Balcani

  • Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà

    Il bisogno di avere ragione è segno di una mente volgare.

    Albert Camus

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato delle decisioni prese il 23 giugno scorso dai capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione europea. Parte attesa delle decisioni erano anche quelle sul percorso dei diversi Paesi balcanici. Il Consiglio europeo decise, tra l’altro, di non avanzare i processi con la Serbia, l’Albania e la Macedonia del Nord. Per la Serbia, perché non aveva fatto progressi con le riforme e i requisiti precedentemente posti dalle istituzioni europee, ma anche per l’ambiguo atteggiamento nei confronti della Russia, dopo l’aggressione militare in Ucraina, avviata il 24 febbraio scorso. Proprio quella che il dittatore russo, anche dopo centotrentuno giorni di ineffabili crudeltà e di tante vittime innocenti ed inermi, compresi molti bambini, continua con irritante cinismo a classificarla come “un’operazione speciale militare”! Un ambiguo atteggiamento, perché la Serbia ha aderito alle risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che condannano quell’agressione e tutte le derivanti conseguenze. Ma, allo stesso tempo però, non ha mai aderito alle restrizioni poste dall’Unione europea alla Russia, nonostante le ripetute richieste e le forti critiche fatte dai massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Restrizioni che sono obbligatorie anche per la Serbia, essendo un Paese candidato ad aderire all’Unione. Mentre per la Macedonia del Nord e l’Albania, il blocco del processo europeo è stato dovuto al veto posto dalla Bulgaria alla Macedonia. E siccome il Consiglio europeo aveva precedentemente deciso di trattare insieme la Macedonia del Nord e l’Albania o si doveva andare avanti con il processo insieme oppure il blocco dei negoziati con uno dei due Paesi bloccava anche quelli con l’altro. L’autore di queste righe aveva informato di tutto ciò il nostro lettore. Così come lo aveva informato anche della conferenza con i rappresentanti dei media, dopo le decisioni prese dal Consiglio europeo. Una conferenza quella, prevista e svolta nel pomeriggio del 23 giugno scorso, negli ambienti del Consiglio europeo. Una conferenza alla quale sono stati presenti solo il presidente serbo, il primo ministro albanese e quello macedone. Mancavano però i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea che, come è stato “ufficialmente chiarito”, era legata semplicemente alla “mancanza di tempo”, dovendo loro, in seguito, partecipare alle successive discussioni del Consiglio europeo sulla dichiarazione come “Paesi candidati” dell’Ucraina e della Moldavia. Il nostro lettore è stato inoltre informato delle dichiarazioni critiche dei tre partecipanti alla conferenza con i media. Il presidente serbo ed il primo ministro macedone, per motivi diversi, sono stati “cautamente critici” con le istituzioni dell’Unione europea e con singoli Stati membri. Mentre il primo ministro albanese ha dimostrato una insolita, ingiustificata e ingiustificabile arroganza e volgarità verbale contro tutti. Con una ineffabile sfacciataggine lui ha detto: “Permettetemi di esprimere il profondo rammarico per l’Unione europea. Mi dispiace per loro e spero che potremmo aiutarli” (Sic!). Il primo ministro albanese, riferendosi alle ripetute decisioni del Consiglio europeo di non convocare la prima conferenza intergovernativa e di non aprire i negoziati con l’Albania come “Paese candidato”, ha considerato, recitando come un attore drammatico, come uno “spirito deformato dell’allargamento [dell’Unione europea], uno spirito totalmente deformato” quello delle istituzioni dell’Unione europea. Chissà se tra quelle istituzioni lui annoverava anche la Commissione europea, le cui valutazioni e suggerimenti sull’Albania sono “tutto rose e fiori”?! Valutazioni e suggerimenti che dal 2014 ad oggi, dati e fatti accaduti in Albania alla mano, risultano essere del tutto fuori realtà. Valutazioni e suggerimenti che, secondo le cattive lingue, sono state suggerite e richieste ai massimi rappresentanti della Commissione europea da certe organizzazioni lobbistiche oltreoceano e che sono state profumatamente ricompensate. E in Albania, si sa, le cattive lingue sanno molto, ma veramente molto, e difficilmente hanno sbagliato in questi ultimi anni. Il primo ministro albanese non ha risparmiato, durante il suo lunghissimo discorso, oltre tutti i limiti previsti in simili conferenze stampa, neanche i dirigenti europei. Dirigenti che, secondo lui, sembrano essere “una congregazione di sacerdoti che discutono del sesso degli angeli, mentre le mura di Costantinopoli crollano”.

    Uno degli “obiettivi” dei suoi attacchi verbali era anche il veto bulgaro alla Macedonia del Nord. Veto che il primo ministro albanese ha dichiarato essere veramente “una disgrazia”. E poi, con la dovuta drammatica teatralità, ha dichiarato che “…Questa questione della Bulgaria è una vergogna. Un Paese della NATO (North Atlantic Treaty Organization – L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.) che prende in ostaggio due altri paesi della NATO (Albania e Macedonia del Nord; n.d.a.), mentre nel cortile dell’Europa c’è una guerra sotto gli occhi dei 26 [altri] Paesi che sono totalmente impotenti insieme”. Per poi aggiungere, in modo da rendere tutto “in accordo” anche con la preoccupazione generale, che “l’aggressione russa contro l’Ucraina sta avendo così un aiuto molto generoso e non richiesto da un Paese della NATO, la Bulgaria, per destabilizzare un altro Paese della NATO, la Macedonia del Nord”. Ovviamente, dopo simili dichiarazioni, non potevano non reagire ufficialmente le istituzioni bulgare. Il ministero degli Esteri della Bulgaria, in una sua dichiarazione ufficiale, ha specificato che “…Attendiamo che il primo ministro albanese adatti i suoi mezzi espressivi con una lingua che sia più propria ad un politico di un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea.”. Aggiungendo anche che “I politici vanno via, le nazioni restano”. Nella dichiarazione ufficiale del ministero degli Esteri bulgaro, riferendosi al primo ministro albanese, si ribadisce che “…non è la prima volta che ascoltiamo [simili] aspre ed offensive qualifiche, non provocate, da un capo di governo. I “calcoli biliari”, in un così basso registro verbale, non si possono più giustificare dalla natura e dalle capacità europee della comunicazione”. Con le sue dichiarazioni arroganti, con una inaudita ed eclatante volgarità verbale, il primo ministro albanese durante la sopracitata conferenza stampa, ha però e soprattutto voluto alzare consapevolmente il “polverone” del “blocco dei negoziati per colpa del veto bulgaro”, per coprire la vera e vissuta realtà albanese. Una realtà quella che riconosce come diretto e principale responsabile, almeno istituzionalmente e da quasi nove anni ormai, proprio il primo ministro del Paese. L’autore di queste righe scriveva la scorsa settimana per il nostro lettore che “…Nel frattempo, per quanto riguarda l’Albania, bisogna porsi alcune dirette e semplicissime domande. Ha esaudito l’Albania tutte le 15 condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo il 25 marzo 2020? Ha rispettato, come obbligatorio, quanto prevede l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione europea, firmato dall’Albania il 12 giungo 2006 in Lussemburgo? Ha rispettato l’Albania i Criteri di Copenaghen? Ebbene, dati e fatti accaduti, documentati e ufficialmente rapportati dalle istituzioni specializzate internazionali, comprese anche quelle dell’Unione europea alla mano, la risposta è netta ed una sola. No!” (Volgari arroganze verbali balcaniche e verità che accusano; 28 giugno 2022).

    Durante quella conferenza con i rappresentanti dei media nel pomeriggio del 23 giungo scorso, il primo ministro albanese si è offerto ed ha fatto “l’avvocato” della Serbia e del suo presidente. E lo ha fatto proprio negli ambienti del Consiglio europeo, dove erano ancora riuniti tutti i capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione. Una sfida diretta per tutti loro, visto che si stava trattando non solo il caso dell’Ucraina e della Moldavia, che quel giorno sono stati dichiarati “Paesi candidati” all’adesione nell’Unione europea. Ma si stava soprattutto discutendo sulle ulteriori misure e sulle decisioni da prendere nell’ambito della guerra in Ucraina. Il primo ministro albanese ha cercato di giustificare e di difendere l’ambiguo atteggiamento e i “tentennamenti” della Serbia nei confronti della Russia. Nel pomeriggio del 23 giugno scorso, durante quella conferenza con i rappresentanti dei media, ha fatto “l’avvocato” del suo “carissimo amico”, il presidente serbo, il quale si trovava in condizioni non molto “adatte” nei confronti degli anfitrioni europei. Si perché si trattava di una difficile ed imbarazzante, ma ormai difficilmente evitabile posizione, come quella del presidente serbo, dovuta ai “tentennamenti” della Serbia nei confronti della Russia, dopo la crudele aggressione in Ucraina. Con quelle dichiarazioni arroganti, aggressive e del tutto improprie, il primo ministro albanese, molto probabilmente, ha cercato di dare però delle ulteriori prove e garanzie di “amicizia e fedeltà” non solo al presidente serbo. Ha voluto dare chiari messaggi di “profonda devozione e sentito riconoscimento” anche a delle “persone molto potenti” oltreoceano che stanno dietro loro due. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Soprattutto quando ha trattato l’iniziativa Open Balkans (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022 ecc…).

    Durante quella conferenza stampa nel pomeriggio del 23 giungo scorso, il primo ministro albanese è diventato un “agguerrito avvocato” della Serbia e del suo presidente. Ben consapevole del suo “arduo impegno”, vista l’ambiguità dei rapporti delle Serbia con la Russia e con l’Unione europea, lui ha cercato di giustificare la “posizione difficile” della Serbia. Perché, secondo il primo ministro albanese “…la Serbia si trova in una realtà completamente diversa”. Aggiungendo che aveva cercato di spiegare ai capi di Stato e di governo il 23 giungo scorso, nella sessione per i Balcani occidentali durante il vertice del Consiglio europeo, che “…si tratta di un Paese (la Serbia; n.d.a.) dove la popolarità di Vladimir Putin è di 80% e di un Paese dove l’opinione pubblica non è così orientata a correre dietro Bruxelles”. Per poi ribadire che “…la Serbia semplicemente non è nella posizione di realizzare così tanto e così presto e che portarla ai limiti produrrebbe l’effetto contrario”. Per poi concludere con una “minaccia” per i capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione europea, presenti nel vertice di Bruxelles del Consiglio europeo, il 23 giungo scorso. Il primo ministro albanese ha ribadito che “…noi (Serbia, Albania e Macedonia del Nord; n.d.a.) non vogliamo una guerra, noi non abbiamo bisogno di un conflitto, di uno spargimento di sangue e di tensioni nella nostra regione. Perciò vogliamo camminare avanti nella direzione che abbiamo scelto […]. Ci sono molti colpi con i quali loro (i massimi dirigenti europei; n.d.a.) si devono confrontare, così che non devono provocare un altro colpo.”!

    Nel frattempo, durante questi ultimi giorni ci sono altri sviluppi che potrebbero determinare nel futuro il percorso europeo dei Paesi dei Balcani occidentali. Dopo il diretto coinvolgimento del presidente francese, la Bulgaria ha tolto il veto alla Macedonia del Nord. Adesso spetta ai massimi rappresentanti politici macedoni di decidere sulla proposta bulgara per il veto. Ieri il presidente della Macedonia del Nord, riferendosi alla revoca del veto da parte della Bulgaria, ha dichiarato che “non è né un trionfo storico e neanche un fallimento.”. Mentre l’opposizione macedone si oppone fortemente al testo della proposta bulgara della scorsa settimana. Tutto rimane da vedere.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore di tutti gli sviluppi che riguardano i Balcani occidentali. Così come farà anche per gli ultimi comportamenti di quel voltagabbana in difficoltà, quale è il primo ministro albanese, e legati al rapporto con i giornalisti e la libertà di espressione. Perché lui vuol avere sempre ragione. Ma il bisogno di avere ragione è segno di una mente volgare.

  • Volgari arroganze verbali balcaniche e verità che accusano

    Con la faccia tosta si va a cavallo e in carrozza.

    Proverbio

    “Si dicono menzogne l’uno all’altro, labbra bugiarde parlano con cuore doppio. Recida il Signore le labbra bugiarde, la lingua che dice parole arroganti”.  Queste parole del terzo e quarto versetto del Salmo 12 dell’Antico Testamento vengono comunemente attribuite al re Davide. Parole che non hanno mai perso il loro valore. Parole che potevano descrivere benissimo anche la falsità e l’arroganza delle dichiarazioni fatte nel pomeriggio del 23 giungo scorso, negli ambienti del Consiglio europeo a Bruxelles, durante la conferenza stampa del presidente serbo, del primo ministro albanese e quello macedone. Una conferenza svoltasi dopo la discussione e le decisioni prese dal Consiglio europeo sui Paesi dei Balcani occidentali, alla quale non hanno partecipato, come previsto, i rappresentanti dell’Unione europea. Parole quelle del Salmo 12/3-4, che potevano descrivere anche una naturale reazione di tutti coloro che conoscono la realtà balcanica e, soprattutto, conoscono chi sono e cosa rappresentano i tre partecipanti alla conferenza stampa. Soprattutto colui che in più era “arrogante verbalmente” e che, in qualche modo, ha rappresentato anche i due altri: il primo ministro albanese. Proprio colui per il quale mentire, ingannare, fare l’arrogante con i deboli e il leccapiedi con persone importanti è un vizio innato.

    Il 23 giungo scorso, a Bruxelles si è svolto il vertice del Consiglio europeo. Durante questo vertice, tra l’altro, si è discusso anche del percorso europeo dei Paesi dei Balcani occidentali. Di nuovo i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri dell’Unione europea hanno deciso di non avanzare i processi dei negoziati con la Serbia, l’Albania e la Macedonia del Nord. Il Consiglio ha deciso di rinviare di nuovo la convocazione della prima conferenza intergovernativa sia per l’Albania che per la Macedonia del Nord. La convocazione di quella conferenza rappresenta il primo atto, dopo il quale il Paese interessato può considerarsi, a tutti gli effetti, come “Stato candidato”. Mentre per la Serbia il Consiglio europeo ha riconosciuto ufficialmente lo stato del “Paese candidato” già il 1o marzo 2012. Dopo il vertice, come sopracitato, alla conferenza stampa del presidente serbo, del primo ministro albanese e di quello macedone non erano presenti, come previsto, i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Chissà se si è trattato di un “messaggio in codice” per i tre partecipanti balcanici. Si è “ufficialmente chiarito” però, che la non presenza dei rappresentanti dell’Unione europea a quella conferenza stampa è stata “per mancanza di tempo”, dovendo loro, in seguito, partecipare alle successive discussioni del Consiglio europeo sulla dichiarazione come “Paesi candidati” dell’Ucraina e della Moldavia. Durante quella conferenza stampa i dirigenti balcanici, sentiti “offesi”, hanno “tuonato” come mai prima contro le decisioni prese dal Consiglio europeo, contro la stessa Unione europea e determinati singoli Stati membri dell’Unione. Il più “agguerrito” è stato il primo ministro albanese che, con le sue arroganze verbali, ha fatto anche “l’avvocato” della Serbia, nonostante il presidente serbo non avesse risparmiato le sue critiche verso i rappresentanti dell’Unione europea. Il più “moderato” di tutti e tre è stato il primo ministro macedone.

    Le ragioni, almeno quelle formali, che hanno motivato i membri del Consiglio europeo a decidere per il non avanzamento dei percorsi europei della Serbia sono diverse da quelle per l’Albania e la Macedonia del Nord. La Serbia, nonostante abbia aderito alle risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che condannano l’attuale aggressione della Russia contro l’Ucraina, non ha però aderito alle sanzioni imposte alla Russia dall’Unione europea. Un obbligo per la Serbia, che non è stato rispettato. Il che ha causato una espressa reazione da parte dell’Unione europea contro la Serbia. E siccome la situazione causata dalla guerra in Ucraina, iniziata con l’aggressione russa il 24 febbraio scorso, ha da mesi preso tutta l’attenzione delle istituzioni dell’Unione europea e dei singoli Stati membri, l’atteggiamento istituzionale dell’Unione nei confronti della Serbia non poteva non riflettere anche questo inaccettabile e molto criticato “tentennamento” della Serbia ad aderire alle sanzioni poste alla Russia. Lo stesso presidente del Consiglio europeo aveva già evidenziato che il vertice della settimana scorsa del Consiglio non poteva non tenere presente sia l’attuale situazione creatasi per la guerra in Ucraina, sia le sanzioni contro la Russia. Il che ha messo il presidente serbo un po’ in difficoltà e lo ha costretto a non essere molto critico nei confronti delle istituzioni dell’Unione europea durante la sopracitata conferenza stampa, dopo il vertice del Consiglio europeo, nel pomeriggio del 23 giugno scorso. Ma quello che non ha però potuto fare il presidente serbo, lo ha fatto il suo “amico e avvocato”, il primo ministro albanese. Anche perché ormai ci sono tante ragioni e cause comuni tra loro due, come sono non poche anche le “somiglianze caratteriali” e quelle delle realtà politiche e delle “alleanze e connivenze occulte” nei due rispettivi Paesi. Poi, dal 2019 loro due, il presidente serbo e il primo ministro albanese, sono i sostenitori convinti dell’iniziativa Open Balcans. Iniziativa della quale il nostro lettore è stato dettagliatamente informato, anche in queste ultime settimane.

    Invece la ragione che ha causato il rifiuto, da parte del Consiglio europeo del 23 giungo scorso, dei processi europei per l’Albania e la Macedonia del Nord, almeno la ragione formalmente articolata, è stato il veto posto dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. E siccome il Consiglio europeo ha deciso precedentemente di trattare insieme, in modo accoppiato i percorsi europei dell’Albania e della Macedonia del Nord, allora quel veto involve direttamente anche l’Albania. Lo ha confermato, il 23 giugno scorso, il Vicepresidente della Commissione europea e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza. Dopo la decisione presa dal Consiglio europeo, lui non ha nascosto il suo rammarico per la mancata apertura dei negoziati per l’Albania e la Macedonia del Nord. Tutto dovuto al veto posto della Bulgaria. Alla domanda posta a se stesso “se ci sono delle speranze?”, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha risposto: “Non so cosa può fare il parlamento in Bulgaria. Ma sembra che non stia andando bene”. Il veto bulgaro riguarda, in principio, le appartenenze nazionali, le lingue e la storia dei due Paesi. Facendo riferimento alla storia, si tratta di due nazioni che prima di diventare parte dell’Impero ottomano, già dal settimo secolo d.C. erano parti integranti dell’Impero bulgaro. La divisione tra i due popoli è avvenuta dopo la seconda guerra balcanica (giugno – luglio 1913; n.d.a.). Poi, dopo la sconfitta del regno della Bulgaria da parte del regno della Serbia, quest’ultimo, in seguito al Trattato di Bucarest (agosto 1913; n.d.a.), si impadronì di quasi tutti i territori che costituiscono l’attuale Macedonia del Nord. L’autore di queste righe ha trattato precedentemente per il nostro lettore le ragioni del veto posto dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. In un articolo proprio di un anno fa, egli scriveva per il nostro lettore che “…La Bulgaria è convinta però della nazionalità bulgara dei macedoni. Tra i due Paesi c’è anche il contenzioso che riguarda alcuni eroi storici della guerra contro l’Impero ottomano. In più la Bulgaria ha ufficialmente chiesto alla Macedonia del Nord di non fare riferimento alla “lingua macedone” ma alla “lingua ufficiale della Repubblica della Macedonia del Nord”. Un’altra richiesta è quella di ottenere garanzie che la Macedonia del Nord non rivendichi più delle proprie minoranze sul territorio bulgaro. Sono queste le condizioni poste dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. Soltanto dopo l’adempimento di tutte queste richieste la Bulgaria toglierà il veto che blocca il percorso europeo della Macedonia del Nord”. Aggiungendo che “…La ragione del veto bulgaro è la richiesta fatta dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord di concordare ed accettare ufficialmente che la lingua macedone sia soltanto un dialetto della lingua bulgara e che in Bulgaria non esiste una minoranza macedone”. (Predicano i principi della democrazia ma poi…; 28 giugno 2021).

    Dopo la decisione presa sull’Albania e la Macedonia del Nord il 23 giugno scorso dai capi di Stato e di governo di tutti i Paesi membri dell’Unione, nell’ambito del Consiglio europeo, proprio due giorni dopo, il 24 giugno il parlamento bulgaro, con 170 voti favorevoli, 37 contrari e 21 astensioni ha approvato la revoca del veto che bloccava l’avvio dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord all’Unione europea. Ma nonostante ciò, sembrerebbe che adesso sia la Macedonia del Nord a non essere d’accordo con il testo approvato dal parlamento bulgaro. Rimane perciò da seguire come evolverà questo contenzioso tra i due Paesi. Nel frattempo, per quanto riguarda l’Albania, bisogna porsi alcune dirette e semplicissime domande. Ha esaudito l’Albania tutte le 15 condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo il 25 marzo 2020? Ha rispettato, come obbligatorio, quanto prevede l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione europea, firmato dall’Albania il 12 giungo 2006 in Lussemburgo? Ha rispettato l’Albania i Criteri di Copenaghen? Ebbene, dati e fatti accaduti, documentati e ufficialmente rapportati dalle istituzioni specializzate internazionali, comprese anche quelle dell’Unione europea alla mano, la risposta è netta ed una sola. No! Il nostro lettore spesso, da anni ormai, è stato informato con la massima oggettività richiesta dall’autore di queste righe di tutto ciò. Cosa che egli continuerà a farlo.

    Non si sa però perché, dopo il vertice del Consiglio europeo del 23 giugno scorso, quasi tutti, quando parlano, scrivano, commentano e analizzano la decisione presa dal Consiglio europeo per l’Albania, fanno riferimento soltanto al veto bulgaro sulla Macedonia. Ma in realtà, anche se quel veto non ci fosse stato, almeno per quanto riguarda l’Albania non si potevano mai aprire i negoziati come “Paese candidato”. Si, perché l’Albania non ha esaudito le 15 condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo il 25 marzo 2020! Anzi, la realtà albanese, quella vera, vissuta e sofferta, sta peggiorando di giorno in giorno. E guarda caso, “stranamente” il primo ministro albanese ha sempre negato l’esistenza di quelle 15 condizioni! In più occasioni non sono stati rispettati gli obblighi previsti dall’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione europea. Il caso del porto di Durazzo, del quale il nostro lettore è stato informato a tempo debito, ne è una molto significativa dimostrazione (Clamoroso abuso miliardario in corso; 21 febbraio 2022). Così come l’Albania non ha rispettato quanto previsto dai Criteri di Copenaghen. La vera ragione per la quale all’Albania non si aprono e non si devono aprire i negoziati è la restaurazione ed il consolidamento nel Paese di un nuovo regime totalitario, di una nuova dittatura sui generis, camuffata da un pluripartitismo di facciata. Una realtà questa, della quale il nostro lettore, da anni ormai, e stato informato molto spesso. E nonostante ciò, durante la sopracitata conferenza stampa nel pomeriggio del 23 giugno scorso, il primo ministro albanese, con la sua ben nota arroganza verbale ha attaccato ed aggredito le istituzioni dell’Unione europea. Ma ha anche espresso il “suo profondo rammarico per l’Unione europea”. Aggiungendo che gli “dispiace per loro e spero che potremmo aiutarli” (Sic!). Una ben scelta “strategia”, quella sua, per cercare di coprire tutte quelle drammatiche e allarmanti verità che lo accusano in prima persona, almeno istituzionalmente.

    Chi scrive queste righe promette al nostro lettore di trattare questo argomento nel prossimo futuro.

    Condivide però, nel frattempo, la saggezza popolare secondo la quale con la faccia tosta si va a cavallo e in carrozza. Ed è proprio il caso del primo ministro albanese. Chi scrive queste righe condivide anche la preghiera espressa nel Salmo 12, versetto 4 dell’Antico Testamento; “Recida il Signore le labbra bugiarde, la lingua che dice parole arroganti”. Chissà però se il primo ministro albanese conosce questo versetto? E se si, chissà come si sente?!

  • Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto

    La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

    Epitteto

    Il 5 giugno scorso tre Paesi balcanici hanno chiuso i rispettivi spazi aerei ad un aereo russo, a bordo del quale si trovava il ministro degli Esteri russo e una delegazione da lui guidata. Il volo era diretto a Belgrado, capitale della Serbia, dove il ministro russo, l’indomani, doveva incontrare il presidente, il ministro degli Interni ed altri alti funzionari serbi. Una programmata visita ufficiale durante la quale si doveva concludere l’accordo tra i due Paesi per il rinnovo, per altri tre anni, del contratto sulla fornitura alla Serbia del gas russo a condizioni molto vantaggiose. Tutto dopo che precedentemente i termini dell’accordo sono stati resi pubblicamente noti, dopo un colloquio telefonico, avvenuto il 29 maggio scorso, tra il presidente russo e quello serbo. I Paesi che hanno impedito il volo dell’aereo sul quale viaggiava il ministro russo con la sua delegazione erano la Bulgaria, la Macedonia del Nord ed il Montenegro. Tutti e tre sono Paesi che, insieme a quelli dell’Unione europea e ai tanti altri, hanno aderito alle sanzioni restrittive contro la Russia, dopo l’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio scorso. Parte di quelle restrizioni riguardano anche il presidente russo ed il ministro degli Esteri. Loro due, insieme con tanti altri, dal 25 febbraio, un giorno dopo l’inizio della guerra in Ucraina, che il presidente russo considera cinicamente come “un’operazione militare speciale”, sono stati inseriti nella lista delle persone colpite dalle sanzioni. Una di quelle sanzioni è anche “il divieto di viaggio che impedisce l’ingresso o il transito attraverso il territorio dei Paesi membri e dei partner allineati”. Da sottolineare che la Serbia è uno dei Paesi dei Balcani occidentali che ha avviato la procedura di adesione all’Unione europea dal 2008, con la firma dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione. Mentre il 1o marzo 2012 il Consiglio europeo ha riconosciuto alla Serbia lo stato del Paese candidato all’adesione nell’Unione. La Serbia è anche uno dei 141 Paesi che, il 2 marzo scorso, hanno votato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la quale si condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Ebbene, nonostante ciò, la Serbia non ha aderito però alle sanzioni restrittive contro la Russia. Una scelta quella della Serbia che è stata criticata e contestata dai massimi rappresentanti dell’Unione europea e di alcuni singoli Stati membri, soprattutto la Germania. Il ministro tedesco degli Esteri dichiarava a metà aprile scorso che “…Se la Serbia vuole aderire all’Unione europea, deve sostenere la politica estera degli altri membri dell’Unione […] e quindi imporre alla Russia le sanzioni necessarie”. Il 16 maggio scorso, si è svolta una riunione dei 27 ministri degli Esteri dell’Unione europea. In una loro comune dichiarazione ufficiale pubblicata dopo la riunione, riferendosi alle sanzioni restrittive contro la Russia, i ministri dell’Unione hanno ribadito che “…Chi non l’ha fatto, come la Serbia, dovrà adeguarsi il prima possibile alle sanzioni”. Un simile e determinato appello è stato fatto, il 10 giugno scorso, anche dal cancelliere tedesco, in visita ufficiale a Belgrado. Lo ha confermato, durante la conferenza stampa dopo l’incontro, lo stesso presidente serbo. Secondo lui “In maniera decisa e tagliente, il cancelliere [tedesco] ha chiesto alla Serbia di aderire alle sanzioni contro la Federazione Russa, cioè di sostenere le misure restrittive che l’Unione europea ha già adottato nei loro confronti”.

    Il 6 giugno scorso, dopo l’impedimento di arrivare a Belgrado, il ministro degli Esteri russo durante una conferenza online con i media da Mosca ha considerato come inimmaginabile la chiusura degli spazi aerei, il 5 giugno scorso, da parte dei tre sopracitati Paesi balcanici che hanno impedito a lui e alla sua delegazione di arrivare a Belgrado. “È accaduto qualcosa di inimmaginabile. Ad uno Stato sovrano è stato negato il diritto di seguire la [sua] politica estera”. Aggiungendo che “Le attività internazionali della Serbia verso la Russia sono bloccate”. Ma ha espresso anche la sua ferma convinzione che “La cosa più importante è che nessuno potrà distruggere il nostri legami con la Serbia”. Durante quella conferenza il ministro russo degli Esteri ha attaccato l’Unione europea e, più in generale, quello che ha chiamato “l’Occidente”.  Lui ha dichiarato convinto che “Se la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia è percepita in Occidente come una minaccia su scala globale, allora, chiaramente, le cose in Occidente vanno piuttosto male”. Dopo l’impedimento al ministro russo di arrivare a Belgrado hanno subito reagito anche il presidente serbo ed il ministro degli Interni. Il presidente serbo, tramite un comunicato stampa ufficiale, pubblicato soltanto in lingua serba, ha espresso la “sua insoddisfazione” per l’impedimento della programmata visita del ministro russo e della sua delegazione. Ma ha ribadito la sua determinazione a mantenere “l’indipendenza e l’autonomia nel processo decisionale politico” da parte della Serbia, nonostante i negoziati d’adesione del suo Paese nell’Unione europea. Mentre il ministro serbo degli Interni, sempre riferendosi alla mancata visita della delegazione russa a Belgrado, ha detto che “Il mondo in cui i diplomatici non possono attuare la pace, è un mondo in cui non c’è la pace”. E poi ha aggiunto di essere rimasto “profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia”. Il ministro degli Interni serbo ha ribadito perentorio che “…Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa”. Più chiaro di così non lo poteva dire un ministro serbo!

    Due settimane fa l’autore di queste righe, informava il nostro lettore su un’iniziativa regionale occulta; quella che ormai è nota come Open Balcan (facendo riferimento alla denominazione ufficiale e all’ortografia usata dai promotori; per essere corretti però, visto che si usa la lingua inglese, si dovrebbe, invece, scrivere Open Balcans – Balcani aperti; n.d.a.). Egli ha trattato questo tema, a tempo debito, anche in precedenza. In quell’articolo l’autore di queste righe evidenziava, tra l’altro, che “…L’iniziativa regionale, nota ormai come Open Balcan, è stata presentata ufficialmente il 10 ottobre 2019 in Serbia, a Novi Sad. Allora è stata considerata come una nuova iniziativa per costituire ‘L’area economica comune dei Balcani occidentali’. Ma allora l’iniziativa regionale era stata denominata il Mini-Schengen balcanico. Solo in seguito, il 29 luglio 2021, il presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone, durante il vertice di Skopje, lo hanno ribattezzata come l’iniziativa Open Balcan”. In seguito egli specificava che “…A onor del vero però, le tesi dell’iniziativa, sono state rese note in un articolo pubblicato nel 1999. L’autore era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Invece adesso, dopo più di venti anni, i firmatari si mostrano come gli ideatori dell’iniziativa, presentandola come una novità!”. A proposito, l’autore di queste righe informava il nostro lettore che il giovane figlio del multimiliardario speculatore di borsa statunitense “è presente sempre in tutte le occasioni dove si tratta e si promuove l’iniziativa Open Balcan”. E di fronte a quel “giovane rampollo ereditario” i firmatari dell’iniziativa, i tre “amici” di suo padre, stanno ‘sull’attenti’. Chissà perché?! L’autore di queste righe due settimane fa informava altresì il nostro lettore, riferendosi all’iniziativa occulta Open Balcan, che si trattava di “un’iniziativa quella ideata per garantire e rafforzare la supremazia serba nei Balcani. Una supremazia che non interessa però solo alla Serbia, ma, tramite la Serbia, ne approfittano anche altri Paesi, Russia e Cina compresi.” (Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale; 31 maggio 2022).

    Ebbene, il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, il ministro russo degli Esteri non ha parlato, con toni offensivi, soltanto dell’Unione europea e, più in generale, di quello che ha chiamato “l’Occidente”. Il ministro russo degli Esteri ha ribadito che alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia. Lui, guarda caso, ha parlato anche dell’iniziativa Open Balcan e della paternità di quell’iniziativa. E così facendo lui ha contribuito, nolens volens, proprio ad un ulteriore smascheramento di un accordo regionale occulto. Bisogna sottolineare che, dal 2014 ad oggi, i massimi rappresentanti dell’Unione europea e di singoli Stati membri hanno sempre appoggiato istituzionalmente quello che è noto come il Processo di Berlino. Mentre i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan e cioè il presidente serbo, il primo ministro albanese e il primo ministro macedone, hanno continuamente e consapevolmente mentito, dichiarando e “giurando” che Open Balcan ha tutto l’appoggio dell’Unione europea! Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022 ecc…)

    Riferendosi però all’iniziativa Open Balcan e alludendo anche alla visita impedita, il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso che “Quegli che stanno tirando i fili a Bruxelles non hanno voluto questo, non hanno voluto che noi esprimessimo il nostro appoggio a Belgrado”. E subito dopo ha smascherato anche la vera paternità dell’iniziativa Open Balcan.  Il ministro degli Esteri russo ha confermato pubblicamente quello che si sapeva già. Sempre riferendosi all’Unione europea lui ha detto: “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Sì, ha confermato proprio l’appoggio russo “all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan”. Dichiarando così che l’iniziativa occulta è stata promossa dalla Serbia, avendo anche l’appoggio della Russia. Così facendo, il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso ha smascherato, una vota per sempre, tutte le ingannevoli dichiarazioni pronunciate dal 2019 ad oggi, dai “tre amici” del multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Che poi è il vero ideatore del progetto per i Balcani Aperti. Proprio lui, il fondatore delle Fondazioni della Società Aperta che sono attive, dagli inizi degli anni ’90, anche nei Paesi balcanici. Serbia, Albania e Macedonia del Nord compresi. E non a caso è stato usato anche lo stesso aggettivo, ‘aperto’, come testimonianza e firma dell’autore! Il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, che “…Ormai è chiaro per tutti che Bruxelles, la NATO e l’Unione europea vogliono convertire il progetto Open Balcan in un loro progetto, chiamato Close Balcans (Balcani chiusi; n.d.a.)!

    La scorsa settimana, il 7 e l’8 giugno, a Ohrid (Macedonia del Nord) si è svolto il vertice di turno dell’iniziativa Open Balcan. E nonostante quanto ha dichiarato il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso, i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan hanno continuato le loro messinscene, le loro bugie e i loro inganni pubblici. Con un “piccolo cambiamento di programma” però. Hanno cercato di far “combaciare” Open Balcan con il Processo di Berlino. Anzi, per il primo ministro albanese Open Balcan è “un’unità del Processo di Berlino”! I bugiardi, gli ingannatori, gli ipocriti senza scrupoli non smettono mai di essere “innovativi”. Nel frattempo però e proprio il 10 giugno scorso, dal Kosovo, il cancelliere tedesco, ha dichiarato senza equivoci che “In quanto al Open Balcan, voglio chiaramente dire che noi diamo grande priorità al Mercato Comune Regionale (parte integrante del Processo di Berlino; n.d.a.), che crediamo debba progredire”.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno, anche in questo caso, di molto più spazio per trattare, con la dovuta oggettività, questo argomento per il nostro lettore. Ma egli è convinto che non mancheranno altre occasioni. Per il momento però condivide il pensiero di Epitteto che la verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

  • Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale

    Tutti quelli che peccano in segreto peccano più rapidamente!

    Publilio Siro

    L’uomo crede vero tutto ciò che desidera. Ne era convinto Demostene, uno dei più noti oratori della Grecia antica. Una constatazione, quella, fatta più di ventitré secoli fa che rimane sempre attuale. E anche se non lo crede, spesso l’uomo cerca di convincere se stesso che quello che lui desidera è anche vero. Ma non di rado, consapevole della vera verità, l’uomo cerca con l’inganno di convincere gli altri che è vero proprio tutto ciò che lui desidera appaia come tale. E poi quando quell’uomo ha delle responsabilità pubbliche e gestisce la cosa pubblica, allora le conseguenze dei suoi inganni potrebbero diventare ben più gravi se non si reagisce, presso chi di dovere, in tempo e con determinazione. Denunciare e discreditare pubblicamente tutte le ingannevoli farse montate ad artem da persone che hanno delle responsabilità istituzionali diventa un sacrosanto diritto ed un dovere, un obbligo civico per tutti i cittadini onesti che apprezzano la verità e la libertà.

    In Albania l’attuale primo ministro, da quando gli sono state conferite delle responsabilità istituzionali, prima come sindaco della capitale e poi, dal 2013, come capo del governo, ha cercato sempre di convincere tutti su delle “verità” e “realtà” che lui voleva che venissero credute come tali. Mentire ed ingannare, come se nulla fosse, sono dei vizzi innati che contraddistinguono il suo modo di fare. Lo dimostrerebbe palesemente tutto il suo operato. Lo ha dimostrato anche una delle sue ultime farse, con la quale il primo ministro e la sua potente e ben funzionante propaganda governativa e mediatica hanno cercato di ingannare di nuovo l’opinione pubblica. Una farsa ingannevole che, per renderla più “convincente” possibile, lo hanno denominata la “Consultazione nazionale”, portata avanti dal 19 gennaio fino al 31 marzo scorso. I risultati della farsa sono stati poi pubblicati una settimana dopo, il 7 aprile. Una populistica messinscena quella della “Consultazione nazionale”, presentata sotto forma di un questionario di 12 domande, che erano state ideate dallo stesso primo ministro e/o da chi per lui e rese pubbliche con il questionario mandato per posta ai cittadini nelle loro abitazioni, ma che si poteva trovare anche in rete e nei gazebo allestiti appositamente in diverse piazze. Le risposte delle domande però, come è stato affermato ufficialmente, sono state in seguito elaborate dal Istituto albanese delle Statistiche. Affermazione questa che ha evidenziato la palese violazione della legge in vigore che regola proprio l’attività dell’Istituto delle Statistiche. In più, siccome a quel questionario, secondo quanto è stato “ufficialmente confermato”, ha risposto non più del 25% della popolazione, allora il risultato, qualsiasi esso fosse, non poteva essere preso in considerazione. Solo questi due fatti sarebbero stati più che sufficienti per denunciare la falsità e la farsa di tutto il processo della “Consultazione nazionale”, fortemente voluta dal primo ministro. Le cattive lingue da allora hanno affermato, convinte, che la “Consultazione nazionale” era stata ideata, programmata e attuata come una messinscena, per poi dare la possibilità al primo ministro di affermare proprio quello che lui voleva ed aveva bisogno di affermare. Il che, purtroppo, non rappresenta quello che sente e pensa la maggior parte degli albanesi. Ma il loro pensiero, le loro risposte, anche se siano state espresse durante la “Consultazione nazionale”, non sono state prese poi per niente in considerazione. Come in molte altre occasioni precedenti. Questo e ben altro hanno detto le cattive lingue dopo la pubblicazione dei “risultati ufficiali” della “Consultazione nazionale” e, soprattutto, dopo i lunghi, entusiastici, ottimistici e rassicuranti monologhi del primo ministro, commentando proprio quei “risultati”, prefabbricati negli uffici che prendono ordini direttamente da lui.

    La farsa della “Consultazione nazionale”, è stata presentata come una “vasta consultazione con il popolo”, con i cittadini per avere la loro diretta espressa opinione, il loro parere, su alcune questioni che “interessano molto” al primo ministro. Ma alcune di quelle questioni vanno oltre gli “interessi” che “stanno molto a cuore” allo stesso primo ministro. Si perché, fatti da anni accaduti e che stanno tuttora accadendo, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, dimostrerebbero palesemente che si tratta degli “interessi” della criminalità organizzata e di certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Una delle domande riguardava la legalizzazione della cannabis per “uso medicale”. Il vero obiettivo è di legalizzare definitivamente la coltivazione ed il traffico illecito della cannabis. Una seria preoccupazione che va oltre i confini dell’Albania. L’Italia è uno dei Paesi che stanno subendo il traffico illecito della cannabis e di altre droghe, cocaina compresa. Ma non solo l’Italia, essendo quella un’attività ben strutturata ed organizzata, grazie alla stretta collaborazione della criminalità organizzata albanese con altre simili organizzazioni criminali internazionali. Sono tanti i rapporti ufficiali delle altrettante note istituzioni specializzate internazionali, quelle dell’Unione europea e di singoli Stati, che hanno evidenziato e denunciano la connivenza, in Albania, dei massimi livelli del potere politico con la criminalità organizzata. Ma che hanno evidenziato anche il supporto di quelle attività criminali da parte proprio di quelle strutture che le dovevano impedire e combattere; la polizia di Stato ed altre simili. Gli stessi rapporti evidenziano anche le problematiche che si stanno ormai generando dalle strutture specializzate del sistema “riformato” della giustizia. Strutture che hanno chiuso gli occhi, le orecchie e i cervelli di fronte ai “pesci grandi” e si accontentano dei “pesciolini”. Strutture che però, e guarda caso, vengono presentate come “una storia di successo” dai soliti “rappresentanti internazionali’. Non a caso una delle dodici domande del questionario della “Consultazione nazionale”, fortemente voluta e osannata dal primo ministro e dalla sua propaganda, riguardava proprio il sistema “riformato” della giustizia. Un’altra domanda con la quale il primo ministro ha voluto avere “l’opinione del popolo”, si riferiva alla spinosa questione del rifiuto, da anni ormai, del Consiglio europeo di aprire i negoziati dell’Albania. Negoziati che, nonostante il continuo e ripetuto “parere positivo” della Commissione europea, sono stati bloccati perché l’Albania ha fallito nell’adempimento dei 15 criteri posti da alcuni anni proprio dal Consiglio europeo.

    La dodicesima domanda del questionario della “Consultazione nazionale”, tramite la quale il primo ministro albanese era “desideroso ad avere l’opinione del popolo” riguardava l’iniziativa regionale ormai nota come Open Balcan. Il nostro lettore è stato informato di questa iniziativa in questi ultimi due anni. La domanda era stata formulata come di seguito: “Ci sono delle persone le quali credono che la creazione dell’iniziativa Open Balcan tra l’Albania e i Paesi dei Balcani occidentali è nell’interesse dell’Albania. Altre [persone] dicono che quest’iniziativa non porta dei profitti all’Albania. Che ne pensate?”. Ebbene, la domanda è stata formulata consapevolmente in modo ingannevole. Perché solo tre dei sei Paesi balcanici hanno aderito all’iniziativa. Secondo i “risultati ufficiali” 303.018 albanesi sono favorevoli all’iniziativa; 134.879 sono contrari, mentre 79.666 non si sono espressi.  In totale, sempre secondo i “risultati ufficiali”, sono stati 517.563 i cittadini che hanno risposto alla domanda. Circa un quarto degli aventi diritto! Ma le cattive lingue hanno detto convinte che tutti i risultati della “Consultazione nazionale” del primo ministro con il “suo popolo” sono stati inventati di sana pianta e non hanno niente a che fare con la vera verità.

    L’iniziativa regionale, nota ormai come Open Balcan, è stata presentata ufficialmente il 10 ottobre 2019 in Serbia, a Novi Sad. Allora è stata considerata come una nuova iniziativa per costituire “L’area economica comune dei Balcani occidentali”. Ma allora l’iniziativa regionale era stata denominata il Mini-Schengen balcanico. Solo in seguito, il 29 luglio 2021, il presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone, durante il vertice di Skopje, lo hanno ribattezzata come l’iniziativa Open Balcan. A onor del vero però, le tesi dell’iniziativa, sono state rese note in un articolo pubblicato nel 1999. L’autore era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Invece adesso, dopo più di venti anni, i firmatari si mostrano come gli ideatori dell’iniziativa, presentandola come una novità! Il nostro lettore è stato informato del contenuto del articolo e delle tesi che stanno sulle fondamenta dell’iniziativa ormai nota come Open Balcan. Così come è stato informato che l’ereditario del multimiliardario statunitense, il suo giovane figlio è presente sempre in tutte le occasioni dove si tratta e si promuove l’iniziativa Open Balcan. Era presente anche durante il vertice di Belgrado, svoltosi il 3-4 novembre 2021. Dopo il vertice è stata pubblicata una fotografia scattata in quei giorni. L’autore di queste righe scriveva allora che “…In quella fotografia si vedono, da un lato, il figlio di George Soros che “non si sa perché” era lì, mentre dall’altro lato i tre “amici” di suo padre, stanno “sull’attenti” di fronte al figlioletto ereditario. Una fotografia quella che potrebbe dimostrare e testimoniare chi potrebbe essere, in realtà, il vero stratega delle iniziative in corso nei Balcani.” (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021).

    L’iniziativa denominata ormai Open Balcan, nonostante si presenti come un’iniziativa dei Balcani occidentali, è stata firmata solo dalla Serbia, dall’Albania e dalla Macedonia del Nord. Mentre tre altri Paesi, e cioè la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro ed il Kosovo hanno pubblicamente rifiutato di essere parte all’iniziativa. I massimi rappresentati istituzionali di questi tre Paesi hanno ufficialmente e ripetutamente dichiarato che loro credono ed aderiscono ad un’altra iniziativa, quella che dal 2014, è nota come il Processo di Berlino. Si tratta di un progetto presentato per la prima volta a Berlino, su iniziativa dell’allora cancelliera tedesca. Un processo che non solo include tutti gli obiettivi dell’iniziativa Open Balcan, ma va ben oltre. In più finanzia molti progetti regionali nei Balcani occidentali, cosa non prevista dal Open Balcan. Un’iniziativa quella ideata per garantire e rafforzare la supremazia serba nei Balcani. Una supremazia che non interessa però solo alla Serbia, ma, tramite la Serbia, ne approfittano anche altri Paesi, Russia e Cina compresi. L’autore di queste righe ha trattato questi argomenti per il nostro lettore (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021 ecc…). Quanto sta accadendo anche solo in queste ultime settimane conferma i rapporti della Serbia con la Russia e i suoi alleati, nonché con la Cina. L’accordo di due giorni fa per delle forniture sicure e a prezzi vantaggiosi di gas russo per la Serbia ne è una eloquente testimonianza, come lo sono altri accordi militari e commerciali precedentemente firmati tra i due Paesi. Ma anche come l’invio in Serbia dalla Cina di armamenti speciali, l’aprile scorso, nonché altri accordi tra i due Paesi. Il che dimostra da che parte sta la Serbia, l’unico Paese balcanico che trae grandi vantaggi dall’iniziativa Open Balcan. Verità che testimoniano perché i tre “alleati balcanici” stanno cercando di boicottare il processo di Berlino.

    Chi scrive queste righe è convinto che Open Balcan è semplicemente un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, della quale beneficia soltanto la Serbia e, tramite la Serbia, anche altri Paesi, Russia e Cina compresi. La Serbia, nel frattempo, non ha aderito alle sanzioni imposte alla Russia. Un misero doppio gioco quello del presidente serbo, che ormai convince sempre meno. Ma lui continua a godere dell’appoggio del primo ministro albanese, anche lui impegnato in un difficile doppio gioco. Loro due però collaborano molto più in segreto, con degli accordi occulti. E si sa, ne era convinto anche Publilio Siro: tutti quelli che peccano in segreto peccano più rapidamente! Se quella è una consolazione! Perché sempre peccatori rimangono, comunque sia.

  • Amicizie occulte e sudditanze pericolose

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi,
    che  si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

    Aristotele; Politica

    Un proverbio cinese ci avverte che bisogna fare molta attenzione a chi arriva con un regalo perché chiederà sicuramente un favore. Una saggezza millenaria quella, che si verifica spesso, non soltanto tra gli esseri umani, ma anche quando si tratta di rapporti governativi tra Paesi diversi. E soprattutto quando quelli che governano e gestiscono la cosa pubblica hanno stabilito tra di loro dei rapporti occulti e delle sudditanze ed ubbidienze pericolose.

    Una settimana fa, lunedì 17 gennaio, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato in Albania per una visita ufficiale, anche se, realmente, è stata proprio una visita per incontrare ed accordarsi con il suo “amico e discepolo”, il primo ministro albanese. Con colui che non nasconde, anzi, esprime pubblicamente la sua “ammirazione” per l’illustre ospite. Colui che proprio quel lunedì dichiarava che era “…molto orgoglioso di potersi considerare amico del presidente Erdogan”. Guarda caso, il protocollo di Stato aveva escluso dagli incontri, anche quello, protocollarmente obbligatorio, tra i due omologhi. E cioè dell’ospite, nella qualità di Presidente della Turchia e del Presidente albanese. Una “inedita protocollare” che non è stata mai spiegata e chiarita da chi di dovere, nonostante l’espresso interessamento pubblico e mediatico.

    Durante quella breve ma intensa visita in Albania il 17 gennaio scorso, il presidente turco era venuto anche per inaugurare quanto aveva “generosamente regalato” in precedenza, durante la visita del primo ministro albanese in Turchia, il 6 – 7 gennaio 2021. Si è trattato di 522 unità abitative in una località colpita dal terremoto del 26 novembre 2019. Dei regali per il povero e bisognoso popolo albanese. Ma soprattutto dei “regali” per il suo amico e discepolo, il primo ministro. Si è trattato e si tratta di “regali”, di supporto, anche elettorale, come nel caso di un ospedale in una città albanese, bastione del partito del primo ministro. Un’altra promessa fatta dal presidente turco al suo “fratello ed amico” albanese nel gennaio 2021, proprio tre mesi prima delle elezioni politiche del 25 aprile. L’ospedale è stato ormai inaugurato l’anno scorso, come promesso. Chissà però in cambio di quali favori quei “regali”?! E dei favori fortemente voluti e richiesti, anche pubblicamente, ci sono e come!

    Lunedì 17 gennaio, il presidente turco ha inaugurato la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, di una moschea nel pieno centro della capitale albanese. Ma come ci insegna il sopracitato proverbio cinese, non è mancata neanche la richiesta del presidente turco, dopo i regali fatti. Una richiesta per il suo “fratello”, per il suo “amico”, per il primo ministro albanese; una sola, ma all’esaudimento della quale il presidente turco ci tiene fortemente e in maniera determinata. Una richiesta fatta anche prima. Una richiesta però, che mette in serie difficoltà il primo ministro albanese perché lo mette tra due “fuochi” dai quali si guarda ben attentamente di non essere “bruciato”: sia dal “fuoco” del suo “amico”, il presidente turco, sia dal “fuoco” dei Paesi occidentali e degli Stati Uniti d’America. Si tratta di una richiesta, quella pubblicamente fatta dal presidente turco, che riguarda tutto quello e quelli che hanno a che fare con colui che, fino al 2012, era un suo caro amico e stretto collaboratore. Colui che però, dal 2013, ha denunciato pubblicamente diversi scandali di corruzione, che vedevano direttamente coinvolto l’attuale presidente turco e/o i suoi familiari. E proprio per quella ragione, da quel periodo lui diventò un pericoloso nemico da perseguire e combattere, ad ogni costo. Quel nemico è Fethullah Gülen. Ed insieme con lui tutti i suoi collaboratori e sostenitori, compresi tutti gli appartenenti dell’organizzazione FETÖ (Fethullahçı Terör Örgütü – Organizzazione del Terrore Gülenista; n.d.a.), ovunque loro si trovino nel mondo. Anche in Albania. Il presidente turco considera Gülen l’ideatore e l’organizzatore del fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 in Turchia. Ormai lui è il principale ricercato dalla giustizia turca, accusato di terrorismo. Da anni ormai Gülen si trova negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui la Turchia ha chiesto, a più riprese, alle autorità statunitensi la sua estradizione. Estradizione che è stata però sempre rifiutata. Non solo, ma sia gli Stati Uniti che tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno fermamente condannato le accuse di Erdogan nei suoi confronti. Questo acerrimo nemico del presidente turco, un noto politologo e predicatore dell’Islam, è anche il fondatore di una ben altra organizzazione, il Movimento Gülen. Egli è, allo stesso tempo, tra i fondatori dell’Associazione per la Lotta contro il Comunismo, nonché il fondatore di una rete di scuole e altre strutture di insegnamento privato, ben radicate sia in Turchia che in altri paesi, Albania compresa. Ma il presidente turco, nonostante la protezione personale data al suo principale nemico dagli Stati Uniti d’America, non demorde mai e, determinato, usa ogni occasione ed ogni mezzo per colpire e danneggiare sia il suo nemico che i suoi collaboratori e sostenitori, compresa la rete di scuole da lui fondate. Ragion per cui il presidente turco continua ad insistere con la sua richiesta per combattere i sostenitori del Movimento Gülen e sradicare le strutture scolastiche da lui fondate e finanziate. Presenti anche in Albania. E così facendo, da anni, sta mettendo in seria difficoltà anche il primo ministro albanese, suo “discepolo” perché essendo il nemico del presidente turco protetto dagli Stati Uniti e sostenuto anche dai Paesi europei il primo ministro albanese, il “fratello e amico” del presidente turco, cerca in tutti i modi di esaudire le ripetute richieste del suo “idolo”, ma cerca anche, possibilmente, di fare tutto senza dare nell’occhio dell’altra parte. Mentre il presidente turco, determinato ed agguerrito com’è, non perde occasione di ripetere e pretendere che la sua richiesta sia presa e trattata con la dovuta attenzione ed esaudita prima possibile. Lo ha fatto determinato, ma anche con una certa arroganza e prepotenza, lunedì 17 gennaio, parlando ai deputati presenti nell’aula del Parlamento albanese. Riferendosi ai collaboratori e ai sostenitori del suo acerrimo nemico, il presidente turco ha detto che “…questo gruppo mantiene ancora la sua presenza in Albania nel settore dell’istruzione, della sanità, delle organizzazioni religiose e nel settore privato”. Poi ha “avvertito” i deputati che gli appartenenti alle organizzazioni fondate dal suo nemico rappresentano anche un “pericolo per la sicurezza nazionale dell’Albania”, come per la Turchia. E con dei “messaggi tra le righe”, riferendosi sempre ai suoi nemici, considerandoli come dei “terroristi che hanno le mani coperte di sangue”, ha ribadito che “mentre ci sono tante questioni tra noi di cui parlare, discutere e intraprendere dei passi verso il nostro futuro comune, a noi (presidente turco e i suoi; n.d.a.) dispiace che stiamo perdendo tempo per una simile cosa. Speriamo che durante il nostro prossimo incontro di turno, questa questione possa essere cancellata dalla nostra agenda!”.

    Parte integrante, molto importante e significativa della visita del presidente turco in Albania, lunedì scorso 17 gennaio, ben preparata e gestita dal “protocollo ufficiale”, era proprio, come sopracitato, anche la cerimonia per la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, della moschea sulla piazza principale, in pienissimo centro di Tirana. Una cerimonia con la quale si è conclusa la breve visita del presidente turco e nella quale però il “protocollo ufficiale” non aveva previsto la presenza dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania. In realtà in quella cerimonia tutto parlava turco. Da colui che invitava a parlare tutti quelli che era previsto parlassero, alle scritture sul podio fino alle scenografie sui muri “ristrutturati” della moschea. Anche la preghiera è stata recitata in lingua turca da un alto religioso turco. Mentre la ragione della vistosa e molto significativa mancanza, durante quella cerimonia, dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania era “semplicemente” dovuta al fatto che il presidente turco considera loro come sostenitori del suo sopracitato acerrimo nemico.

    La visita del presidente turco lunedì scorso, 17 gennaio, in Albania ha suscitato molte contestazioni espresse pubblicamente da analisti, opinionisti, ma anche da molti semplici cittadini. E non solo per il fatto che quella visita coincideva proprio con il 554o anniversario della morte dell’Eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota. Di colui che per 25 anni consecutivi, dal 1443 e fino al 1468 (morì da malattia il 17 gennaio 1468), ha combattuto e vinto contro gli eserciti ottomani, alcune volte guidate personalmente dai sultani dell’epoca. Tenendo presente anche l’agenda della visita e le dichiarazioni del presidente turco il 17 gennaio scorso in Albania, la “coincidenza” sulla data scelta a molti è sembrata proprio come una sfida che l’ospite ed il caro “amico” del primo ministro faceva agli albanesi, i quali sono molto legati al loro Eroe nazionale. In più, sia il presidente turco che il suo anfitrione, il primo ministro albanese, durante quella visita, con le loro dichiarazioni hanno cercato di camuffare e di nascondere le vere ragioni della visita stessa. Hanno detto delle frasi che ne contraddicevano altre e non riuscivano a nascondere i veri obiettivi geostrategici della Turchia in Albania e nei Balcani. Tutto come previsto nella ormai nota Dottrina Davutoglu. Una dottrina quella che, da più di dieci anni ormai, è diventata parte integrante ed attiva della politica estera della Turchia. La Dottrina Davutoglu, fortemente sostenuta anche dall’attuale presidente turco, si basa sul principio dell’istituzione di una specie di Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo questa dottrina, la Turchia dovrebbe diventare un “catalizzatore e motore dell’integrazione regionale”. La Turchia deve non essere “un’area di anonimo passaggio” ma diventare “l’artefice principale del cambiamento”. Mentre Erdogan, prima da primo ministro e poi da presidente, continua deciso all’attuazione di questa dottrina. Da alcuni anni l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore, non solo della Dottrina Davutoglu, ma anche dei rapporti di “amicizia occulta” tra il presidente turche e il primo ministro albanese e di quelle che egli considera come delle “sudditanze pericolose”. (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021).

    Chi scrive queste righe da tempo è convinto della pericolosità delle amicizie occulte e dei rapporti di ubbidiente sudditanza che crea e segue il primo ministro albanese con altri suoi “simili”. Compreso anche il presidente turco. Simili soprattutto per il loro comportamento con il potere istituzionale e per i loro rapporti con i principi della democrazia. Simili per la loro arroganza e prepotenza e per il loro modo despotico di calpestare i sacrosanti diritti innati, acquisiti e riconosciuti dell’essere umano. Ma simili anche per le loro capacita demagogiche con le quali cercano e spesso anche riescono ad ingannare i propri cittadini. Confermando così quanto pensava Aristotele circa cinque secoli fa. E cioè che “La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie”.

  • Preoccupanti avvisaglie dai Balcani

    Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate,

    ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.

    Martin Luther King

    A volte una sola fotografia può svelare delle verità che tanti altri, con la demagogia e con i potenti mezzi di propaganda, cercano di deformare, di annebbiare e di nascondere. Un’inequivocabile e significativa testimonianza è stata evidenziata la scorsa settimana. Una fotografia scattata durante un vertice a Belgrado, svoltosi il 3-4 novembre scorso, ha svelato una verità che si stava cercando con tutti i modi di nasconderla. Una verità che da anni però era stata pronunciata, ma mancavano ancora delle convincenti e esaustive evidenze per togliere ogni dubbio e crederla.

    La scorsa settimana a Belgrado si è tenuto un vertice di tre tra i sei Paesi dei Balcani occidentali. L’anfitrione, il presidente della Serbia, insieme con i suoi due ospiti, il primo ministro albanese ed il vice primo ministro della Macedonia del Nord, si sono incontrati ed hanno discusso tra di loro. Non era presente il primo ministro macedone, come al solito in tutti gli altri precedenti incontri, perché il 31 ottobre scorso aveva annunciato le sue dimissioni subito dopo la pesante sconfitta del suo partito nelle elezioni amministrative (17 e 31 ottobre 2021). Per due giorni a Belgrado si è parlato dell’iniziativa regionale riconosciuta adesso come i “Balcani Aperti” (Open Balcan). Gli obiettivi di base dell’iniziativa sono stati resi pubblici però circa due anni prima, il 10 ottobre 2019, a Novi Sad (Serbia), ma allora quella era stata battezzata come l’iniziativa del “Mini-Schengen balcanico”. Nome con il quale veniva identificata fino al 29 luglio 2021, per poi essere ribattezzata con il nome Open Balcan, durante il Forum di Skopje (Macedonia del Nord), per la cooperazione economica regionale. Bisogna sottolineare che a tutti i vertici che hanno trattato i contenuti e gli accordi del “Mini-Schengen balcanico”, prima e dopo l’iniziativa ribattezzata come Open Balcan, hanno partecipato soltanto i massimi rappresentanti di tre tra i sei Paesi dei Balcani occidentali. Si tratta del presidente serbo, del primo ministro albanese e del primo ministro macedone. Gli altri, quelli del Montenegro, della Bosnia ed Erzegovina e del Kosovo, hanno sempre rifiutato di partecipare, considerando l’iniziativa come non rappresentativa degli interessi dei propri Paesi. È necessario sottolineare che i “Balcani occidentali” sono semplicemente una denominazione “geopolitica”, più che una vera entità e realtà geografica. Nei Balcani occidentali vengono raggruppati la Serbia, la Macedonia del Nord, il Montenegro, la Bosnia ed Erzegovina, il Kosovo e l’Albania. Un raggruppamento quello di tutte le repubbliche dell’ex Jugoslavia, tranne la Slovenia, la Croazia ed il Kosovo, che allora era parte della repubblica serba. La denominazione “Balcani occidentali” è stata coniata, per la prima volta, da alcuni rappresentanti diplomatici francesi presso le istituzioni dell’Unione europea all’inizio degli anni 2000. Chissà perché?!

    L’iniziativa Open Balcan, come quella sua simile del “Mini-Schengen balcanico” è stata presentata come un’iniziativa regionale che garantisce la libertà di circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. I suoi obiettivi mirano allo sviluppo ed al rafforzamento della collaborazione economica e commerciale tra i tre Stati aderenti, visto che gli altri tre hanno sempre rifiutato di partecipare. Durante l’ultimo vertice, quello di Belgrado della scorsa settimana, si è concordato, tra l’altro, di abbattere gli ostacoli e di abolire le barriere doganali tra i Paesi. In più, si prevede che i cittadini dei tre Paesi aderenti all’iniziativa possono circolare passando le frontiere con solo una carta d’identità. Da sottolineare però che tra la Serbia e l’Albania non c’è un confine comune. Ma la Serbia, non riconoscendo lo Stato del Kosovo e ribadendo che il Kosovo è parte integrante della Serbia, considera come suo confine con l’Albania proprio quello del Kosovo. Una situazione un po’ strana e contraddittoria questa, perché l’Albania è tra i primissimi degli altri 116 Paesi in tutto il mondo che, dal 2008 ad oggi, hanno riconosciuto lo Stato del Kosovo. In più suonano demagogiche tutte le dichiarazioni e diventano, perciò, strani tutti gli inviti dei massimi rappresentanti della Serbia per convincere il governo del Kosovo ad aderire all’iniziativa Open Balcan. Perché in quell’iniziativa aderiscono gli Stati sovrani ed indipendenti!

    Subito dopo il sopracitato vertice di Novi Sad, il 10 ottobre 2019, quando è stata presentata per la prima volta l’iniziativa “Mini-Schengen balcanico”, ormai ribattezzata come Open Balcan, sono state tante e continue le critiche degli analisti politici e degli specialisti economici che si riferiscono a questa iniziativa. Analizzando le realtà economiche dei tre Paesi aderenti e le capacità produttive di ciascuno di loro, tutti sono concordi e  considerano l’iniziativa Open Balcan come una grande opportunità per la Serbia di approfittare economicamente, di garantire un’egemonia serba nella regione balcanica e altro ancora. In più, sono non pochi coloro che considerano l’iniziativa non necessaria, essendo ormai attive diverse altre iniziative ed accordi internazionali, firmati da tutti e sei i Paesi balcanici che permettono l’attuazione di quanto previsto dall’iniziativa Open Balcan. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020 ecc…).

    Una di quelle iniziative è nota come il “Processo di Berlino”. Si tratta di un’iniziativa tramite la quale si permette l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici in Sud Est Europa. Un’iniziativa ufficializzata il 28 agosto 2014 a Berlino, proposta e fortemente sostenuta da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni dell’Unione. L’iniziativa “Processo di Berlino” prevede, come obiettivo fondamentale, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più visto il promotore e quali appoggi istituzionali e governativi ha avuto e continua ad avere l’iniziativa “Processo di Berlino”, tutti gli analisti sono concordi che questa iniziativa rappresenta maggiori e durature garanzie anche per l’attuazione delle quattro cosiddette libertà europee. E cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Ragion per cui l’iniziativa Open Balcan non è mai stata sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione. E non a caso i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea non sono stati presenti anche durante l’ultimo vertice della scorsa settimana a Belgrado.

    A questo punto bisogna sottolineare che, in realtà, quanto si prevede dall’iniziativa Open Balcan non è una novità. I punti cardini e gli obiettivi di questa iniziativa sono stati ideati e resi noti già negli anni ’90 del secolo passato. Nel 1999, dopo il definitivo sgretolamento dell’ex Jugoslavia, è stato pubblicato un articolo che presentava quelli che, venti anni dopo, nel 2019, sono proposti come gli obiettivi dell’iniziativa prima denominata “Mini-Schengen balcanico” e attualmente nota come Open Balcan. L’autore di quell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). In quell’articolo l’autore ribadiva che i Balcani “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. Secondo lui “L’unico modo per [avere] la pace e la prosperità è la creazione di una società aperta in cui lo Stato esercita un ruolo meno dominante e dove diminuisce l’importanza delle frontiere”. Lui proponeva, altresì, riferendosi ai Balcani, che “La regione deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania”. L’autore dell’articolo prevedeva anche una serie di misure da intraprendere per attuare il suo progetto nei Balcani e confermava che tutte queste necessità “sono note e la mia rete delle Fondazioni della Società Aperta adesso è attiva in diversi campi [previsti] del programma”. Guarda caso, ventidue anni dopo, durante il vertice di Skopje del 29 luglio 2021, l’iniziativa “Mini-Schengen balcanico” veniva ribattezzata come l’iniziativa Open Balcans! Mentre i tre firmatari dell’iniziativa adesso, dopo venti e più anni, si presentano come ideatori di quell’iniziativa, presentandola come una novità (Sic!).

    Le cattive lingue, da anni, stanno parlando dei legami di “amicizia personale” tra il fondatore delle Fondazioni della Società Aperta e i tre firmatari dell’iniziativa Open Balcan. Almeno il primo ministro albanese lo ha pubblicamente dichiarato il 23 settembre scorso, affermando che lui “è amico mio e sono fiero che l’ho come amico”! Dichiarazione d’amicizia fatta dopo che il primo ministro aveva pubblicato una fotografia fatta con il suo amico a New York, aggiungendo sotto anche la seguente dicitura: “A New York, con l’amico prezioso George Soros, una mente rara ed un incrollabile sostenitore della Società Aperta”. Ma, parlando di fotografie, durante il vertice della scorsa settimana a Belgrado è stata scattata e pubblicata una molto significativa. In quella fotografia si vedono, da un lato, il figlio di George Soros che “non si sa perché” era lì, mentre dall’altro lato i tre “amici” di suo padre, stando “sull’attenti” di fronte al figlioletto ereditario. Una fotografia quella che potrebbe dimostrare e testimoniare chi potrebbe essere, in realtà, il vero stratega delle iniziative in corso nei Balcani. Ed è proprio il caso di affermare che, a volte, soltanto una fotografia può svelare delle verità che tanti altri, con la demagogia e con i potenti mezzi di propaganda cercano di deformare, di annebbiare e di nascondere. Bisogna sottolineare che durante questi ultimi anni, alcune volte dietro le quinte, altre sul palco, il Soros junior è stato presente in tutti gli eventi che hanno a che fare con i progetti e le iniziative che riguardano i Balcani e che cambiano soltanto il nome.

    Nel frattempo, nei Balcani si stanno evidenziando dei focolai di tensione e di conflitti armati. Prima in Montenegro, all’inizio di settembre. Poi, due settimane dopo, sul confine tra la Serbia ed il Kosovo. Mentre attualmente in Bosnia ed Erzegovina. Molti media internazionali ne hanno dato notizia. Per gli analisti si tratterebbe di conflitti basati su quella che viene chiamata come la strategia della “Grande Serbia”. Paragonandola con quella ben nota ormai come la strategia della “Grande Russia”. Il nostro lettore capisce anche chi potrebbe aver ispirato cosa. E capisce anche il grande pericolo che potrebbe rappresentare, non solo per i Balcani, una simile realtà!

    Chi scrive queste righe ha spesso informato il nostro lettore sia sulla storia della regione balcanica, compresa quella degli ultimi anni, sia della drammaticità degli scontri etnici nella regione. Egli pensa che l’attuale situazione nei Balcani, da dove stanno arrivando delle preoccupanti avvisaglie, merita tutte le dovute e necessarie attenzioni, sia dalle istituzioni dell’Unione europea che da quelle oltreoceano. Attenzioni che, purtroppo, durante queste ultime settimane, almeno pubblicamente, sembrerebbero mancanti o, comunque, non quelle indispensabilmente dovute. A tutti coloro che hanno delle responsabilità istituzionali, ovunque siano, bisogna che venga ricordato, se non si ricordino, l’ammonimento [perifrasato] di Martin Luter King. Perché può darsi non siano ancora responsabili per la situazione nei Balcani, ma lo diventeranno se non fanno nulla per cambiarla.

  • Predicano i principi della democrazia ma poi…

    Prima di parlare domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male
    a qualcuno, se è utile, ed infine se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire.

    Buddha

    La settimana appena passata è stata carica di caldo afoso in tutta l’area mediterranea e nei Balcani. La settimana appena passata è stata carica anche di riunioni del Consiglio europeo. Il 22 giugno scorso a Lussemburgo si è riunito il Consiglio degli Affari generali, una struttura del Consiglio europeo, sancita dai trattati dell’Unione e composta dai ministri degli Esteri e Affari europei degli Stati membri. Tra i compiti del Consiglio vi è anche quello di orientare le decisioni sull’allargamento dell’Unione che dovrà prendere in seguito il Consiglio europeo. Ragion per cui uno dei temi trattati dal Consiglio degli Affari generali il 22 giungo scorso è stato proprio l’allargamento dell’Unione europea con i Paesi dei Balcani occidentali. Alla fine della riunione, il Consiglio ha deciso di rinviare la convocazione della prima conferenza intergovernativa sia per l’Albania che per la Macedonia del Nord. Lo ha dichiarato la Segretaria di Stato portoghese per gli Affari europei e presidente del Consiglio Affari generali, avendo il Portogallo la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea. Lei ha ribadito che “…Nonostante tutti gli sforzi [fatti], non è stato possibile mettersi d’accodo per avere una data, per la Macedonia [del Nord] e per l’Albania, per aprire i negoziati”. La decisione del 22 giungo scorso è stata condizionata dal veto posto dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. Un veto condizionato da alcune richieste ufficializzate e fatte presenti da alcuni anni. Richieste che hanno a che fare con le appartenenze nazionali, con le lingue e con la storia. Si tratta, infatti, di due popolazioni che hanno molto in comune. Sono popolazioni che, fino a diventare parte dell’Impero ottomano, facevano parte dell’Impero bulgaro, costituito nel settimo secolo dai proto-bulgari e da alcune altre popolazioni slavo-meridionali. La Bulgaria e la Macedonia sono state divise solo alla fine della seconda guerra balcanica (giugno – luglio 1913; n.d.a.). Dopo la sconfitta del regno della Bulgaria da parte del regno della Serbia quest’ultimo, in seguito al Trattato di Bucarest (agosto 1913; n.d.a.), si impadronì di quasi tutti i territori che attualmente costituiscono la Macedonia del Nord. La Bulgaria è convinta però della nazionalità bulgara dei macedoni. Tra i due Paesi c’è anche il contenzioso che riguarda alcuni eroi storici della guerra contro l’Impero ottomano. In più la Bulgaria ha ufficialmente chiesto alla Macedonia del Nord di non fare riferimento alla “lingua macedone” ma alla “lingua ufficiale della Repubblica della Macedonia del Nord”. Un’altra richiesta è quella di ottenere garanzie che la Macedonia del Nord non rivendichi più delle proprie minoranze sul territorio bulgaro. Sono queste le condizioni poste dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. Soltanto dopo l’adempimento di tutte queste richieste la Bulgaria toglierà il veto che blocca il percorso europeo della Macedonia del Nord.

    Per la prima volta il veto bulgaro ha condizionato anche il percorso europeo dell’Albania. E per la prima volta i ruoli si sono convertiti. Sì, perché durante questi ultimi anni era l’Albania che, non avendo regolarmente esaudito le condizioni poste dal Consiglio europeo, bloccava anche il percorso europeo della Macedonia del Nord. Questo in base ad una decisione presa e confermata anche un anno fa dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri del Unione europea. Decisione quella che sancisce la non divisione del percorso europeo dei due Paesi balcanici. Però adesso, “stranamente” e per la prima volta, da quando è diventato un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, l’Albania risulta abbia effettuato l’adempimento di tutte le quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo il 25 marzo 2020! Veramente strano, anzi, troppo bello per essere vero, visto che la vera realtà, quella vissuta e sofferta quotidianamente in Albania, dimostra proprio il contrario. Lo dimostra e lo testimonia senza ombra di dubbio quanto è accaduto dal 25 marzo 2020 ad oggi in Albania. La situazione è stata cambiata sì, ma è ulteriormente peggiorata. Dalle quindici condizioni sine qua non poste il 25 marzo 2020 dal Consiglio europeo all’Albania, solo una è stata parzialmente esaudita. Quella della ricostituzione, dopo circa tre anni e con tutte le gravi conseguenze, della Corte Costituzionale. Corte che ancora oggi non ha il pieno numero dei giudici costituzionali, come previsto dalla stessa Costituzione albanese. Mentre tutte le altre quattordici condizioni sine qua non rimangono come erano a fine marzo 2020. E nonostante ciò, “stranamente”, per i massimi rappresentanti dell’Unione europea e dei singoli Stati membri, il governo albanese ha fatto dei “miracoli”. Ragion per cui tutti i ministri, membri del Consiglio degli Affari generali, il 22 giugno scorso non hanno presentato obiezioni, anzi, hanno espresso la loro opinione positiva sull’Albania. Secondo loro “…l’Albania ha soddisfatto tutti i criteri per [aprire] i negoziati”! Una simile ed entusiastica opinione l’aveva espressa alcuni giorni prima anche uno dei due relatori del Parlamento europeo sull’Albania, un’eurodeputata portoghese del Gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo. Lo stesso Gruppo al quale aderisce anche il partito socialista albanese, capeggiato dall’attuale primo ministro. Secondo la relatrice, la decisione che doveva prendere il Consiglio europeo sull’Albania doveva rispecchiare tutti “…i progressi fatti dal Paese”. E poi lei esprimeva la sua ferma convinzione che per l’Albania “…Il Consiglio degli Affari generali deve pianificare la prima conferenza intergovernativa”. Perché, sempre secondo lei “…la buona volontà del popolo albanese nei confronti dell’Unione europea merita, lo stesso, questo sviluppo”! Chissà però a quale “sviluppo” si riferiva la relatrice sull’Albania del Parlamento europeo?! Anche il Commissario per l’Allargamento e la Politica di vicinato della Commissione europea, subito dopo la decisione presa dal Consiglio degli Affari generali, il 22 giugno scorso, ha dichiarato che “…quando si parla dell’Albania e della Macedonia del Nord, si è fatto molto durante i mesi passati, arrivando ad un evidente progresso”! Chissà però cosa considera progresso il Commissario per l’allargamento nel caso dell’Albania?! Ma lui, almeno, non poteva non riconfermare una “situazione tutta rose e fiori”, una “situazione di continui progressi”, come ripetutamente è stata definita negli annuali Rapporti di progresso della Commissione europea la situazione albanese dal 2016 fino al 2021. Anzi, lo aveva dichiarato lui stesso, il Commissario europeo per l’Allargamento il 1o giugno 2021, a nome della Commissione europea. Secondo lui “…l’Albania ha adempiuto tutte le [quindici] condizioni poste dal Consiglio [europeo] nelle sue conclusioni del 25 marzo 2020 per la convocazione della prima conferenza intergovernativa…”.

    Il radicale ed inatteso cambiamento dell’opinione sull’Albania, sia dei massimi rappresentanti dell’Unione europea, sia di quelli dei singoli Stati membri, è stato spiegato il 10 maggio scorso, a Bruxelles, dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza. Lui ha dichiarato, convinto, che i Balcani occidentali rappresentano “…una regione chiave con importanza geostrategica in Europa e per l’Europa”. Ragion per cui, secondo lui “…non aspetteremmo più due anni, ma neanche due mesi, finché facciamo rientrare i Balcani occidentali nell’agenda dell’Unione europea”. Più chiaro di così! Il che spiegherebbe anche il radicale ed inatteso cambiamento dell’opinione, per delle ragioni di “importanza geostrategica”, dei massimi rappresentanti dell’Unione europea e dei singoli Stati membri sull’Albania. Anche la decisione del parlamento olandese, il 16 giugno scorso, è stato un “chiaro segnale” di questo totale/radicale ed infondato cambiamento d’opinione. L’autore di queste righe ha trattato questo argomento la scorsa settimana (Una decisione che contrasta pienamente con la realtà; 21 giugno 2021). Egli ha trattato per il nostro lettore, non di rado, anche l’argomento delle “ragioni geostrategiche”. In un articolo egli scriveva che “…Sono proprio quei rappresentanti internazionali che fanno finta di niente anche per quanto riguarda il percorso europeo dell’Albania. Mettendo così a repentaglio la sensibilità e la fiducia degli albanesi nei confronti dell’Unione europea” (Stabilocrazia e democratura; 25 febbraio 2019).

    Chi scrive queste righe pensa che è importante parlare e predicare la sacralità dei principi della democrazia, ma soprattutto è importante permettere che siano attuati quei principi. Ovunque! Principi sui quali sono fondati tutti i Paesi evoluti del pianeta. Ma è disonesto però e del tutto non convincente predicare i principi della democrazia e poi, in realtà, calpestare proprio quei principi, per delle ragioni di “importanza geostrategica”. Significa semplicemente predicare bene e razzolare male. Come stanno cercando di fare adesso i massimi rappresentanti dell’Unione europea e dei singoli Stati membri nei Balcani occidentali. Trascurando i criteri di Copenaghen ed altri criteri posti ai singoli Stati candidati, si trascurano i principi della democrazia, sacri per molti Paesi fondatori, altri Paesi membri dell’Unione ed quelli oltreoceano. Così facendo si trascura la restaurazione dei regimi totalitari e si chiudono gli occhi, le orecchie ed il cervello di fronte ai modi dittatoriali dei nuovi despoti balcanici. Così facendo si chiudono gli occhi, le orecchie ed il cervello di fronte alla pericolosa, crescente e attiva collaborazione tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Così facendo si permette il consolidamento ed il funzionamento del cosiddetto State capture, cioè la cattura dello Stato nei Paesi balcanici. Albania compresa, anzi in prima fila. Perciò sarebbe utile a tutti i massimi rappresentanti dell’Unione europea e dei singoli Stati membri, i quali usano due pesi e due misure, fare uso della saggezza di Buddha. Per loro è valido il suo consiglio. E cioè che “Prima di parlare domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile, ed infine se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire.”.

  • A Bridge Not Too Far: Connecting Serbia-Greece-Cyprus

    Focusing on close ties, the foreign ministers of Greece, Serbia and Cyprus discussed new opportunities for greater cooperation in energy, transport and tourism as well as developments in Eastern Mediterranean, Greece’s Foreign Minister Nikos Dendias said.

    Dendias met Serbian Foreign Minister Nikola Selakovic and Cypriot Foreign Minister Nikos Christodoulidis in Belgrade on April 5.

    “The priority for us is the implementation of the Joint Declaration that was signed in the context of the 3rd High-Level Cooperation Council, which took place in December 2019, in Athens. Unfortunately, the pandemic blocked its full implementation. But we look forward to implementing it as soon as conditions allow,” Dendias said after his meeting with his Serbian counterpart.

    “We want our economic and trade relations to grow and deepen, along with our cooperation in important sectors such as energy and defence. Regarding energy, we discussed how to enhance connectivity between the countries in the region. And with regard to transport, I proposed – and I thank you for accepting this – a trilateral meeting between us and North Macedonia to discuss connectivity in our region,” Dendias said.

    In the context of the European perspective, he reiterated Greece’s undivided support for Serbia’s European perspective.

    Monitoring Turkey’s actions in the region

    The Greek Foreign Minister said Greece is also monitoring Turkey’s intentions in their wider region and the effort it is making to use economic, religious and cultural means to affiliate itself with countries in the region, and especially with the Muslim population. “This is an issue that we are always monitoring carefully,” he said.

    “As I said in our meeting, I intend to travel to Ankara in the immediate future, next week, under the condition, of course, that the right climate exists. Under the condition that Turkey does not proceed to provocative actions that will block my visit. So, we hope that, this time, the Turkish side will abstain from such actions,” Dendias said.

    After the joint meeting between Cyprus, Greece and Serbia, Christodoulides said the three ministers had the opportunity to review the prospects for further strengthening the existing strong bonds of friendship and cooperation between the three countries. “Our goal is none other than the creation and promotion of a positive agenda, for the benefit of our peoples, with the overarching goal of enhancing stability and prosperity in the wider region of the Western Balkans and the Eastern Mediterranean. Drawing on the experience of such formations with other countries I am certain, that our contacts and cooperation in the near future will be intensified at all levels, so that further tangible results will emerge in specific areas in the very near future,” Christodoulides said.

    The Cypriot Foreign Minister said they discussed energy issues and ways of cooperation, taking into account Serbia’s interest in energy developments in the Eastern Mediterranean, as manifested by the country’s participation in a recent meeting in the framework of energy cooperation between Cyprus, Greece and Israel. “Strengthening our economic cooperation through joint actions that can stem from the implementation of our strategy for economic diplomacy, was also discussed given the strong prospects for cooperation in this area, and we agreed to organize a Forum that will bring our business communities together,” he said.

    Cyprus issue

    Christodoulides also briefed his colleagues on the latest developments on the Cyprus issue, in view of the informal Conference to be convened at the end of the month in Geneva. “The sole goal is the resumption of substantive negotiations from the point where negotiations stopped at Crans Montana, to reach a comprehensive solution to the Cyprus problem that will really reunite the country on the basis of a bizonal bicommunal federation, in line with relevant UN Security Council resolutions and EU law, values ​​and principles, without anachronistic systems and structures that have no place in the 21st century,” Christodoulides said, adding that, at the same time, the EU’s meaningful participation in the discussions on resolving the Cyprus problem, as well as the existence of a climate conducive to a solution, without provocative statements and actions, either on land or at sea, are essential components for a successful outcome of the ongoing effort.

    “We also held a very open and constructive exchange of views on the latest developments in the Western Balkans, as well as on the European perspective of the countries in the region. On this occasion, we reaffirmed our strong support to Serbia’s accession process and expressed our willingness to continue to provide all possible assistance, both politically and at a technical level, for the fulfillment of this strategic objective,” Christodoulides said.

    For his part, Selakovic said he discussed with his colleagues the European future of Serbia. They also agreed to meet every six months to talk about topics from several areas of interest to Serbia, Greece and Cyprus.

    Selakovic pointed out that they also discussed economic cooperation, infrastructure, strengthening ties, energy, gas supply from various sources and various routes, and pointed out that the main goal of Serbia in regional policy is to preserve peace and stability.

    He added that the ministers agreed that greater cooperation is needed in the field of tourism, agriculture, and the IT sector.

    Selakovic thanked Greece and Cyprus for their principled support in preserving the sovereignty and integrity of Serbia, but also in terms of European integration, and pointed out that Serbia supports Greece in continuing the dialogue with Turkey.

    He also reiterated his support for the sovereignty of Cyprus and also gave his support for the continuation of the dialogue between Nicosia and Ankara.

  • Relazioni occulte e accordi peccaminosi

    Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico:
    “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”.

    Vangelo secondo Giovanni; 8/34

    La Turchia, dall’inizio del nuovo millennio, sta cercando di diventare un fattore geopolitico non solo a livello regionale. Un obiettivo strategico, quello, reso pubblico negli anni ’90 del secolo scorso dall’allora presidente turco Turgut Özal. “… Il 21o secolo sarà il secolo dei Turchi” dichiarava lui convinto. E così si poteva garantire una “… giusta posizione della Turchia nel mondo”. Una posizione, quella, che la Turchia aveva cominciato a perdere, partendo dall’inizio del 20o secolo, ancora prima del crollo definitivo dell’Impero. Ed era proprio sull’eredità dell’Impero ottomano che si poteva e si puntava per raggiungere quell’obiettivo strategico. All’inizio di questo millennio è stato pubblicato un libro intitolato Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia. Un libro che, guarda caso, non è stato tradotto in inglese. L’autore era Ahmet Davutoğlu, allora un professore universitario di relazioni internazionali ad Istanbul. In quel libro l’autore aveva definito proprio la strategia da seguire per raggiungere l’obiettivo formulato e pubblicamente dichiarato dal presidente Özal. Prese vita così quella che ormai è, pubblicamente ed internazionalmente, nota come la Dottrina Davutoğlu. Egli era convinto che la Turchia doveva smettere di avere una politica estera passiva, dipendente dagli alleati. Il tempo era venuto per attuare un nuovo approccio proattivo e multidimensionale nella politica estera, cominciando con tutta l’area d’influenza dell’ex Impero ottomano. Davutoğlu considerava come molto importante la posizione geografica della Turchia: una crocevia tra i Balcani, il Mar Nero e Caucaso, il Mediterraneo orientale ed il Golfo Persico, arrivando fino all’Asia Centrale. La Dottrina Davutoğlu considera molto importante anche l’eredità storica e i legami etnico-religiosi e culturali stabiliti, intessuti e consolidati durante secoli dall’Impero Ottomano. Davutoğlu riteneva che, nonostante le importanti riforme fatte da Mustafa Kemal Atatürk, il primo presidente della Repubblica (dal 1923 fino al 1938, quando morì; n.d.a.), considerato come il padre della Turchia moderna, i legami storici, religiosi e culturali con i paesi dell’ex Impero ottomano erano ancora presenti e validi. Secondo Davutoğlu, quei legami si dovevano soltanto riattivare. La sua dottrina si basava, tra l’altro, sulla costituzione di un raggruppamento, di un Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo la Dottrina Davutoğlu, la Turchia dovrebbe diventare un “…catalizzatore e motore dell’integrazione regionale. La Turchia non doveva più essere “un’area di anonimo passaggio”, ma diventare un “artefice principale del cambiamento”. Davutoğlu nella sua dottrina riteneva che la Turchia doveva “rivitalizzare la propria eredità storica, ricca, variegata e multiforme”. Perché solo in questo modo la Turchia potrebbe “…non solo contare sul piano regionale, ma esercitare la propria influenza nelle aree di crisi globali”. E perché questo obiettivo si potesse realizzare, la Turchia doveva organizzare diversamente i suoi rapporti “… con i centri di Potenza, creando un hinterland fondato su rapporti culturali, economici e politici storicamente consolidati.”.

    Davutoğlu era preoccupato del perenne scontro e gli attriti continui con la Grecia, nonché della crisi con la Bulgaria. Il che non ha permesso alla Turchia di attuare e garantire “un’incisiva politica per i Balcani”. Egli aveva fatto suo uno degli obiettivi del presidente Atatürk, “pace in casa, pace nel mondo”, proponendo la politica di avere “zero problemi con i vicini”. Una specie di Pax-Ottomana che dovrebbe permettere alla Turchia di diventare il rappresentante regionale e, perciò, anche il diretto interlocutore con le due attuali grandi potenze: gli Stati Uniti d’America e la Cina.

    La Dottrina Davutoğlu è stata appoggiata fortemente dall’attuale presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, dall’inizio della sua ascesa politica, che cominciò nel 1994, con la fondazione del suo partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP: Adalet ve Kalkınma Partisi; n.d.a.). Il resto è ormai pubblicamente noto. Nel frattempo però Erdogan, allora primo ministro, apprezzando il contributo di Davutoğlu, lo nominò nel 2009 come il suo ministro degli Esteri. In seguito, quando Erdogan è stato eletto presidente della Repubblica, Davutoğlu diventò primo ministro e dirigente del partito di Erdogan, nell’agosto 2014. Cariche che ha avuto fino a maggio 2016, quando, per forti disaccordi con Erdogan, Davutoğlu diede le sue dimissioni come primo ministro, e nel settembre 2016 anche come capo del partito. Da allora Davutoğlu ha fondato e guida il Partito del Futuro. Un partito di orientamento islamico conservatore ed in aperta opposizione con Erdogan. Nel frattempo però, il presidente turco sembra si sia dimenticato della politica di “zero problemi con i vicini”. Adesso Erdogan si sta affrontando con una ben altra e preoccupante realtà, caratterizzata da “solo problemi con i vicini”. Grecia compresa.

    Bisogna sottolineare comunque che la Turchia, cominciando dalla fine del secolo scorso e, soprattutto, durante il primo decennio degli anni 2000, ha raggiunto dei successi. E’ stato attuato un notevole e significativo sviluppo economico, con tassi di crescita inferiori soltanto alla Cina. Uno sviluppo basato sull’energia e le infrastrutture, su una politica economica che aveva permesso le dovute liberalizzazioni e l’apertura dei mercati, come si prevedeva anche negli acquis communautaire. Sì, perché la Turchia aveva firmato già dal 1963 il Trattato di associazione con l’allora Comunità europea (CE) ed in seguito, nel 1979, il Protocollo addizionale del Trattato di associazione. Nel 1999 il Consiglio europeo decise che la Turchia diventasse paese candidato all’adesione nell’Unione europea. I negoziati dell’adesione cominciarono nel dicembre 2005. Ma da allora ad oggi i negoziati non hanno fatto progressi, per delle ragioni ormai note. Non solo, ma da circa un decennio i rapporti della Turchia con l’Unione europea non sono progrediti; anzi! Da anni ormai Erdogan sembra non abbia più interesse ad aderire all’Unione europea. Non solo, ma proprio per “sfidare” l’Unione, dall’inizio dell’attuale decennio, lui ha cominciato e sta proseguendo, determinato e spesso anche minaccioso, ad assumere ed esercitare anche il ruolo del rappresentante internazionale dell’islamismo politico, tessendo, tra l’altro, rapporti di amicizia e di stretta collaborazione con l’Associazione dei Fratelli Musulmani.

    Proprio con Erdogan, ed invitato da quest’ultimo, c’è stato l’incontro del primo ministro albanese ad Ankara la scorsa settimana. Da notare che l’Albania, essendo stata per cinque lunghi secoli sotto l’Impero ottomano, dovrebbe aver a che fare anche con quanto prevede la Dottrina Davutoğlu. Essendo stata una visita “a sorpresa”, almeno in Albania, si sa ben poco di quello di cui, realmente, hanno parlato i due “amici” durante quei due giorni. Ma tenendo presente le realtà, sia in Turchia che in Albania, gli sviluppi e gli attriti nella regione, vivendo un periodo di “solo problemi con i vicini”, al contrario di quanto prevedeva la Dottrina Davutoğlu, quanto possano aver parlato e accordato il presidente turco ed il primo ministro albanese non si saprà mai.

    Chi scrive queste righe pensa, anzi è convinto, che quanto è stato deciso ed accordato durante quei colloqui segreti, non porterà niente di buono all’Albania e agli albanesi. L’autore di queste righe promette al nostro lettore di continuare a trattare l’argomento, con molta probabilità, la prossima settimana. Anche perché sono tante le cose che meritano la dovuta attenzione. Egli però è convinto che, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, il primo ministro albanese si presenta, da anni ormai, come un “devoto” del presidente turco, cercando di imitarlo e di diventare come lui: un despota! E come Erdogan lui cerca, a tutti i costi, di rimanere al potere. Erdogan, con il referendum del 2017, diede a se stesso ulteriori poteri istituzionali per attuare i suoi obiettivi. Il primo ministro albanese ha fatto lo stesso. Gli ultimi emendamenti costituzionali di due mesi fa, riguardanti la riforma elettorale, lo dimostrerebbero palesemente. Nel frattempo Erdogan punta a controllare i Balcani, parte dei quali è anche l’Albania, come prevede la Dottrina Davutoğlu. E nonostante non si sa di cosa sia discusso ed accordato tra i due la scorsa settimana, tutto fa pensare che Erdogan ha ed avrà il consenso del “suo amico”, il primo ministro albanese. Ma quest’ultimo non vende l’anima per niente. In cambio avrà l’appoggio di Erdogan durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile prossimo. Come lo stesso presidente ha accennato durante la conferenza stampa comune. Perché il primo ministro albanese vuol avere, costi quel che costi, un terzo mandato. E per averlo sarebbe disposto a tutto. Anche ad accordi peccaminosi con il suo amico presidente, con il quale tutto fa pensare che abbia stabilito delle relazioni occulte. Chi scrive queste righe è convinto, da quanto è accaduto in questi ultimi anni, che il primo ministro albanese abbia veramente molto peccato. Perciò, come testimonia il Vangelo di Giovanni, chiunque commette il peccato è schiavo del peccato!

  • Il merito come criterio

    Il mondo ricompensa più spesso le apparenze del merito, che non il merito vero.
    François de La Rochefoucauld

    Dal 1o luglio e fino al 31 dicembre 2020 la Germania eserciterà il suo diritto di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea. Un incarico molto importante questo visto che il Consiglio dell’Unione, insieme con il Parlamento europeo, rappresenta il potere legislativo dell’Unione stessa. La presidenza tedesca del Consiglio avrà come motto “Insieme per la ripresa dell’Europa”. Sono stati resi noti anche gli obiettivi del programma. Non potevano non essere obiettivi legati alla situazione causata sia dalla pandemia del coronavirus che dalle sue conseguenze. La realtà economica rappresenta una seria ed impegnativa sfida da affrontare e vincere. Un programma ambizioso quello del semestre tedesco, presentato l’8 luglio scorso, davanti al Parlamento europeo a Bruxelles, dalla cancelliera Angela Merkel. Il programma prevede un impegno comune e coordinato di tutti gli Stati membri dell’Unione per garantire “una ripresa economica e sociale a lungo termine”. Gli obiettivi posti dal programma, se raggiunti, renderanno possibile che l’Europa [unita] diventi non solo “più solida e innovativa”, ma anche “equa e sostenibile”. E, allo stesso tempo, che diventi “un’Europa della sicurezza e dei valori comuni”. Il che farà “un’Europa forte nel mondo”.

    Presentando il programma della presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione europea, la cancelliera ha dichiarato che “uno dei tre obiettivi della politica estera riguarda i Balcani occidentali”. E quando di parla dei Balcani occidentali si tratta soprattutto di due argomenti importanti. Uno riguarda l’integrazione europea dei paesi balcanici, l’altro, molto importante, la geopolitica, perché la penisola balcanica è diventata un territorio dove stanno aumentando gli interessi della Russia, della Cina, della Turchia e di altri stati. Paesi quelli che hanno già dei legami storici diversi, ognuno per conto proprio, con i paesi balcanici. Si tratta di legami, influenze e ormai anche di investimenti di vario tipo che rappresenterebbero una “minaccia” geostrategica e geopolitica per l’Unione europea. Ragion per cui, durante il vertice di Salonicco (21 giugno 2003), i dirigenti dell’Unione hanno dichiarato pubblicamente che l’integrazione dei paesi balcanici rappresenta un interesse strategico per l’Unione europea. Durante la conferenza di Berlino (28 agosto 2014) è stato presentato quello che ormai viene riconosciuto come il Processo di Berlino per i Balcani occidentali. Si tratta di un’iniziativa tedesca che ha come obiettivo finale l’integrazione dei paesi balcanici nell’Unione europea. Nell’ambito del Processo di Berlino sono stati svolti annualmente, da allora, i vertici di Vienna, di Parigi, di Trieste, di Londra e di Poznan. L’ultimo è stato il vertice di Zagabria, il 6 maggio 2020, in videoconferenza a causa del coronavirus. In tutti quei vertici è stato ribadito che l’integrazione dei paesi balcanici rappresenta un interesse strategico per l’Unione europea. Ma anche che tutti i paesi candidati all’adesione devono adempiere e rispettare i criteri di Copenaghen. Si tratta di quei tre criteri, approvati nel 1993, durante il vertice del Consiglio europeo nella capitale danese. E cioè il criterio politico, il criterio economico e l’adesione agli acquis communautaire. Quello politico rappresenta però una condizione sine qua non per l’adesione. Il che significa che nel paese candidato dovrebbero funzionare le istituzioni per garantire lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela.

    Ormai la Serbia e il Montenegro stanno affrontando il processo dell’integrazione europea come paesi candidati. Mentre la Macedonia del Nord e l’Albania attendono l’apertura dei negoziati come paesi candidati. I ministri per gli Affari europei, il 24 marzo scorso, hanno deciso tra l’altro, di aprire i negoziati per la Macedonia del Nord e l’Albania in una data da stabilire. Decisione che è stata adottata in seguito, il 26 marzo scorso, anche dai capi di Stato e di governo, durante il vertice del Consiglio europeo. Con una sola, ma molto significativa, differenza però. E cioè che per la Macedonia del Nord il Consiglio non ha posto nessuna condizione per l’apertura dei negoziati, mentre per l’Albania sono state poste ben 15 condizioni. Condizioni che, con qualche modifica non sostanziale, sono state approvate come emendamento, con un voto massiccio e trasversale dal Parlamento europeo, durante la sessione del 18-19 giugno scorso. Si tratta di quelle 15 condizioni sine qua non che, se non adempite tutte insieme, non potranno portare all’apertura della prima Conferenza intergovernativa tra l’Albania e gli Stati membri dell’Unione europea. Condizioni di cui però il primo ministro nega pubblicamente l’esistenza. Il nostro lettore è stato ormai informato di tutto ciò a tempo debito e a più riprese.

    Durante la sopracitata presentazione del programma per il semestre tedesco del Consiglio dell’Unione europea, riferendosi alla politica estera, la cancelliera Merkel ha parlato, tra l’altro, anche delle conferenze dell’apertura dei negoziati per l’adesione nell’Unione europea dei paesi balcanici. Ma per la prima volta però la cancelliera ha lasciato “diplomaticamente” capire che tra l’Albania e la Macedonia del Nord c’è una bella differenza. Ragion per cui ormai si potrebbero dividere i due paesi nel loro percorso europeo. Cosa che da tempo hanno chiesto diversi Stati membri dell’Unione, proprio per non penalizzare la Macedonia. Perché tutte le 15 condizioni poste all’Albania e che hanno a che fare con l’adempimento del criterio politico di Copenaghen non possono essere adempite e rispettate a breve. Ma quella richiesta realistica e ragionevole di dividere la Macedonia del Nord dall’Albania nel loro percorso europeo non è stata approvata però dagli altri paesi durante il vertice del Consiglio europeo del 26 marzo scorso, compresi la Germania e la Francia. Molto probabilmente, in quel caso, è stato “trascurato” il criterio politico di Copenaghen, per delle ragioni geostrategiche e geopolitiche. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito di quella decisione, sottolineando però anche le conseguenze che potrebbero derivare in Albania, visto l’uso speculativo ed ingannevole della propaganda governativa. Proprio presentando il programma per il semestre tedesco del Consiglio dell’Unione europeo, la cancelliera Merkel ha ribadito l’impegno dell’Unione durante “…i negoziati dell’adesione con la Macedonia del Nord e forse con l’Albania”! Proprio quella parte della frase pronunciata dalla cancelliera, “e forse con l’Albania”, secondo gli analisti e le persone che conoscono bene il “linguaggio diplomaticamente corretto”, rappresenta la vera novità. E cioè che con quell’affermazione la cancelliera ha confermato finalmente la vera, reale e significativa differenza, condivisa anche dagli altri paesi membri, che c’è tra la Macedonia e l’Albania. D’ora in poi perciò non si devono trattare più insieme nel loro percorso europeo.

    Chi scrive queste righe valuta e condivide le 15 condizioni poste all’Albania e approvate il 19 giugno scorso dal Parlamento europeo con un voto massiccio e trasversale. Egli giudica che sono tutte condizioni che rispecchiano il criterio politico di Copenaghen. Ragion per cui  il loro adempimento e rispetto rappresentano delle condizioni sine qua non durante tutto il percorso europeo dell’Albania. Chi scrive queste righe da sempre è stato, è e sarà fermamente convinto che l’unico criterio per l’adesione dell’Albania nell’Unione europea dovrebbe essere soltanto il merito e nient’altro. Per il meglio dell’Albania stessa, ma anche per tutta l’Unione europea. Ogni altro criterio, a lungo termine, creerà soltanto problemi e grattacapi. Perciò bisogna essere molto attenti a non ricompensare le apparenze del merito, ma il merito vero.

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