contraffazione

  • Il PE si prepara a votare l’accordo sulle indicazioni geografiche UE-Cina

    Il 6 novembre 2019 l’UE e la Cina hanno concluso i negoziati su un accordo autonomo in merito alla cooperazione sulla protezione delle indicazioni geografiche (IG) di prodotti, perlopiù agricoli. Il reciproco accordo UE-Cina mira a proteggere 100 IG dell’UE in Cina e 100 IG cinesi nell’UE contro l’imitazione e l’appropriazione indebita. Il 20 luglio 2020 il Consiglio UE ha approvato la firma dell’accordo e il Parlamento europeo deve ora dare il suo consenso alla conclusione del contratto. Una volta entrato in vigore, l’accordo potrebbe contribuire a promuovere le esportazioni dei prodotti alimentari di alta qualità dell’UE, compresi vini e alcolici, verso la terza destinazione più grande per le esportazioni agroalimentari dell’UE, cioè la Cina.

    L’accordo amplierebbe inoltre il riconoscimento globale del regime di protezione delle IG sui generis dell’UE, un obiettivo chiave della politica commerciale dell’UE.

  • Ricetta veterinaria obbligatoria per arginare il commercio illecito dei farmaci

    Durante il lungo periodo della chiusura giocoforza moltissime persone,in più del solito, si sono rivolte agli acquisti on line e, come purtroppo accade spesso, sono aumentate le truffe e gli illeciti.

    Il presidente dell’Anmvi, dottor Marco Melosi, si è recentemente rivolto al Ministero della Salute chiedendo un intervento urgente, quali l’applicazione delle misure che sono già allo studio ma che non sono ancora divenute esecutive, per arginare ed impedire il commercio illecito di farmaci veterinari. La vendita di farmaci veterinari senza adeguata prescrizione non è solo pericolosa in sé ma oltre a essere un illecito, consentendo guadagni esenti da ogni tassazione, è ulteriormente pericolosa perché molto spesso sono  venduti farmaci illegali o farmaci che, non utilizzati correttamente, possono portare a gravi conseguenze. Preoccupa inoltre che siano tornati attivi siti commerciali che erano già stati oscurati nel passato, il che dimostra la mancanza di controlli adeguati su quanto viaggia sulla rete.

    La ricetta veterinaria, ricorda il presidente, è un atto sanitario ed eludere la ricetta non è solo una violazione ma può portare a conseguenze nocive, non solo per l’animale che si deve curare. Infatti Il problema diventa particolarmente rilevante quando si tratta di medicinali per animali d’allevamento, l’utilizzo, ad esempio, di eccessivi antibiotici, sia per gli animali da latte che da carne, comporta conseguenze negative anche per la salute e per  l’alimentazione delle persone. Inoltre spesso i medicinali venduti in rete, senza i debiti controlli, sono contraffatti, come è già più volte avvenuto per i farmaci per gli umani. Dietro la vendita illegale o di prodotti contraffatti vi è un enorme giro di denaro che arricchisce le associazioni criminali. Il governo ha voluto la tracciabilità dei farmaci veterinari tramite l’obbligo della ricetta veterinaria proprio per la tutela della salute degli animali e degli uomini ed i medici veterinari si sono sobbarcati questo incarico. La loro disponibilità e attenzione non può oggi essere vanificata dalla mancanza di controllo dei siti commerciali.

    Aggiungiamo, assumendocene la responsabilità, che ci siamo, anche come clienti, assoggettati a questa regola anche quando, in certi casi, per gli animali da compagnia, non sarebbe stata così indispensabile proprio perché crediamo nella necessità di identificare e tutelare ogni ruolo rivolto alla salvaguardia del benessere animale ed i veterinari si sono sobbarcati questo ulteriore sforzo di organizzazione che ha consentito, durante la chiusura, di poter usufruire direttamente in farmacia della ricetta veterinaria. Tollerare perciò che vi siano ancora tanti modi per eludere la legge e mettere in pericolo la salute è inaccettabile,  i medicinali devono essere tracciabili e si deve essere in grado di  contrastare tutte le pratiche illecite.

     

  • Vigo: con Combimais premiata la filiera completa riconoscibile

    Lo scorso 17 luglio l’Azienda lombarda ‘Innovagri ‘dei fratelli Mario e Alberto Vigo ha ricevuto, dalle mani del Premier Giuseppe Conte e alla presenza del Ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, un importante premio indetto da Confagricoltura per le aziende agricole che maggiormente si sono distinte per i sistemi innovativi adottati per la coltivazione. ‘Innovagri’ ha vinto grazie al progetto Combi Mais Idrotechnologies che da qualche anno ha messo in campo, con numerosi e molto soddisfacenti risultati.  Abbiamo incontrato il presidente di ‘Innvagri’, Mario Vigo, per sapere di più del progetto, e non solo.

    1) Come è nata l’idea di Combi Mais?

    “Combimais” nasce per dare una risposta all’interno di Expo ad una agricoltura mirata del nuovo millennio, interpretando le necessità che portano ad un agroalimentare produttivo, qualitativo e sostenibile.

    2)  Come è stata accolta nella sua azienda e dai consumatori ‘tradizionali’ questa idea?

    Nella mia azienda il protocollo “Combimais”è stato accolto in maniera estremamente positiva in quanto facilita il lavoro degli operatori agricoli e crea le condizioni per un minor impatto ambientale a tutto vantaggio della società in cui viviamo. Altrettanto favore, il prodotto “Combimais” è stato accolto dai consumatori per la tracciabilità, sostenibilità a garanzia di un prodotto “made in Italy” addirittura “milanese”

    3) Quale è stato secondo lei l’aspetto considerato più innovativo meritevole del premio di Confagricoltura?

    Trattasi di progetto unico nel suo genere che crea una filiera completa tale da definirsi “dal chicco alla tavola”, generando innovazione e ricerca con il doppio compito di poter interpretare un nuovo modo di fare agricoltura garantendo al consumatore, oltre la qualità, la sostenibilità.

    4) E’ a conoscenza di altri progetti simili in Italia?

    Esistono in Italia diversi progetti per le diverse colture, es. Linea biscotto sostenibile di ‘Barilla’ che prevede una coltivazione improntata alla sostenibilità. Tutto ciò fa scuola per disegnare quel modello di agricoltura già interpretato dal protocollo “Combimais”.

    5) Quali sono i progetti futuri di Combi Mais?

    “Combimais” è un progetto che, grazie alla capacità di aziende che sono leader nel settore agricolo, si rinnova di anno in anno, offendo soluzioni che diventano sempre più premianti per gli imprenditori agricoli, contestualmente, offrendo ai consumatori un prodotto altamente qualitativo.

    6) Nell’agroalimentare esiste da anni un serio problema di contraffazione, malgrado siano in vigore, finalmente, leggi europee precise in materia di etichettatura per sapere tutto sull’origine di un prodotto. Nel vostro settore come state arginando questo fenomeno?

    Proprio per rispondere ad un problema di contraffazione abbiamo voluto un prodotto di produzione che non solo garantisca la qualità ma addirittura la zona ed il metodo di coltivazione. Lasciamo alle Istituzioni sia nazionali che europee il compito di vigilare con leggi che appaiano realmente tutelare il lavoro ed il prodotto dell’agroalimentare italiano così ben apprezzato il tutto il mondo.

  • Coldiretti teme un’invasione di formaggi italian sounding dagli Usa

    Coldiretti teme che gli Usa vogliano invadere l’Europa con imitazioni a stelle e strisce dei formaggi europei (negli Stati Uniti solo i tarocchi di formaggi italiani hanno raggiunto il quantitativo record di 2,4 miliardi di chili all’anno). Una lettera inviata al presidente Donald Trump nell’ambito della procedura di consultazione per far scattare nuovi dazi Usa nei confronti di prodotti importati dall’Unione Europea per la disputa sull’industria aeronautica, che si è conclusa il 28 maggio, l’associazione casearia statunitense chiede di imporre dazi alle importazioni di formaggi europei se non verrà aperto il mercato dell’Unione ai tarocchi statunitensi venduti anche con nomi che richiamano esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese anche se – sottolinea Coldiretti – a differenza delle produzioni Dop quelle statunitensi non rispettano i rigidi disciplinari di produzione dell’Unione Europea (che definiscono tra l’altro, le aree di produzione, il tipo di alimentazione e modalità di trasformazione).

    La produzione di imitazioni dei formaggi italiani in Usa secondo l’analisi Coldiretti su dati Usda ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni ed è realizzata per quasi i 2/3 in Wisconsin e California mentre lo Stato di New York si colloca al terzo posto. In termini quantitativi in cima alla classifica c’è la mozzarella con 1,89 miliardi di chili, seguita dal parmesan con 204 milioni di chili, dal provolone con 180 milioni di chili, dalla ricotta con 108 milioni di chili e dal Romano con 26 milioni di chili. Il risultato è che sul mercato americano appena l’1% in quantità dei formaggi di tipo italiano consumati ha in realtà un legame con la realtà produttiva tricolore mentre il resto è realizzato sul suolo americano. Una situazione che rischia di aggravarsi con la minaccia di Trump di imporre dazi su una black list di prodotti europei che comprende anche i formaggi Made in Italy con il valore dell’export che ha raggiunto 273 milioni nel 2018.

    Invero nel mirino del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è finita circa la metà (50%) degli alimentari e delle bevande Made in Italy esportate in Usa dove nel 2018 si è registrato il record per un valore di 4,2 miliardi (+2%). Nella black list sotto esame sono finiti infatti oltre ai formaggi anche vini tra i quali il Prosecco ed il Marsala, l’olio di oliva, gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici.

  • Direttiva Ue contro le pratiche sleali nell’agroalimentare

    Il Parlamento Europeo ha approvato delle nuove misure per proteggere gli agricoltori dalle pratiche commerciali sleali da parte degli acquirenti e dei distributori. La direttiva anti-UTPs (‘Unfair Trading Practices’) deve essere formalmente approvata dal Consiglio prima di poter entrare in vigore. Gli Stati membri disporranno di 24 mesi per introdurla nelle legislazioni nazionali. Le nuove norme dovrebbero essere applicate 30 mesi dopo l’entrata in vigore.

    Le nuove regole bandiscono le pratiche sleali come i ritardi nei pagamenti per i prodotti consegnati; le cancellazioni unilaterali tardive o modifiche retroattive dell’ordine; il rifiuto dell’acquirente di firmare un contratto scritto con il fornitore; e l’uso improprio di informazioni riservate. «Davide ha finalmente sconfitto Golia – ha dichiarato il relatore Paolo De Castro – equità, cibo più sano e diritti sociali hanno finalmente prevalso sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare. Per la prima volta nella storia dell’UE, gli agricoltori, i produttori alimentari e i consumatori non saranno più vittime di bullismo da parte dei grandi attori». Soddisfatto anche il Ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio: «Grazie alle nuove norme il lavoro degli agricoltori italiani e tutto il sistema agricolo avrà maggiore dignità».

    Saranno vietate anche le minacce di ritorsioni contro i fornitori che vogliono presentare reclami, ad esempio la cancellazione degli ordini dei loro prodotti o il ritardo nei pagamenti. Gli acquirenti non potranno più richiedere ai fornitori dei pagamenti per il deterioramento o la perdita dei prodotti avvenuta nella propria sede, a meno che ciò non sia dovuto alla negligenza dei fornitori. Altre pratiche, quali la restituzione dei prodotti invenduti al fornitore senza pagarli, l’obbligo per i fornitori di pagare per la pubblicità dei prodotti, l’addebito ai fornitori per lo stoccaggio o la quotazione dei prodotti, o l’imposizione di costi di sconti al fornitore, saranno anch’esse vietate, a meno di non essere state concordate preventivamente nel contratto di fornitura.

    I fornitori di prodotti alimentari potranno presentare reclami nel luogo in cui si trovano, anche se il commercio sleale si è verificato in altre parti dell’Unione europea. Le autorità nazionali preposte all’applicazione della normativa tratteranno i reclami e condurranno le indagini.

    Le nuove norme proteggeranno i piccoli, medi e medi fornitori con un fatturato annuo inferiore a 350 milioni di euro. Tali fornitori saranno suddivisi in cinque sottocategorie (con un fatturato inferiore a 2 milioni di euro, 10 milioni di euro, 50 milioni di euro, 150 milioni di euro e 350 milioni di euro), con la protezione più ampia per i più piccoli.

  • Medicinali falsificati: nuove norme per migliorare la sicurezza dei pazienti

    Ancora un passo da parte dell’Unione europea per tutelare la sicurezza dei cittadini davanti in presenza di truffe e contraffazioni. Dal 9 febbraio, infatti, si applicheranno le nuove norme sulle caratteristiche di sicurezza per i medicinali soggetti a prescrizione nell’UE. Per troppo tempo la falsificazione dei medicinali ha rappresentato una grave minaccia per la salute pubblica nell’UE. D’ora in poi l’industria dovrà apporre alle confezioni dei medicinali soggetti a prescrizione un codice a barre bidimensionale e un dispositivo anti-manomissione. Le farmacie (comprese quelle online) e gli ospedali dovranno verificare l’autenticità dei medicinali prima di dispensarli ai pazienti. Si tratta della fase finale di attuazione della direttiva sui medicinali falsificati, adottata nel 2011, che mira a garantire la sicurezza e la qualità dei medicinali venduti nell’UE.

    I medicinali privi di caratteristiche di sicurezza, prodotti prima di sabato 9 febbraio 2019, possono anche restare sul mercato fino alla data di scadenza, ma in base al nuovo sistema di verifica a monte e a valle le persone autorizzate (in particolare farmacisti e ospedali) dovranno verificare, lungo tutta la catena di fornitura, l’autenticità dei prodotti. Il nuovo sistema consentirà agli Stati membri di tracciare meglio i singoli medicinali, in particolare qualora uno di essi susciti perplessità.

  • Nel 2017 le dogane dell’UE hanno sequestrato oltre 31 milioni di prodotti contraffatti alle frontiere

    I nuovi dati pubblicati  dalla Commissione europea rivelano che le autorità doganali hanno sequestrato oltre 31 milioni di prodotti falsi e contraffatti alle frontiere esterne dell’UE, per un valore commerciale di oltre 580 milioni di euro. Dal 2016 è calato il numero totale di sequestri, ma in compenso è aumentata la proporzione di prodotti contraffatti potenzialmente pericolosi destinati all’uso quotidiano, come i prodotti sanitari, i farmaci, i giocattoli e gli apparecchi elettrici, che rappresentano oggi ben il 43% dei sequestri complessivi. Al primo posto tra i beni contraffatti la categoria dei prodotti alimentari (24% degli articoli confiscati), seguiti dai giocattoli (11%), dalle sigarette (9%) e dall’abbigliamento (7%).

    Pierre Moscovici, Commissario per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane, ha dichiarato: “L’Unione doganale dell’UE è in prima linea quando si tratta di proteggere i cittadini da prodotti falsi, contraffatti e talvolta anche molto pericolosi. Fermare le importazioni di beni contraffatti nell’UE rappresenta anche un sostegno all’occupazione e all’economia nel suo complesso. L’Unione europea è schierata in supporto alla proprietà intellettuale e porterà avanti la campagna per tutelare la salute dei consumatori e proteggere al contempo le imprese dalla violazione penale dei loro diritti.”

    I dati che si evincono dalla nota diramata dalla Commissione europea qui pubblicata se da un lato sono fonte di entusiasmo dall’altro dimostrano quanto ancora il sistema contraffazione sia diffuso e quanto risulti difficile arginarlo. Anche questi, infatti, sono i nefasti risultati dovuti alle scelte sbagliate del Consiglio europeo che ha negato il via alla denominazione d’origine dei prodotti extra UE nel 2010, nonostante il voto positivo, a larga maggioranza, del Parlamento europeo, relatrice l’on. Cristiana Muscardini, e il parere della Commissione europea che aveva dato avvio al progetto. Il Consiglio era stato pressato al no dalla Germania e l’Italia non era stata capace di difendere una normativa necessaria per i consumatori, per le aziende manifatturiere e per la lotta alla contraffazione ed alle merci illegali. L’on. Muscardini ha sottolineato come l’Europa rimane imbelle di fronte ad un problema grave come quello evidenziato dai massicci sequestri anche per non aver voluto, nonostante le reiterate richiesta fatte in Commissione, armonizzare il sistema doganale.

  • La contraffazione costa 142 euro l’anno a ciascun italiano

    Secondo una nuova ricerca dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) l’Itala perde ogni anno 8,6 miliardi a causa della contraffazione e l’intera Ue 60 miliardi.

    La contraffazione colpisce soprattutto 13 settori economici: cosmetici e igiene personale; abbigliamento, calzature e accessori; articoli sportivi; giocattoli e giochi; gioielleria e orologi; borse e valigie; musica registrata; alcolici e vini; prodotti farmaceutici; pesticidi, smartphone, batterie e pneumatici.

    In Italia, i prodotti contraffatti presenti sul mercato italiano costano 8,6 miliardi, cioè 142 euro a testa, con un impatto sulle vendite dirette del 7,9%, mentre si bruciano 52.700 posti di lavoro ogni anno; a livello europeo l’impatto sulle vendite è del 7,5%, con un costo di 116 euro pro capite all’anno e una perdita di 434mila posti di lavoro.

    I modelli imprenditoriali più comuni si avvalgono in modo significativo di Internet per distribuire i prodotti falsi e promuovere la distribuzione e il consumo di contenuti digitali illegali. Secondo una recente ricerca di Confesercenti che includeva anche il settore del turismo oltre un consumatore su quattro (25,6%) si è trovato a comprare almeno una volta un prodotto o un servizio illegale o contraffatto sul web. “Il cospicuo valore, le troppo lievi pene inflitte e gli elevati ritorni sugli investimenti incentivano a intraprendere attività di contraffazione”, denunciano dall’EUIPO.

  • La contraffazione ci costa 100 miliardi l’anno

    Se ne parla troppo poco negli ultimi anni, ma l’impatto della contraffazione e della pirateria sull’economia e sulla creazione di occupazione in Italia e nell’intera Unione europea rimane fortissimo. Una nuova ricerca ha rilevato che ogni anno si perdono 8,6 miliardi in Italia a causa della contraffazione e il conto sale a 60 miliardi di euro se si guarda all’intera Europa. Se si contano le mancate vendite, il danno arriva a sfiorare i 100 miliardi di euro l’anno.

    La crisi e gli acquisti su Internet hanno moltiplicato le vendite di prodotti contraffatti, che in Europa valgono il 5% del valore delle importazioni. Il dato emerge da un’indagine appena pubblicata dalla Euipo, l’agenzia dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale. Ad essere maggiormente danneggiate sono, ovviamente, le imprese più innovative e più produttive. In Italia i settori più colpiti sono abbigliamento, farmaci, tecnologia, cosmetici e pelletteria.

    Il danno del mancato guadagno si riflette anche sui posti di lavoro persi: in Europa si calcola siano almeno 434.701, mentre in Italia ammontano a 52.705, una quota importante. Rispetto alla media europea, il nostro Paese infatti soffre più di altri per i danni alla proprietà intellettuale: la Euipo calcola infatti che si perdano ogni anno 116 euro per abitante Ue, ma in Italia la perdita sale a 142 euro.

    Oltre al danno economico resta il pericolo dei possibili danni alla salute: “Visto che in testa ai prodotti contraffatti ci sono farmaci e cosmetici e, per la Ue ma non per l’Italia, anche vini e alcolici – osserva Andrea Di Carlo, vicedirettore dell’Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale – i rischi per la salute e la sicurezza sono molto alti”.

    La contraffazione colpisce le aziende che si distinguono per l’innovazione: si tratta delle imprese che registrano più brevetti, e che da sole rappresentano il 42% del Pil Ue, 5700 miliardi di euro, e che impiegano il 28% dell’occupazione globale (con una ricaduta del 10% in via indiretta su settori che non sono ad alta intensità sotto il profilo dei diritti di proprietà intellettuale). Queste industrie generano inoltre un avanzo commerciale di circa 96 miliardi di euro con il resto del mondo, e versano ai propri lavoratori salari più alti del 46% rispetto alla media. Ecco perché la contraffazione colpisce doppiamente l’economia europea.

    Questo reato molto grave però, spesso non viene colpito o penalizzato in modo esaustivo: le sanzioni non sono particolarmente pesanti, né in Italia né in generale nella Ue. “Il codice penale viene applicato solo se entra in ballo la criminalità organizzata – dice Di Carlo – oppure se i danni sono ingenti. Altrimenti, solo sanzioni lievi. Giusto la Svezia le ha inasprite un anno fa, ancora è presto per valutare gli effetti di questa decisione”.

    L’Euipo conduce quest’indagine solo da alcuni anni, ma confrontando i dati attuali con quelli dell’Ocse emerge come la contraffazione sia in forte crescita. Questo avviene sostanzialmente per due ragioni. La prima è sicuramente la crisi, che ha spinto i consumatori ad acquistare prodotti con i prezzi più bassi senza interessarsi particolarmente sull’origine di questi prodotti. La seconda è la diffusione delle vendite on line: “Questo è un dato che emerge anche dalle indagini condotte dalle Dogane – spiega Di Carlo – c’è un forte aumento dei sequestri singoli, di prodotti acquistati per posta o per corriere. Inoltre acquistare on line permette di agire in via riservata, evitando l’eventuale riprovazione sociale che potrebbe suscitare l’acquisto di un prodotto contraffatto”.

    A differenza di quello che si pensa, non tutto il mondo della contraffazione ha luogo in Cina. Dalla Turchia, ad esempio, arriva molta pelletteria e cosmetica. Molti prodotti non originali vengono anche prodotti all’interno della stessa Unione Europea, e magari etichettati e imballati come se arrivassero da Paesi extra Ue. Ecco perché la lotta alla contraffazione va combattuta in modo sempre più vigile e rigoroso

  • Italian sounding: cui prodest

    Cos’è l’Italian sounding, ma soprattutto, in rapporto alla sua peculiarità, a chi e per quale motivo porta dei vantaggi economici questa pratica economica fraudolenta anche per il solo utilizzo concettuale a fini miseramente propagandistici?

    Nel 2015 il governo Renzi  affermò di aver inserito a bilancio 34 milioni per la lotta alla contraffazione dei prodotti italiani definiti appunto “italian sounding” che portano un danno economico per le aziende italiane di oltre 54 miliardi di euro. In questo contesto infatti va considerato come ogni dieci prodotti venduti all’estero che presentano nomi italiani sei risultino assolutamente realizzati al di fuori dell’Italia. Da allora, cioè dall’anno della dichiarazione del ministro, tuttavia non un’azione risulta intrapresa dal governo italiano a tutela dei prodotti italiani in qualche mercato estero. Anche perché va ricordato che l’ottimo governo Monti, con il pregiato ministro Passera, aveva precedentemente smantellato ogni struttura di controllo presente sui mercati internazionali. Mancando il monitoraggio ovviamente risulta difficile avviare qualsiasi azione  finalizzata alla tutela dei prodotti italiani clonati in modo miserevole da aziende e catene di distribuzione internazionali.

    Nel  contesto italiano e della mera e superflua dialettica politica governativa ecco come il concetto di italian sounding venga trasformato dal governo Renzi semplicemente in un’idea, o meglio un’icona, che successivamente viene riportata “sic et simpliciter” priva di ogni sviluppo reale dal sistema mediatico. Ulteriore prova di questa assoluta negligenza governativa deriva dal fatto che le uniche azioni per la tutela dei prodotti di aziende italiane le abbiano intraprese Zegna, Kartell e Ferrero le quali hanno dovuto attingere alle proprie risorse interne per tutelare i propri interessi e diritti.

    L’Italian sounding tuttavia risulta anche quel fenomeno odioso di imitazione, se non addirittura clonazione spesso grossolana, dello stile di vita italiano che viene venduto nei mercati internazionali dell’agroalimentare, del tessile-abbigliamento, fino  all’arredamento giustificati nella scelta fraudolenta dal valore culturale che ogni prodotto italiano esprime quale risultato finale di una filiera complessa, quindi come sintesi di know how industriale, storia e professionalità: la massima espressione del Way of Life unico al mondo che solo il Made in Italy esprime.

    Esiste poi una terza forma di  italian sounding, peraltro legittima, come quella delle aziende estere che hanno rilevato le nostre PMI italiane amate in ogni parte del mondo. Successivamente all’acquisizione, il prodotto viene completamente svuotato di ogni contenuto valoriale culturale con il fine di trasformarlo successivamente in un Brand vuoto nel quale inserire ciò che viene considerato dall’azienda stessa più idoneo a soddisfare le proprie esigenze di vendita.

    In questo senso infatti va inquadrata l’operazione della Nestlé di chiudere il centro di ricerca relativo ai preparati ed ai sughi situato a Villa Fratti di Sansepolcro in provincia di Arezzo. La nuova sede  per la ricerca di preparati e sughi che verranno venduti con il marchio italiano Buitoni (quindi ancora oggi una delle massime espressioni nel settore dell’agroalimentare  industriale) verrà collocata nella città di Solon nello Stato dell’Ohio, Stati Uniti. Tutti i mercati mondiali quindi potranno acquistare dei prodotti sintesi della creatività e della competenza statunitensi che verranno proposti con un brand espressione invece della cultura italiana.

    Una scelta certo legittima di un’azienda la quale ovviamente deve cercare marginalità e soprattutto strategie in rapporto alle opportunità offerte e ricercate anche attraverso le acquisizioni. Tuttavia come non ricordare l’entusiasmo da parte della classe politica e di quegli imprenditori trasformatisi in piazzisti che definirono questa campagna vendita da parte delle multinazionali estere in relazione alla nostre PMI. Una stagione iniziata tra la fine degli anni ‘80 e ‘90 e che ha avuto un fortissimo incremento degli ultimi 10 anni avendo visto moltissimi marchi dell’agroalimentare italiano passare in mano straniera. Allora come oggi questa campagna acquisti veniva e viene definita da parte degli economisti e dei politici italiani come una campagna di forte internazionalizzazione che avrebbe assicurato ed dovrebbe consentire anche oggi un futuro di sviluppo alle stesse aziende italiane. Affermazioni grossolane e superficiali, allora come oggi, che dimostrano come la storia economica italiana ed internazionale non abbia ancora insegnato nulla. Come non ricordare una classe politica ed imprenditoriale la quale invece di affrontare le difficoltà di una gestione di queste aziende abbia preferito supportare la loro vendita  alle multinazionali spacciandola spudoratamente come una grande risorsa per il territorio italiano e per l’economia  italiana in generale.

    Nel prossimo futuro quindi il mondo conoscerà una nuova forma di Italian sounding, peraltro assolutamente legittima, che vedrà un marchio italiano associato ai prodotti di ispirazione statunitense. Francamente quest’ultima rispetto alle altre due forme di Italian sounding che coinvolgono operatori industriali disonesti e compagini governative inette e probabilmente anche poco competenti rappresenta quella meno insopportabile.

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