Alpi

  • Le Alpi sono sempre più verdi e povere di neve

    Sono ormai ben visibili dallo spazio, i cambiamenti che da quasi 38 anni stanno avanzando nelle Alpi, rendendole sempre più povere di neve e ricche di verde, con la vegetazione che sale sempre più in alto: li hanno registrati i satelliti americani Landsat per l’osservazione della Terra, indicando come si comincino a colorare di verde anche alcune zone che si trovano oltre la cosiddetta ‘linea degli alberi’, ossia il confine oltre il quale alle alte quote la vegetazione si impoverisce. Ad analizzare immagini e dati dei satelliti per fotografare lo stato di salute della più grande catena montuosa europea è la ricerca pubblicata sulla rivista Science dalle università svizzere di Basilea e di Losanna, in collaborazione con ricercatori di Paesi Bassi e Finlandia.

    Studi condotti in precedenza avevano indicato alcuni effetti del cambiamento climatico sulle Alpi, ma finora non era mai stata condotta un’analisi così dettagliata dei cambiamenti avvenuti nella vegetazione alpina. I satelliti Landsat, di Nasa e Servizio geologico statunitense (Usgs), hanno registrato i cambiamenti avvenuti fra il 1984 e il 2021 e la conclusione dei ricercatori è che, come sta accadendo nell’Artico, anche le Alpi stanno diventando sempre più verdi.

    Sebbene la riduzione del manto nevoso sia ormai ben visibile dallo spazio, questo non è che uno dei problemi di questa zona unica, osserva Sabine Rumpf, dell’Università di Basilea, che ha condotto la ricerca con Grégoire Mariéthoz e Antoine Guisan, entrambi dell’Università di Losanna. Il problema è infatti una sorta di reazione a catena innescata nelle zone in cui la copertura della neve si è ridotta in modo significativo, sebbene queste rappresentino meno del 10% dell’area, per i ricercatori sono indice di una tendenza preoccupante. La linea degli alberi si è infatti spostata verso l’alto in circa il 77% della catena alpina e il timore è che in futuro spostarsi ulteriormente, accelerando lo scioglimento della neve: ciò altererebbe l’albedo, ossia l’estensione delle aree che riflettono i raggi solari, e  questo fenomeno potrebbe a sua volta provocare lo scioglimento del suolo ghiacciato, il permafrost, e distruggere gli habitat che attualmente ospitano animali e piante tipici della zona alpina e con riflessi che potrebbero arrivare a colpire anche l’economia di quest’area, a partire dal turismo.

    “La portata del cambiamento si è rivelata assolutamente enorme nelle Alpi”, rileva Rumpf. Le Alpi stanno diventando più verdi perchè le piante stanno colonizzando nuove aree e la vegetazione generalmente diventa più fitta e più alta: un fenomeno dovuto soprattutto alle variazioni delle precipitazioni e ai periodi di vegetazione più lunghi a causa dell’aumento delle temperature. “Le piante alpine sono adattate a condizioni difficili, ma non sono molto competitive”, prosegue la ricercatrice; vale a dire che, con il mutare delle condizioni ambientali, le attuali specie perdono il loro vantaggio. Di conseguenza, osserva Rumpf , “la biodiversità unica delle Alpi è quindi sottoposta a una notevole pressione”.

  • Il ghiaccio più antico delle Alpi sarà messo al sicuro in Antartide

    Sarà l’Antartide la ‘cassaforte’ dove verrà messo al sicuro il ghiaccio più antico delle Alpi, il cui studio aiuterà a prevedere il futuro del clima. E’ l’obiettivo finale della missione ‘Ice Memory’, condotta con successo sul Monte Rosa, dove un team italo-svizzero di scienziati, lavorando per 5 giorni, a 4.500 metri di quota sul ghiacciaio Gorner – il secondo più esteso dell’arco alpino, 40 chilometri quadrati – ha prelevato due carote di ghiaccio superficiali, e due profonde oltre 82 metri. Nel segmento più vicino alla roccia, il campione potrebbe contenere informazioni sul clima fino a 10mila anni fa. Il campo di ricerca è stato il Colle Gnifetti. Se le analisi lo confermeranno, significherebbe che in Antartide sarà conservato il ghiaccio più antico dell’arco alpino. Si tratta di un progetto congiunto tra CNR, Università Ca’ Foscari Venezia, Università Grenoble Alpes, Università, Istituto nazionale francese per le ricerche sullo sviluppo sostenibile (Ird), Istituto polare francese (Ipev) e Programma nazionale per le ricerche in Antartide (Pnra) per quanto riguarda le attività alla stazione Concordia in Antartide  Lo scopo è quello di creare in Antartide una ‘biblioteca’ dei ghiacci: un archivio di campioni provenienti dai ghiacciai attualmente in pericolo di ridursi o scomparire.

    “La spedizione è stata un successo: il team ha estratto due carote di ghiaccio profonde oltre 80 metri da un sito importantissimo perché mantiene le informazioni del clima e dell’ambiente degli ultimi 10mila anni. – afferma Carlo Barbante, direttore Cnr-Isp e professore a Ca’ Foscari -. Il team ha lavorato bene nonostante le condizioni molto dure, con giorni di vento forte e neve. Ora questo prezioso archivio della storia climatica delle Alpi potrà essere conservato per il futuro”.  E’ questa la terza missione di Ice Memory, dopo quella del 2016 sul Monte Bianco e del 2020 sul Grand Combin. Altre spedizioni internazionali hanno permesso di mettere al sicuro gli archivi dei ghiacciai Illimani (Bolivia), Belukha e Elbrus (Russia).

    Per tutta la durata della missione, gli scienziati hanno alloggiato a Capanna Margherita, il rifugio più alto d’Europa, edificato su una vetta rocciosa 128 anni fa proprio per contribuire alla ricerca scientifica, nella fisiologia prima, e poi della climatologia e delle scienze ambientali. Grazie al supporto di Rifugi Monterosa al progetto, Capanna Margherita è stata aperta appositamente per ospitare gli scienziati. Riaprirà dalla seconda metà di giugno per accogliere gli alpinisti.

  • Le guide alpine Dallagiacoma hanno fatto storia nell’alpinismo trentino

    Madonna di Campiglio, 9 agosto 2019

    Non lo vedevo da qualche anno. L’ultima volta fu in occasione di un soccorso alpino, di cui in quegli anni era il segretario. Lo incrociai  sul sentiero che da Vallesinella porta al rifugio Casinei e mi colpì il ritmo forsennato della sua salita. Saltabeccava come un capriolo impaurito e sulle spalle portava una barella. Era diretto, insieme ad altri colleghi, in val di Brenta Alta, per soccorrere due turisti infortunatisi su di una ripida scarpata di roccia e caduti sul prato sottostante. Ammiravo la sua agilità, ma quando esternavo il mio apprezzamento si schermiva come un bambino timido e mi diceva, con un certo disappunto nella voce, che lui in montagna non era mai stato all’altezza del padre, del nonno e del bisnonno. “Loro erano stati grandi”, e lo diceva con grande orgoglio. “Io invece fatico soltanto un po’ per aiutare gli altri, per dare una mano a chi ne ha bisogno, ma nulla di più”. “La montagna non l’ho mai sfidata veramente e mi accontento di essere utile quando è necessario e di aiutare gli sfortunati che hanno subito qualche incidente”. A sentirlo parlare così sembrava che la montagna gli fosse estranea, che non lo riguardasse minimamente. Ma così non era! La montagna ce l’aveva – e ce l’ha ancora oggi – nel sangue ed i suoi pensieri andavano di frequente alle imprese del bisnonno Antonio senior (1838-1918), del nonno Antonio junior (1879-1964) e del padre Bruno (1912-1981). Lui è Antonio Dallagiacoma, 70 anni, proprietario dell’hotel Touring, discreto giocatore di golf, esponente della quarta generazione di una famiglia di montanari, guide alpine di Madonna di Campiglio. “Altri tempi – diceva – quando la professione di guida alpina era stimata e rispettata, quando le guide erano cercate dai sovrani e dai principi per farsi accompagnare in sicurezza sulle vette più alte e più alla moda”. Ed allora, quasi a conferma di questa sua convinzione, mette le mani in un armadio e in diversi cassetti, per ritrovare i documenti che gli danno ragione. Sono decine e decine di fotografie, sono i libretti di guida alpina dei suoi cari e va a cercare tra le pagine un po’ ingiallite le dediche sempre piene di entusiasmo dei clienti, quelli noti e  famosi  e quelli meno noti o addirittura sconosciuti. Questa ricerca di frasi e di nomi mi appassiona e vado col pensiero agli anni documentati da queste firme, anni in cui l’alpinismo non era ancora diventato uno sport di massa, gli anni in cui erano ancora pochi quelli che salivano sulle vette splendide delle Dolomiti o delle Alpi. Di Himalaya non si parlava ancora e delle vette europee ne parlavano soltanto gli esperti, cioè quei pochi fortunati che con le guide professioniste riuscivano a raggiungere le vette e a scalare le impervie pareti alpine. Fra quei documenti esiste anche un pezzo di storia, di quando il Trentino e le sue montagne appartenevano ancora all’impero austro-ungarico, di quando a esplorare le Dolomiti erano gli inglesi ed i tedeschi, di quando la salita in montagna significava anche un’ascesi spirituale e una vittoria su sé stessi. Il bisnonno, Antonio Dallagiacoma Senior, detto “Lusion”, fu una guida molto richiesta dagli alpinisti inglesi e tedeschi e dai primi esponenti della Sat, la società degli alpinisti trentini, con i quali salì per la prima volta sulle decine e decine  di vette nel gruppo di Brenta e in quello della Presanella. Proprio per le sue qualità di guida alpina, oltre che di uomo, Antonio Senior divenne la guida personale dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe  e di sua moglie Elisabetta di Wittelsbach, detta Sissi, in occasione del loro soggiorno a Madonna di Campiglio nel 1889. Nel 1894 l’imperatrice Sissi tornò a Campiglio e in questo suo secondo soggiorno fu sempre egregiamente assistita da Antonio “Lusion” durante le sue escursioni. In segno di riconoscimento l’imperatore face fare  dalla pittrice della Real Casa un ritratto ad olio della loro guida preferita, ritratto che decora ancora oggi il muro di fronte all’ingresso dell’albergo Touring gestito dall’ultimo Antonio di famiglia. Sissi, invece, rilasciò la seguente dichiarazione sul libretto di guida: “Si conferma con la presente che Antonio Dallagiacoma ha funto da guida per Sua Maestà l’Imperatrice e Regina durante il suo regale soggiorno a Madonna di Campiglio dal 23 giugno al 22 luglio 1894, in occasione di tutte le escursioni intraprese in montagna e che, grazie alle sue eccellenti capacità come guida, si è guadagnato la piena soddisfazione di Sua Maestà. (Madonna di Campiglio 22 luglio 1894).

    Il re del Belgio Alberto I, invece, approfittò dei servizi del nonno Antonio Junior e del papà Bruno. Oltre alle escursioni sul Brenta, Alberto I frequentò la Presanella. Durante una salita in vetta, la mancanza di appigli e di supporto per i piedi, obbligò la guida a salire sulla schiena e sulle spalle del Monarca per superare il passaggio. Una volta compiuta l’operazione, la guida, con l’aiuto della corda e delle braccia, issava il re oltre il passaggio. E fu così che si sparse l’opinione che il monarca fosse una persona umile, perché aveva permesso che qualcuno salisse sulle sue spalle. Il figlio Bruno con l’amico  guida Natale Vidi Brigot, lo sostituì per le escursioni in Brenta con la guida Silvio Agostini, fino al momento della morte accidentale del re, avvenuta il 17 febbraio 1934 a Marche-les-Dames vicino a Namur in Belgio. Stava scendendo da una parete di roccia che serviva da palestra per gli arrampicatori, quando fu investito da un masso. Tra le testimonianze scritte sul libretto di guida ne figurano diverse di Alberto de Falkner, alpinista della Sat e del Club Alpino Italiano, che ricorda le numerose prime ascensioni nel gruppo del Brenta con altri famosi esploratori; Compton Douglas William  Freshfield, col quale salì per la prima volta la seconda cima del Crozzon di Brenta. A  De Falkner , mi piace ricordarlo, è dedicata  la Cima Falkner, la terza vetta del Brenta. (la prima è Cima Tosa e la seconda Cima Brenta.) Questa passione e questa perizia, Antonio Senior, il bisnonno, le trasmise ai figli Antonio Junior e Quintilio, che a loro volta le trasmisero ai figli Bruno e Giulio. Tutti furono guide eccellenti e molte vie vengono ricordate per aver avuto loro come capicordata. Fu un periodo molto fertile per le scoperte dolomitiche, fatte con queste guide che, oltre alla passione, avevano una preparazione professionale d’alto livello, come lo si poteva essere a quei tempi. Vestite di giacche di velluto a righe e di pantaloni di fustagno, – non c’erano le giacche a vento e il goretex non era ancora stato inventato –  calzando scarponi chiodati che non tenevano la roccia – le suole di vibram apparvero soltanto dopo la seconda guerra mondiale – armati di corda e di piccozza, e di mani poderose che non mollavano la presa – i chiodi vennero dopo – riuscirono a compiere imprese ritenute impossibili senza i mezzi tecnici odierni e senza quella che oggi è l’imbragatura. La corda, per la sicurezza, veniva messa alla cintola e in caso di caduta il rischio di sbattere la testa contro la parete era più che reale. Eppure compirono imprese eccelse e fecero la storia dell’alpinismo trentino quasi isolati dal resto del mondo. Alpinismo classico, si disse dopo; alpinismo eroico si disse negli anni trenta con una punta di retorica patriottica. Fu un alpinismo da manuale, permeato da un’etica e da uno stile che rendeva nobile la scoperta della vetta. Allora le guide accompagnavano gli aristocratici in vetta. Oggi gli aristocratici della montagna sono rimaste le guide alpine. Perpetuano quella nobiltà di comportamento, nei confronti della montagna, che li fa distinguere fra il fracasso del turismo di massa e il non rispetto dei sentieri che percorrono. Dovrebbero essere conosciute di più, dai turisti di oggi, le imprese delle guide alpine di una volta. Senza di loro la conoscenza dalla montagna sarebbe ancora in arretrato rispetto ai tempi. Senza di loro le montagne sarebbero più povere e sarebbero meno conosciute. La loro conoscenza è un valore che accompagna l’uomo nel suo desiderio di diventare migliore. Non possiamo dimenticare, a questo punto, che con i Dallagiacoma camminarono le guide Vidi, gli Alimonta, i Ferrari Spalla, i Gasperi, e successivamente i Detassis, Clemente Maffei, Cesare Maestri, che con stili e modi diversi d’arrampicare continuarono a svolgere la funzione nobile dell’ascesa verso le vette, fino a giungere ai giovani di oggi, come Marco Maganzini e i fratelli Franchini, Cozzini etc. che rendono onore, con le loro imprese, alla memoria delle vecchie guide e alla loro etica di comportamento. Non sono che alcuni nomi. Altri ne dimentichiamo e ci scusiamo con loro. Tutti furono e sono degni del passato. Tutti certamente devono qualcosa ai pionieri Dallagiacoma e contribuiscono, come loro, a scrivere la storia dell’alpinismo trentino.

    Grazie, Antonio, d’avermi fatto conoscere i tuoi avi. Grazie per quello che hai fatto per aiutare quelli che in montagna hanno avuto bisogno d’aiuto!.

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