caldo

  • Brazil records its hottest ever temperature

    Brazil has recorded its hottest ever temperature – 44.8C (112.6F) – as parts of the country endure a stifling heatwave.

    The record was hit on Sunday in the town of Araçuaí, in Brazil’s south-eastern state of Minas Gerais.

    The unprecedented weather has been attributed to the El Niño phenomenon and climate change.

    Forecasters say some of the heat is likely to ease this week.

    According to the National Institute of Meteorology (Inmet), only three state capitals will see temperatures approaching 40C, CNN Brasil reported.

    The government agency said Araçuaí’s high of 44.8C had beaten the country’s previous record of 44.7C, measured in 2005.

    The heat has seen red alerts issued across the country, weeks before the beginning of summer in the southern hemisphere. Brazil’s energy consumption has soared to record levels as people try to keep themselves cool.

    The high temperatures led to Taylor Swift cancelling one of her concerts in Rio de Janeiro after a fan fell ill and died before a show on Friday.

    According to the organisers, 23-year-old Ana Clara Benevides Machado had sought help at the stadium after feeling unwell. She was transferred to hospital but died one hour later.

    Official research released two weeks ago showed that the average temperature in the country had been above the historical average from July to October.

    Extreme weather is becoming more frequent and more intense in many places around the world because of climate change.

    According to scientists, heatwaves are becoming longer and more intense in many places and this is expected to continue whilst humans keep releasing planet-warming greenhouse gases.

    Meanwhile, the Earth is currently in an El Niño weather phase, during which time global temperatures typically increase.

  • Groenlandia mai così calda negli ultimi mille anni

    Il riscaldamento globale sta facendo sentire i suoi effetti sulla Groenlandia, dove da un millennio non si rilevavano temperature elevate come quelle registrate recentemente, e costituisce una seria minaccia per il 40% dei vertebrati che vivono sulla terraferma. Lo indicano due ricerche indipendenti pubblicate nello stesso numero della rivista Nature.

    A seguire l’andamento della temperatura in Groenlandia negli ultimi mille anni è la ricerca condotta dall’Istituto tedesco Alfred-Wegener, dalla quale emerge che nell’ultimo periodo considerato, che va dal 2001 al 2011, la temperatura media è stata più alta di 1,5 gradi rispetto a quella degli ultimi mille anni.

    Guidati da Maria Hörhold, i ricercatori hanno analizzato le carote di ghiaccio prelevate nelle regioni più interne della Groenlandia, senza precedenti per lunghezza e qualità.  Hanno raccolto così dati preziosi, che hanno permesso di ricostruire la storia climatica dell’isola dall’anno 1000 fino al 2011 e che hanno dimostrato come il riscaldamento globale abbia ormai raggiunto anche il cuore dell’isola: “Questi dati – ha detto Hörhold – mostrano che il riscaldamento dal 2001 al 2011 differisce nettamente dalle variazioni naturali degli ultimi mille anni”. Risultati che hanno sorpreso i ricercatori, che non si aspettavano una differenza di temperatura così evidente rispetto al passato anche nelle zone più interne della Groenlandia.  La seconda ricerca, condotta dall’Università dell’Arizona a Tucson, mette l’accento su un altro aspetto del riscaldamento globale, ossia sulle ondate di calore: questi fenomeni, che consistono in periodi di almeno sei giorni consecutivi con temperature molto superiori alla media locale del periodo, stanno diventando sempre più frequenti. Guidati da Gopal Murali, i ricercatori stimano che questi fenomeni estremi, potranno avere gravi ripercussioni sui vertebrati che vivono sulla terraferma, fino a mettere a rischio la sopravvivenza del 40% di essi entro il 2099.

    Sperimentate in Italia, soprattutto nel 2022 così come in India e Pakistan con temperature sopra i 50 gradi o in Gran Bretagna dove si sono superati i 40 gradi a luglio, le ondate di calore sono fenomeni strettamente connessi alla crisi climatica e i loro effetti sul mondo animale sono stati finora poco studiati. La ricerca dell’Università dell’Arizona è fra le prime a misurare il livello di stress indotto nella fauna selvatica dai periodi di caldo eccezionale, rilevano che uno degli effetti principali porta a un calo della riproduzione, e di conseguenza delle popolazioni.

    Prendendo a riferimento tre possibili scenari climatici (uno in cui il riscaldamento globale si attesterà nel 2099 a 4,4 gradi rispetto ai livelli preindustriali, uno a 3,6 e infine l’ultimo a 1,8 gradi) i ricercatori hanno stimato che nel primo scenario a soffrire di forte stress sarà il 41% dei vertebrati, il 29% nel secondo scenario e il 6% nell’ultimo. Ad essere a maggior rischio, considerando il primo scenario, saranno anfibi (il 55%) e rettili (51%) mentre a soffrire meno saranno mammiferi (31%) e uccelli (26%).

  • L’esperto D’Angelis: il governo aumenti la quota del Pnrr destinata alle reti idriche

    “Siamo l’unico Paese europeo che non riusa l’acqua di depurazione. E da giugno del prossimo anno l’Europa ci sanziona anche per questo motivo. Abbiamo un ritardo pazzesco nelle infrastrutture idriche dell’acqua che va al rubinetto perché con la legge Galli tutto è delegato alla bolletta e avendo noi la bolletta più bassa d’Europa, non è che con i proventi si possono fare grandi riparazioni, sostituzioni, sono costose. L’acqua non è più nei bilanci dei Comuni, delle Regioni. La conclusione di  stato paradossale è il Pnrr: su quasi 200 miliardi l’acqua ne ha l’1, il 2% delle risorse. Una cosa indecente». Come riecheggiando le considerazioni che l’on. Cristiana Muscardini ha sottoposto al ministro delle Infrastrutture Enrico Govannini, anche Erasmo D’Angelis, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Agi, evidenzia che «il Pnrr deve finanziare la Rete delle reti, che sono le vie d’acqua. Va bene finanziare le reti stradali, autostradali, ferroviarie, le reti digitali, ma la rete idrica è essenziale, vitale. Siamo rimasti all’Ottocento, a quelle opere lì, il Canale Cavour, ma ora bisogna avviare un nuovo cantiere di opere come è stato fatto alla fine di quel secolo e negli anni ’50 e ’60 del dopoguerra. È un lavoro enorme, ma va fatto».

    Tra i massimi esperti di acque e delle sue problematiche ambientali e climatiche, un lungo impegno di ecologista e giornalista ambientale, già presidente di Publiacqua, l’azienda degli acquedotti e della depurazione della Toscana centrale, presidente della Commissione Ambiente del Consiglio Regionale della Toscana, sottosegretario del Governo Letta con delega anche alle dighe e infrastrutture idriche, ideatore e coordinatore di Italiasicura, la struttura di missione di Palazzo Chigi per il contrasto al dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche, oggi segretario generale dell’Autorità di bacino dell’Italia Centrale, autore di Acque dItalia (Giunti Editore, € 7,50) D’Angelis ricorda che l’Italia è “il Paese più ricco d’acqua d’Europa». E osserva: “Abbiamo un cumulato di pioggia elevato, anche perché due terzi dell’Italia è fatto da colline e montagna e sui rilievi piove tanto. Non ce ne accorgiamo, perché viviamo tutti in pianura, ma abbiamo piogge medie l’anno per 302 miliardi di metri cubi. Un raffronto? A Roma piovono ogni anno in media circa 800 millimetri di pioggia, a Londra 760 e però, nell’immaginario, l’Inghilterra è il Paese delle piogge come la Germania, la Francia. Noi abbiamo più piogge, più corsi d’acqua di ogni altro paese europeo: ne abbiamo 7.596, di cui 1.242 sono fiumi. Ma tutti i nostri corsi d’acqua, di cui oggi la gran parte sono in secca, alcuni sono addirittura polvere, hanno – unico paese europeo di queste dimensioni – un carattere torrentizio, non fluviale come sono i grandi fiumi europei, che sono lunghi oltre mille chilometri, larghi che sembrano enormi laghi. Ma in Italia se c’è pioggia hanno acqua, se non c’è vanno in secca subito. Infatti rischiamo le alluvioni proprio perché d’improvviso non ce la fanno ad assorbire l’acqua”.

    Una condizione che però è insieme un paradosso e una contraddizione.

    “Esatto. Ma il paradosso è che siamo ricchi d’acqua, abbiamo 342 laghi, ma siamo poverissimi d’infrastrutture idriche. I grandi investimenti italiani negli schemi idrici si sono fermati negli anni ’60 dal Novecento. E da lì in poi, trent’anni dopo, lo Stato ha cancellato di fatto dai fondi pubblici tutte le risorse per il bene pubblico e con la legge Galli del 1996 ha delegato per l’idropotabile tutto alle risorse della tariffa e non sono state più costruite né dighe né invasi”.

    Il risultato qual è?

    “Noi abbiamo 526 grandi dighe più circa 20 mila piccoli invasi. Immagazziniamo oggi più o meno l’11,3% dell’acqua piovana in questi contenitori. Cinquant’anni fa se ne immagazzinava circa il 15%, perché nel frattempo non essendoci manutenzione, sfangamenti – i sedimenti mano a mano si accumulano e lo spazio per l’acqua si riduce –, il risultato è che abbiamo queste grandi dighe che non vengono ripulite perciò riescono a stoccare sempre meno acqua”.

    Allora, lacqua c’è, in abbondanza, non sappiamo trattenerla ma dove finisce?

    “Ne sprechiamo una quantità inenarrabile. Fatto 100 i prelievi dell’acqua, noi però sappiamo quasi tutto solo di un segmento del 20%, che è poi l’acqua che arriva al rubinetto. Ed è l’unica acqua controllata da un’autorità, che è Arera, Autorità di controllo di energia, gas, acqua che controlla le aziende idriche. E sappiamo che nei 600 mila km di rete idrica italiana noi perdiamo per strada il 42% di acqua. Uno scandalo, la più alta percentuale mai esistita”.

    Ma dell80% dacqua che resta, cosa sappiamo invece?

    “Questo è il punto. Su quell’80% non c’è alcuna autorità di controllo, di regolazione. Circa il 51% viene utilizzato in agricoltura, dove se ne spreca almeno la metà con l’irrigazione a pioggia, e poi c’è un 25% di acqua prelevata per usi industriali. Siamo l’unico paese europeo che con l’acqua potabile ci lava i piazzali, gli automezzi, raffredda gli impianti produttivi, quando potrebbe esser fatto con il riuso delle acque di depurazione, di riciclo. Noi abbiamo ottimi depuratori da cui fuoriescono più o meno 9 miliardi di metri cubi acqua ogni anno, anche di grande qualità, trattata, depurata, e la ributtiamo a mare…”

    Come in mare?

    “Siamo l’unico paese europeo che non riusa l’acqua di depurazione. E da giugno del prossimo anno l’Europa ci sanziona anche per questo motivo. Abbiamo un ritardo pazzesco nelle infrastrutture idriche dell’acqua che va al rubinetto perché con la legge Galli tutto è delegato alla bolletta e avendo noi la bolletta più bassa d’Europa, non è che con i proventi si possono fare grandi riparazioni, sostituzioni, sono costose. L’acqua non è più nei bilanci dei Comuni, delle Regioni. La conclusione di questo più che crisi idrica per mancanza d’acqua è crisi di infrastrutture. Certo, è un problema di stoccaggio e distribuzione. Oggi ci mancano almeno 2.000 piccoli e medi invasi ma c’è il piano dei Consorzi di bonifica che ne ha 400 pronti e progettati solo da sbloccare”.

    Cosa impedisce di farlo?

    “I finanziamenti. C’è molto disinteresse e rimozione del problema acqua”.

    Anche Draghi?

    “Anche questo governo. Tutti i governi, nessuno escluso. Abbiamo avuto due grandi siccità, nel 2003 e nel 2017, ma come accade in tutte le cose passata l’emergenza ce ne dimentichiamo, rimuoviamo tutto. Dopo le grandi emozioni arrivano le grandi rimozioni. La nostra indole è questa: dimenticare”.

    Chi sta peggio di noi? Il Sahel?

    “Il punto è che ci stanno arrivando solo ora gli effetti delle previsioni climatiche fatte venti anni fa, che ci dicevano delle ondate di calore permanenti, precoci, che hanno devastato le fasce mediterranee, quelle africane, spagnole, eccetera: alla fine sono arrivate. Purtroppo questa crisi è il preannuncio di quello che accadrà nei prossimi trent’anni come ci spiegavano i climatologi anche ieri”.

    Proprio ieri il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, è stato a dir poco apocalittico.

    “Le previsioni climatiche sono queste. Il professor Renzo Rosso, un luminare dell’idrologia, addirittura ci diceva ieri che questo potrebbe essere l’anno più fresco dei prossimi trenta. A dimostrazione che c’è un problema enorme e che va gestito con una pianificazione che può durare anni ma che è importante fare da subito. È come per l’altra faccia delle alluvioni, passata l’emergenza nessuno pensa a mettere in sicurezza il territorio”.

    Lei lamenta il fatto che non è mai stato indetto un G7 o un G20 sullacqua. Si farà mai?

    “Spero di sì. Ma che nel frattempo in Italia si facciano almeno sedute straordinarie del Parlamento per lanciare un Piano acqua per i prossimi trent’anni, con risorse adeguate. Alcune cose vanno messe in cantiere subito, immediatamente i 400 medi e piccoli invasi in tutta Italia, un set di tecnologie in l’agricoltura per il risparmio idrico, un’agricoltura di precisione o 4.0 della Coldiretti, tutte cose che fanno risparmiare il 70% delle risorse irrigue. Si deve portare acqua in tutte le fasce costiere dove il cuneo salineo sta penetrando per 15, 20 chilometri nell’entroterra. Il Piave, fiume Sacro alla Patria della Prima Guerra Mondiale, che d’improvviso tracimò sbarrando la strada e inghiottendo il nemico che lo stava attraversando, “il Piave mormorò…”, per 13 km è salato. Il mare avanza. Man mano che si riducono le falde dolci costiere perché s’irriga e si svuotano, quelle si riempiono con l’acqua salmastra del mare che sale. L’acqua va portata lì, altrimenti quelle aree si desertificano. Già un 20% di fascia costiera è desertificato e l’agricoltura non può più esser praticata”.

    LItalia s’è candidata ad essere il Paese che vorrebbe ospitare il Decimo Forum Mondiale dellacqua per il 2024. Ce la farà?

    “No, ma abbiamo spuntato un evento mondiale sull’acqua e la cultura da fare nel 2023. Il Forum del ’24 è andato all’Indonesia, ma noi lo avremo quasi sicuramente nel 2027. Però il prossimo anno ci sarà questo evento mondiale in Italia sulla cultura dell’acqua, siamo comunque al centro dell’attenzione”.

    Una raccomandazione?

    “Di non sprecare più neanche una goccia d’acqua, è la raccomandazione numero 1”.

    Cioè tirare lacqua una volta su quattro, lavarsi meno o, come dice Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf, cambiarsi le mutande ogni tre, quattro giorni…?

    “No, no, laviamoci, beviamo, perché comunque non siamo in un’area desertica. L’igiene è la prima cosa. Quanto a Fulco, lo fa anche quando ci sono piogge torrenziali. È il suo stile di vita. Da sempre ha quest’approccio accorto sull’uso delle risorse naturali. Ma sono soluzioni estreme. Non dimentichiamoci che l’Italia ha tutte le forme dell’acqua del Pianeta Terra, dai ghiacciai alle cascate, le paludi, fiumi, laghi, laghetti. Ci rendiamo conto? Nessun Paese è come il nostro, eppure siamo in questa condizione per lo spreco, la mancanza di infrastrutture, lo scarso impiego delle tecnologie per il risparmio e un piano per il riuso dell’acqua adeguato”.

  • Po mai così in secca da 70 anni, centrali idroelettriche in affanno

    Temperature sopra la media, con punte anche di 40 gradi, piogge troppo scarse per il periodo, ‘tesoretto’ neve esaurito: un mix letale per il Po che sta causando uno stato di siccità mai visto negli ultimi 70 anni.  Con effetti a catena devastanti già per l’agricoltura del bacino padano, con danni stimati per un miliardo, ma con seri rischi anche per il settore idroelettrico – potrebbe scarseggiare l’acqua per raffreddare le centrali – e per i cittadini, con alcuni comuni che potrebbero essere costretti a sospendere l’erogazione notturna di acqua a latitudini dove simili misure non si erano mai viste.

    Il quadro, di allarme e preoccupazione, arriva dall’Osservatorio sulla crisi idrica del fiume Po che si è riunito in seduta straordinaria a Parma chiamando a raccolta gli esperti dell’Autorità di bacino, che fa capo al ministero della Transizione ecologica, ma anche Regioni, Protezione civile e portatori d’interesse fra i quali Utilitalia, in rappresentanza delle multiutility del servizio idrico integrato, Terna Rete Italia, Anbi, Assoelettrica.

    L’esito dell’Osservatorio – che tornerà a riunirsi il 21 giugno – non lascia grandi spiragli di ottimismo. Nel bacino padano il fabbisogno d’acqua è alto, spiega l’autorità, ma tutte le disponibilità sono “in esaurimento” in quella che è una crisi “con valori mai visti da 70 anni”. Allo scenario già molto critico, si evidenzia, “si aggiunge la previsione di mancanza di piogge e il persistere di alte temperature sopra la media”. «La situazione sta diventando drammatica – spiega Meuccio Berselli, segretario generale di AdBPo – perché oltre al fatto di avere una portata limitata e le piogge che stanno mancando, abbiamo altri due fattori molto importanti. La temperatura è più alta di 2-3 gradi, in alcuni punti anche quattro gradi, rispetto alla media del periodo. E manca completamente la risorsa della neve, quindi il magazzino e lo stoccaggio in montagna” di acqua. Ci sono insomma delle aree che possono rimanere senz’acqua, pertanto “bisogna innescare uno spirito di sussidiarietà tra i territori, per cui i prelievi idrici vanno controllati, vanno verificati, e dobbiamo portare acqua a tutti. Altrimenti dobbiamo intervenire immediatamente con la Protezione civile”.

    Le spie d’allarme sono molte. La neve sulle Alpi è totalmente esaurita in Piemonte e Lombardia. I laghi, a partire dal Lago Maggiore, sono ai minimi storici del periodo (eccetto il Garda). Le colture, nonostante l’avvio tardivo di 15 giorni della pratica dell’irrigazione (esempio in Lombardia), sono tutt’ora in sofferenza e Coldiretti stima perdite per un miliardo. Si accentua anche la risalita del cuneo salino con un impatto non indifferente su habitat e biodiversità. In quelle aree del Rodigino e del Ferrarese l’irrigazione è tutt’ora sospesa o regolata in modo minuzioso nel corso della giornata. C’è un centinaio di comuni in Piemonte e 25 in Lombardia (nella Bergamasca) in cui Utilitalia chiede ai sindaci eventuali sospensioni notturne per rimpinguare i livelli dei serbatoi con ordinanze mirate a un utilizzo estremamente parsimonioso dell’acqua. La siccità incide anche sul settore idroelettrico: al momento le criticità legate al pescaggio dell’acqua di raffreddamento delle centrali termoelettriche sono in ripresa, però in prospettiva delle prossime settimane Terna attesta la progressiva scarsità di risorsa utile per un raffreddamento adeguato.

  • I consigli dei dermatologi per portare la mascherina sotto il sole estivo

    Arriva il caldo, e con l’estate l’obbligo di indossare le mascherine per difendersi dal Covid diventa ancora più problematico per molti. Rischiando in alcuni casi di creare anche fastidi o danni alla pelle del viso. Così, in attesa di liberarci dall’obbligo delle mascherine come auspicato dalle autorità sanitarie, gli esperti della SIDeMaST, la Società italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmissibili, hanno redatto un vademecum per favorire la difficile convivenza tra le temperature in aumento e le mascherine, tra la voglia di ‘respirare’ e gli obblighi ancora imposti dalla pandemia di Sars-CoV-2. Dall’uso delle mascherine certificate CE in fibra naturale al cambio (che deve essere frequente) e alla pulizia delle stesse, passando per una profonda detersione e idratazione della pelle con prodotti delicati fino ai consigli sull’alimentazione, il ‘prontuario’ è dedicato a grandi e piccoli.

    Il caldo infatti, sottolineano gli esperti, peggiora i fastidi che sempre più pazienti lamentano a livello cutaneo: prurito, bruciori, eritemi, desquamazione della cute e irritazioni. E la situazione peggiora se si soffre di malattie cutanee preesistenti come l’acne, che pur essendo un disturbo tipicamente adolescenziale interessa il 15% degli adulti, o la rosacea che colpisce più di 3 milioni di italiani. Non a caso si parla di maskne, termine che deriva dalla fusione di ‘mask’ e ‘acne’: “Studi clinici – spiega la professoressa Gabriella Fabbrocini, consigliere SIDeMaST – hanno recentemente evidenziato che indossare mascherine continuativamente e per un tempo prolungato acutizzerebbe l’acne e altre irritazioni della pelle preesistenti o latenti. Il 90% dei pazienti infatti attribuisce il peggioramento di acne e rosacea all’uso della mascherina e un 30% dichiara che la patologia si è slatentizzata o riacutizzata a causa della stessa. L’uso della mascherina per molte ore al giorno determina una occlusione che può provocare l’alterazione del microbiota cutaneo e quindi del film lipidico. Rispetto all’emergenza che stiamo vivendo la maskne costituisce un effetto collaterale trascurabile, se valutiamo il rapporto costo-beneficio derivante dall’uso della mascherina. Ma le ricadute sulla pelle vanno curate e non sottovalutate, per evitare che si tenda a non indossare la mascherina, fondamentale nella protezione da contagio da Sars-CoV-2″.

    Con l’uso della mascherina peggiorano anche le dermatiti da contatto: “Le dermatiti – afferma il professor Pasquale Frascione, vicepresidente SIDeMaST – possono essere causate per esempio dalla composizione dell’elastico o dalla sensibilità al metallo utilizzato per modellare la mascherina sul naso. Ma possono essere attribuite anche all’utilizzo non appropriato della mascherina. Se tendiamo ad utilizzarla molto a lungo (oltre le 6 ore consecutivamente) o a ri-usarla potremmo avere delle reazioni allergiche, in quanto spesso nelle mascherine usate possono essere presenti tracce di cosmetici contenenti conservanti e coloranti. Oppure possono esserci tracce di detergenti qualora la mascherina una volta lavata non sia stata ben sciacquata”.

    Il vademecum messo a punto dai dermatologi può aiutare anche a restituire un aspetto sano a quello che il Times ha definito ‘covidface’, vale a dire un viso che può invecchiare anche di 5 anni in soli 6 mesi di pandemia con accentuazione di borse, occhiaie, rughe, pelle avvizzita, sguardo spento. Sono 9 le regole che possono aiutarci a convivere meglio con quello che ormai è diventato un accessorio irrinunciabile: indossare sempre mascherine certificate CE bianche, in tessuti naturali o anallergici; cambiare/lavare con regolarità la mascherina; cercare di evitare il trucco se si sa di dover portare la mascherina per un periodo prolungato; prestare la massima cura alla scelta dei prodotti per la routine di pulizia e idratazione; la mattina, al risveglio, partire da una detersione mirata con detergenti leggermente più acidi e seboregolatori, ma sempre delicati. Applicare quindi prodotti topici non comedogenici e farli assorbire completamente prima di indossare la mascherina. L’idratazione della pelle è fondamentale; con l’arrivo dell’estate non dimenticare un filtro solare perché i raggi solari attraversano anche i tessuti; per prevenire danni tipo abrasioni o irritazione, si può usare una medicazione idrocolloide da posizionare sotto le palpebre o sul dorso del naso; se l’infiammazione dovesse presentarsi, rivolgersi subito al dermatologo; infine, prestare la massima attenzione all’alimentazione, evitando troppi zuccheri e alcolici.

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