cervello

  • La solitudine porta il cervello alla demenza

    Anche il cervello può soffrire di solitudine e ha bisogno di compagnia per evitare di incorrere in effetti negativi che impattano sull’umore fino a provocare depressione o intaccare memoria, concentrazione e attenzione. Un cervello poco esercitato, tramite interazione sociale, è poi più esposto, col sopravanzare dell’anzianità, alla demenza senile e all’Alzheimer.

    Per mantenere il cervello in salute e in piena efficienza quindi è importante non solo prestare attenzione all’alimentazione che deve tenere conto di cibi ricchi di omega3, vitamina C, E e B6, oltre che di cibi ricchi di antiossidanti come broccoli, mirtilli, ma anche ricchi di colina, un coenzima presente in uova, merluzzo, semi di girasole e anarichi. E non basta neanche dormire bene perché durante il sonno le sinapsi, ovvero le connessioni tra i neuroni del cervello, si riorganizzano. Bisogna anche svolgere attività come frequentare amici e parenti o comunque con altre persone ed è certamente utile l’allenamento che deriva dalla lettura di libri che stimolino la fantasia, o dall’apprendimento di una nuova lingua, oppure dallo studio di uno strumento musicale o tecnologico nuovo.

    La demenza colpisce soprattutto chi ha dai 65 anni in su, ma i primi segnali possono manifestarsi già a 50 anni (normalmente, per accertare un caso di demenza occorrono 2 anni). In Italia la demenza affligge 1,1 milioni di persone circa e 600mila italiani sono afflitti da Alzheimer.

  • Il cervello non tiene il ritmo del digitale e chi è iperconnesso finisce sotto stress

    «Siamo così assuefatti all’iperstimolazione che gli intervalli tra uno stimolo e l’altro li avvertiamo come spazi vuoti. Invece sono i momenti in cui le informazioni si consolidano. Se non diamo al nostro cervello il tempo di compiere il processo, tutto quel che ci resta è un flusso di informazioni comprese solo superficialmente». E’ l’avvertimento che Maryanne Wolf, neuroscienziata umanista, lancia nell’ultimo dei suoi saggi, Lettore, vieni a casa, dedicati al funzionamento del cervello che legge.

    «La conoscenza – ha spiegato in un’intervista a Sette – avviene in tre fasi: ogni dato deve essere vagliato, elaborato, e se è abbastanza importante si trasforma in conoscenza, cioè entra a far parte di una raccolta di informazioni acquisite che aiutano a pensare più profondamente. Questo processo in tre fasi ha subito un cortocircuito che ha cambiato la natura dell’attenzione, soprattutto nei bambini: se il cervello non ha tempo sufficiente per passare dalla percezione e dalla comprensione superficiale alla memoria e al consolidamento, non possiamo più analizzare le informazioni per verificarne la verità, o la bellezza: perdiamo l’una e l’altra. La continua ricerca di stimoli non concede spazio alla contemplazione prolungata. Ma l’immaginazione ha bisogno di tempo».

    Sulla stessa lunghezza d’onda, anche lo psichiatra brasiliano Augusto Cury sostiene da tempo che esiste una sindrome da pensiero accelerato strettamente legate all’impiego delle tecnologie digitali. La moltitudine di informazioni che il digitale consente di avere o a cui ci sottopone incide negativamente sulla concentrazione e causa deficit di memoria, a suo dire, provocando un’enorme e sterile velocità di pensieri, la maggior parte inutili. Cury ha diagnosticato anche sintomi della sindrome da lui individuata mancanza di sonno, difficoltà ad addormentarsi, svegliarsi stanchi, avere nodi in gola, disturbi intestinali e persino aumento della pressione sanguigna; eventuali mal di testa o dolori muscolari possono indicare che il cervello è esausto da troppi pensieri e preoccupazioni. Come terapia, Cury propone di parlare ed interagire con le persone, amare la natura e i suoi sapori e ogni tanto, spegnere i dispositivi elettronici come smartphone, tablet e pc.

  • Cervello umano e computer potranno interagire

    La telepatia tra uomo e computer potrebbe divenire realtà e il secondo potrebbe scrivere le parole che il primo vuole scrivere senza bisogno di pronunciarle, ma solo pensandole. Facebook e prima ancora Elon Musk si erano prefissi da tempo l’obiettivo di consentire a chi non può più esprimersi attraverso la voce di poter trasformare il proprio pensiero in un testo scritto, ora uno studio dell’Università della California ha dimostrato che progetto è realizzabile.

    Una ricerca condotta con l’aiuto di tre persone affette da epilessia, cui erano già stata impiantati nel cervello alcuni elettrodi per monitorare l’attività cerebrale ha consentito ai ricercatori di visualizzare le parole pensate dai tre soggetti.

    La ricerca si è avvalsa di elettrodi sui tre soggetti e anche il progetto di Elon Musk prevedeva un intervento chirurgico, Facebook punta invece a connettere cervello e computer senza interventi invasivi. Mark Chevillet, dei Facebook Reality Labs, prevede che serviranno almeno altri 10 anni per completare il lavoro: “E’ un programma a lungo termine”.

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