colonizzazione

  • Contro la colonizzazione globalizzata, per una globalizzazione della civiltà

    Riceviamo e pubblichiamo la prima dell’intervento che l’On. Vitaliano Gemelli, già deputato europeo, ha tenuto durante l’Assemblea Annuale dell’Associazione degli ex parlamentari europei (FMA) a Bruxelles lo scorso 6 dicembre.  Il prossimo capitolo sarà pubblicato dopo l’8 gennaio 2023.

    All’indomani della seconda guerra mondiale e con l’affermazione politica dei blocchi, da una parte il mondo comunista con le sue articolazioni (URSS (Stalin, Krusciov e successivi) – Maoismo – Titoismo – Hoxhaismo – Castrismo – Guevarismo – e le varianti asiatiche della Corea del Nord, Laos, Vietnam e quelle africane) e dall’altra il blocco occidentale, con l’inclusione del Giappone e con l’attenzione verso l’India come “la più grande democrazia del mondo” dopo l’indipendenza e, dopo il 1960, e l’inclusione di molti Paesi dell’Africa, il confronto non si misurava soltanto sulla politica o sull’economia o sulla ricerca scientifica o sulla potenza militare, ma anche sulla cultura della democrazia o sulle due culture della democrazia, che comunque esercitavano una influenza reciproca in un regime di competizione perenne.

    Sul piano della reciproca influenza culturale, l’attenzione si focalizzava sicuramente sull’esercizio delle libertà e della partecipazione democratica, con l’obiettivo di risollevare le condizioni sociali ed economiche dei popoli, che avevano tutti subìto la guerra mondiale.

    Tale attenzione si manifestava – prevalentemente nell’Europa Occidentale e negli altri Paesi a sistema democratico – nell’enfatizzare l’impegno con il principio di solidarietà verso le classi meno abbienti, per dimostrare che la condizione sociale ed economica, oltre che civile, di tali classi fosse migliore di quella delle classi popolari degli Stati a regime comunista.

    Il progresso dei popoli retti da sistemi democratici era evidente e il susseguirsi dei piani quinquennali degli Stati comunisti non sarebbe riuscito a raggiungere i livelli sociali ed economici dei primi.

    La motivazione ideologica del comunismo si infranse sulla mancanza di risultati rispetto ai livelli di benessere dei cittadini (benessere non solo economico, ma sociale, civile, diffusamente scientifico, culturale per evidente carenza di confronto a causa  dell’imposizione di una monocultura) e quindi il 1989 è la data storica del fallimento del comunismo con la caduta del Muro di Berlino e la successiva liquidazione dell’Unione Sovietica, per merito di uno dei più grandi politici della storia, Mikhail Gorbaciov.

    Mikhail Gorbaciov era insieme a Ronald Reagan quello che teneva in equilibrio il sistema mondiale dei blocchi e in quella fase la grande responsabilità dei due e dei rispettivi governi evitò che si innescasse uno sbilanciamento, che avrebbe messo in serio pericolo la pace e l’esistenza di milioni di cittadini nel mondo, nell’eventualità di una guerra atomica.

    La sconfitta ideologica del comunismo reale, nonostante il permanere in abbrivio in Cina e in qualche altro Paese, ma con modalità diverse, lascia al mondo l’altra ideologia, che aveva dimostrato di poter raggiungere risultati migliori e ne fa acriticamente un totem, dal quale prendeva il via la globalizzazione dei mercati (secondo la definizione economica) ma in effetti la globalizzazione dell’informazione, della cultura, della tecnologia, della ricerca, della “scienza ufficiale”, affermando di fatto una monocultura, all’inizio accettata trionfalisticamente, me che alla luce dei fatti rivela tutti suoi limiti economici, sociali, civili, umani.

    La cultura liberista

    A trent’anni dalla fine del comunismo e dall’inizio della globalizzazione i danni della monocultura liberista sono evidenti e anche i più grandi economisti non riescono a trovare una indicazione chiara per correggere tutto il disequilibrio creato e voluto.

    La soddisfazione dei bisogni (prima) e dei desideri dei cittadini diventa l’obiettivo di ogni manifestazione e di ogni attività intellettuale, economica, civile, sociale e la dimensione gradualmente si modifica da sociale ad individuale, incoraggiando la valorizzazione delle capacità dell’individuo, offrendo dei modelli che incitano alla conquista di posizioni sempre più evidenti nel contesto sociale di riferimento.

    Viene invertita la logica cristiana che gli ultimi saranno i primi; nel contesto terreno è sempre meglio essere primi, perché “il primo è primo, il secondo non è nessuno”, recita un adagio comune.

    Proprio in tale logica si costruisce un percorso sociale nel quale la competizione, che di per sé non è negativa, viene praticata a tutti i livelli e ad ogni costo, senza tenere in considerazione le condizioni di contesto e quindi la relativizzazione delle varie situazioni.

    In effetti si mutua la logica fisiocratica e liberista del “laissez faire, laissez passer”, anche nella società e quindi l’individualità prevale sulla socialità, annichilendo i rapporti interpersonali e piegandoli al conseguimento degli obiettivi personali in termini prioritari e alcune volte esclusivi.

    In tale contesto decadono quelle che vengono definite “sovrastrutture morali” e quindi si afferma la logica che è consentito tutto quello che può soddisfare i desideri dell’individuo, con la sola eccezione del rispetto dei “diritti umani” (e non sempre), sanciti dalle Carte ONU.

    Il modello di riferimento per costruire la società degli uomini è identico a quello economico liberista, per il quale si affermano le imprese più forti  sulle più deboli; nella società le classi meno abbienti, le persone affette da patologie congenite o croniche e con una ridotta capacità lavorativa, gli anziani, generano costi sociali, che la logica in voga subisce e tenta in ogni modo di ridurre – un esempio e la richiesta reiterata in tempi diversi della riduzione del “cuneo fiscale”, o la concentrazione di una categoria di cittadini nelle RSA per evitare l’assistenza domiciliare, che avrebbe effetti psicologicamente migliori – per affermare il principio che ognuno deve vivere del proprio lavoro secondo le proprie capacità; e se tali capacità sono insufficienti cosa fare ?

    Il principio della solidarietà e la dimensione sociale vengono quasi completamente estromessi dalla logica del vivere, senza che tale esclusione crei scandalo (l’Obamacare, che assicurava l’assistenza agli indigenti, in una parte non trascurabile del popolo statunitense ha suscitato scandalo e si è tentato di abrogarla).

    L’economia sociale di mercato di Wilhelm Ropke, fatta propria dai partiti ad ispirazione cristiana in Europa, invocata in Germania durante la Repubblica di Weimar, è stata applicata in Europa e in altri Paesi fino agli anni Novanta ed è stata soppiantata dalla pratica capitalistica dopo la caduta del Muro di Berlino, creando la situazione mondiale attuale.

    Negli USA si applicavano le teorie Keynesiane e John Kenneth Galbraith, dalla presidenza di Kennedy e successivamente per alcuni decenni, era uno degli economisti più ascoltati.

    Quando nella società cadono le protezioni sociali dei più deboli si compromette uno dei principi fondamentali della convivenza civile e democratica, perché si infrangono principi costituzionali non solo in Italia, ma anche in altri Paesi, nell’Unione Europea e si violano le Carte dell’ONU, che prevedono che in ogni Paese non è ammessa la discriminazione di cittadini, privi della capacità autonoma di provvedere a sé stessi.

    Quindi, sarebbe opportuno constatare che applicare il modello economico liberista nella società del mondo a sistema democratico ha creato disparità intollerabili e ha bloccato società in evoluzione, compromettendo il consolidato “ascensore sociale”, che portava i figli a creare condizioni migliori di quelle dei padri.

    Il blocco della dinamica sociale ha generato enormi sacche di inoccupazione e anche un grande impedimento all’adeguamento complessivo della società alla contemporaneità, perché ha lasciato senza sostegno coloro che avrebbero voluto e potuto contestualizzare la propria esistenza con i traguardi che costantemente vengono raggiunti.

    La pandemia ha evidenziato la situazione mondiale e anche le economie più forti o quelle che ritengono di avere le risorse per affrontare ogni problema si trovano in difficoltà, come effetto della politica liberista che gli Stati hanno lasciato che si realizzasse, espandesse e proliferasse senza alcun limite o condizione.

    La situazione attuale della società in ogni parte del mondo registra lo schiacciamento dei ceti medi e di quelli alto-borghesi verso il basso, allargando di fatto la fascia dei ceti poveri e incrementando, oltre la soglia fisiologica, la classe degli emarginati.

    Anche i sistemi fiscali sono condizionati dalla politica liberista, che lascia le grandi aziende multinazionali fuori dal sistema fiscale nazionale, consentendo di localizzare le sedi fiscali in Paesi a fiscalità favorevole o trattando di volta in volta la percentuale della contribuzione fiscale da corrispondere.

  • E’ scontro tra Parigi e Algeri dopo le parole di Macron sull’esistenza della nazione magrebina prima della colonizzazione francese

    Scuse ufficiali dell’Eliseo all’Algeria dopo che il Presidente francese Emmanuel Macron, come riportato dal quotidiano Le Monde lo scorso 2 ottobre, avrebbe detto che l’Algeria come nazione non esisteva prima della colonizzazione francese. Se nel comunicato ufficiale della Presidenza ci si rammarica per l’equivoco, dalle parti di Algeri il commento è invece stato definito un “grave errore” e “inaccettabile” tanto che l’ambasciatore algerino a Parigi è stato richiamato in patria e il paese magrebino ha vietato i voli militari francesi dal suo spazio aereo.

    Nel comunicato si fa sapere anche che la Presidenza francese ha invitato il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ad una conferenza a Parigi per discutere su come sostenere la Libia in vista delle elezioni del 24 novembre. Ma Tebboune ha avvertito che non avrebbe “fatto il primo passo” per allentare la tensione con la sua controparte francese perché il commento ha suscitato una diffusa rabbia in Algeria.

  • Il Messico si scusa con i Maya

    A 500 anni dalla Conquista spagnola e a 200 dalla dichiarazione d’indipendenza dalla Spagna, il Messico ha ufficialmente presentato le sue scuse al popolo indigeno Maya per i “terribili abusi” commessi contro di loro durante i secoli successivi alla colonizzazione iberica. A chiedere perdono è stato il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, “per i torti commessi nel corso della storia e per la discriminazione di cui sono ancora vittime oggi”.

    “Offriamo le più sincere scuse al popolo Maya per i terribili abusi commessi da individui e autorità nazionali e straniere nella conquista, durante i tre secoli di dominazione coloniale e in due secoli di Messico indipendente”, ha detto il leader messicano lunedì durante una cerimonia nello stato sudorientale di Quintana Roo, alla quale ha partecipato il suo omologo guatemalteco Alejandro Giammattei.

    Nel suo discorso, il presidente ha ricordato in particolare la Guerra delle Caste del 1847-1901, una ribellione indigena in cui si ritiene siano morte circa 250.000 persone. Ha inoltre riconosciuto che il razzismo e la discriminazione continuano ad affliggere la minoranza etnica. “La verità è che tutti i popoli originari del Messico, fino al periodo attuale, hanno subito sfruttamento, espropriazioni, repressione, razzismo, esclusione e massacri, ma gli Yaqui e i Maya sono stati, per la vergogna di tutti, quelli trattati in modo peggiore, le vittime delle più grandi crudeltà”, ha sottolineato il capo di Stato all’evento, parte delle commemorazioni per i 500 anni della conquista europea e i 200 anni dell’indipendenza nazionale.

    Quello degli indigeni è un tema significativo nella storia di Lopez Obrador, che ha iniziato la sua carriera come attivista per queste popolazioni. “Sebbene ci sia ancora molta povertà, non si può dire che il presente sia come il passato opprimente”, perché “c’è una nuova volontà di rendere giustizia per il bene del popolo” e “per questo stiamo qui a chiedere perdono e a dire che non dimenticheremo mai i popoli del Messico profondo”, ha dichiarato il presidente.

    Durante la cerimonia, le parole di Lopez Obrador hanno attirato fischi da parte di residenti che si oppongono al Treno Maya, un progetto turistico del governo che prevede 1.500 chilometri di ferrovia per collegare località caraibiche con gli antichi siti archeologici rappresentativi della cultura Maya. I critici dell’iniziativa ritengono che il Treno Maya danneggerà l’ambiente e le comunità indigene, ma l’esecutivo è deciso ad andare avanti. Lunedì, il presidente ha realizzato un sopralluogo per supervisionare l’andamento dei lavori a Calakmul (stato di Campeche) e ha sottolineato che la ferrovia consentirà a milioni di turisti stranieri di visitare il sud-est del Paese, escludendo che possa danneggiare l’ambiente e i luoghi storici.

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