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  • Amsterdam supera Londra per appeal agli occhi degli investitori

    Londra non è più la capitale europea della finanza. Con la Brexit, Amsterdam attira più investimenti ed è diventata il nuovo principale ‘hub’ finanziario del Vecchio Continente. E questa è una diretta conseguenza della Brexit, in quanto la causa principale dello ‘shift’ è il divieto imposto alle istituzioni finanziarie con sede nell’Ue di investire oltremanica, perché Bruxelles non ha riconosciuto alle Borse e alle sedi di negoziazione del Regno Unito lo stesso status di vigilanza del suo. Il motivo? Essenzialmente perché Londra, a sua volta, non ha riconosciuto alcuna vigilanza europea alle aziende Ue che operano nella City. Ora si punta a riaprire il negoziato, ma non sarà facile farlo. E nel frattempo i capitali sono volati da Londra ad Amsterdam.

    Tuttavia, ci si chiede: perché questi capitali si sono rivolti principalmente ad Amsterdam e non a Francoforte o a Parigi? Secondo gli esperti esistono almeno due ragioni. La prima è che Amsterdam è molto più simile a Londra di Francoforte e Parigi, non solo per la lingua ma anche perché culturalmente l’Olanda è più simile alla City di Londra. Gli operatori finanziari si sentono più a loro agio lì che nelle altre sedi europee. La seconda ragione è più sostanziale: perché l’Olanda ha una fiscalità nettamente più vantaggiosa per il mercato dei capitali rispetto a quella delle altre capitali europee.

    L’Olanda viene equiparata cioè a un ‘paradiso fiscale’. Insomma, le grandi aziende, le cosiddette corporate, riescono ad avere accordi ad hoc, soprattutto per quanto riguarda le tasse sugli utili societari, con le autorità olandesi. Inoltre anche per quanto riguarda il trading azionario conviene di più spostarlo ad Amsterdam perché si pagano meno tasse. E questo indubbiamente pone un problema di fondo all’Unione europea: come fare a rendere più equo il ‘campo di gioco’? Ovviamente Amsterdam ha tutto l’interesse a lasciare le cose come stanno, visto che è diventata la calamita che attira la maggior parte dei capitali in uscita da Londra. Il Financial Times ha stimato uno spostamento immediato di 6,5 miliardi di euro verso l’Ue, non appena il periodo di transizione della Brexit si è concluso alla fine dello scorso anno. Si tratta di circa la metà del volume d’affari che le banche e gli intermediari londinesi avrebbero normalmente gestito se il Regno Unito fosse stato ancora un Paese membro. Come nota lo stesso Ft la strada verso l’unione dei mercati dei capitali in Europa è “ancora lunga”. A Bruxelles, il fulcro di questa strategia è l’Unione dei mercati dei capitali da tempo promessa, che mira a sbloccare i flussi di investimento transfrontalieri e ad aumentare l’accesso ai finanziamenti per le imprese europee.

    Il piano d’azione sull’Unione dei mercati dei capitali (Cmu) è stato lanciato dall’Ue a settembre del 2015 e deve ancora essere completato. In un rapporto, citato dal Ft, e preparato dal chief financial officer della Cmu, Kalin Anev Janse e da Rolf Strauch, il suo chief economist, si chiede un notevole potenziamento dei poteri di vigilanza dei due regolatori europei esistenti, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali. Questi due organismi, oltre ad avere un ruolo guida nella definizione delle normative su settori come la finanza verde e digitale, dovrebbero aumentare i loro poteri esecutivi e ottenere l’autorità di supervisionare direttamente i grandi partecipanti finanziari internazionali. “La sfida per l’Ue è definire e costruire un modello di vigilanza efficiente che armonizzi i mercati e garantisca la trasparenza e la protezione degli investitori”, afferma il documento. “Attualmente, pratiche di vigilanza divergenti nell’Ue ostacolano gli investimenti transfrontalieri”.

    Tutto ciò concorda con le ambizioni della Commissione europea, poiché l’Ue persegue la cosiddetta autonomia strategica nei servizi finanziari. Mairead McGuinness, commissario europeo per i servizi finanziari, ha assicurato che Bruxelles “punta sulla Cmu” e sta facendo “un sacco di lavoro” in questo senso.  Ovviamente esistono numerose raccomandazioni da parte di Bruxelles contro il dumping fiscale, dirette contro l’Olanda, ma anche contro Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo e Malta. L’obiettivo è quello di contestare le pratiche fiscali “aggressive”, che vanno a vantaggio delle grandi società, incentivandole a spostare la loro sede in Olanda. Uno strumento essenziale per Bruxelles per ridurre il dumping fiscale di Paesi come l’Olanda è il Recovery Plan. Tra gli obiettivi del Recovery infatti c’è una clausola, in base alla quale viene sostenuto che l’emissione di ingenti quantità di debito dell’Ue potrebbe aiutare a promuovere l’integrazione dei mercati dei capitali. In altre parole si tratterebbe di un ‘do ut des’: aiuti contro la pandemia in cambio di misure in favore di un più equo mercato europeo dei capitali. Ovviamente anche questa strada è stretta e lunga. Tuttavia non c’è dubbio che in una fase come questa, in cui l’agenda europea è dominata dalle questioni legate alla pandemia, uno scambio di questo tipo potrebbe servire ad ammorbidire la posizione delle autorità olandesi.

  • Gli annunci di Pfizer e Moderna spostano i trend delle Borse

    L’annuncio a pochi giorni di distanza prima di Pfizer e poi di Moderna in merito alla predisposizione di due vaccini efficaci almeno al 90% contro il coronavirus ha ridato entusiasmo ai mercati. La possibilità concreta a breve termine di contrastare la pandemia significa infatti che l’ondata in corso può essere contenuta ed eventuali ondate successive potranno essere ancor più circoscritte se non prevenute. In soldoni, i mercati si attendono meno lockdown e un ritorno alla normalità per quanto riguarda lo svolgimento delle ordinarie attività, anche economiche. E questo non può che innescare un trend rialzista dei listini.

    Il 9 novembre l’annuncio di Pfizer ha entusiasmato soprattutto l’Europa (+4,6% contro il +1,13% dell’indice americano S&P 500). Analogamente, l’annuncio di Moderna il 16 novembre è valso un +1,98% per la Borsa di Milano, +1,70% per quella di Parigi, +1,64% per quella di Londra e + 0,52% per quella di Francoforte (dove il titolo Moderna ha chiuso in rialzo del 7,9% a 82 euro), mentre negli States l’indice Standard & Poor’s ha guadagnato l’1,04% e il Nasdaq lo 0,69% (qui il titolo Moderna ha registrato un incremento intorno all’8%, a quota 96 dollari).

    Sostanzialmente, i mercati sono tornati ai livelli di ottobre, quando ci si attendeva ancora la seconda ondata pandemica, poi effettivamente giunta con conseguente rallentamento anche delle attività economiche. Osservando più analiticamente i mercati stessi, si nota che la speranza di vincere la battaglia contro Covid-19 appare in grado di ridare fiato ai titoli ciclici, a discapito del comparto tecnologico, che maggiormente aveva beneficiato del lockdown. Si tratta di un elemento molto importante in chiave prospettica, guardando cioè al 2021. Per tutto l’anno corrente, caratterizzato dal blocco dovuto alla pandemia, i titoli tecnologici Usa sono stati il motore della ripresa, ma ora la prospettiva di un vaccino sta spingendo i flussi verso altri settori, come quelli ciclici, che hanno ancora strada da fare per recuperare le valutazioni pre-Covid.

    Finché il mondo appariva sotto lo scacco del virus le attività economiche tradizionali, diversamente dalle imprese digitali, pativano prospettive di recessione, crollo del settore immobiliare, calo dei prezzi petroliferi, ridotti margini di profitto dovuti a bassi tassi di interesse. E infatti dall’inizio del 2020 il comparto growth è cresciuto di oltre il 25% mentre quello value si è contratto di oltre il 7%. Nel momento in cui appare possibile ‘armarsi’ per respingere l’offensiva di Covid-19, si torna a intravedere la possibilità di produrre e consumare come un tempo. In questo quadro, le aziende digitali appaiono costose e sopravvalutate quanto a prospettive di crescita. E infatti all’affiorare di una speranza non irrealistica di poter tornare a incontrarsi dal vivo e non solo online chiusi in casa propria, i titoli petroliferi sono stati tra i più performanti in Borsa (lunedì l’annuncio di Moderna ha fatto crescere Eni del 5% a Piazza Affari), mentre Zoom il 9 novembre (all’annuncio di Pfizer) ha perso il 17%.

    “I guadagni di oggi sono dei titoli non tecnologici, ovvero di quelli che erano stati penalizzati dal Covid. Da inizio anno i titoli tecnologici hanno guadagnato circa il 40%, mentre il resto dei mercati era morto, inclusa la Borsa Usa se si esclude la tecnologia. Se guardiamo a ciò che è accaduto dopo la notizia dell’arrivo di un vaccino notiamo che a festeggiare è l’economia tradizionale, e non quella tech” ha osservato lunedì 16 Giorgio Arfaras, direttore della Lettera Economica del Centro Einaudi, rimarcando anche che “l’economia del Vecchio continente ha molti meno titoli tecnologici di quella statunitense, è un’economia di composizione più tradizionale”.

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