La giornata del 23 aprile ha fatto registrare un brusco innalzamento della tensione tra India e Pakistan e le ore successive hanno portato la temperatura in Asia meridionale su livelli che non si vedevano da decenni. Nuova Delhi ritiene che Islamabad sia dietro l’attentato che lo scorso 22 aprile ha provocato 26 morti e 17 feriti a Pahalgam, località turistica nel territorio indiano di Jammu e Kashmir. L’azione è stata rivendicata da un semisconosciuto gruppo armato che si fa chiamare Fronte della resistenza e che, secondo le autorità indiane, è solo una sigla di facciata utilizzata dagli islamisti pachistani dell’Esercito del bene (Lashkar-e-Taiba, LeT), che a loro volta sarebbero infiltrati ed eterodiretti dai servizi d’intelligence di Islamabad. I media indiani puntano anche il dito contro il potente capo dell’esercito pachistano, generale Asim Munir, che pochi giorni prima dell’attacco, in un discorso considerato provocatorio da Nuova Delhi, aveva definito il Kashmir la “vena giugulare” del Pakistan e ribadito l’impegno d’Islamabad a sostenere la lotta della popolazione musulmana locale contro il potere centrale indiano.
Nei fatti, non ci sono prove concrete del coinvolgimento del Pakistan nell’attentato di Pahalgam. Eppure l’India ha rincarato la dose rispetto alle cinque misure di ritorsione contro Islamabad già annunciate. Il governo del primo ministro Narendra Modi ha deciso di sospendere immediatamente il rilascio di visti per i cittadini pachistani, mentre tutti quelli già rilasciati saranno revocati a partire dal 27 aprile (con la sola eccezione dei visti medici, che rimarranno validi fino al 29 aprile). Nuova Dehli ha quindi invitato tutti i cittadini pachistani attualmente presenti in India a lasciare il Paese entro la scadenza dei loro visti, come ora modificata. Parallelamente, il governo ha fortemente sconsigliato ai cittadini indiani di recarsi in Pakistan, raccomandando a coloro che si trovano già nel Paese di rientrare in India al più presto.
Il 23 aprile, Nuova Delhi aveva già annunciato attraverso il suo segretario agli Esteri, Vikram Misri, una serie di importanti misure di ritorsione contro Islamabad. Lo aveva fatto al termine di una riunione del Comitato di governo sulla sicurezza (Ccs), presieduta dal primo ministro Modi e alla quale avevano partecipato, tra gli altri, i ministri dell’Interno Amit Shah, della Difesa Rajnath Singh e degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar. Tra le decisioni adottate figura la sospensione immediata del Trattato delle acque dell’Indo del 1960, fino a quando Islamabad non rinuncerà in modo “credibile e irrevocabile” al sostegno al terrorismo transfrontaliero. Era stata inoltre annunciata la chiusura immediata del posto di frontiera integrato di Attari, con una finestra fino al primo maggio per il solo rientro dei cittadini già transitati con documenti validi. Ancora, Nuova Delhi aveva dichiarato “persona non grata” i consiglieri militari, navali e aeronautici dell’Alta commissione pachistana, la missione diplomatica ufficiale del Pakistan in India, che dovranno lasciare il Paese entro sette giorni. Parallelamente, l’India richiamerà i propri addetti militari dall’Alta commissione a Islamabad, lasciando vacanti tali posizioni.
La risposta del Pakistan non si è comunque fatta attendere, ed è stata forse ancora più dura del previsto. Nel corso di una riunione del Comitato per la sicurezza nazionale presieduta del primo ministro Shehbaz Sharif, è stata decretata la chiusura immediata del valico di frontiera di Wagah con l’India e la sospensione di tutti gli accordi bilaterali, incluso il trattato di Simla del 1972 che pose fine alla guerra tra i due Paesi. Il governo pachistano ha definito le misure indiane “unilaterali, irresponsabili e prive di legittimità giuridica”, annunciando che “tutti gli accordi bilaterali con l’India, incluso il trattato di Simla, saranno sospesi fino a quando Nuova Delhi non cesserà le sue presunte azioni ostili”. Tra le misure adottate figurano poi la chiusura dello spazio aereo pachistano ai voli operati da vettori indiani; la sospensione di tutti gli scambi commerciali bilaterali, anche tramite Paesi terzi; l’espulsione dei consiglieri militari indiani e parte del personale diplomatico dell’Alta commissione a Islamabad entro il 30 aprile. Il numero complessivo dei diplomatici indiani sarà ridotto a 30.
Il Pakistan ha inoltre revocato i visti rilasciati nell’ambito dello schema di esenzione dell’Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc) per i cittadini indiani, ad eccezione dei pellegrini sikh, che dovranno comunque lasciare il Paese entro 48 ore. Islamabad ha infine avvertito che ogni tentativo indiano di sospendere unilateralmente il Trattato sulle acque dell’Indo, accordo internazionale del 1960 mediato dalla Banca mondiale, sarà considerato un “atto di guerra” e affrontato con “tutta la forza dello Stato”. A rincarare ulteriormente la dose ci ha pensato il ministro della Difesa Khawaja Asif, che in conferenza stampa ha parlato di informazioni raccolte dal Pakistan secondo cui sarebbe l’India ad aver pianificato attacchi terroristici in territorio pachistano, aggiungendo che nell’eventualità in cui tali attentati venissero effettivamente condotti Nuova Delhi “pagherà un caro prezzo”. “La nostra risposta sarà proporzionata e tempestiva”, ha detto Asif, senza tuttavia fornire prove dirette a sostegno delle accuse. Il vicepremier e ministro degli Esteri del Pakistan, Ishaq Dar, da parte sua, ha invitato l’India a fornire prove concrete sul presunto coinvolgimento di Islamabad nell’attacco armato di Pahalgam. “L’India ha ripetutamente giocato la carta delle accuse infondate. Se ha davvero prove del coinvolgimento del Pakistan, le condivida con noi e con il mondo intero”, ha dichiarato Dar durante una conferenza stampa tenuta dopo una riunione ad alto livello del Comitato per la sicurezza nazionale. Il Pakistan, ha aggiunto il ministro, “resta impegnato nel contrasto al terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni”, sottolineando che qualsiasi tentativo di politicizzare una tragedia umanitaria rischia di minare ulteriormente le già tese relazioni bilaterali.
Una serie di botta e risposta che fanno lievitare il rischio di un conflitto armato tra i due Paesi. Fonti della stampa indiana fanno sapere che la prima portaerei costruita autonomamente dall’India, la Ins Vikrant, sarebbe in rotta verso il Mar Arabico per avvicinarsi alle coste del Pakistan. La Marina indiana, sempre oggi, ha annunciato di aver testato un nuovo missile a medio raggio dal suo ultimo cacciatorpediniere, Ins Surat. Il capo dell’Esercito indiano, generale Upendra Dwivedi, sarà domani a Srinagar, capoluogo del territorio di Jammu e Kashmir, per valutare la situazione di sicurezza nell’area, in particolare lungo la Linea di controllo (LoC). È qui, ora, che vengono puntati i riflettori. La LoC nasce proprio in base all’accordo di Simla del 1972, lo stesso che il Pakistan ha deciso oggi di sospendere e che rappresentava il principale riferimento giuridico dei malfermi rapporti tra le due potenze nucleari del subcontinente.
Il trattato fu firmato il 2 luglio 1972 nella città indiana di Shimla, nello Stato dell’Himachal Pradesh, dai leader dei due Paesi: il primo ministro indiano Indira Gandhi e il presidente pachistano Zulfikar Ali Bhutto. Venne redatto a seguito della guerra indo-pachistana del dicembre 1971, che aveva portato alla secessione del Pakistan orientale e alla nascita del Bangladesh. Entrambe le parti, nel testo, s’impegnavano a non modificare la Linea di controllo, comunque già teatro negli ultimi anni di frequenti violazioni. Il conflitto del Kashmir si trascina dal 1947, dalla nascita dell’India (a prevalenza induista) e del Pakistan (a prevalenza islamico) come Stati indipendenti dall’impero coloniale britannico e dall’adesione del principato di Jammu e Kashmir all’India, non riconosciuta dal Pakistan. Entrambi i Paesi rivendicano l’intera regione, divisa tra il Territorio indiano di Jammu e Kashmir e le divisioni amministrative pachistane di Azad Kashmir e Gilgit-Baltistan. Si distinguono diverse guerre indo-pachistane legate al territorio kashmiro: del 1947, del 1965 e del 1999. Nonostante le successive dichiarazioni di pace e cessate il fuoco, l’ultima nel 2003, si verificano ancora schermaglie lungo la Linea di controllo (Loc), la demarcazione militare non corrispondente al confine internazionale. Dal 2016 ci sono stati diversi momenti di tensione, in particolare nel febbraio del 2019, dopo l’attentato di Pulwama, nel Kashmir indiano, seguito da raid aerei da entrambe le parti. Quello del Kashmir non è solo un conflitto tra i due Stati, ma anche interno all’India, esploso soprattutto a partire dal 1989, anno delle prime azioni dei ribelli separatisti. Si stima che dagli anni Ottanta, tra le azioni pachistane e la repressione indiana, siano morte in Kashmir almeno 40 mila persone, per la maggioranza civili. Nel 2019 il Jammu e Kashmir indiano è stato privato della sua autonomia e declassato da Stato in Territorio.