuove povertà, l’Europa che non ha ancora una legislazione univoca per tutelare i bambini e cioè i più deboli oggi ma che diventeranno i cittadini  europei di domani, l’Europa che controlla le confezioni delle mozzarelle ma non difende i propri marchi e perciò i propri lavoratori ed imprenditori, l’Europa che alza la voce per i dazi di Trump dimenticandosi di quando voleva un accordo commerciale  con gli Stati Uniti, accordo che avrebbe aggravato la possibilità di difenderci da produzioni di alimenti pericolosi per la salute, l’Europa che resta incapace di dare corpo alla politica comune anche di fronte alle tragedie ed alle guerre che la circondano, l’Europa che non è quella che avevano sognato i padri fondatori e per la quale tanti di noi si sono per anni battuti, ha lasciato che i giudici di un Paese ancora membro dell’Unione, il Regno Unito, impedissero ai genitori di un bambino diventato cittadino di un altro Stato Membro, l’Italia, di poterlo portare in un ospedale italiano, che si era dichiarato pronto a mandare un aereo a prenderlo, per tentare altre cure o almeno per morire più serenamente. Non ci piace questa Europa, e non ci dispiace che l’Inghilterra se ne vada, i Paesi che sequestrano bambini, che disprezzano i loro genitori, che irridono ad un altro Paese dell’Unione, che si arrogano diritti anche sulla sfera più privata dei sentimenti delle persone non appartengono al sogno europeo ma neppure ai Paesi profondamente civili.

  • Il piccolo guerriero Alfie lotta per vivere

    Ce la mette tutta il piccolo Alfie, lotta come un leone e, dalle 22.17 di lunedì sera, quando i medici lo hanno staccato dalla macchina per la respirazione, è ancora vivo, a dispetto delle lugubri previsioni dei luminari dell’Alder Hay Hospital di Liverpool dove è ricoverato. Respira da solo, senza macchine, sostenuto dall’eroica energia di papà e mamma che non lo lasciano un istante. Hanno anzi insistito, dopo diverse ore di respirazione autonoma, che gli venissero somministrati ossigeno e idratazione. In seguito hanno insistito per l’alimentazione artificiale.  Ma questa nuova, del tutto inaspettata situazione non ha fatto recedere di un passo né i medici, né i giudici, anzi! L’accanimento si è accentuato ed è ora ancora più incomprensibile il loro atteggiamento rigido e sordo a ogni apertura che lasci intravvedere una via di scampo per il piccolo lottatore.
    Di fronte all’offerta fatta lunedì dalle autorità italiane di trasferire il bambino presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma, infatti, dopo che con un provvedimento d’urgenza il nostro governo gli ha conferito la cittadinanza italiana, gli inglesi si sono ulteriormente irrigiditi e ieri hanno respinto gli ultimi due ricorsi dei genitori. Come si può spiegare un simile disumano comportamento? Un giornalista del sito conservatore americano Red State scrive che questo atteggiamento è del tutto analogo a quello dei comunisti di Berlino Est i quali, anche alcuni anni dopo la caduta del Muro, continuavano ad affermare con assoluta convinzione che il Muro“andava eretto per arginare la fuga dei cittadini verso l’Ovest libero e questo nell’interesse stesso dei fuggiaschi, perché solo rimanendo all’Est “avrebbero  potuto conoscere i benefici del socialismo”. Il socialismo ha quindi bisogno di prigionieri per affermare se stesso e questo sta avvenendo nel Regno Unito, dove il Sistema Sanitario Nazionale è un vero e proprio totem eretto al socialismo.
    Il fatto poi di tenere prigioniero il bambino, impedendo ai genitori di trasportarlo altrove, si può capire solo pensando che nel caso in cui altrove Alfie possa trovare cure più adeguate e migliori, possa provocare  una forte umiliazione per l’ex Impero britannico, un’isoletta un tempo padrona del mondo “sul quale non tramonta mai il sole”. E’ un nazionalismo sanitario, venato di sciovinismo al quale sembra oggi impossibile sottrarsi.
    Un’altra aberrazione della sentenza dei giudici di ieri, che ribadisce che la soppressione della vita “inutile” di Alfie (così l’hanno definita solo poche settimane fa nella sentenza che ne decretava l’obbligatorio  distacco dal respiratore) è fatta nel suo stesso interesse. Ma come è possibile che i giudici non comprendano cha la morte non può rappresentare un interesse per nessuno, soprattutto quando una diagnosi esatta non è stata mai formulata e, a maggior ragione, ora che il bambino respira da solo?
    Inoltre, i genitori hanno mostrato  numerose fotografie che dimostrano l’incuria nella quale è stato lasciato il povero Alfie nel corso della sua lunga degenza presso l’Alder Hay,  una scottatura al braccio e la sporcizia delle cannule per la respirazione e per l’alimentazione. E’ di queste ore la notizia che Padre Gabriele, il sacerdote italiano giunto a Liverpool da Londra qualche giorno fa per assistere e confortare Alfie e i  suoi genitori e che aveva impartito ad Alfie l’Unzione degli Infermi, è stato allontanato dall’ospedale, richiamato a Londra dai suoi superiori. “E’ una cospirazione per omicidio” – ha dichiarato il papà di Alfie nei giorni scorsi alle televisioni – “quella decisa dai medici e dai giudici di interrompere il sostegno delle macchine che fino a ora hanno tenuto in vita mio figlio”, denunciando la totale assenza di dialogo con i dirigenti dell’ospedale. “E’ disgustoso come hanno trattato Alfie, ventiquattro ore senza alimentazione. Anche un animale sarebbe stato trattato meglio” – ha scritto sulla sua pagina Facebook. Lui e la moglie Kate da alcune  notti dormono per terra, su dei materassi senza sostegno alcuno perché iI divano che c’era nella stanza di Alfie è stato portato via.
    A quale punto può arrivare la cattiveria di chi detiene il potere! Quali aspetti miserevoli e meschini possono nascondere una violenza di sopraffazione che non vuol concedere nulla a due genitori ventenni, poveri, che però lottano con tutta la loro energia e con estrema determinazione per non far morire il loro amatissimo Alfie, per dargli una nuova e più umana occasione di cure in Italia, tenendo testa ai potenti!
    Ci commuoviamo nel vedere il volto paffutello di Alfie appoggiato alla spalla della mamma. Anche i piloti dell’aereoambulanza pronta da giorni per trasportare Alfie in Italia sono stati allontanati dal nosocomio, controllato e pattugliato dalla polizia. E tutto per tenere prigioniero un piccolo di soli 23 mesi, trattato come un detenuto pericoloso perché la sua situazione ha mosso decine di migliaia di cittadini che non vogliono rassegnarsi a questa crudele ideologia di morte.
    E’ una frontiera, quella del nazionalismo, in qualunque genere esso si configuri, che non sarà mai oltrepassata attraverso i tribunali.

    E’ ormai chiaro che l’impasse non potrà essere superata attraverso la via giudiziaria, perché i giudici continueranno a respingere i ricorsi, col sostegno indiretto della Chiesa anglicana, che per ben due volte ha espresso la sua solidarietà e la sua fiducia nell’ospedale e nei giudici, dimostrando, se ancor ve ne fosse bisogno, che il secolarismo in Gran Bretagna ha fatto passi da gigante, tanto da far preferire, come nel caso di Alfie, l’eutanasia al diritto alla vita.
    Resta solo la strada diplomatica e quella politica. Dopo l’appello di Antonio Tajani, finalmente anche due deputate europee italiane, Silvia Costa e Patrizia Toia, hanno presentato ieri un’interrogazione d’urgenza ai Commissari europei competenti per la Salute e la Giustizia, per verificare se il diniego ad Alfie del diritto di ricevere cure in un altro Stato membro dell’Unione europea violerebbe i diritti fondamentali dell’UE e la libera circolazione dei pazienti nell’UE stessa.

    Thomas Evans, il papà di Alfie, ha parlato questa mattina ai microfoni di TV 2000 con Vito d’Ettore, chiedendo al Papa di recarsi a Liverpool per constatare di persona come Alfie viene tenuto prigioniero in quell’ospedale.  Tom ha poi aggiunto queste commoventi parole: “Grazie Italia, vi amiamo. Alfie è una parte della famiglia italiana, noi apparteniamo all’Italia”.

    Spontaneo e generoso senza riserve, questo papà. Se temiamo che l’ideologia della morte non arretrerà di un centimetro,  e intanto Alfie, questo indomito guerriero che si sente amatissimo dai suoi genitori, nella sua piccolezza ha già mosso e commosso il mondo, e sta dimostrando che la sua vita non appartiene di certo ai medici, ma neanche ai giudici. Ci auguriamo con tutto il cuore che possa vivere fino a quando il miracolo della vita non deciderà altrimenti, speriamo senza l’aiuto dei sacerdoti dell’eutanasia.

     

  • Ha prevalso la cultura della morte

    Mentre stendiamo queste poche righe è probabile che Alfie sia già in Paradiso. Ce lo hanno mandato i sacerdoti dell’eutanasia, una pratica che i medici e i giudici inglesi hanno utilizzato prima per Charlie e ora per Alfie, nonostante il parere contrario dei genitori che si sono battuti come leoni per difendere il diritto alla vita dei loro piccoli, ma inutilmente. La cultura della morte ha prevalso sul loro amore per i figli e sul buon senso. Non è stato loro permesso di trasportare il loro bambino fuori dall’ospedale in cui era ricoverato. E’ intervenuta addirittura la polizia per impedire che i genitori lo trasportassero altrove, come se Alfie fosse un loro prigioniero o una proprietà dello stato. A quante aberrazioni ed anomalie abbiamo dovuto assistere! Qual è la ratio che impedisce ai genitori di portare il loro figlio nell’ospedale che preferiscono? E’ mai successo che un arcivescovo cattolico accetti l’eutanasia anziché il diritto alla vita? Che una diocesi proclami una bugia nei confronti di un padre che, pur essendo battezzato, non viene considerato cattolico? Sono state diffuse fotografie che dimostrano lo stato d’incuria in cui Alfie è stato lasciato dall’ospedale in cui è ricoverato. Sono fotografie che fanno male al cuore. Una mostra addirittura una bruciatura sull’avambraccio e un’altra la sporcizia che avvolge i tubi attraverso i quale il bambino respira. Papa Bergoglio ha accolto il papà di Alfie mercoledì scorso e l’ha lodato per il coraggio dimostrato nel battersi per salvare la vita del figlio, ma nello stesso tempo la segreteria di stato vaticana ha rifiutato il passaporto ai genitori. Anche le ragioni diplomatiche prevalgono sulla morte di un innocente.

    Il silenzio dei politici inglesi ed europei è significativo, oltre che aberrante. Non si deve disturbare il manovratore che conduce alla morte un piccolino di 22 mesi. Non parliamo poi della Corte europea dei diritti umani che anziché tutelare il diritto alla vita ha respinto per ben due volte il ricorso dei genitori di Alfie. Inutili le offerte dell’ospedale Gaslini di Genova e del Bambin Gesù di Roma per ospitare Alfie. La stampa inglese, altra aberrazione incomprensibile, non ha scritto una riga sulla vicenda di Alfie; ha soltanto dato notizia dell’incontro del papà di Alfie con il Papa. Mentre scriviamo queste righe ci giungono due notizie. La prima dice che alle 14.00 sono iniziate le procedure per il distacco del macchinario per la ventilazione che teneva in vita il piccolo Alfie e la seconda che la duchessa di Cambridge, Catherine Middleton, ha dato alla luce alle 11.00 di stamattina il terzo figlio, un maschietto, Sua Altezza Reale Principe di Cambridge, fratello di George e Charlotte. L’accostamento dei due fatti è voluto da parte nostra, a significare la contraddittorietà simbolica dei due eventi: da un lato la morte di un innocente ed il dolore inconsolabile di due genitori, dall’altro la gioia di una nuova nascita che allieta non solo due genitori, ma addirittura un popolo intero, come è giusto che sia. E’ la vita, si dirà! Certamente, è la vita! Ma allora perché tanto accanimento per dare la morte ad un innocente e per far soffrire oltre il dovuto due genitori che la morte procurata per il loro piccolino non la volevano? Due avvenimenti, dicevamo, entrambi riferiti a due piccolini:  uno naturale, per la vita e la gioia, l’altro innaturale, artefatto, per la morte e il dolore. Gioiamo per il piccolo principe, piangiamo e soffriamo per il piccolo Alfie e per i suoi genitori. Alla fine ci viene un dubbio atroce: se Alfie non fosse appartenuto ad una famiglia di povera gente, ma ad una famiglia dell’alta borghesia o addirittura ad una famiglia della nobiltà, avrebbe avuto la stessa sorte? L’ospedale, i medici, i giudici nazionali ed europei, la conferenza episcopale inglese, avrebbero usato la stessa ipocrisia per giustificare una scelta di morte nel suo esclusivo interesse? Il dubbio permane e con esso tutto il nostro disprezzo non solo per la pratica dell’eutanasia, ma anche per tutti i suoi sacerdoti, che una cultura di morte trasforma in carnefici d’innocenti.

    P.S.: Apprendiamo ora da un lancio dell’Agenzia si stampa ANSA che sono state sospese le procedure per il distacco dei macchinari che tengono in vita il piccolo Alfie e che l’Italia gli ha concesso la cittadinanza italiana. Che accada veramente un miracolo?

  • L’eutanasia non è cristiana

    La vicenda del povero Alfie Evans continua a far discutere. La polizia ha bloccato il padre del piccolo, che voleva portarlo via dall’ospedale in cui si trova, per trasferirlo a Roma, presso l’Ospedale del Bambin Gesù. Un aereo era già pronto per il trasporto. Una folla di cittadini ha manifestato all’esterno dell’ospedale per sostenere il desiderio dei genitori di trasferirlo, nel silenzio dei media e delle autorità religiose, compreso l’Arcivescovo cattolico di Liverpool, che avrebbe sostenuto invece le ragioni dell’ospedale. Pubblichiamo la lettera che il padre di Alfie, Thomas Evans, cattolico, ha indirizzato al suo Arcivescovo, che avrebbe scelto l’eutanasia per Alfie, tanto avversata invece dai genitori.

    Eccellenza,

    mi chiamo Thomas Evans e sono il papà di Alfie. Mi sono sentito davvero molto triste nel leggere le dichiarazioni dell’Arcidiocesi, circa la situazione di mio figlio Alfie.

    Il mio più grande dolore deriva dal fatto di non essere stato riconosciuto come un figlio della Santa Madre Chiesa: sono cattolico, sono stato battezzato e cresimato e guardo a Lei come mio pastore e al Santo Padre come vicario di Gesù Cristo sulla terra.

    Questo è il motivo per cui ho bussato alla porta della Chiesa per chiedere aiuto nella battaglia per salvare mio figlio dall’eutanasia!

    Alfie è battezzato come me, come Lei, Sua Eccellenza. Vorrei che le preghiere per lui e per noi fossero indirizzate all’unico vero Dio.

    Sono consapevole che la morte di mio figlio è una possibilità reale e forse non è molto lontana. So che il Paradiso lo sta aspettando poiché non riesco a immaginare quale tipo di peccati possa aver commesso quell’anima innocente, inchiodata al suo letto come a una croce.

    Ma sono anche consapevole che la sua vita è preziosa davanti agli occhi di Dio e che Alfie stesso ha una missione da compiere.

    Forse la sua missione è mostrare al mondo intero la crudeltà che sta dietro le parole del giudice. Il giudice ha infatti dichiarato che la vita di Alfie è “futile”, sostenendo così la stessa posizione dell’ospedale che vuole che mio figlio muoia per soffocamento.

    Non sono un dottore, ma posso vedere che mio figlio è vivo e vedo anche che non viene curato. Per mesi ho chiesto all’ospedale e sto ancora chiedendo loro di permetterci di trasferire il nostro bambino, il figlio mio e di Kate, il figlio di Dio, all’ospedale del Papa che ha promesso di prendersi cura di lui, finché Nostro Signore lo permetterà e fino a quando Alfie avrà completato il suo viaggio.

    Perché non ci lasciano spostare nostro figlio da quell’ospedale?

    Lei, Sua Eccellenza, si è posto questa domanda?

    Non vogliamo imporci a lui e non vogliamo accanimento terapeutico per nostro figlio, ma vorremmo almeno che la sua malattia fosse diagnosticata e vorremmo che ricevesse il miglior trattamento possibile.

    E non crediamo che l’ospedale Alder Hey sia in grado di garantire questo: hanno mostrato a noi e al mondo intero che non sono in grado di farlo e semplicemente non vogliono farlo.

    Loro dichiarano di voler sostituire i trattamenti medici con le cure palliative. Ma in realtà hanno già distribuito cure palliative per mesi e ora sono le stesse cure palliative che vogliono interrompere, insieme alla ventilazione meccanica, per sedarlo e lasciarlo morire per asfissia.

    Mi sembra che non sia né giusto, né cristiano.

    Secondo me questa è eutanasia e noi non vogliamo che si lasci morire nostro figlio in questo modo. Inoltre: ciò potrebbe costituire un ulteriore precedente, oltre al caso già verificatosi di Charlie Gard, che sarà utilizzato per impedire ai genitori di prendersi cura dei propri bambini malati. Bambini ormai considerati come un peso dallo Stato perché sono malati perciò inutili, improduttivi e costosi.

    Quindi, la prego, Eccellenza, accetti la mia richiesta di aiuto e porti la mia voce al Santo Padre, affinché si faccia tutto il possibile per aiutare me e Kate, la mamma di Alfie, a portare nostro figlio fuori dalla Gran Bretagna per essere curato fino alla fine naturale della sua esistenza terrena.

    Invoco la Sua benedizione e, io e Kate, porgiamo i dovuti rispetti.

    Thomas Evans

  • La ragazza Leah, lo stupro di gruppo, Alfie: tre notizie che non trovate sui giornali o alla tv

    Ci sono tre notizie agghiaccianti che non trovano spazio sui media, in questi giorni di settimana santa. La prima si riferisce a Boko Haram, il terrorista musulmano jihadista che opera in Nigeria. La seconda riguarda l’allucinante situazione che si verifica in Germania con gli stupri di gruppo. La terza concerne il povero Alfie, il bambino inglese di 22 mesi che i medici e i giudici vogliono far morire.
    Partiamo da Boko Haram, che il 19 febbraio ha rapito 110 studentesse del Collegio governativo femminile di scienza e tecnica nella cittadina di Dapchi, in una regione a Nord-Est della Nigeria. Durante il trasporto, cinque di esse hanno trovato la morte, schiacciate dalle compagne sugli automezzi sovraccarichi, o uccise dallo sfinimento e dall’angoscia nei giorni di prigionia. Tutte le altre sono state liberate il 21 marzo, forse a seguito di un riscatto pagato dal governo o, come dicono alcune delle ragazze liberate, perché gli jihadisti credevano di aver rapito delle ragazze cristiane, mentre in realtà la maggioranza era di fede mussulmana. Nelle mani dei rapitori è rimasta soltanto una studentessa cristiana, Leah Sharibu. La tengono prigioniera perché ha rifiutato di abiurare e di convertirsi all’Islam, come le chiedevano gli aguzzini. Il padre della ragazza, intervistato nei giorni successivi, si è detto fiero di lei e del coraggio dimostrato nel rifiutare l’abiura. L’ha incoraggiata ad essere forte e le ha promesso, se un giorno sarà liberata, di farla tornare a scuola nel Collegio di Dapchi, sfidando in questo modo Boko Haram, che invece ha minacciato di rapire chiunque osi ancora frequentare quel Collegio. Non si sa quanti anni abbia Leah, ma l’età delle ragazze rapite va dagli 11 ai 19 anni. Leah si unisce alla schiera dei cristiani perseguitati per la fede e che non accettano di convertirsi all’Islam, disposti ad accettare fino al martirio le conseguenze del loro rifiuto. Boko Haram non è nuovo a questi atti di violenza. Ha già effettuato altri rapimenti di massa, ha bruciato chiese e monasteri, ha ucciso fedeli durante le cerimonie religiose. Le sue vittime si contano a centinaia e nessuno, fino ad ora, è riuscito a fermarlo. Gli danno la caccia anche gruppi armati formati da militari di Paesi vicini, compresi quelli dell’esercito ufficiale della Nigeria. Ma nulla è valso a fermarlo e a fargli pagare i delitti compiuti fino ad ora. Ve l’immaginate una ragazza rapita da qualcuno al liceo Parini? Stampa, radio, TV, politici e buontemponi ne parlerebbero per settimane. Boko Haram ne ha rapito 110. Silenzio totale, tanto non sono italiane!
    La seconda notizia riguarda un caso accaduto due giorni fa in Germania: una donna di ventiquattro anni stuprata da un branco di migranti. E’ uno stupro collettivo perpetrato da uomini di colore su donne bianche. E’ una piaga del multiculturalismo germanico, che nel solo 2017 ha registrato più di 3.000 casi. A riportare l’accaduto è la stampa inglese. Quella tedesca pratica la virtù del silenzio, che non disturba nessuno, se non la vergogna di strumenti di comunicazione di massa che in un Paese in cui vige la libertà, non praticano la loro funzione d’informazione. La donna è stata accoltellata da un diciassettenne accorso in aiuto a due ragazzi profughi minorenni che litigavano. Non si sa nulla di più, oltre al fatto che la donna è in fin di vita. Ormai, in una Germania multiculturale le aggressioni e gli stupri in cui vengono coinvolte donne bianche sono un fatto quotidiano. I media sono subalterni al politicamente corretto e rifiutano di presentare la realtà così com’è, anziché mostrare gli effetti collaterali della nuova islamizzazione. Il “melting pot culturale” va avanti da anni indisturbato e l’identità nazionale, soprattutto se essa è stata permeata dal cristianesimo, rimane evanescente. Che questa insalata di culture diverse ed incompatibili produca danni non viene volutamente percepito e non viene comunicato. La crisi degli stupri non è di oggi. Le statistiche mostrano chiaramente che nel 2017 si sono verificati una dozzina di stupri quotidianamente, cioè un aumento di aggressioni quattro volte superiore al 2014. Il rapporto pubblicato il 16 gennaio dall’Ufficio federale della polizia criminale dimostra che i richiedenti asilo, gli immigrati, i clandestini hanno commesso esattamene 3.466 reati sessuali nei primi mesi del 2017, circa 13 al giorno. Per avere un quadro completo bisognerà aspettare il secondo trimestre del 2018. Nel 2016 i reati sessuali dei migranti sono stati 3.404, nel 2015, 1683; nel 2014, 949 e nel 2013, 599, circa due al giorno. Ciò detto, André Schulz, direttore della Associazione della polizia criminale, ritiene che addirittura fino al 90% dei reati sessuali commessi in Germania non compaiono nelle statistiche ufficiali. Un alto funzionario della polizia di Francoforte ha detto alla Bild (uno dei più grandi quotidiani tedeschi – 5 milioni di copie giornaliere) che “esiste un rigido ordine da parte delle autorità di non denunciare i crimini commessi dai rifugiati”. Solo le denunce specifiche dei media su tali atti vengono corrisposte. Ma il numero delle vittime cresce in continuazione e nello stesso tempo la maggior parte dei crimini vengono minimizzati come incidenti isolati. Si tratta di evitare che vengano alimentati sentimenti anti immigrazione. Atteggiamento virtuoso, si direbbe. E le vittime? Chi le considera? Non abbisognano anch’esse di un sentimento di solidarietà? Non vorremmo invece che lo stupro collettivo, detto in arabo taharrush, un genere di violenza in cui una donna viene circondata da un gruppo di islamici e violentata a turno, diventi il marchio di questa Europa islamizzata, culturalmente nihilista e inetta nel difendere i suoi valori, ammesso che ci creda ancora, e nel tutelare i suoi cittadini.
    Il caso di Alfie sta giungendo al termine. Anche la Corte dei diritti umani ha respinto il ricorso dei genitori contro la decisione dei medici di togliere al piccolo Alfie la ventilazione. “Non abbiamo più vie legali per difendere nostro figlio che vuole vivere, mentre i medici e i giudici non vedono l’ora che muoia – ha dichiarato affranto Thomas Evans, il papà del bambino. “Imploriamo Papa Francesco di intervenire – ha aggiunto. – E’ l’unico che ci può difendere.” La Corte infatti, più che tutelare i diritti umani, tutela in questo caso l’eutanasia e la morte. Incredibile, tanto più che il respingimento del ricorso, in una pagina e mezzo di burocratese, è giustificato dal fatto che la richiesta dei genitori non rispondeva ai criteri d’ammissione. Del lurido burocratese per spegnere una vita. Atteggiamento sconvolgente e orribile, di fronte all’angoscia dei genitori di perdere il piccino. E’ colpa loro, che non hanno rispettato i criteri d’ammissione, se il ricorso viene respinto. Inverosimile, questa decisione della Corte. Il bambino sarà ucciso e loro, i giudici, come i medici, continueranno a fare sentenze e a fare diagnosi, magari sbagliate come con Alfie, come se nulla fosse, come se una vita non fosse stata spenta per loro autonoma decisione, come se l’eutanasia fosse un atto automatico coinvolgente i diritti umani. Orribile!
    E l’informazione? Dov’è l’informazione? Avete letto queste notizie sul vostro quotidiano di riferimento? Avete sentito e visto alla televisione la voce rotta dall’angoscia e il volto angosciato del papà di Alfie che implora aiuto al Papa? Avete osservato gli occhioni di Alfie che emanano dolcezza e chiedono aiuto? Avete letto l’indignazione di quelli che la praticano quotidianamente sui blog? Avete sentito le frasi di circostanza dei soliti politici? No, l’eutanasia non va disturbata da sentimenti di pietà e d’amore. Il nihilismo imperante la considera una felice soluzione, anche quando non ce ne fosse bisogno, come sono stati i casi di Charlie Gard e Isaiah Haastrup, come lo sarà probabilmente quello di Alfie. Ma chi sono questi omuncoli che decidono di far morire i figli senza mai dare ascolto ai genitori? Che futuro dobbiamo attenderci da Paesi che permettono che accada quel che avete appena letto? Se queste cose accadono nell’indifferenza generale, il futuro non potrà essere sereno. Speriamo che quando ce ne accorgiamo non sia troppo tardi!

    Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana del 28 e 29 marzo 2018

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