costruzioni

  • Partito il 60% dei cantieri del Pnrr ma la spesa resta ferma al 34%

    Il 60% dei cantieri del Pnrr è avviato o già completato ma la spesa certificata resta ferma al 34%. A evidenziarlo è stata la presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), Federica Brancaccio, durante l’assemblea pubblica annuale dell’associazione, svoltasi oggi all’Auditorium della Conciliazione, a Roma. “La vera sfida ora è garantire continuità, coordinamento nazionale e certezze per le imprese”, ha affermato Brancaccio. Il Pnrr ha trasformato l’Italia “nel più grande cantiere d’Europa” e rappresenta un modello di gestione da estendere ad altri ambiti, in particolare alle politiche urbane e dell’abitare, oggi ancora troppo frammentate: “Solo su quest’ultimo tema contiamo 40 competenze diverse”, ha affermato. L’assemblea, intitolata “Il tempo giusto”, ha rappresentato un momento di confronto sul futuro delle costruzioni in Italia, con un focus sulle trasformazioni in atto e le opportunità da cogliere in un contesto in continua evoluzione. All’evento sono intervenuti, oltre alla presidente Ance, rappresentanti di primo piano delle istituzioni e dell’economia, tra cui il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il vicepresidente della Commissione europea, Raffaele Fitto, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, e il presidente Anci, Gaetano Manfredi. Gualtieri ha ringraziato imprese e lavoratori che hanno permesso lo sviluppo dei cantieri nella Capitale. Fitto invece ha precisato che l’impossibilità di spostare la scadenza per i progetti del Pnrr “non è una questione di volontà”.

    “Nel caso in cui dovessimo concedere una proroga, dovremmo cambiare tre diversi regolamenti con il voto non solo di tutti gli Stati membri ma anche di diversi Parlamenti”, ha spiegato Fitto, il quale ha sottolineato che la scelta di non posticipare la scadenza è stata fatta per “partito preso”. Il vicepresidente ha inoltre aggiunto che con il commissario europeo con delega all’Economia, Valdis Dombrovskis, sono stati introdotti alcuni elementi di flessibilità, come la possibilità di rimuovere alcuni progetti dal Pnrr e spostarli sulla programmazione della politica di coesione, permettendo così di estendere la scadenza per la loro realizzazione. Innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e rigenerazione urbana sono stati gli altri temi al centro del dibattito dell’assemblea. L’obiettivo comune: costruire un sistema più efficiente, inclusivo e capace di affrontare le sfide del futuro. “Abbiamo 2.500 imprese coinvolte nei cinque mila cantieri del fondo Opere indifferibili che rischiano di non vedere un euro. Sui ristori del caro materiali mancano all’appello quasi 3 miliardi”, ha avvertito Brancaccio. Il ministro Salvini, dal canto suo, ha fornito i dati aggiornati sulla situazione delle infrastrutture italiane: “Oggi possiamo dire che l’Italia ha in corso investimenti per 204 miliardi di euro. Le opere riguardano ferrovie e strade, infrastrutture idriche, trasporto pubblico locale e case popolari. Parliamo di 1.200 cantieri ferroviari attivi, di cui 700 per nuove opere e 500 per manutenzioni programmate”.

    Per il presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Gaetano Manfredi, la certezza finanziaria “è un elemento fondamentale” per la crescita delle città. “Realizzare opere di qualità nei tempi giusti è possibile solo con una programmazione continua e non a singhiozzo. Sono fondamentali la programmazione e il monitoraggio costante. Per programmare serve la certezza dei fondi. Per questo il mio appello al governo è: dobbiamo prepararci al dopo Pnrr. Si scelgano fin da ora le priorità”, ha osservato. “Comuni e Città metropolitane sono diventati attori protagonisti nella realizzazione delle opere pubbliche, dopo anni di difficoltà, nonostante la carenza di personale e le problematiche organizzative”, ha sottolineato Manfredi, annunciando di avere consegnato a Raffaele Fitto “un’Agenda delle Città e dei Comuni, con tanti progetti cantierabili e realizzabili, che possono rappresentare una svolta per il Paese”. “Solo nel 2024 – ha ricordato – i Comuni hanno effettuato spese per investimenti pari a circa 19,1 miliardi di euro. Nel primo quadrimestre del 2025 la spesa è ulteriormente cresciuta. È un dato positivo, perché significa che le risorse si spendono e le opere si realizzano. Crescono in particolare le spese per scuole e impianti sportivi, anche grazie all’effetto del Pnrr”.

  • Turismo in Val Trebbia: valorizzare e rispettare il territorio

    Il piacentino è uno di quei territori italiani che, specie per la città capoluogo, si lamenta di un turismo mordi e fuggi. Il turismo, nonostante le tante iniziative culturali organizzate dalla Banca di Piacenza durante tutto l’anno, non si ferma più di qualche ora o poco di più.

    Sommessamente ricordiamo che, per fare un esempio, la Val Trebbia, definita da Hemingway una delle più belle valli del mondo, continua ad essere deturpata da costruzioni di capannoni bordo strada, anche non lontano dal fiume ed in prossimità del Parco del Trebbia, e da case, casette, villini e villette di poca qualità e prive di aree verdi adeguate così che molti paesi diventano dei veri quartieri dormitorio.

    La cementificazione selvaggia, che tanto Lega Ambiente contrasta, purtroppo poco ascoltata, è uno dei più importati problemi che il piacentino dovrebbe risolvere, facciamo solo un  esempio: la faraonica rotonda, ancora non finita e costata una cifra assurda, costruita alla congiunzione di due strade panoramiche che portano al Castello di Momeliano e al Castello di Rezzanello, forse sarebbe stato meglio aggiustare le varie buche delle strade ed investire sulla conoscenza del territorio coinvolgendo anche imprese locali a partire da quelle vitivinicole.

    In sintesi oggi si riscontra un grande interesse per un turismo fuori dalle aree più conosciute e occorre valorizzare e rispettare il territorio costruendo attività industriali in aree diverse da quelle prettamente turistiche, non cementificare ad oltranza, salvare gli edifici in pietra e mattoni che sono stati abbandonati perché un territorio vale anche per la sua storia architettonica.

    Un problema italiano che diventa sempre più evidente, la cementificazione selvaggia e lo snaturamento del territorio presto saranno irreversibili e tutti ne pagheremo le conseguenze.

  • Il Vicepresidente Fitto ospita il dialogo sull’attuazione dello sviluppo urbano sostenibile nell’ambito della politica di coesione

    Il 24 giugno il Vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto ospiterà a Bruxelles il dialogo sull’attuazione dello sviluppo urbano sostenibile nell’ambito della politica di coesione, che riunirà un gruppo mirato di sindaci per discutere le sfide e condividere approcci efficaci per conseguire uno sviluppo urbano sostenibile.

    L’agenda dell’UE per le città, che sarà presentata in una prossima comunicazione, delineerà un nuovo approccio a sostegno delle aree urbane. L’agenda è tesa a far sì che il sostegno dell’UE raggiunga le città e le comunità che ne hanno più bisogno e sia accessibile a tutti i potenziali beneficiari. Rafforzerà inoltre l’impegno dell’UE a favore dello sviluppo urbano sostenibile, ponendo le esigenze e gli interessi delle città in prima linea nelle future iniziative dell’UE.

    Il dialogo sull’attuazione contribuirà alla preparazione dell’agenda dell’UE per le città, la cui adozione è prevista per la fine del 2025.

    La Presidente von der Leyen ha incaricato tutti i commissari di organizzare due dialoghi sull’attuazione all’anno per allineare l’attuazione alle realtà sul terreno. Per il Vicepresidente esecutivo Fitto si tratta del primo di tali dialoghi.

  • Proteste massicce che stanno mettendo in difficoltà un regime

    I popoli ben governati e contenti non insorgono. Le insurrezioni, le rivoluzioni

    sono la risorsa degli oppressi e degli schiavi e chi le fa nascere sono i tiranni

    Giuseppe Garibaldi

    ‘La corruzione uccide’. Una breve frase che, dai primi giorni del novembre scorso, è diventata lo slogan delle proteste degli studenti in Serbia. Si tratta di quelle proteste iniziate subito dopo che, il 1° novembre, è crollata la tettoia all’ingresso della stazione ferroviaria di Novi Sad, una città che si trova nel nord della Serbia e dove passa anche la ferrovia che collega Budapest con Belgrado. Il crollo della tettoia causò 15 morti e circa 30 feriti.

    Il 3 novembre, due giorni dopo la tragedia, in diverse città della Serbia sono cominciate le proteste. Nella capitale erano alcune centinaia, tra studenti e cittadini, che hanno protestato davanti alla sede del governo, per poi spostarsi al ministero delle Infrastrutture. I manifestanti, gridando che quello di Novi Sad era “un crimine, non una tragedia”, accusavano il governo di appalti truccati, di mancanza della trasparenza dovuta per legge e di corruzione. Gli studenti, che erano la maggior parte dei manifestanti del 3 novembre scorso a Belgrado, chiedevano proprio di desecretare tutti i documenti sull’appalto per la stazione ferroviaria di Novi Sad ed attivare subito un’indagine indipendente sul caso, nonché le dimissioni del primo ministro, del ministro delle Infrastrutture e del sindaco di Novi Sad. I manifestanti, con le loro mani impregnate di vernice rosso sangue, hanno lasciato le loro impronte sulle facciate delle istituzioni prima di disperdersi.

    Da allora gli studenti, ma anche i cittadini, hanno continuato le loro proteste, sempre più massicce. Durante alcune di quelle proteste, che gli studenti chiamo “Blokade” (blocchi, n.d.a.), si mette in atto l’interruzione del traffico proprio alle 11.52, alla stessa ora in cui è crollata la tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad. Il 22 novembre scorso, a Belgrado, gli studenti della facoltà di Arte drammatica hanno protestato negli ambienti della facoltà. Una protesta pacifica quella degli studenti, i quali però sono stati aggrediti da agenti e civili, sostenitori del partito al potere. E nonostante i media non controllati dal regime del presidente serbo abbiano pubblicato i nomi di alcuni degli aggressori civili, nessuno di loro non è stato fermato dalla polizia. Come è successo anche in molti altri precedenti casi, prima della tragedia di Novi Sad, il 1° novembre scorso.

    Bisogna sottolineare che la stazione ferroviaria di Novi Sad è stata ristrutturata, partendo dal 2021, con dei finanziamenti avuti dalla Cina, nell’ambito di quella che è nota come la Belt and Road Initiative (in italiano riconosciuta come la Nuova Via della Seta; n.d.a.). Un programma strategico del governo cinese, reso noto e ufficializzato nel 2013, che finanzia con più di 1000 miliardi di dollari statunitensi molti investimenti infrastrutturali in diversi parti del mondo. Compresa anche l’Europa. Bisogna altresì sottolineare che i lavori di ricostruzione della ferrovia e della stazione di Novi Sad erano stati affidati, dal governo serbo, ad un consorzio di ditte cinesi. Mentre il ministero delle Costruzioni, Infrastrutture e Trasporti, in palese violazione della legge in vigore sull’accesso all’informazione, ha respinto le richieste di avere informazioni sulla ricostruzione della stazione di Novi Sad. Invece, nonostante la ristrutturazione della stazione di Novi Sad non fosse ancora finita, nel 2022 la stazione è stata provvisoriamente aperta durante la campagna elettorale di quell’anno. Si trattava di un’attività elettorale del presidente serbo, accompagnato anche dal primo ministro ungherese (gli stessi di oggi), visto che la ferrovia collegava le due rispettive capitali. E subito dopo quell’attività la stazione è stata di nuovo chiusa per finire i lavori in corso. Finalmente la stazione ristrutturata è stata inaugurata e resa finalmente operativa nel luglio scorso.

    Le proteste degli studenti e dei loro professori in Serbia sono continuate durante tutti questi mesi. A loro si sono aggiunti anche moltissimi cittadini, agricoltori con i loro trattori e tanti altri. Il 24 gennaio scorso in Serbia c’è stato un grande sciopero generale, con dei blocchi stradali sia a Belgrado che in altre città serbe. Ed in seguito alle continue proteste, il 28 gennaio scorso il primo ministro serbo ha presentato le sue dimissioni. Lo stesso ha fatto anche il sindaco di Novi Sad. Mentre altri due ministri, quello delle Costruzioni, Infrastrutture e Trasporti ed il suo collega del Commercio, si sono dimessi rispettivamente il 4 ed il 20 novembre scorso.

    Il 27 gennaio 2025 gli studenti e tutti i loro sostenitori avevano bloccato per 24 ore una strada molto trafficata della capitale serba. In seguito a quella protesta e sotto la continua pressione delle precedenti proteste degli studenti, il presidente serbo, il 28 gennaio scorso, aveva dichiarato che era pronto “… a parlare con gli studenti; lo scontro non giova a nessuno”. Affermato, altresì, che stava preparando un “ampio e rapido progetto di rimpasto”. Ed era un progetto che prevedeva altri ritiri. Il 28 gennaio, annunciando le sue dimissioni, il primo ministro serbo, nato a Novi Sad e sindaco della città dal 2012 fino al 2022, ha dichiarato che “… come Governo è il momento di essere il più possibile responsabili”. Aggiungendo che “… per diminuire le tensioni fra noi e i manifestanti, ho preso la decisione di fare un passo indietro”. Dimissioni quelle sue che sono state solo una “formalità dovuta”, visto che tuttora non c’è un nuovo primo ministro della Serbia, mentre le dichiarazioni del presidente serbo sono rimaste solo tali, perché nessuna azione concreta è stata compiuta ad oggi.

    Le proteste massicce in Serbia sono continuate anche durante le scorse settimane. L’ultima, in ordine di tempo, è stata quella di sabato scorso a Belgrado. Una protesta chiamata “15 per 15”. Sì, perché è stata  svolta per ricordare le 15 vittime della stazione di Novi Sad proprio il 15 marzo. E come sempre, in tutte le precedenti proteste, i partecipanti hanno osservato 15 minuti di silenzio per ricordare ed onorare le vittime della tragedia del 1° novembre scorso. Secondo le autorità i partecipanti erano poco più di 100.000 persone, mentre per gli organizzatori della protesta, sabato erano scesi in piazza non meno di 275.000 persone. Lo hanno confermato anche fonti mediatiche non controllate dal regime. Erano studenti, insegnanti e professori universitari, cittadini e agricoltori che hanno partecipato alla protesta. Molti di loro, non abitanti di Belgrado, sono arrivati la mattina del 15 marzo nella capitale, marciando a piedi, oppure usando le loro biciclette. Gli studenti che, ormai da più di quattro mesi, sono anche gli organizzatori delle proteste contro il regime del presidente serbo hanno ripresentato sabato scorso le loro quattro richieste. Loro chiedono alle autorità di rendere pubblici tutti i documenti riguardanti la ristrutturazione della stazione ferroviaria di Novi Sad. In più gli studenti chiedono alle strutture competenti di indagare su tutti coloro che sono stati coinvolti in ogni atto aggressivo contro i partecipanti alle proteste e di prendere le dovute misure previste dalle leggi in vigore. La sospensione dell’incriminazione degli studenti arrestati durante le proteste è un’altra richiesta degli studenti. Loro chiedono anche un aumento del 20% dei finanziamenti per l’istruzione superiore.

    Il presidente serbo, dopo la massiccia protesta del 15 marzo scorso, ha dichiarato: “Ora, le autorità devono cogliere il messaggio portato dalle persone che sono arrivate oggi nella capitale”. Aggiungendo: “Dobbiamo cambiare e cambiare tutto ciò che ci circonda”. Compresa anche la possibilità di incontrare i manifestanti e di indire un referendum e nuove elezioni. Ma ha respinto le precedenti proposte per un governo di transizione, con il compito di preparare elezioni anticipate.

    Chi scrive queste righe valuta che le proteste massicce stanno mettendo in difficoltà il regime. Aveva ragione Garibaldi. Sì, i popoli ben governati e contenti non insorgono. Le insurrezioni, le rivoluzioni sono la risorsa degli oppressi e degli schiavi. E chi le fa nascere sono i tiranni.

  • L’azienda italiana Condotte 1880 investirà a Malabo, in Guinea equatoriale

    L’azienda italiana Condotte 1880, con 144 anni di esperienza nel settore delle infrastrutture e dell’ingegneria civile, ha formalizzato la sua presenza in Guinea Equatoriale. Questa decisione, riferisce il sito d’informazione camerunese “EcoMatin”, è stata ratificata il 14 febbraio a Malabo durante un’udienza tra il vicepresidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Nguema Obiang Mangue, e una delegazione di Condotte 1880 guidata dal suo direttore generale, Carlo Calt. L’accordo segna il culmine di un processo iniziato nel 2023, quando il vicepresidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Nguema Obiang Mangue, si recò a Roma per discutere di opportunità di investimento. Un soggiorno durante il quale erano già stati firmati i primi accordi. Per giustificare la scelta della Guinea Equatoriale come base per avviare le proprie attività in Africa, l’azienda sottolinea due fattori importanti: “l’impegno politico del management di Malabo e l’interessante clima imprenditoriale che offre la Guinea Equatoriale”, ha dichiarato Calt.

    Il settore dell’edilizia sociale continua a rappresentare una sfida importante per il Paese africano. Secondo il Centro per il finanziamento di alloggi a prezzi accessibili (Cahf), nel 2000 la Guinea Equatoriale ha avviato un importante programma di costruzione di alloggi sociali, molti dei quali sono ancora incompiuti. Per far fronte a questa situazione, Malabo ha recentemente rafforzato la propria strategia firmando, lo scorso 10 febbraio, un accordo con la società egiziana Arab Contractors per la costruzione di 100 mila unità abitative sociali. L’arrivo di Condotte 1880 darà quindi un nuovo impulso a questa dinamica. L’ingresso di Condotte 1880 in Guinea Equatoriale rientra nella volontà del governo di Malabo di aumentare l’attrattività della propria economia e di diversificare le fonti di crescita, al di là del settore petrolifero, che rappresenta ancora la maggior parte delle entrate del Paese. Fondato nel 1880, Condotte 1880 è uno dei principali attori del settore delle costruzioni, specializzato nella realizzazione di opere civili, idrauliche, industriali e grandi infrastrutture. Presente in una cinquantina di Paesi, l’azienda italiana ha realizzato nel 2023 un fatturato di 1,65 milioni di euro (circa 1,08 miliardi di franchi Cfa).

  • In Italia consumati 20 ettari di suolo al giorno nel 2023

    Complessivamente il consumo di suolo in Italia nel 2023 rimane ancora elevato (anche se con una leggera diminuzione rispetto all’anno precedente) e continua ad avanzare al ritmo di circa 20 ettari al giorno, ricoprendo durante l’anno altri 7250 ettari di terreno (una superficie estesa come tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze). E’ quanto emerge dal Rapporto Ispra 2024 “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. A livello regionale gli incrementi maggiori, espressi in ettari, per l’ultimo anno si sono verificati nelle regioni Veneto (+891 ettari), Emilia-Romagna (+815 ettari), Lombardia (+780 ettari), Campania (+643 ettari) e Piemonte (+553 ettari). Solo Valle d’Aosta (+17 ettari) e Liguria (+28 ettari) hanno contenuto il suo consumo al di sotto di 50 ettari, mentre il Molise, supera di poco tale soglia. Il consumo di suolo secondo l’Ispra non è solo un problema ambientale, ma anche economico: nel 2023 la riduzione dell’“effetto spugna”, ossia la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, secondo le stime, costa al Paese oltre 400 milioni di euro all’anno.

    Un “caro suolo” che si affianca agli altri costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell’habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima. Per effetto del progressivo consumo di suolo in Italia avvenuto nel corso degli anni adesso complessivamente le coperture artificiali coprono ben il 7,16% dell’intero territorio nazionale.

    A livello regionale i valori percentuali più elevati sono quelli della Lombardia (12,19%), del Veneto (11,86%) e della Campania (10,57%). Alle prime tre, seguono Emilia-Romagna, Puglia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Liguria, con valori sopra la media nazionale e compresi tra il 7 e il 9%, mentre in 15 regioni superano il 5% e la Valle d’Aosta rimane la regione con la percentuale più bassa (2,16%). La Lombardia detiene il primato anche in termini assoluti, con oltre 290mila ettari del suo territorio coperto artificialmente (il 13,5% delle aree artificiali italiane è in questa regione), contro gli appena 7.000 ettari della Valle d’Aosta. In Italia la cementificazione mette in pericolo non solo la produzione alimentare, ma anche la stabilità del territorio, a rischio dissesto e desertificazione, con le coperture artificiali che rendono sempre più devastanti gli effetti dei cambiamenti climatici. Una perdita di terreni fertili dolorosa dovuta alla nascita di nuovi edifici, strutture commerciali oltre all’installazione selvaggia di pannelli fotovoltaici a terra.

    Coldiretti ritiene a tal proposito essenziale in tale ottica accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo che giace da anni in Parlamento e che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia, consentendo ancora una volta al nostro Paese di fare da apripista in Europa, come già accaduto per la carne sintetica e l’etichetta d’origine.

    A livello nazionale risultano occupati da impianti fotovoltaici a terra 17.907 ettari secondo l’Ispra. L’installazione di impianti fotovoltaici a terra, in base a una stima Ismea, ha coinvolto solo nel 2023 poco meno di 400 ettari durante l’anno, seppure con una diversa intensità territoriale. Il Veneto, con poco più del 17% del totale, apre la classifica regionale, seguito da Piemonte e Sicilia, con circa il 14% ciascuno, e da Lazio e Sardegna con quote rispettivamente dell’11,5% e dell’11%. Più ridotto l’effetto “covering” da fotovoltaico in Puglia, con poco più del 2% dei 400 ettari nazionali, e soprattutto in Umbria, Marche, Toscana e Campania (ciascuna con 1% circa di quota), nessun contributo, invece, da Trentino-Alto Adige, Val d’Aosta, Liguria, Molise e Calabria. Il fenomeno ha interessato per il 51% aree rurali con agricoltura di tipo intensivo, collocate in prevalenza in territori di pianura e collina, il cui impatto sul piano economico e produttivo è significativamente maggiore rispetto ad altri contesti. Un altro 28% ricade in ambiti classificati “intermedi”, il 13% in aree interne con problemi di sviluppo, soggette anche a fenomeni di spopolamento, e solo l’8% in aree urbane e periurbane. Al Centro-Nord il 95% delle superfici agricole dirottate sul fotovoltaico riguarda i seminativi, contro il 77% del Mezzogiorno. Al Sud e nelle Isole si osserva un significativo coinvolgimento anche delle colture permanenti (20%), con un quinto dei terreni agricoli disimpegnati per fare posto ai pannelli solari situato in zone montane o pedemontane.

  • Tanti ponti, per la maggioranza vecchi. Per sistemarli servono stanziamenti ma anche competenze

    A causa dell’orografia italiana piuttosto irregolare, il patrimonio di ponti e viadotti stradali è piuttosto rilevante. La loro realizzazione, spesso durante gli anni del boom economico, è avvenuta in assenza di norme specifiche sulla durabilità, qualità dei materiali, manutenzione programmata.

    Il nostro sistema di infrastrutture stradali ha bisogno di attenzione e azioni di manutenzione efficaci e mirate, perché la maggior parte dei ponti e viadotti italiani è stato costruito tra il 1955 e il 1980. Lo dice il rapporto dell’istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr, che risale al giugno del 2018 (mancava poco più di un mese al crollo del Ponte Morandi a Genova). Rimediare “a posteriori” è oggettivamente complesso, oltre che molto costoso.

    Spiega Fabio Biondini, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano: “Il problema della durabilità delle strutture e dei ponti in particolare, è emerso nella sua effettiva importanza solo negli ultimi decenni e ha richiesto anni di studi e ricerche per una migliore comprensione del ruolo dei fenomeni di fatica e degrado dei materiali.

    Gli effetti di questi fenomeni risultano esacerbati anche dalla continua crescita dei volumi di traffico. Oggi i criteri di progettazione, manutenzione e gestione dei ponti si stanno modificando profondamente attraverso un approccio a ciclo di vita, nel quale si valutano le prestazioni strutturali nel tempo durante le fasi di esercizio dell’opera fino alla sua dismissione, in modo da garantire un adeguato livello di sicurezza durante l’intera vita di servizio attesa”.

    Secondo i dati di uno studio condotto da Carlo Castiglioni e Alessandro Menghini del Politecnico di Milano presentato nel 2021, ci sono almeno 1.900 ponti in Italia, sui 61mila osservati, che presentano “altissimi rischi strutturali”. Inoltre più di 18mila viadotti presentano alcune criticità e necessitano interventi di manutenzione. Più del 50% dei ponti ha un’età superiore ai 50 anni contro una media nei Paesi del G7 che si attesta fra i 20 e i 30 anni.

    Da più di 50 anni in Italia si cerca di normare la vigilanza sulle opere d’arte stradali. Dopo il crollo, il 18 gennaio del ’67, delle campate centrali del ponte di Ariccia, una costruzione dell’800 sulla via Appia ricostruita in maniera approssimativa dopo la seconda guerra mondiale (già due anni prima del crollo si erano individuate crepe nel ponte, come scrissero i giornali dell’epoca), venne emanata la Circolare LL. PP. n° 6736/61/AI del 19.07.1967 che stabilisce l’importanza della vigilanza assidua del patrimonio delle opere d’arte stradali e delle operazioni di manutenzione e ripristino. Tutto ciò si doveva realizzare attraverso l’esecuzione di una ispezione trimestrale, eseguita da tecnici, e da un’ispezione annuale eseguita da ingegneri il tutto corredato da rapporti d’ispezione. Con il decreto del 1° luglio 2022 il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili ha diffuso le Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza ed il monitoraggio dei ponti esistenti.

    Con il Decreto 5 maggio 2022 (in GU n.164 del 15-7-2022)  il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili ha ripartito il Fondo  per la messa in sicurezza dei ponti e viadotti esistenti e la realizzazione di nuovi ponti. Si tratta di un programma di 6 anni dal 2024 al 2029. Sono previsti 100 milioni per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e 300 milioni per ciascuno degli anni dal 2026 al 2029. Le risorse sono ripartite tra le province e le città metropolitane.

    Secondo Antonio Occhiuzzi, Direttore dell’Istituto di Tecnologia delle Costruzioni del Car, “Il problema ha dimensioni grandissime: il costo di un ponte è pari a circa 2.000 euro/mq; pertanto, ipotizzando una dimensione “media” di 800 mq e un numero di ponti pari a 10.000, le cifre necessarie per l’ammodernamento dei ponti stradali in Italia sarebbero espresse in decine di miliardi di euro”.

  • Superbonus alle case private e ora gli inquilini del Pat temono di vedersi venduti i loro appartamenti

    Il commissario straordinario Francesco Paolo Tronca intende cedere parte degli immobili per risanare i conti in rosso della Baggina, conferendoli  a un fondo da costituire con Invimit, società partecipata al 100% dallo Stato. Il rogito sarebbe previsto per settembre.

    Tra gli inquilini del Trivulzio cresce la paura di perdere la propria abitazione. Alcuni di loro hanno già ricevuto lettere di disdetta e di sfratto. «Non bisogna far passare il messaggio che il mondo del Trivulzio è abitato da approfittatori, da chi gode in modo ingiusto dei canoni di locazione a prezzi calmierati. Ci sono persone che se dovessero perdere la loro casa, non riuscirebbero a trovarne facilmente un’altra con gli affitti che ci sono a Milano» hanno protestato a fine luglio i sindacati degli inquilini del Pat.

    Tronca, in scadenza il 6 agosto e in attesa di vedere se la Regione Lombardia lo prorogherà e per quanto ha rassicurato, in un’audizione in Regione, che valuterà «caso per caso» le situazioni degli inquilini, ma le sue rassicurazioni non hanno convinto l’opposizione. Secondo Carmela Rozza, consigliera regionale del Pd «questa è una forma di clientela, piuttosto che di tutela. Bisogna stabilire dei criteri oggettivi che siano frutto degli accordi sindacali e che vadano a tutelare i redditi bassi». Il Comune di Milano ha adottato un ordine del giorno sul Pio albergo Trivulzio. «Con l’auspicio che si possa trovare un accordo per dare risposte alla famiglie con redditi bassi», come ha spiegato Federico Bottelli, presidente della commissione Casa.

    A fronte dell’emergenza abitativa a cui il Pat ha dato risposta e a cui gli inquilini confidano continui a dare risposta, resta la cifra mostruosamente alta, quasi 200 miliardi, destinati all’edilizia privata col superbonus. Non ci si può fare nulla, se non cercare di tappare il più possibile la falla che quella misura ha aperto nei conti pubblici, ma certo se l’avvocato del popolo Giuseppe Conte avesse potuto allocare quelle risorse per l’edilizia popolare il Pat ne avrebbe tratto beneficio e i suoi utenti di conseguenza. Non solo il Pat ma tutta l’edilizia popolare o convenzionata, della quale gli italiani hanno tanto bisogno (specie nelle grandi e medie città), ne avrebbe avuto notevole vantaggio.

  • Dalla Ue 123 milioni di euro alla Tunisia per la costruzione di un ponte ad opera di una ditta cinese

    La Banca europea per gli investimenti (Bei) stanzia un finanziamento di 123 milioni di euro, coperto da garanzia dell’Unione europea (Ue), al progetto del ponte di Biserta, in Tunisia, che si va ad aggiungere a un prestito da 122 milioni di euro della Banca africana allo sviluppo (Afdb). Un impegno congiunto di Bei, Ue, Adb e Stato tunisino per sviluppare le infrastrutture di trasporto del Paese rivierasco. “La firma del contratto di costruzione dà il via ai lavori di costruzione di 38 mesi”, si legge in un comunicato congiunto che sottolinea: “La Banca europea per gli investimenti – la Banca dell’Ue – conferma il proprio sostegno finanziario di 123 milioni di euro (circa 416 milioni di dinari) per la costruzione del nuovo ponte a Biserta, nel nord della Tunisia, in collaborazione con la Banca africana di sviluppo (AfDB) che prevede un finanziamento di 122 milioni di euro e lo Stato tunisino. Sin dal suo avvio nel 2016, questo progetto ha beneficiato del sostegno dell’Ue attraverso una donazione di circa 3 milioni di euro (più di 10 milioni di dinari) destinata agli studi di fattibilità e alla fase di progettazione”.

    L’iniziativa mira a migliorare significativamente la mobilità e la qualità della vita dei residenti della regione. Situato in posizione strategica tra il Lago di Biserta e il Mediterraneo, questo ambizioso progetto mira a costruire un moderno ponte lungo 2,07 chilometri e alto 56 metri, con un budget totale di circa 250 milioni di euro. La firma del contratto di costruzione segna quindi l’inizio dei lavori, con un periodo di costruzione stimato in 38 mesi per il ponte e 27 mesi per le strade e gli svincoli associati. “Questo progetto – prosegue il comunicato – è fondamentale per la città di Biserta, perché mira a convogliare il traffico fuori dal centro cittadino, ridurre l’inquinamento atmosferico e decongestionare il traffico urbano. La costruzione di questo ponte rappresenta un passo importante verso lo sviluppo sostenibile della regione e la preparazione del futuro per le nuove generazioni, riflettendo l’impegno di Bei ed Ue a sostegno delle infrastrutture moderne e sostenibili in Tunisia”.

    Il contratto di costruzione è stato assegnato alla Sichuan Road and Bridge Group (Srbg), selezionata a seguito di una gara internazionale, per un costo di 200 milioni di euro, pari al 79 per cento dell’investimento totale. I lavori prevedono tre fasi, ovvero la realizzazione di un collegamento sud tramite l’autostrada di 4,5 chilometri, la costruzione del ponte principale, e la realizzazione di un collegamento nord e di un’autostrada di 2,5 chilometri. Questa nuova struttura, molto attesa dagli abitanti di Biserta, convoglierà il traffico fuori dal centro cittadino e libererà il transito attraverso il ponte mobile, attualmente utilizzato da più di 44 mila veicoli al giorno. Oltre a razionalizzare il traffico, il progetto sosterrà anche l’attività economica regionale facilitando l’accesso al porto di Biserta e stimolando lo sviluppo locale.

    Marcus Cornaro, ambasciatore dell’Ue in Tunisia, ha dichiarato: “Confermiamo il nostro impegno nella realizzazione di questo progetto strategico che contribuirà a migliorare la vita quotidiana degli abitanti di Biserta e lo sviluppo economico della regione. Attraverso il suo contributo, l’Ue riafferma il proprio impegno a fianco delle istituzioni e dei cittadini tunisini per lo sviluppo sostenibile”. Jean-Luc Revéreault, capo della rappresentanza della Bei in Tunisia ha ribadito che “al di là del suo notevole aspetto tecnico, questo ponte tanto atteso ridurrà il traffico nel centro della città di Biserta e migliora gli scambi economici con la regione del nord-est e la frontiera algerina. Questo risultato riflette il nostro impegno per soluzioni durature e un futuro promettente per i cittadini tunisini”.

  • Ognuno faccia la sua parte

    Chi ha attenzione per il futuro del pianeta ha visto con interesse i pochi ma speriamo concreti passi avanti fatti durante il Cop28 di questi giorni e sono state apprezzate le affermazioni del Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni che si è riferita alla necessità di uno sviluppo sostenibile e di un ambiente da difendere.

    È proprio tornando in Italia che dobbiamo chiedere al premier come pensa di intervenire per impedire che siano nuovamente usati, sia nelle nuove costruzioni che nelle ristrutturazioni, materiali che sono a rischio incendio, che sono nocivi per la salute e pericolosi.

    La recente, e deprecabile, vicenda del 110%, per mancanza di leggi chiare, ha consentito che per una gran parte delle case, alle quali è stato fatto il “cappotto”, sono stati usati pannelli pericolosi e a rischio combustione, come dimostra quello che è avvenuto recentemente a Roma con la conseguenza che decine di persone sono rimaste senza abitazione e che tutta la zona è stata inquinata dai fumi.

    Una delle prime leggi che il governo dovrebbe immediatamente varare è proprio quella che impedisca nell’edilizia l’uso di materiali insicuri, inquinanti, pericolosi e nocivi. Un capitolato certo che, se non rispettato, sanzioni in modo efficace chi ha tradito la fiducia e violato la legge.

    L’ambiente, l’ecosistema si tutelano dalle foreste amazzoniche alle costruzioni di casa nostra, dalla cura del verde pubblico al riutilizzo di quanto è possibile riciclare, ognuno faccia la sua parte e il governo, senza essere inutilmente vessatorio con elefantiache e sterili burocrazie, produca leggi chiare e ne controlli il rispetto.

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