Ciad

  • Il Ciad revoca gli accordi militari con la Francia, Parigi guarda alla Nigeria per restare nel Sahel

    Evocando “una svolta storica”, il governo del Ciad ha annunciato la revoca degli accordi di difesa e sicurezza in vigore con la Francia, Paese di cui ospita sul suo territorio circa mille militari. “È ora per il Ciad di affermare la sua piena sovranità e di ridefinire i suoi partenariati strategici, sulla base delle sue priorità nazionali”, ha dichiarato in un comunicato il ministro degli Esteri, Abderaman Koulamallah, precisando che la decisione non rimette in questione “le relazioni storiche e il legame di amicizia fra i due Paesi”. Il capo della diplomazia di N’Djamena sottolinea che la scelta è frutto di “un’analisi approfondita” e che il Ciad si impegna a collaborare con le autorità francesi ad assicurare “una transizione armoniosa”, senza tuttavia precisare una data per il ritiro delle forze straniere. Il governo del Ciad – prosegue il testo – “rimane determinato a mantenere relazioni costruttive con la Francia in altri ambiti di interesse comune”, esprime “la sua gratitudine alla Repubblica francese per la cooperazione condotta nel quadro dell’accordo” e “rimane aperto ad un dialogo costruttivo per esplorare nuove forme di partenariato”.

    Non è forse un caso se le autorità di N’Djamena hanno deciso di “smarcarsi” dall’ex potenza coloniale nell’anniversario dell’indipendenza, avvenuta nel 1958, con un annuncio che segue di poche ore la partenza dal Paese del ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot, ricevuto ieri dal presidente Mahamat Idriss Deby. Una missione ufficialmente destinata – secondo Parigi – a rafforzare la richiesta regionale di un cessate il fuoco nel vicino Sudan, ma che in ogni caso non è servita a dissuadere i militari al potere in Ciad dal rompere i rapporti bilaterali di difesa. Lunedì scorso, inoltre, l’inviato speciale per l’Africa del presidente Emmanuel Macron, Jean-Marie Bockel, ha consegnato al capo dell’Eliseo il suo rapporto sulla presenza militare francese in Africa, con all’interno proposte dettagliate su come ridurre gli effettivi in Ciad, Gabon e Costa d’Avorio. In quest’ottica la decisione ciadiana non sembra essere un evento del tutto inatteso per Parigi. L’annuncio di N’Djamena, peraltro, segue quello con cui il governo ciadiano ha minacciato di ritirare il suo fondamentale sostegno dalla Forza multinazionale congiunta (Mmf), missione regionale cui contribuiscono dal 1994 anche Nigeria, Benin, Camerun e Niger allo scopo di fronteggiare il terrorismo jihadista. Dopo la Nigeria, con i suoi 3 mila uomini, il Ciad ne è il principale contributore. Il presidente Mahamat Deby Itno – al potere dall’aprile 2021, quando subentrò a suo padre Idriss Deby Itno, ucciso in battaglia rai ribelli – ha lamentato uno sforzo eccessivo da parte del suo esercito per la stabilità regionale, in un momento in cui lo stesso Ciad deve far fronte a continue offensive sul suo territorio: l’ultima, lo scorso 28 ottobre, ha visto cadere 40 militari ciadiani in un violento attacco contro la base militare di Barkaram, nella regione frontaliera del lago Ciad.

    Con la rottura annunciata da N’Djamena, cade dunque l’ultimo baluardo francese nel Sahel, e per Parigi all’orizzonte si prospettano altre difficoltà. Il presidente del Senegal, Bassirou Faye Diomaye, è infatti tornato a chiedere la chiusura nel Paese di tutte le basi francesi, nel nome della sovranità nazionale. “Il Senegal è un Paese indipendente, è un Paese sovrano e la sovranità non accetta la presenza di basi militari”, ha dichiarato in un’intervista a “France 2”. Faye ha precisato che non è nelle sue intenzioni tagliare le relazioni con Parigi come fatto da altri nella regione, e che l’argomento vale per tutti, nessuno escluso: “Oggi la Cina è il nostro più grande partner commerciale in termini di investimenti e scambi. La Cina ha una presenza militare in Senegal? No. Ciò significa che le nostre relazioni sono interrotte? No”, ha specificato. Poche ore prima dell’intervista Macron ammetteva in una lettera a Faye le responsabilità coloniali francesi in quello che ha definito il “massacro” di fucilieri senegalesi nel 1944 nel campo militare di Thiaroye (Dakar), quando i militari africani chiesero di essere pagati per il servizio prestato al fianco di Parigi durante la Seconda guerra mondiale. Il gesto di Macron è stato riconosciuto come “un passo coerente” dal capo di Stato senegalese, che tuttavia rimane fermo sulla posizione militare già espressa durante la campagna elettorale.

    Nel tentativo di mantenere una presa sul Sahel, da dove la Francia è stata negli ultimi quattro anni progressivamente estromessa (prima del Ciad, era stata la volta delle giunte golpiste di Mali, Burkina Faso e Niger), Macron tenta ora di rafforzare le relazioni con la Nigeria, il cui presidente Bola Tinubu è in visita ufficiale a Parigi proprio in questi giorni. Accolto personalmente dal presidente francese e ospitato prima al Consiglio d’affari franco-nigeriano poi alla riunione dell’influente Medef (la Confindustria locale), Tinubu è il primo capo dello Stato nigeriano a visitare la Francia da 20 anni a questa parte. Per Parigi, che per necessità si trova a dover guardare con maggior interesse all’area anglofona saheliana, la Nigeria può giocare un ruolo – se non militare, certamente economico – strategico. Principale partner commerciale di Parigi nell’Africa sub-sahariana davanti a Sudafrica, Costa d’Avorio e Angola, Abuja rappresenta oltre il 20 per cento del commercio francese nella regione, concentrato per l’export in settori come la farmaceutica, le attrezzature meccaniche, i veicoli e i prodotti chimici, per l’import sugli idrocarburi. Rafforzare le relazioni con la Nigeria, primo motore dell’Africa occidentale e seconda del continente, è per Parigi un’occasione vitale per non perdere del tutto presa su una regione che guarda ormai alla Francia in modo diffidente e spesso ostile.

  • Satellite inglese per controllare i flussi migratori, Orban punta sul Ciad

    Il Regno Unito lancerà nel 2025 il satellite Amber-2, sviluppato dall’azienda britannica Horizon Technologies, per migliorare la sicurezza marittima e contrastare attività illegali come l’immigrazione clandestina e il traffico di stupefacenti.

    Il progetto, sostenuto dalla Uk Space Agency con un investimento di 1,2 milioni di sterline (1,4 miliardi di euro), mira a migliorare le capacità di sicurezza marittima del Regno Unito, monitorando le cosiddette “navi fantasma”, ossia quelle che disattivano il loro Sistema di Identificazione Automatica (Ais) per evitare il rilevamento. Il satellite sarà in grado di rilevare segnali a radiofrequenza, permettendo l’identificazione delle navi anche quando i loro sistemi sono spenti. Tuttavia, l’amministratore delegato di Horizon Technologies, John Beckner, ha osservato che il mercato dell’osservazione terrestre basata su frequenze radio è ancora in fase di sviluppo, simile al tracciamento tramite Ais. Ciò indica che il successo di questo nuovo satellite richiederà una combinazione di sistemi terrestri e dati spaziali.

    Per contrastare l’immigrazione irregolare verso l’Europa il primo ministro ungherese Viktor Orban ha invece stipulato con il governo del Ciad un accordo di partenariato di cooperazione. Il documento è stato firmato a settembre dal ministro ungherese degli Affari esteri e del commercio, Peter Szijjarto, e dall’omologo ciadiano Abderahman Koula Allah, e si declina in quattro accordi di cooperazione distinti, due dei quali nel settore della difesa. Secondo la presidenza del Ciad, uno di questi riguarda lo status dei soldati ungheresi di stanza in Ciad, Paese crocevia dei traffici migratori e partner tradizionale dell’Occidente nel contrasto all’immigrazione illegale.

    Il governo Orban puntava da mesi a fare del Ciad, dopo il Niger, il nuovo bastione saheliano contro i flussi irregolari provenienti dall’Africa sub sahariana. “La migrazione dall’Africa verso l’Europa non può essere fermata senza i Paesi della regione del Sahel. Questo è il motivo per cui l’Ungheria sta costruendo un partenariato di cooperazione con il Ciad”, ha scritto Orban su X nei giorni degli incontri. Soddisfazione è stata espressa in modo esplicito dalla presidenza ciadiana, secondo cui “con questo bilaterale” fra Orban e Deby “l’asse N’Djamena-Budapest è ormai chiaro”: per la giunta militare “si apre ora una nuova era grazie al desiderio manifestato dai due leader di dare impulso alle relazioni tra i due Paesi”. In base agli accordi, peraltro, il figlio 32enne del primo ministro ungherese, Gaspar Orban, oggi capitano dell’esercito nazionale, diventerà “agente di collegamento per aiutare a preparare la missione in Ciad”.

    Per contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina ed il terrorismo, il parlamento ungherese ha autorizzato a novembre del 2023 il dispiegamento di 200 militari in Ciad. Secondo diversi osservatori internazionali, tuttavia, inviando queste unità nel Paese africano, Orban ha sostenuto unicamente i propri interessi economici nella regione. L’Ungheria ha di recente concluso accordi di cooperazione per la promozione del commercio e degli investimenti in Ciad, e le autorità dei due Paesi stanno valutando l’apertura di un centro di assistenza umanitaria e diplomatica nella capitale N’Djamena, oltre che altri accordi nei settori dell’agricoltura e dell’istruzione. L’agenzia governativa ungherese per gli aiuti umanitari e lo sviluppo, Ungheria Helps, ha inoltre aperto il suo primo ufficio di rappresentanza in Africa proprio a N’Djamena, all’inizio del 2024.

    L’avvicinamento di Budapest a N’Djamena si inserisce, non da ultimo, nei mutati equilibri geopolitici che interessano il Sahel. Il Ciad, infatti, ospita oggi l’ultima delle basi francesi ancora presenti nella regione, dove Parigi ha lasciato circa mille uomini, ma da tempo ormai il governo Deby – così come già fatto, in maniera più plateale, dai vicini Mali, Niger e Burkina Faso – guarda alla Russia, di cui subisce l’influenza politica e diplomatica. Agli occhi ciadiani, dunque, l’Ungheria – che intrattiene ottimi rapporti con Mosca – si configura come un collegamento con l’Europa alternativo alla Francia, con cui sviluppare molteplici ambiti di cooperazione ma, soprattutto, rafforzare l’apparato di difesa regionale in un territorio fortemente instabile, dove i combattenti dell’ex gruppo paramilitare russo Wagner – ora ribattezzato Africa Corps – sono sempre più presenti.

  • Attacco di Boko Haram in Ciad

    Il gruppo jihadista Boko Haram ha lanciato un attacco contro l’esercito ciadiano nella regione del lago Ciad, provocando “una quarantina di morti”. Lo ha annunciato la presidenza del Ciad in un comunicato stampa. Il presidente di transizione Mahamat Idriss Deby Itno si è recato sul posto questa mattina e “ha dato il via all’operazione Haskanite per inseguire e rintracciare gli aggressori fino alle loro ultime trincee”, riferisce la stessa nota. Secondo fonti non ufficiali, nell’attacco sarebbero stati uccisi più di 100 soldati. Secondo fonti militari, l’attacco è avvenuto domenica intorno alle 21 contro la posizione dell’esercito ciadiano a Barkaram, a 10 chilometri dal confine nigeriano. I soldati ciadiani sono spesso presi di mira dagli attacchi di Boko Haram nella regione del lago Ciad, una vasta distesa di acqua e paludi punteggiata da isolotti a ovest, che ospita i combattenti del gruppo Boko Haram o del suo ramo dissidente dello Stato islamico nell’Africa occidentale (Iswap).

    L’insurrezione di Boko Haram è iniziata nel 2009 in Nigeria – dove da allora ha provocato 40 mila morti e più di due milioni di sfollati – prima di diffondersi ai Paesi vicini. Nel marzo 2020 i combattenti del gruppo jihadista hanno condotto una sanguinosa offensiva contro un’importante base ciadiana nella penisola di Bohoma, provocando un centinaio di morti, le perdite più pesanti mai registrate dall’esercito ciadiano. In risposta, il governo ha lanciato l’operazione nota come “la rabbia di Bohoma” contro gli insorti jihadisti. Nel giugno 2024 l’Ufficio internazionale per le migrazioni (Oim) ha registrato più di 220 mila sfollati nella provincia ciadiana del lago Ciad a causa degli attacchi di gruppi armati.

  • Emendamento leghista, dall’Italia 1,5 milioni per il progetto Transaqua in Ciad

    Con un emendamento presentato dal senatore leghista Tony Iwobi, il governo italiano ha incluso il co-finanziamento dello studio di fattibilità del progetto Transaqua nella legge finanziaria. I fondi, 1,5 milioni, erano a disposizione del Ministero dell’Ambiente già dal 2018, ma la commissione congiunta formata da Italia e Commissione del Lago Ciad (LCBC) non ha mai proceduto ad appaltare i lavori.

    In base all’emendamento «Al fine di attuare l’articolo 6 del Memorandum firmato tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Lake Chad Basin Commission – si è cofinanziato lo studio di fattibilità del ‘Progetto Transaqua’ per euro 1.500.000 per l’anno 2021 tramite il Fondo per interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani e con altri Paesi d’importanza prioritaria per i movimenti migratori». Approvata la legge con questo emendamento, ora si attende che si sblocchino le procedure e parta finalmente lo studio di fattibilità.

    Transaqua non è un semplice progetto di trasferimento idrico per rivitalizzare il Lago Ciad, ma è un’infrastruttura integrata di trasporti, produzione di energia idroelettrica e sviluppo agro-industriale che potrebbe rilanciare l’economia dell’intera regione centro-africana. Partendo dall’idea di un trasferimento idrico dal bacino del Congo a quello del Lago Ciad, Transaqua fu ideato alla fine degli anni Settanta da un team della società di ingegneria Bonifica, sotto la guida del dott. Marcello Vichi. Negli ultimi decenni, lo Schiller Institute e il dottor Vichi hanno condotto una campagna internazionale che ha portato, anche grazie all’impatto della politica cinese della Belt and Road in Africa, alla svolta. Nel febbraio 2018, i Paesi membri della LCBC hanno adottato Transaqua come unica soluzione fattibile per rivitalizzare il Lago Ciad. In quella occasione, il governo italiano si impegnò al co-finanziamento dello studio di fattibilità. L’Unione Africana ha incluso il progetto tra quelli di rilevanza continentale e il Presidente della Nigeria Muhammadu Buhari sta raccogliendo sostegno internazionale per una conferenza dei donatori che raccolga 50 miliardi di dollari per costruire l’infrastruttura.

    Subito dopo la sua elezione al Senato nel 2018, l’EIR contattò il senatore Iwobi, nigeriano di origine, e messolo al corrente del progetto ne ottenne pronto appoggio all’iniziativa. Iwobi dichiarò che chi fosse contrario sarebbe un nemico dell’Africa,  incontrò i vertici di Bonifica e partecipò alla cerimonia di firma del Memorandum di Intesa tra il Ministero dell’Ambiente e la LCBC a Roma. Si recò poi ad Abuja per discuterne col Presidente Buhari e nel febbraio scorso ricordò il proprio impegno con un messaggio fatto leggere alla conferenza di MoviSol su “L’Italia sulla Nuova Via della Seta” tenutasi il 13 marzo a Milano, nella quale si discusse Transaqua come di un esempio di cooperazione tripartita tra Italia, Cina e Africa per lo sviluppo del continente nero.

  • Soluzione per il Lago Ciad discussa all’ONU tra il presidente delle Nigeria e il sen. Iwobi eletto a Bergamo

    Guardando ieri sera la rubrica televisiva di Rete 4 “Stasera Italia”, gestita da Barbara Palombelli, sono andato col pensiero all’incontro che ha avuto luogo a New York, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 25 settembre scorso, tra il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, e una delegazione guidata da Toni Iwobi, il primo rappresentante di colore eletto al Senato italiano nelle liste della Lega. Tema dell’incontro era il progetto denominato “Transacqua”, relativo al ripristino del Lago Ciad. Perché questo ricordo? Perché nel corso della trasmissione televisiva ad un certo punto è campeggiata una scritta che chiedeva, retoricamente, se l’Italia è un Paese razzista, con riferimento ad un’intervista ad una ragazza di colore che si lamentava, giustamente, di essere stata rifiutata per un posto di cameriera dal padrone di un ristorante di Venezia per il colore della sua pelle. Gli ospiti dello show, tra i quali il direttore del quotidiano La Repubblica, Mario Calabresi, hanno detto la loro: “no, l’Italia non è razzista”, con un interlocutore solo che affermava che in realtà il caso della ragazza in questione non era isolato, perché succede spesso che si rifiuti lavoro a chi non è bianco. Insomma, gli ospiti della Palombelli erano divisi sul problema di sapere se l’Italia è razzista o no. Mi innervosii nell’ascoltare le motivazioni degli uni e dell’altro e ricordai a questo punto l’incontro avvenuto all’Assemblea dell’Onu, nel corso della quale Buhari ha avuto parole di apprezzamento per l’Italia e “il suo rispetto per la razza umana, a prescindere dal colore o dalle inclinazioni geopolitiche“, secondo il Daily Nigerian. “Le mie congratulazioni a Lei e ancor più all’Italia“, ha detto Buhari a Iwobi. L’elezione di quest’ultimo “mostra il grande rispetto degli italiani per gli esseri umani a prescindere dal colore. È impressionante!”. Mi inchino davanti all’opinione del presidente della Nigeria nei confronti dell’Italia e sorrido alle polemiche di parte che ogni sera ascoltiamo alla televisione sulle negate virtù e sulle nefandezze razziste dell’Italia.

    Il presidente Buhari era all’Onu per affrontare le cause del terrorismo e dell’emigrazione in Africa, fra le quali ha indicato “le conseguenze di un lago Ciad drasticamente ristrettosi e l’inaridimento di terre già fertili e coltivabili” come uno dei principali fattori dell’emigrazione, sollecitando “un rinnovato impegno internazionale per accelerare gli sforzi di ripresa nel bacino del Lago Ciad e affrontare le radici del conflitto nella regione”. “Il lago era un’importante fonte di sostentamento per oltre 45 milioni di abitanti della regione – ha affermato il presidente – e il suo prosciugamento ha significato la perdita di reddito per larghe fasce di popolazione che sono diventate povere e quindi molto vulnerabili all’attività di gruppi estremistici e terroristici. L’instabilità così causata nella regione ha intensificato la migrazione interna conducendo, tra le altre cose, a un’intensa competizione specialmente tra agricoltori e allevatori“. Nel febbraio di quest’anno ad Abuja, capitale delle Nigeria, si è svolta una Conferenza internazionale sul Lago Ciad, alla presenza dei leader di otto Stati africani, nel corso della quale è stato formalizzato l’accordo con il governo Italiano di co-finanziamento dello studio di fattibilità del progetto Transacqua. I partecipanti alla Conferenza scelsero Transacqua come unico progetto che offre una soluzione. Buhari all’Assemblea dell’Onu non ha fatto il nome di Transacqua, il grande progetto per ripristinare il Lago Ciad con un sistema di bacini artificiali e di canali che, oltre a trasferire un’ingente quantità d’acqua dal bacino del Congo, porterà alla creazione di un’infrastruttura di trasporto, di produzione idro-elettrica e di sviluppo agro-industriale (ne abbiamo parlato in un articolo pubblicato su Il Patto il 23 febbraio 2018). Di Transacqua, tuttavia, ne ha discusso con il sen. Iwobi, nel corso dell’incontro al quale abbiamo accennato più sopra. Il sen. Iwobi, che è di origine nigeriana, si è battuto a favore di Transacqua sin dal suo ingresso a Palazzo Madama, sollecitando le procedure di formalizzazione dell’accordo tra governo italiano e Commissione per il Bacino del Lago Ciad, a seguito della decisione di Roma di co-finanziarne lo studio di fattibilità. Come ha riferito il consigliere speciale del Presidente nigeriano, Femi Adesina, in una dichiarazione all’indomani dell’incontro, Buhari e Iwobi “hanno discusso temi come l’immigrazione clandestina e come fermarla con investimenti in Africa e il ripristino del Lago Ciad con il trasferimento idrico tra i due bacini”. La dichiarazione cita il sen. Iwobi, il quale ha affermato che “L’Africa non ha bisogno della carità ma di collaborazione per lo sviluppo“. In risposta, Buhari ha attribuito l’immigrazione clandestina alla mancanza di sicurezza, di istruzione e di sistemi sanitari, tra le altre cose. E’ a questo punto che il presidente Buhari ha avuto l’apprezzamento per l’Italia che abbiamo ricordato all’inizio. Ed è puntando su questi apprezzamenti che l’Italia potrà svolgere una sua funzione d’equilibrio in Africa, da un lato sostenendo progetti di sviluppo come Transacqua e dall’altro stabilendo accordi per il controllo dell’emigrazione attraverso il Mediterraneo, senza litigare inutilmente sul razzismo che in Africa non le viene riconosciuto e senza privilegiare soluzioni neo-coloniali, come la Francia sta imperialmente facendo.

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