burocrazia

  • Ognuno faccia la sua parte

    Chi ha attenzione per il futuro del pianeta ha visto con interesse i pochi ma speriamo concreti passi avanti fatti durante il Cop28 di questi giorni e sono state apprezzate le affermazioni del Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni che si è riferita alla necessità di uno sviluppo sostenibile e di un ambiente da difendere.

    È proprio tornando in Italia che dobbiamo chiedere al premier come pensa di intervenire per impedire che siano nuovamente usati, sia nelle nuove costruzioni che nelle ristrutturazioni, materiali che sono a rischio incendio, che sono nocivi per la salute e pericolosi.

    La recente, e deprecabile, vicenda del 110%, per mancanza di leggi chiare, ha consentito che per una gran parte delle case, alle quali è stato fatto il “cappotto”, sono stati usati pannelli pericolosi e a rischio combustione, come dimostra quello che è avvenuto recentemente a Roma con la conseguenza che decine di persone sono rimaste senza abitazione e che tutta la zona è stata inquinata dai fumi.

    Una delle prime leggi che il governo dovrebbe immediatamente varare è proprio quella che impedisca nell’edilizia l’uso di materiali insicuri, inquinanti, pericolosi e nocivi. Un capitolato certo che, se non rispettato, sanzioni in modo efficace chi ha tradito la fiducia e violato la legge.

    L’ambiente, l’ecosistema si tutelano dalle foreste amazzoniche alle costruzioni di casa nostra, dalla cura del verde pubblico al riutilizzo di quanto è possibile riciclare, ognuno faccia la sua parte e il governo, senza essere inutilmente vessatorio con elefantiache e sterili burocrazie, produca leggi chiare e ne controlli il rispetto.

  • Contenzioso tributario cresciuto del 55% nel 2022, è tornato ai livelli pre-Covid

    Dopo il rallentamento dovuto alla pandemia, il 2022 ha visto aumentare il contenzioso in materia tributaria, tornato ai livelli del 2019: le controversie complessivamente arrivate fino al 31 dicembre 2022 presso le Corti tributarie provinciali e regionali sono state 187.023, con un aumento del 55% rispetto all’anno precedente quando erano state 120.511.Oltre 190mila le cause tra fisco e contribuente decise. E al 31 dicembre scorso pendevano complessivamente 269.809 controversie, a fronte delle 272.677 del 2021. Nelle sedi regionali vi è stata una riduzione dell’arretrato rispetto al 2021 del 11,3%.

    Dati positivi, che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi del Pnrr, sottolinea il presidente del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, Antonio Leone, anche se – è la critica – la riforma “frettolosa” approvata l’estate scorsa sta “creando problemi” anziché risolverli. Non ultimo il fatto di essere arrivata prima della riforma fiscale, “di cui si parla ormai da decenni e che avrebbe dovuto precorrerla”. La riforma del fisco, che dovrebbe arrivare giovedì sul tavolo del Consiglio dei ministri, porterà benefici sul futuro andamento del contenzioso, è sicuro il viceministro all’Economia Maurizio Leo, che ha ricordato che “le controversie fino a 5mila euro rappresentato il 56% dei ricorsi in primo grado”.

    Vi è “uno stato di confusione normativa – lamenta Leone – causata sia dalla fretta del legislatore e sia dalla non adeguata ponderazione di alcune scelte che via via si stanno facendo” e un “disinteresse” verso la “Cenerentola dalla giustizia” che si traduce in “assenza di investimenti” in mezzi e personale, e nonostante questo “sono stati garantiti rapidi tempi di definizione delle cause”, in linea con i parametri europei di ragionevole durata del processo. “Il governo è attualmente impegnato a completare il processo di riforma della giustizia tributaria”, ha assicurato Leo, e “nell’ambito del disegno di legge delega per la riforma fiscale si occuperà anche del processo”: le “direttrici che si intendono seguire riguardano l’accelerazione della fase cautelare nei gradi successivi al primo, l’eliminazione della mediazione, tenuto conto che “la delega intende rafforzare il contraddittorio fra le parti nella fase precedente l’atto impositivo”, l’immediata lettura del dispositivo in udienza, l’implementazione dell’informatizzazione, con la standardizzazione degli atti processuali e strumenti di intelligenza artificiale.

  • Un po’ meno burocrazia: per le vetrate sui balconi non serve più il permesso

    Novità in arrivo per le verande. Le vetrate scorrevoli, amovibili e totalmente trasparenti, in grado di ridurre la dispersione termica e favorire il risparmio energetico, rientreranno d’ora in poi nell’edilizia libera, e potranno quindi essere realizzate senza alcun titolo abilitativo, certificazione o autorizzazione. La semplificazione arriva nel decreto Aiuti bis che ha appena ottenuto il via libera definitivo del Senato e si appresta a diventare legge.

    Ad essere inseriti tra le attività di edilizia libera previste dal Testo unico sull’edilizia saranno sono le cosiddette Vepa, le vetrate panoramiche, “dirette ad assolvere funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, di parziale impermeabilizzazione delle acque meteoriche, dei balconi aggettanti dal corpo dell’edificio o di logge rientranti all’interno dell’edificio. Purché – viene specificato – tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente reazione di volumi e di superfici”. Non dovrà insomma essere creata “nuova volumetria” e non si potrà comportare “il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile”. Il profilo estetico dovrà essere preservato in modo da “ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche”.

    La semplificazione arriva proprio mentre scoppia l’ennesima polemica sul Superbonus, stavolta senza l’intervento però dei partiti politici. L’oggetto del contendere è il video che Deloitte, che gestisce la cessione del credito per conto di alcune banche, ha chiesto ai tecnici asseveratori per illustrare rapidamente i lavori effettuati. Una prova ‘anti-frode’, secondo i diretti interessati, che però ha suscitato le proteste proprio dei tecnici, degli architetti e degli ingegneri. L’Oice aderente a Confindustria l’ha definita “un’ulteriore inutile incombenza a carico dei professionisti”, mentre gli architetti si dicono ‘sconcertati’ per la pretesa di un adempimento “non obbligatorio e non richiesto dalla normativa”. I periti industriali non usano mezzi termini e parlano di ‘Grande fratello’.

  • Il latino dimenticato: Tacito

    Non passa giorno in cui esponenti della politica sia nazionale che regionale non propongano una nuova legge per vietare o quantomeno “disciplinare” un determinato” fenomeno.

    Buona parte delle iniziative legislative trova la principale motivazione nell’intenzione di arginare, se non addirittura vietare, una determinata espressione comportamentale anche se spesso questa risulti assolutamente ininfluente nella vita quotidiana. Basti ricordare il divieto di fumare in auto con dei figli piccoli equivalente ad un obbligo di affetto e buona educazione verso i genitori.

    Non è azzardato, quindi, affermare come buona parte di queste iniziative normative non abbiano come fine la creazione di strumenti per lo sviluppo economico e sociale ma limitazioni se non appunto addirittura divieti di fenomeni già in atto. In più, anche sotto anche il solo profilo della tempistica, emerge evidente il ritardo, anche solo della comprensione, di un fenomeno in atto.

    Successivamente si manifesta anche il carattere quasi sempre censorio come prima motivazione politica di queste iniziative “democratiche” in Italia. In più, la sintesi di questa continua “regolamentazione normativa” si rivela come espressione non tanto di una visione politica a medio-lungo termine quanto di un’attività comunque in perenne ritardo in relazione alla realtà quotidiana.

    All’interno di questa ipertrofia normativa trova forma una della più infantili espressioni di giustificazione della presenza in vita dell’intero comparto della politica nazionale e locale.

    Il triste e complesso risultato di un simile approccio della classe politica degli ultimi trent’anni deriva dalla semplice constatazione di un paese che si ritrova ora con circa 111.000 norme in vigore alle quali va aggiunta la cospicua produzione normativa regionale.

    A questo vero e proprio pantano normativo in grado di affossare o quantomeno rallentare qualsiasi attività economica ma anche sociale fa riscontro la Germania la quale organizza il proprio sistema con 5.500 leggi (meno del 5% rispetto al nostro ordinamento), mentre la Francia ne presenta 7.000 (poco più del 6% rispetto al nostro Paese), un sistema normativo questo che comunque possiede oltre il doppio di leggi rispetto alle 3.000 della Gran Bretagna (meno del 3% rispetto al nostro complesso ordinamento).

    Si riguarda, infatti, come non esista nell’articolata storia del nostro Paese un solo governo che non abbia contribuito alla crescita sconsiderata del quadro normativo fino al punto di non ritorno da questa metastasi legislativa.

    Il disastroso ed elefantiaco quadro normativo nazionale rappresenta la massima espressione di questo fenomeno imputabile all’intera classe politica che potremmo definire come “normofascismo/normocomunismo“.

    In questo contesto disarmante sotto il profilo operativo ecco allora venire in aiuto, al fine di comprendere la reale situazione del nostro ordinamento e lo Stato reale della nostra democrazia il pensiero di Tacito il quale recitava: “moltissime sono le leggi quando lo stato è corrotto”.

    Il poeta latino dimostra come anche da un semplice confronto percentuale delle leggi in vigore tra il nostro Paese ed altre tre democrazie europee, l’Italia non possa più essere considerata una democrazia reale.

    In altre parole, lo Stato rappresenta, per chi ne acquisisce il potere esecutivo e legislativo, lo strumento per controllare un popolo inconsapevole ma egualmente colpevole del proprio livello di sottomissione. A questo si aggiunga come con una simile situazione normativa venga meno ogni possibilità di ripresa economica e di crescita ma contemporaneamente si moltiplicano i centri di controllo burocratico e politico che si trasformano in vere e proprie forme di potere vessatorio.

    Paradossale, inoltre, come si continui a parlare di una società liquida quando nella realtà quotidiana il nostro Paese è caratterizzato da una moltitudine di obblighi e gabelle burocratiche.

    Il combinato di queste norme ha l’unica giustificazione nella manifestazione della prova dell’esistenza stessa dello stato e soprattutto di chi le esercita in nome di questo Stato ” sovrano”.

    Probabilmente sarà anche per questo che ogni tanto qualche genio della politica propone di escludere il latino dalle materie fondamentali del nostro sistema di istruzione.

    Mai come in questo periodo nel quale l’informazione di ogni tipo ed ogni genere fluttua liberamente la cultura classica rappresenta un presidio fondamentale per comprendere il vero senso della democrazia.

  • Meno burocrazia per gli ecuadoriani in Italia grazie alla chat creata dalla Console generale a Milano

    Vita più facile per i cittadini ecuadoriani che vivono a Milano che da ora innanzi, per avere informazioni o accedere a pratiche burocratiche, non dovranno più sopportare tempi di attesa lungi e stressanti. Grazie infatti alla chat creata dalla Console Generale dell’Ecuador a Milano, Avv. Lorena Tapia N., per la prima volta, senza nessun tipo di appuntamento, i cittadini potranno comunicare con la Console e fissare appuntamenti, incontri ecc. L’iniziativa è stata accolta con grande entusiasmo da parte delle Associazione e dai cittadini i quali hanno da sempre lamentato la mancanza di un contatto concreto e rapido con le istituzioni diplomatiche che li rappresentano. In questo modo l’autorità consolare può essere contattata direttamente o mettersi lei stessa in contatto con i suoi connazionali a Milano, e non solo, in ogni momento della giornata, per conoscere meglio la loro situazione, i problemi e le attività sociali. L’iniziativa della Console Tapia è nata anche grazie alle tante associazioni di ecuadoriani a Milano e ha già permesso di organizzare alcune attività, come quelle legate alle festività natalizie, grazie alle numerose comunicazioni che di giorno in giorni si diffondono sempre più nella chat.

  • Gli appalti si complicano, parola d’ordine semplificare

    L’Italia muore di burocrazia, questo il risultato che trova conferma anche nella ricerca della CGIA pubblicata a gennaio 2019, su dati della Commissione europea riferiti al 2017.

    Peggio di noi, in Europa, solo la Grecia e questo, visti i trascorsi , dovrebbe allarmare più che mai.

    Il coordinatore dell’Ufficio Studi Paolo Zabeo, in un’intervista pubblicata da ADNKRONOS il 12 gennaio 2019, segnalava come “il livello medio complessivo sia preoccupante. L’incomunicabilità, la mancanza di trasparenza, l’incertezza giuridica e gli adempimenti troppo onerosi hanno generato una profonda incrinatura, soprattutto nei rapporti tra le imprese e i pubblici uffici, che ha provocato l’allontanamento di molti operatori stranieri che, purtroppo, non vogliono più investire in Italia anche per l’eccessiva ridondanza del nostro sistema burocratico”.

    Le aziende e i professionisti che le assistono devono confrontarsi quotidianamente con adempimenti vari, comunicazione di dati, procedure in deroga e chi più ne ha più ne metta. Reverse charge, split payment sono ormai termini di uso comune, non solo per gli addetti ai lavori, che identificano situazioni in cui gli adempimenti sono traslati a carico di soggetti cui, in realtà non competerebbero. Questo sacrificio viene richiesto, ancora una volta, per arginare frodi in ambito iva o, comunque, cercare di ridurre il “vat gap” che ci vede primeggiare in Europa.

    Analoghi modus operandi sono stati adottati, già in passato, nel campo delle ritenute fiscali e previdenziali per limitare il fenomeno dei mancati versamenti.

    Ricordo che la ratio di effettuare le ritenute (previdenziali o fiscali) e rimettere il relativo versamento in capo al committente si basa sull’assunto del contrasto di interessi per cui, sottraendo l’adempimento alla “discrezionalità” del soggetto inciso si avrebbe maggior certezza che lo stesso venga effettuato correttamente.

    Apparentemente nemmeno questo meccanismo è ormai sufficiente in Italia per cui siamo costretti ad andare ancora a monte. Tant’è che il Dl 124/2019, all’art. 4, trasferisce in capo al committente (purché sostitutivo di imposta e residente in Italia), l’obbligo di versare le ritenute sui redditi di lavoro dipendente e assimilati operate dall’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice.

    E’ chiaro che il traslare questo tipo di adempimenti comporta un maggior aggravio burocratico in un sistema che invece dovrebbe essere notevolmente semplificato per riacquistare appeal e efficienza. L’adempimento è, tra l’altro, oltremodo macchinoso comportando che l’impresa appaltatrice fornisca al committente l’elenco nominativo dei soggetti con le relative ritenute operate, dimenticando che un medesimo lavoratore potrebbe aver lavorato presso più committenti con difficoltà quindi di ripartire e riattribuire l’onere sugli stessi.

    La novella prevede ancora che l’appaltatrice fornisca al committente la provvista in denari per effettuare il versamento, privando pertanto il contribuente di effettuare il versamento in compensazione con eventuali crediti tributari dallo stesso vantati.

    Unico modo, ad oggi, per sottrarsi all’inversione del soggetto incaricato ad effettuare il versamento delle ritenute è quello di operare con società appaltatrici che siano in esercizio da almeno cinque anni ovvero abbia eseguito nei due anni precedenti versamenti complessivi registrati nel conto fiscale per un importo superiore a 2 milioni di euro nonché non abbiano pendenze con l’amministrazione finanziaria per importi superiori a cinquantamila euro.

    Emerge chiaramente come una simile condizione falsi la concorrenza penalizzando aziende di recente costituzione che, non solo verranno discriminate dai committenti che preferiranno evitare tutta la complessità burocratica descritta, ma anche laddove riuscissero a lavorare, non potranno usufruire legittimamente della compensazione di eventuali crediti vantati.

    Le intenzioni di fondo del legislatore saranno pur legittime e condivisibili, ma forse andrebbero perseguite con modalità differenti, senza aggravi burocratici e senza discriminazioni.

    Mi interrogo, infine, sulla tenuta del sistema e sui suoi fondamentali posto che servono continue deroghe. Deroghe che spesso e volentieri complicano la vita dei cittadini, ingenerano incertezza e accrescono il rischio di essere sanzionati. Tutto questo in un apparato che è già di per sé farraginoso e complicato e, come anticipato in premessa, andrebbe semplificato e non burocratizzato.

  • Arrivano le nuove norme dell’UE che ridurranno le lungaggini burocratiche per i cittadini che vivono o lavorano in un altro Stato membro

    Da sabato 16 febbraio cominceranno ad essere applicate, in tutti gli Stati membri, nuove norme dell’UE che ridurranno costi e formalità burocratiche per i cittadini che vivono al di fuori del loro paese d’origine.

    Attualmente i cittadini che si spostano o vivono in un altro paese dell’UE – circa 17 milioni – devono chiedere l’apposizione di un timbro per dimostrare l’autenticità dei propri documenti pubblici (ad esempio, un certificato di nascita, di matrimonio o di morte).

    A norma del nuovo regolamento, quando si presenteranno documenti pubblici rilasciati in uno Stato membro dell’UE alle autorità di un altro Stato membro, non sarà più necessario alcun timbro di autenticazione e, di conseguenza, verranno meno anche le relative procedure burocratiche. In base alle nuove norme, inoltre, i cittadini non saranno più tenuti a fornire in molti casi una traduzione giurata/ufficiale del loro documento pubblico. Il regolamento prevede al tempo stesso solide garanzie per prevenire le frodi.

    Le nuove norme elimineranno una serie di procedure burocratiche:

    i documenti pubblici (certificati di nascita, di matrimonio, del casellario giudiziale, ecc.) rilasciati in un paese dell’UE dovranno essere accettati come autentici dalle autorità di un altro Stato membro senza che sia necessario apporvi alcun timbro di autenticazione;

    il regolamento elimina anche l’obbligo per i cittadini di fornire in tutti i casi una copia autenticata e una traduzione asseverata dei documenti pubblici che li riguardano. Si potrà richiedere un modulo standard multilingue, disponibile in tutte le lingue dell’UE, da presentare come ausilio alla traduzione allegato al documento pubblico per evitare l’obbligo di traduzione;

    il regolamento prevede tutele contro le frodi: in caso di dubbi fondati sull’autenticità di un documento pubblico, l’autorità ricevente potrà verificarla con l’autorità di emissione dell’altro paese dell’UE attraverso una piattaforma informatica già operativa: il sistema di informazione del mercato interno (IMI).

    Il regolamento riguarda soltanto l’autenticità dei documenti pubblici; per il riconoscimento del contenuto e degli effetti dei documenti pubblici rilasciati in un altro paese dell’Unione gli Stati membri continueranno infatti ad applicare le norme nazionali

  • Il lavoro? Rifare la rete idrica, il sistema trasporti, abbattere la burocrazia ma il governo è sordo

    Mentre tra leader italiani ed europei è sempre più in voga il gioco di vedere a chi fa pipì più lontano per capire chi c’è l’ha più lungo o più duro nessuno sembra occuparsi e risolvere almeno alcuni dei tanti problemi che ci affliggono, cominciando dall’obsolescenza delle nostre tubature per l’acqua potabile a causa della quale un bene, più prezioso del petrolio, è sprecato e perduto per sempre. L’Italia ha il record europeo per lo spreco di acqua perduta a causa dell’inefficienza del sistema idrico, il nostro spreco è di circa il 38%, in Sicilia vi sono ancora decine di migliaia di cittadini con l’acqua potabile razionata e solo a Roma si perde più del 40%! Rimettere in funzione la nostra rete idrica non solo farebbe risparmiare un bene prezioso e non rinnovabile, specie in un’epoca che con l’aumento delle temperature fa prevedere una sempre più forte esigenza di acqua, ma rimetterebbe in moto diverse attività lavorative, dagli ingegneri alle maestranze, da coloro che producono le tubazioni all’edilizia.

    Mentre ci si accapiglia a vuoto sulla Tav cresce l’assordante silenzio di governo e regioni sulla inadeguatezza delle strutture e dei collegamenti per i pendolari che viaggiano in condizioni quasi sempre disastrose, basti pensare alla rete Piacenza-Milano, Piacenza-Voghera ed alla mancanza di collegamenti diretti dalla Lombardia alla Liguria, nonostante il crollo del ponte avrebbe dovuto far pensare all’avveniristico ministro Toninelli all’urgenza di collegamenti sia per chi lavora che per i turisti. La Liguria infatti rischia sempre più di essere tagliata fuori anche dopo i recenti disastri ambientali subiti dai suoi  porti turistici. E abbiamo citato alcune linee del nord, per non parlare del fatto che l’Italia, annoverata tra le potenze industriali mondiali, ha una delle sue più importanti regioni, la Sicilia, quasi priva di collegamenti decenti sia stradali che ferroviari. Quante opportunità di lavoro, di investimento se il governo pensasse a tutti coloro che, per colpa di un sistema di trasporti antiquato ed inefficiente, non riescono normalmente a raggiungere il posto di lavoro e a quanti posti di lavoro ci sarebbero se ciò che è obsoleto fosse rinnovato?

    In ottobre il Corriere della Sera riportava che per avviare un’attività, un’impresa in Italia sono obbligatori 65 passaggi in 26 diversi sportelli, con 39 file tra reali e virtuali, secondo una ricerca dell’osservatorio CNA (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa) che misura il peso della burocrazia sulla nascita di un’impresa, anche la più piccola, come bar, gelateria, parrucchiere. La burocrazia, oltre l’eccessiva tassazione, sta strozzando chi è in attività e scoraggiando coloro che vorrebbero iniziare. Siamo quasi a un anno di governo, abbiamo sentito insistenti pronunciamenti sulla lotta alla povertà ma sembra che nessuno abbia ancora capito che per sconfiggere la povertà e l’umiliazione occorre creare lavoro non con incentivi tampone ma con opere pubbliche necessarie ed urgenti e con l’abbattimento di quella inutile e farraginosa burocrazia che gli altri paesi europei hanno tagliato e snellito da anni. Non si chiede al governo di inventare ma di informarsi e studiare i metodi che in altre nazioni portano sviluppo e lavoro.

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