Democrazia

  • ‘Viva l’Italia’

    Mentre si assiste ad una corsa nel sostegno a chi ha urlato alla Scala

    “Viva l’Italia antifascista” modestamente anch’io dico:

    ” Viva l’Italia”. Il mio Paese

    che una classe politica urlante

    non merita

    perché non dimostra rispetto

    con il silenzio neppure in un luogo come la Scala di Milano

    Viva l’Italia

    liberale e repubblicana

    depurata da queste polemiche

    e con una classe politica nutrita

    con  slogan  per celare il vuoto siderale

    Viva l’Italia

    la mia Italia

    e non la vostra che

    avete distrutto economicamente

    nell’ultimo trentennio rendendola

    l’unica con una decrescita del reddito in Europa

    Viva l’Italia

    che agli inutili corsi di affettività nelle scuole

    non manda un prete

    ma neanche un esponente LGBT

    Viva l’Italia

    nella quale

    la sanità viene gestita

    come servizio

    e non come business

    Viva l’Italia

    che preferisce

    come modello politico la democrazia diretta

    ed economico la Svizzera

    Viva l’Italia

    che invece di svendere il proprio patrimonio industriale e societario

    investe per arricchire la propria economia

    Viva l’Italia

    la cui crescita economica viene quantificata soprattutto

    dalla creazione

    di posti di lavoro a tempo indeterminato

    Viva l’Italia

    nella quale il merito conta più della conoscenza

    e la stessa università si dimostra indipendente e non complice della politica

    Viva l’Italia

    che tutela le minoranze di ogni sorta

    ma non certo penalizzando la maggioranza

    Viva l’Italia

    con un sistema elettorale che permetta di scegliere il candidato

    e non implichi soprattutto l’elezione

    della sua intera famiglia

    Viva l’Italia

    che riesce a distaccarsi dai modelli politici ed ideologici del millennio precedente

    come fascismo e comunismo

    Viva l’Italia

    nella quale i giornali non si schierano politicamente

    ma contestano i fatti indipendentemente da chi li commette

    Viva l’Italia

    in grado di realizzare perlomeno

    una pista di bob a Cortina d’Ampezzo

    per le prossime Olimpiadi invernali 2026

    Viva l’Italia

    della quale

    all’estero non dobbiamo vergognarci

    come adesso

    Viva l’Italia

    Secolarizzata, lontana da una chiesa che si fa influenzare da un no-global senza arte né parte

    Viva l’Italia quindi.

    Ma che sia un’Italia

    libera da tutti quelli

    che oggi si identificano semplicemente

    in un slogan “antifascista”

    ma già domani

    torneranno a lavorare per i propri interessi politici, ideologici ed economici

    anche contro quelli dell’intera Nazione

    Viva l’Italia

    ma libera da tutti quelli che si sentono autorizzati

    ad occupare incarichi pubblici con la propria famiglia

    Viva l’Italia

    nella quale il mandato elettorale non rappresenta una competenza acquisita

    ma semplicemente l’opportunità di circondarsi di persone preparate

    che permettono di realizzare quanto promesso in campagna elettorale

    Viva l’Italia

    che non è quella che

    ci sta lasciando chi

    si esalta per uno slogan

    oppure finge  di non sentire

    Viva l’Italia che merita molto più di questo.

  • Preservare la libertà e l’indipendenza della nostra repubblica senza creare motivi di divisione

    Gramellini, che spesso apprezziamo per la sua rubrica ‘Il caffè’ sul Corriere della Sera, sabato 9 dicembre scrive che vi sarà un problema fino a quando gridare ‘viva l’Italia antifascista’ non diventerà un modo di dire condiviso e persino banale come gridare ‘viva la mamma’.

    Purtroppo gridare ‘viva la mamma’ non ci sembra più un modo molto condiviso nella nostra società che invece sembra a tutti costi, nei media e nella politica, voler ritornare a spaccarsi, a creare pretestuosi distingui mentre la gente comune pensa a ben altro.

    Il fascismo è morto da qualche decennio, la Costituzione è in vigore ed è una Costituzione repubblicana e liberale, difenderla significa difendere la democrazia e la libertà, una democrazia che a volte sembra minata dal settarismo, dai pregiudizi, dalle polemiche volte solo a cercare consenso politico o audience mediale.

    Da parte nostra siamo contenti che la senatrice Segre, con la sua presenza, abbia onorato il palco reale alla Scala, per il resto la democrazia, piaccia o non piaccia, si basa sui voti e sui consensi degli elettori ed abbiamo pesi e contrappesi che impediscono che possa essere calpestata.

    Vigiliamo tutti allora, da destra e da sinistra, per  preservare la libertà e l’indipendenza della nostra repubblica e smettiamola di creare sempre motivi di divisione, di distrarre l’opinione pubblica da fatti importanti per cercare di indirizzarla verso piccole speculazioni più o meno personali.

    Cerchiamo di essere un po’ più maturi nei nostri comportamenti pubblici e privati perché ognuno di noi ha dei doveri anche per quello che rappresentiamo nel mondo, un mondo dove centinaia di persone muoiono ogni giorno per guerre crudeli, attacchi terroristi, fame e miseria.

  • Soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni

    I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito.

     Oriana Fallaci, da “La forza della ragione”

    William Shakespeare aveva dedicato uno dei suoi sonetti proprio al Merito. Lo aveva dedicato a quel merito calpestato, spregiato, ignorato ed offeso. A quel merito, che, come scriveva il noto drammaturgo, era nato purtroppo per mendicare, mentre la Nullità vuota appariva sempre abbellita gioiosamente. Il sonetto 66 comincia così: “Stanco di tutto questo, quiete mortale invoco/ vedendo il Merito a mendicare nato/ e vuota Nullità gaiamente agghindata”. Era stanco ed indignato anche perché la pura Fede era miseramente tradita ed i più grandi Onori spartiti oscenamente. Ma anche perché la casta Virtù era divenuta prostituta e la retta Perfezione era caduta in disgrazia. Il grande scrittore era indignato perché la Forza era avvilita da un potere impotente ed il Genio creativo per legge era stato imbavagliato. Egli si sentiva male mentre la Follia dottorale opprimeva la Saggezza, la creduta Stupidità faceva altrettanto con la Sincera Franchezza ed il Bene era reso schiavo del Male condottiero. Così scriveva William Shakespeare nel suo sonetto 66.

    I Padri Fondatori dell’attuale Unione europea, quando idearono, durante e dopo la seconda guerra mondiale, di evitare e scongiurare altre guerre, erano convinti del valore della collaborazione tra i Paesi europei e non degli attriti e degli scontri tra di loro. I Padri Fondatori ne erano convinti che tutto si doveva basare sui meriti e non sulle ingannatrici apparenze e su certi “interessi”, compresi quegli “geostrategici e/o geopolitici”. Ma i Padri Fondatori dell’attuale Unione europea erano altrettanto convinti che prima di arrivare ad unire insieme meriti e valori dei singoli Paesi, si dovevano valorizzare i meriti ed i valori in ciascuno di loro. Compresi anche i ben noti valori della democrazia. Il che significava che la forma dell’organizzazione statale, tenendo presente proprio le allora esperienze in Paesi come la Germania e l’Italia, doveva essere tale da tutelare i diritti e la libertà dei propri cittadini. Perché soltanto così si potevano poi tutelare e rispettare i diritti e la libertà dei cittadini di altri Paesi. E quando si tratta dell’attuale Unione europea è doveroso, ma anche utile, fare riferimento ad un documento scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, in stretta collaborazione anche Ursula Hirschmann e pubblicato nell’estate del 1941. Quel documento è stato intitolato “Per un’Europa libera e unita” e ormai noto come “Il Manifesto di Ventotene”, proprio perché in quell’isola del mar Tirreno, a Ventotene, si trovavano in confino i primi due autori.

    Essi, analizzando le ragioni che hanno portato il mondo nella seconda guerra mondiale, tra l’altro evidenziavano che “…lo Stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l’efficienza bellica.”. E riferendosi a quanto era accaduto e stava accadendo in quel periodo, gli autori del documento storico “Il manifesto di Ventotene”, hanno altresì evidenziato: “… Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d’Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. […] Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei”. In quel documento basilare per la costituzione, a Roma il 25 marzo 1957, dell’allora Comunità Economica Europea, gli autori affermavano, tra l’altro, che “..un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto”. Esso ribadivano, altresì, che “…occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, […], abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”. Gli autori di quel documento storico erano convinti che “…Se ci sarà nei principali Paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani […] Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera e unita!”. E gli autori di quel documento storico, “Il Manifesto di Ventotene”, nell’ultimo paragrafo scrivevano: “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo”. Gli autori del documento storico, inizialmente intitolato “Per un’Europa libera e unita” per poi essere noto in seguito come “Il Manifesto di Ventotene”, esprimevano la loro convinzione, scrivendo quest’ultima riga: “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.

    Un altro basilare documento che ha preceduto la costituzione nel Campidoglio a Roma, il 25 marzo 1957, dell’allora Comunità Economica Europea, precursore dell’attuale Unione europea, è la Dichiarazione Schuman. Una dichiarazione resa nota dall’allora ministro degli Esteri di Francia, Robert Schuman. Era il 9 maggio 1950. Il testo della dichiarazione cominciava con la frase: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Ne era convinto Robert Schuman. Così come era convinto che “…Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”. Egli però, tenendo presente quanto era accaduto, non solo in Europa, in quegli ultimi decenni, ammetteva che ‘…l’Europa non è stata fatta; abbiamo avuto la guerra”. Robert Schuman ne era convinto e lo affermava nella sua dichiarazione che “…l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. La proposta che Schuman ha presentato, mediante la sua dichiarazione resa nota il 9 maggio 1950, era diretta e riguardava i due Paesi che storicamente, sia quando erano delle monarchie, che in seguito, da repubbliche, avevano combattuto diverse guerre tra di loro. Purtroppo anche con le tante gravi, drammatiche e inevitabili conseguenze. Perciò, secondo Robert Schuman, “…l’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania”. Ma, per evitare altre guerre, questi due Paesi si dovevano accordare. E non a caso, la proposta di Robert Schuman si riferiva, come obiettivo d’accordo, a due materie prime, indispensabili per la produzione di armamenti e munizioni e cioè indispensabili per attuare delle guerre: il carbone e l’acciaio. Il carbone era allora la materia prima per rendere operativo il settore siderurgico che, a sua volta, fondendo il ferro, ne produceva l’acciaio, indispensabile per produrre gli armamenti. Ragion per cui, Jean Monnet e Robert Schuman idearono la proposta di un accordo sul controllo comune della produzione del carbone e dell’acciaio. Una proposta che è stata appoggiata e condivisa anche dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer e dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Alcide De Gasperi. In base a quella proposta, il 18 aprile 1951, è stata costituita a Parigi la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio. I primi sei Paesi aderenti sono stati la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e l’Olanda. Questi sei primi Paesi europei hanno firmato sei anni dopo a Roma, il 25 marzo 1957, due altri trattati; quello dell’istituzione della Comunità Economica Europea ed il trattato che ha permesso l’istituzione della Comunità europea dell’Energia Atomica. In seguito, il 7 febbraio 1992 a Maastricht, in Olanda, i dodici Paesi membri, in quel periodo, della Comunità Economica Europea decisero di costituire quella che ormai è l’Unione europea.

    I Paesi membri dell’Europa unita hanno dovuto affrontare diverse situazioni non facili da gestire. Anzi, non di rado, anche molto difficili. Sia tra loro, che attualmente sono ventisette, che nell’ambito di diverse crisi internazionali. E purtroppo, non sempre i modi con i quali sono state affrontate simili situazioni, nonché i risultati raggiunti, sono stati quelli dovuti. Non sempre, purtroppo, i Paesi membri sono stati concordi tra di loro. La cosiddetta “crisi della sedia vuota” avviata nel 1965 dall’allora presidente francese Charles de Gaulle, ne era solo l’inizio. Quanto è accaduto soltanto durante questi ultimi anni, con la crisi dei profughi che arrivano dalle coste del nord Africa in Europa, soprattutto in Italia, lo conferma. Così come lo confermano anche quanto è accaduto dall’inizio della pandemia e poi, dopo, dall’inizio della guerra in Ucraina. Il che prova l’importanza del rispetto dei principi fatti propri dai Padri Fondatori dell’Europa unita, nonché la priorità data alle scelte durature e non agli interessi temporanei. Compresi anche quelli noti come gli “interessi geostrategici e geopolitici”. Quanto è accaduto soltanto durante questi ultimissimi decenni, sia in Europa che in altre parti del mondo, ne è una inconfutabile testimonianza. Ragion per cui, anche quando si dovrebbe decidere sull’allargamento dell’Unione europea con altri Paesi membri, non devono prevalere gli “interessi geostrategici e/o geopolitici”, bensì i meriti. Si, proprio i meriti che ogni Paese candidato ha dimostrato di avere e di portare, come valore aggiunto, con la propria adesione all’Unione europea. Compresi anche i Paesi dei Balcani occidentali. Anzi, soprattutto quei Paesi. E soprattutto l’Albania e la Serbia.

    Durante questi ultimissimi mesi, una dichiarata sostenitrice dell’adesione di questi Paesi balcanici all’Unione europea è stata la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. Lo ha dimostrato prima e durante la firma dell’accordo sui migranti con il primo ministro albanese, il 6 novembre scorso. Così come lo ha dimostrato domenica scorsa, 3 dicembre, durante la conferenza stampa a Belgrado, in seguito alla sua visita ufficiale in Serbia, insieme con il presidente serbo. Colui, l’ex ministro della propaganda di Miloscevic, che non ha mai nascosto i rapporti di stretta amicizia con la Russia. Colui che, nonostante la Serbia sia un Paese candidato all’adesione all’Unione, non ha aderito alle sanzioni fatte alla Russia dopo l’aggressione contro l’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Si potrebbero immaginare tutte le derivanti conseguenze, nel caso di una possibile adesione per delle “ragioni geostrategiche” della Serbia nell’Unione europea! Bisogna altresì sottolineare, fatti accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, che sia in Albania che in Serbia il potere viene gestito da due autocrati che ne hanno non pochi di scheletri nei propri armadi. Potrebbe spiegare la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia quali siano i meriti e i valori aggiunti che porterebbero questi due Paesi con la loro futura adesione nell’Unione europea?!

    Chi scrive queste righe è fermamente convinto che l’adesione all’Unione europea deve essere fatta solo e soltanto per testimoniati meriti e non per altre ragioni. Compresi anche determinati e temporanei “interessi geopolitici e geotrategici”. Si dovrebbe perciò non permettere mai che, perifrasando Oriana Fallaci, i mediocri del Politically Correct negassero sempre il merito. Si dovrebbe altresì non permettere agli autocrati di presentarsi come portatori di meriti non esistenti!

  • Il Premierato rischia di trasformare la Democrazia Italiana in Democratura

     L’aspirazione ad una Repubblica Presidenziale, che la Destra italiana ha coltivato per decenni, ha una sua valenza oggettiva sul piano del superamento di un sistema parlamentare, che ha sempre avuto il limite di governi deboli e con scarsa capacità di continuità ed incidenza, specie in riferimento alle riforme.

    Ma, come spesso accade in Italia, una ipotesi lineare di una democrazia presidenziale alla francese, che personalmente ho sempre pensato fosse la soluzione più vicina alle nostre tradizioni politiche, ma anche statunitense, magari con contrappesi più incisivi di quelli esistenti negli U.S.A., non poteva essere presa in considerazione, non perché non fosse la cosa giusta, ma semplicemente perché è nel DNA della nostra classe politica, il virus dell’UCCS (ufficio complicazione cose semplici) e quindi si è preferita la scelta dell’oggetto misterioso del Premierato che, lungi dall’essere una trovata intelligente, è un sistema alieno, sconosciuto e misterioso, con tanti difetti e di fatto nessun pregio, che non risolve nessuno dei processi di cambiamento che dovrebbero innescarsi con la sostituzione della forma di governo Parlamentare con quella appunto Presidenziale.

    Non starò a elencare adesso tutti i limiti della proposta di Premierato, ben conosciuti, a partire dall’inesistenza, non a caso, di precedenti storici di ricorso a tale forma di governo, ad eccezione di un brevissimo e subito dopo abolito tentativo dello stato di Israele, o dell’assenza di un tetto minimo per l’elezione, anche per giustificare il 55% di maggioranza parlamentare assegnata al vincitore, al di sotto della quale ricorrere al ballottaggio, e tante altre discutibili peculiarità della proposta, ma vorrei concentrare questo intervento su due aspetti fondamentali, per sottolineare la differenza tra democrazia e democratura, per chiarire il rischio che corre il Paese.

    Intendo alludere alla esigenza preliminare ad ogni modifica costituzionale possibile, della riforma della legge elettorale, con la restituzione del diritto di scelta ai cittadini dei loro parlamentari alla Camera e al Senato, ed alla assoluta priorità di introdurre la garanzia dei contrappesi, che sono lo strumento fondamentale per garantire la Democrazia.

    Appare incredibile che il dibattito, anche da parte delle opposizioni al governo Meloni, non ha fino ad ora, almeno nelle cronache dei media, toccato nessuna di queste due questioni, che al contrario appaiono fondamentali, oltre che necessariamente propedeutiche a qualsiasi operazione di riforma costituzionale.

    Incredibilmente il problema principale sembrerebbe addirittura quello di non offendere i sentimenti del Presidente della Repubblica in carica, e quindi di evitare una qualsiasi riduzione dei suoi poteri, che invece di fatto sono fortemente ridotti, e si sarebbe deciso lo strano oggetto del Premierato, apparentemente solo per questo, inventando un meccanismo barocco, appunto per giustificare la parità, che però non c’è, tra Premier eletto dal popolo e Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento.

    Ma non si può fare alcuna riforma seria se il problema diventa personale, confondendo l’uomo con la carica.

    Le riforme costituzionali si devono fare con una visione dei guasti del passato e del presente, e le soluzioni per il futuro.

    Per questo occorre metter da parte il Premierato e piuttosto tornare ad una visione di Presidente della Repubblica eletto dal Popolo, così come ad un Parlamento eletto dai cittadini e non nominato dai capi partito, che sono anche i candidati al Premierato, perché si creerebbe solo un sistema dell’uomo o della donna soli al comando, perché con un parlamento come quello in carica di nominati, non c’è alcun contrappeso, ma solo yes-man pronti a qualsiasi obbedienza, pur di mantenere la poltrona.

    Il 21 dicembre prossimo sarà il diciottesimo anno da quando fu approvato lo sciagurato sistema elettorale del “Porcellum”, e da allora l’Italia vive la tragedia dell’assenza quasi totale di parlamentari in rappresentanza dei territori, che sono lasciati a se stessi, come dimostra l’assurda vicenda dell’Autonomia Differenziata, che registra incredibilmente l’assenza di qualsiasi difesa del Mezzogiorno da parte di nessun parlamentare della maggioranza, malgrado sia chiara la conseguenza devastante di una riforma che di fatto abolirà il Sud e non solo.

    Se non si ritorna alla restituzione del diritto di scelta ai cittadini elettori dei Parlamentari, e si dovesse approvare la riforma del Premierato con gli yes-man in parlamento, sarebbe la fine della Democrazia e l’inizio di un’altra narrazione più somigliante alla logica della Democratura.

  • Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale

    Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro.

    Henry de Montherlant

    In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una totale, allarmante e pericolosa ubbidienza delle istituzioni statali e governative agli ordini che arrivano dal primo ministro e/o da chi per lui. In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una preoccupante, consapevole e palese violazione della Costituzione della Repubblica d’Albania e delle leggi in vigore. In queste ultime settimane in Albania si stanno prendendo delle illecite decisioni, testimoniando una vile e spregevole ubbidienza a colui che comanda tutto e tutti, delle decisioni deliberate proprio dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizi, dal parlamento ed altre. Decisioni che confermano il preoccupante e continuo consolidamento del regime dittatoriale in Albania. Il nostro lettore ormai da anni è stato informato con la dovuta e richiesta oggettività e sempre fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, di quello che sta accadendo in Albania e che riguarda la restaurazione ed il consolidamento della nuova dittatura sui generis. Una dittatura che sempre, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta essere l’espressione diretta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato direttamente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    L’autore di queste righe da anni ormai ripete continuamente, riferendosi alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, che si tratta di una dittatura camuffata dietro una parvenza di pseudo democrazia e di pluripartitismo. Si tratta di una dittatura che, in realtà, ha come obiettivo strategico il controllo diretto, da parte di una sola persona o di un gruppo ristretto di persone legate da interessi comuni tra di loro, dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico. E cioè del potere legislativo, del potere esecutivo e quello giudiziario. Ma siccome in uno Stato democratico l’opposizione politica rappresenta un’altra istituzione molto importante, prevista, sancita e tutelata dalla Costituzione, allora il regime dittatoriale fa di tutto per controllare anche l’opposizione. O, almeno, una parte dell’opposizione, in modo da avere sempre i numeri necessari in parlamento per approvare tutto quello che è la “volontà” di colui che gestisce il sistema dittatoriale. Soprattutto quando si tratta di far approvare delle leggi clientelistiche, leggi ad personam, imposte anche dagli interessi degli “alleati” del primo ministro albanese, oligarchi e/o criminalità organizzata locale ed internazionale compresa. Anzi, soprattutto leggi imposte da loro e per loro. Ovviamente cercando di imbrogliare con delle parvenze fasulle. E se non ci riescono, allora si decide l’annientamento dell’opposizione politica. Proprio come stanno cercando di fare, soprattutto durante queste ultime settimane. Perché adesso il primo ministro non usufruisce più dei servizi di un’opposizione da lui controllata. Si perché negli anni passati il primo ministro aveva trovato nella persona che aveva usurpato la dirigenza del partito democratico, il maggior partito dell’opposizione, proprio colui che era diventato, nolens volens, una “ubbidiente stampella” ad essere usato quando era necessario. Il nostro lettore è stato informato di quel diretto e dannoso rapporto tra i due, partendo dal 2017 ed in seguito (Habemus pactio, 22 maggio 2017; Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette, 29 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Vergognosa, arrogante e sprezzante ipocrisia dittatoriale in azione, 6 giugno 2022; La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere, 12 luglio 2022 ecc…). Ma siccome da più di due anni ormai la “ubbidiente stampella” del primo ministro albanese non riesce più a garantire per lui i necessari voti al parlamento, quest’ultimo sta usando altri “metodi” per annientare, o per lo meno dividere l’opposizione. Metodi che si basano su minacciosi ricatti, fatti a quei deputati dell’opposizione che hanno degli “scheletri nell’armadio”. Oppure metodi che si basano su dei benefici di vario tipo, per quei deputati e/o dirigenti dell’opposizione che si rendono utili per la realizzazione di quello che serve al primo ministro. E se tutto ciò non basta, allora si usano dei “metodi duri”. Metodi in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore in Albania. E poco importa per il primo ministro che sia così. Basta che riesca ad avere quello che a lui serve. Ma anche a tutti coloro che lui rappresenta, criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti compresi. Anzi, loro per primi. Perciò proprio adesso sono stati scelti i “metodi duri”. E soprattutto adesso, quando il primo ministro ha molti, moltissimi grattacapi che lo tormentano continuamente. Proprio adesso, quando lui si trova impantanato in una melma che lo inghiottisce in una sempre più grave situazione generata da innumerevoli scandali milionari.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato di ulteriori testimonianze che confermano il diretto controllo, da parte del primo ministro, anche del potere giudiziario, oltre che al potere esecutivo e legislativo. In più il nostro lettore è stato informato anche del rapporto ufficiale per il 2023 che riguarda il sistema della giustizia in Albania. Un rapporto presentato dall’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.), che è stata fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. Ebbene, secondo quel rapporto, che analizza i sistemi di giustizia in ben 142 Paesi diversi, l’Albania si trova alla 91a posizione, regredendo di quattro posizioni rispetto al 2022. Mentre, riferendosi al 2017, l’Albania era regredita di ben 23 posti! Non solo, ma nel rapporto si presentano molti dati, che riguardano otto diversi aspetti dello studio, messo in atto da un apposito strumento dell’organizzazione, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Secondo quei dati, il sistema “riformato” della giustizia in Albania era vistosamente regredito in confronto ad un anno fa. E tenendo presente gli otto diversi aspetti dello studio, i risultati della parte afferente l’Albania dimostrano inconfutabilmente ed in modo convincente che il sistema “riformato” della giustizia, rappresentando uno dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico, è tutt’altro che indipendente! La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato non solo di questo, ma anche della preoccupante realtà nel Paese. L’autore di queste righe sottolineava che “la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione” (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 31 ottobre 2023).

    Il regime dittatoriale che si sta consolidando in Albania, sta usando ormai il sistema “riformato” della giustizia per colpire direttamente i suoi avversari politici. Ed in particolare l’attuale dirigente del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E se non ci si riesce, allora anche con dei “metodi duri”. Ed è proprio quello che il regime sta facendo in queste due ultime settimane, non importa se quanto stanno facendo è in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore. Due settimane fa il nostro lettore è stato informato di una decisione, del tutto anticostituzionale, che si riferiva proprio al dirigente dell’opposizione. Una decisione resa nota il 21 ottobre scorso. Era un sabato sera. L’autore di queste righe scriveva, tra l’altro: “Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto”. Aggiungendo anche che era “Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione è anche un deputato” (Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione; 23 ottobre 2023). Si,perché l’articolo 73, comma 2 della Costituzione sancisce che “Il deputato non può essere arrestato, oppure a lui non si può togliere la libertà in qualsiasi forma e nemmeno si può fare, nei suoi confronti, un controllo personale o della sua abitazione, senza [una preventiva] autorizzazione del Parlamento”.

    Ebbene sia “l’ordine d’apparizione” che “il ritiro del passaporto” rappresentano due forme diverse della negazione della libertà per un cittadino, compreso un deputato. Ma lo scandalo, causato dall’uso dei “metodi duri”, non è finito solo con quella decisione anticostituzionale. Denunciando la decisione, sia il diretto interessato che i suoi avvocati, hanno chiesto di rispettare la Costituzione. In più hanno chiesto un processo giudiziario secondo quanto prevedono le leggi in vigore. Lo scandalo continua durante una nuova udienza, nella quale è stato “scelto” dal tribunale un avvocato d’ufficio, visto che gli avvocati del deputato sono stati costretti ad uscire dall’aula. E, guarda caso, quello scelto era pubblicamente un noto sostenitore del primo ministro ed un “avversario” del dirigente dell’opposizione (Sic!). Contestato il fatto, il tribunale ha scelto due altri avvocati d’ufficio che poi non si sono presentati. Finalmente è stata scelta un’ultima avvocato, nostalgica del regime comunista e sostenitrice dell’attuale governo. Il caso prosegue, sempre in piena violazione della Costituzione e del Regolamento del Parlamento. Ma anche in piena e palese contraddizione con altri casi che riguardavano altri deputati del Parlamento. Anche recentemente. Chissà perché?! Si sa però che tutto si sta facendo perché così vuole il primo ministro. E le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia non hanno nessuna altra scelta. Devono soltanto ubbidire.

    Come sta ubbidendo anche la presidente dello stesso parlamento. Lei, in seguito all’ordine arrivato “dall’alto”, durante queste due ultime settimane ha negato ai deputati dell’opposizione i loro diritti previsti sia dalla Costituzione che dal Regolamento del Parlamento stesso. Dalla scorsa settimana i deputati dell’opposizione si stanno affrontando, sia in aula che in altri ambienti del parlamento, con una massiccia presenza della Guardia della Repubblica. Mentre ieri, lunedì 6 novembre, l’edificio dove si trovano gli uffici dei gruppi parlamentari e quelli delle commissioni parlamentari era chiuso e circondato da molti membri della Guardia della Repubblica. Perciò nessun deputato poteva entrare e svolgere la propria normale attività. Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Parlamento rappresenta un altro scandalo anticostituzionale che coinvolge direttamente la presidente ed altri funzionari del parlamento. Ma anche chi ordina loro!

    Chi scrive queste righe considera quanto sta accadendo in Albania in queste ultime settimane una preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale. Egli continuerà a seguire tutti gli sviluppi ed informerà il nostro lettore, sempre con la dovuta oggettività. Intanto lo scrittore francese Henry de Montherlant era convinto che “Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro”. Una convinzione quella che viene confermata anche da quanto sta accadendo in Albania durante questi ultimi anni. E si sa, le dittature abusano sempre del potere usurpato.

  • Anche il sistema della giustizia a servizio del regime

    Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica

    Montesquieu, dal libro ‘Spirito delle leggi’ (1748)

    Durante questi ultimi anni l’autore di queste righe ha fatto spesso riferimento al principio della separazione dei poteri. Un principio che si basa sulla necessità di garantire la sovranità dello Stato e che individua tre poteri, i quali devono essere sempre attivi e ben indipendenti uno dall’altro, proprio per non permettere abusi di potere che danneggerebbero il normale funzionamento di uno Stato democratico. Il principio della separazione dei poteri era già noto dall’antichità, sia in Grecia che, in seguito, anche nella Roma antica. Un principio trattato da Platone, nella sua nota opera “La Repubblica” e da Aristotele, nella sua opera “La Politica”. Un principio che venne adottato anche nella Costituzione della Roma antica. Ma un trattamento dettagliato del principio della separazione dei poteri in uno Stato democratico è stato fatto secoli dopo. Prima da John Locke, nella sua opera “Due trattati sul governo”, pubblicata nel 1690. In seguito Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, dopo un lungo e impegnativo lavoro, durato per ben quattordici anni, pubblicò  nel 1748 un insieme di trentuno libri, raccolti in due volumi ed intitolato “Spirito delle leggi” (De l’esprit des lois; n.d.a.). Un vero e proprio trattato del pensiero politico e giudiziario del Settecento che è attuale anche adesso. Montesquieu evidenziava e definiva i tre poteri che dovevano essere divisi ed indipendenti; il potere legislativo, il potere esecutivo ed il potere giudiziario. Il principio della separazione dei poteri, tra l’altro, serve per identificare se un’organizzazione statale, in un determinato Paese, è quella democratica, oppure si tratta di una delle diverse forme di un regime dittatoriale. Ovviamente Montesquieu, quando ha scritto la sua opera prendeva in considerazione l’organizzazione statale di quel tempo, tenendo presente soprattutto l’organizzazione statale nel Regno Unito e la sua Costituzione. Perciò affermava che il potere legislativo “…verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo”. Invece, per quanto riguarda il potere esecutivo “…deve essere nelle mani d’un monarca, perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d’una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”. Mentre, riferendosi al potere giudiziario, Montesquieu ribadiva che doveva essere rappresentato ed esercitato da “…giudici tratti temporaneamente dal popolo”. Il potere giudiziario dovrebbe, altresì, “…essere sottoposto solo alla legge, di cui deve riprodurre alla lettera i contenuti”. Secondo lui il potere giudiziario, doveva essere “la bouche de la lois” (la bocca della legge; n.d.a.). L’autore di queste righe, analizzando e trattando per il nostro lettore il principio della separazione dei poteri, evidenziava anche la convinzione di Montesquieu, secondo la quale “…Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Perciò Montesquieu ribadiva che era indispensabile sia l’esistenza che la separazione dei tre poteri: il legislativo, l’esecutivo e quello giudiziario. E spiegava anche il perché. Secondo lui “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. Sottolineando che Montesquieu ne era altresì convinto che “…una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022).

    Quando sta accadendo in questi ultimi anni in Albania, fatti alla mano, tra l’altro e purtroppo testimonia palesemente ed inconfutabilmente anche la consapevole violazione del principio della separazione dei poteri. Un principio sul quale si basano anche alcuni articoli della Costituzione della Repubblica d’Albania. Quanto sta accadendo anche in questi ultimi giorni testimonia palesemente ed inconfutabilmente che in Albania, ogni giorno che passa, si sta consolidando perciò e sempre di più un pericoloso regime dittatoriale. Pericoloso, non solo perché è un regime oppressivo, come tutti i regimi dittatoriali. Pericoloso non solo perché è camuffato da una parvenza, da una fasulla facciata pluripartitica, ma soprattutto pericoloso proprio perché, fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, testimoniano che il regime ormai attivamente operativo in Albania rappresenta una ben pericolosa alleanza. Si tratta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E soprattutto uno di questi raggruppamenti di oltreoceano è molto attivo non solo in Albania, ma in molte altre parti del mondo. Un raggruppamento che finanzia ingenti somme di denaro con lo scopo di promuovere la cosiddetta “Società aperta”, per poi controllare quanto più possibile. Uno dei principali obiettivi di quell’organizzazione/raggruppamento occulto presente ed attiva in varie parti del mondo, dove investe centinaia di milioni per “beneficenza”, è anche il controllo delle varie istituzioni dei sistemi della giustizia. Sia negli Stati Uniti d’America, dove ha la sede base quell’organizzazione, sia in molti altri Paesi ovunque nel mondo. Compresa anche l’Albania. E in Albania quel raggruppamento occulto appoggia palesemente da anni l’attuale primo ministro, una persona accuratamente scelta precedentemente e poi promossa e sostenuta. Non a caso la filiale albanese di quell’organizzazione della “Società aperta” ha ideato e poi scritto la riforma del sistema della giustizia. Una riforma approvata, in seguito, con tutti i voti dei deputati del parlamento albanese il 17 luglio 2016. Una riforma che è il “vanto” del primo ministro albanese. Una riforma di cui si vantano pubblicamente anche i suoi veri ideatori, i rappresentanti di quell’organizzazione/raggruppamento occulto che è anche una parte attiva dell’alleanza pericolosa che gestisce, abusa ed approfitta del regime dittatoriale operativo da qualche anno in Albania. Una “riforma” quella del sistema della giustizia, che però fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, da quanto è stata approvata dal parlamento, ha permesso al primo ministro albanese, di controllare personalmente e/o da chi per lui, tutte le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Il nostro lettore è stato informato spesso e a tempo debito anche di tutto ciò.

    La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese dimostra in modo inequivocabile anche il voluto ed, in seguito, attuato annientamento di tutto quello che stabilisce il principio della separazione dei poteri, maestosamente presentato da Montesquieu, già dal 1748! La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese rappresenta perciò anche una convincente testimonianza del consolidamento del regime dittatoriale sui generis, istituito ormai da qualche anno in Albania.

    Una diretta testimonianza del ben ideato e altrettanto ben attuato fallimento della “riforma” del sistema della giustizia in Albania è stata resa pubblicamente nota la scorsa settimana dal rapporto ufficiale per il 2023, dell’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Un’organizzazione fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. E per raggiungere un simile obiettivo, dal 2009 l’organizzazione World Justice Project ha attivato anche un apposito strumento, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Ogni anno, grazie a questo strumento, si ottengono dati che riguardano otto distinti aspetti sullo Stato di diritto in 142 Paesi diversi del mondo, che sono soggetti dello studio. I dati si riferiscono a tutti gli otto distinti aspetti dello studio che sono: il potere limitato del governo, l’assenza di corruzione, l’ordine e la sicurezza, i diritti fondamentali, il governo aperto [che garantisce la trasparenza e la qualità dell’informazione], il rafforzamento [dell’applicazione] delle normative, la giustizia civile e la giustizia penale. Questi otto oggetti di studio sono poi suddivisi in ben quarantaquattro indicatori diversi per meglio presentare la reale situazione dello Stato di diritto in ciascuno dei 142 Paesi oggetti di studio annuale.

    Ebbene, dal rapporto per il 2023 dell’organizzazione World Justice Project, risulta che l’Albania ha fatto di nuovo un ulteriore regresso. Elencata nella 91a posizione, dal 2015 ad oggi, l’Albania è solo e palesemente regredita in tutti gli indicatori dello studio attuato dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index. Riferendosi soltanto al rapporto per il 2022, l’Albania è regredita di quattro punti, passando dall’87a posizione alla 91a. Mentre riferendosi al 2017 l’Albania è regredita di ben 23 punti, passando dalla 68a posizione alla 91a di quest’anno! Più specificatamente, il rapporto per il 2023 afferma che l’Albania si posiziona al 133o posto, solo nove posti in meno dall’ultimo, per l’indicatore che si riferisce all’indipendenza del sistema giudiziario e alla sua capacità di esercitare un controllo efficace sull’operato del governo! L’Albania si posiziona al 125o posto per quanto riguarda il fatto che le decisioni dei tribunali siano indipendenti dalle interferenze illegittime del governo, degli interessi privati e delle organizzazioni criminali! L’Albania si posiziona al 122o posto riferendosi all’indicatore riguardante l’indipendenza dei funzionari della polizia di Stato, dei procuratori e dei giudici dalle influenze illegittime da parte della criminalità organizzata e, altresì, di non essere influenzati nel loro operato da illeciti pagamenti. In più, dal rapporto per il 2023 dell’organizzazione World Justice Project, l’Albania si posiziona al 107o posto riferendosi all’indicatore che riguarda le elezioni libere e le nomine dei funzionari statali e governativi in conformità con la Costituzione e le leggi in vigore. Quanto viene affermato ufficialmente dal rapporto per il 2023 in base allo studio fatto dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index, rappresenta la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese, completamente diversa da quella che cerca di far credere, ingannando, il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa. Ma quanto viene affermato ufficialmente dal rapporto per il 2023 sull’Albania, in base allo studio fatto dallo strumento The World Justice Project Rule of Law Index, rappresenta anche un’inconfutabile testimonianza della consapevole violazione del principio della separazione dei poteri, presentato nel 1748 da Montesquieu nella sua maestosa e sempre attuale opera “Spirito delle leggi”. E visto che il primo ministro controlla sia il potere esecutivo che quello legislativo, con il controllo anche del potere giudiziario, lui controlla tutti e tre i poteri ben definiti da Montesquieu. In più il primo ministro albanese controlla anche la maggior parte dei media, che ormai viene considerato come il quarto potere. Un potere questo che non esisteva nel 1748 quando Montesquieu pubblicò la sua sopracitata opera. Il che testimonia chiaramente e con convinzione che in Albania ormai da qualche anno si sta consolidando un pericoloso regime dittatoriale.

    Chi scrive queste righe è convinto che in Albania ormai è consolidata una dittatura, espressione di un’alleanza pericolosa tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Una dittatura che ordina e ottiene sempre, quando ne ha bisogno, anche l’ubbidiente servizio del sistema “riformato” della giustizia. Ormai in Albania il primo ministro, rappresentante del regime, controlla tutto.  Confermando così la convinzione di Montesquieu che una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica.

  • Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione

    La giustizia senza la forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica.

    Blaise Pascal

    Quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania dimostra la megalomania e la falsità di quell’innato bugiardo, imbroglione e buffone, qual è il primo ministro e delle propaganda governativa. Ma quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania evidenzia chiaramente anche la vera, vissuta e sofferta realtà in cui si trovano i cittadini. Quanto è accaduto la scorsa settimana testimonia, in modo convincente ed esaustivo, quello che da anni si sta cercando con tutti i modi di nascondere da parte dei veri e diretti responsabili di una simile e preoccupante realtà. E cioè la restaurazione ed il continuo consolidamento di un regime autocratico. Di una dittatura sui generis, che si cerca di camuffarla dietro una fasulla parvenza di pluripartitismo. Una dittatura come espressione di una pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e/o internazionale e alcuni raggruppamenti occulti. E soprattutto uno in particolare, di oltreoceano, che da anni ha scelto l’Albania per mettere in atto degli occulti e pericolosi obiettivi regionali, ma non solo. E purtroppo, tutto ciò da anni ormai accade anche in presenza di certi “rappresentanti internazionali” i quali, stranamente, non vedono non sentono e non capiscono nulla di tutto quello che, in realtà, è ben evidente. E da anni ormai, le cattive lingue dicono che alcuni di loro ne hanno beneficiato non poco per un simile atteggiamento, nell’ambito e grazie a delle determinate attività lobbistiche. Quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania è stata una ghiotta opportunità per il primo ministro di realizzare la sua ennesima ingannatrice messinscena. Ed anche in questo caso, come sempre, la potente e ben organizzata propaganda governativa ha fatto egregiamente il suo dovere. Ma quanto è accaduto all’inizio della scorsa settimana in Albania ha evidenziato purtroppo anche l’ipocrisia, l’irresponsabilità ed il consapevole e dannoso coinvolgimento di alcuni alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e di singoli Paesi membri.

    Invece, quanto è accaduto alla fine della scorsa settimana in Albania ha messo in evidenza tutte le falsità delle messinscene di alcuni giorni prima. Ha messo in evidenza sia le buffonate del primo ministro, sia, nel migliore dei casi, la mancata conoscenza della realtà locale da parte di alcuni importanti rappresentanti istituzionali internazionali. Si, perché quanto è accaduto sabato scorso in Albania è stata una inconfutabile testimonianza del consolidamento di una pericolosa dittatura in azione. E una simile, grave e molto preoccupante realtà non poteva essere presente senza la messa in atto di una ben ideata e realizzata “strategia” che, come obiettivo, aveva e ha tutt’ora l’ottenimento di una garanzia per la stabilità, a scapito dei principi della democrazia. Una “strategia”, per l’attuazione della quale, da anni hanno insistito e lavorato certi “rappresentanti internazionali”. Una “strategia” quella che permetteva però agli autocrati locali di fare i loro comodi e di diventare sempre più potenti. Come è accaduto anche in altre parti del mondo e con tutte le derivanti e ben note ripercussioni. Una “strategia” le cui dirette conseguenze purtroppo le stanno soffrendo i cittadini albanesi. Ma non solo loro, perché la criminalità organizzata locale con la quale collabora strettamente il primo ministro albanese, ormai sta creando serie preoccupazioni anche in altri Paesi e non solo europei. Una “strategia” quella di garantire ed ottenere la stabilità, applicata precedentemente anche in altri Paesi del nord Africa ed altrove in zona e altresì nel centro e sud America, di cui ormai si conoscono pubblicamente le gravi e preoccupanti conseguenze. Una “strategia” che permette la costituzione di un sistema che viene ormai considerato non più come una democrazia, ma come una “stabilocrazia”, proprio per evidenziare quello che si perde dalla democrazia per permettere la “garanzia” della stabilità. Che, in realtà, quella “stabilità” non viene poi neanche ottenuta, perché non ci si può mai fidare di coloro ai quali è stato consapevolmente permesso di gestire e approfittare dalla “stabilocrazia”. Spesso un simile sistema  viene nominato anche “democratura”, per indicare una dittatura attiva, che opera dietro una facciata di democrazia. L’autore di queste righe ha trattato anche questi argomenti per il  nostro lettore.

    All’inizio della scorsa settimana, lunedì 16 ottobre, nella capitale dell’Albania si è svolto il vertice organizzato dalla Commissione europea e dedicato al Processo di Berlino. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, sia di quest’iniziativa europea, che di una iniziativa concorrente, nota come Open Balkans (Balcani aperti; n.d.a.), promossa e fortemente sostenuta solo dal presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone. Un’iniziativa, guarda caso, fortemente appoggiata anche dalla Russia. Ma boicottata però da tutti gli altri Paesi dei Balcani occidentali. Riferendosi all’iniziativa europea nota come il Processo di Berlino l’autore di queste righe scriveva già nel novembre 2021: “…Si tratta di un’iniziativa tramite la quale si permette l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici in Sud Est Europa. Un’iniziativa ufficializzata il 28 agosto 2014 a Berlino, proposta e fortemente sostenuta da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni dell’Unione. L’iniziativa “Processo di Berlino” prevede, come obiettivo fondamentale, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più, visto il promotore e quali appoggi istituzionali e governativi ha avuto e continua ad avere l’iniziativa “Processo di Berlino”, tutti gli analisti sono concordi che questa iniziativa rappresenta maggiori e durature garanzie anche per l’attuazione delle quattro cosiddette libertà europee. E cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Ragion per cui l’iniziativa Open Balcan non è mai stata sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione” (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Per analizzare, trattare ed informare il nostro lettore di tutto quello che si è visto e/o detto il 16 ottobre scorso nella capitale albanese, durante il vertice sul Processo di Berlino, ci sarebbero volute molte pagine. Sia per evidenziare le messinscene puramente propagandistiche realizzate con il diretto coinvolgimento personale dell’anfitrione, il primo ministro albanese, sia per analizzare e trattare quanto è stato detto durante il vertice dagli ospiti, i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e dei singoli Paesi membri. E purtroppo per evidenziare, in determinati casi, anche la loro ipocrisia. Bisogna sottolineare però che il primo ministro albanese, da alcuni mesi, ha usato la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Lui, addirittura, dal luglio scorso, quando è stato annunciato lo svolgimento di questo vertice in Albania, ha pubblicamente “ripudiato ed abbandonato” l’iniziativa Open Balkans, tanto preferita e fortemente sostenuta fino a pochi giorni prima da lui, dal suo amico, il presidente serbo e dal suo omologo macedone. Il primo ministro albanese, da buon bugiardo ed imbroglione qual è, ha cominciato subito, dall’inizio del luglio scorso, a presentarsi come un convinto sostenitore del Processo di Berlino. In più ha abusato del fatto di essere stata scelta l’Albania come Paese ospitante del vertice, presentandolo pubblicamente con tanto vanto come un suo merito e successo personale, come una conferma dei “successi” raggiunti dall’Albania nell’ambito del suo percorso europeo. Ovviamente la sua potente e ben strutturata propaganda governativa che controlla la gran parte dei media, gli ha fatto eco. Si, perché non si poteva perdere una simile opportunità, visto che di veri meriti e successi lui, il primo ministro albanese, fatti accaduti alla mano, non può presentare niente, proprio niente! In realtà non si è saputo mai il perché della scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice sul Processo di Berlino. Forse una simile decisione è dovuta all’ordine alfabetico dei nomi dei Paesi balcanici. Oppure la decisione di svolgere in Albania il vertice del Processo di Berlino è frutto delle attività lobbistiche, dietro pagamenti di ingenti somme di denaro, fatti da determinati raggruppamenti occulti, uno soprattutto da oltreoceano, che, come risulterebbe da documenti resi ormai pubblici, riescono a “convincere” anche le istituzioni dell’Unione europea. Perché altrimenti non si spiegherebbe la scelta dell’Albania, almeno non per le ragioni che sta sbandierando il primo ministro albanese. Si perché non possono essere stati l’abuso di potere, la corruzione ben radicata, partendo dai più alti livelli istituzionali e il preoccupante ed allarmante riciclaggio del denaro sporco, che ha inserito l’Albania nella cosiddetta “zona grigia” dal 2020, i veri motivi che hanno permesso la scelta dell’Albania come Paese ospitante del vertice del Processo do Berlino. E neanche i continui e ben evidenziati brogli elettorali, in collaborazione con la criminalità organizzata. Non possono essere stati i traffici illeciti dei vari tipi di droghe, che hanno fatto dell’Albania sia un importante centro di produzione, sia di smistamento, i motivi per cui è stata fatta una simile scelta. Ma l’anfitrione, il primo ministro albanese cerca di far credere quello che a lui conviene ed interessa, ma che non ha niente a che fare con la vera, vissuta e sofferta realtà. E nel frattempo, durante tutto il periodo del vertice, lui ha cercato di attirare l’attenzione degli ospiti con delle messinscene, con delle danze popolari e con dei piatti di pizza che portavano il suo nome! Purtroppo anche alcuni degli ospiti, con le loro dichiarazioni ufficiali, hanno sostenuto i “successi” raggiunti dall’Albania durante il suo percorso europeo. E così facendo hanno agito, nel migliore dei casi, da persone non informate. Perché se no, il loro comportamento sarebbe stato ipocrita e anche irresponsabile. L’autore di queste righe continuerà a trattare ed analizzare per il nostro lettore cosa è accaduto durante il vertice del Processo di Berlino, svolto in Albania il 16 ottobre scorso

    Ma le buffonate del primo ministro albanese, nonché l’ipocrisia di alcuni degli ospiti durante quel vertice sono state smentite subito, dopo qualche giorno. Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto. Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), è anche un deputato. Una decisione che ha palesemente dimostrato fino a che punto il primo ministro albanese controlla personalmente il sistema “riformato” della giustizia.

    E tenendo presente i principi di Montesquieu sulla separazione dei poteri, quanto è accaduto sabato scorso rappresenta anche una inconfutabile testimonianza di una pericolosa dittatura in azione. Il diretto interessato, accusato di corruzione passiva, ha denunciato, documenti alla mano, tutta la falsità della decisione. Adesso si attendono degli inevitabili  e significativi sviluppi politici.

    Chi scrive queste righe seguirà tutti gli attesi sviluppi che riguardano la decisione contro il dirigente dell’opposizione ed informerà il nostro lettore già la prossima settimana, sempre con la dovuta oggettività. Tenendo presente la vera realtà vissuta e sofferta in Albania, egli però ricorda agli albanesi che ribellarsi ai tiranni significa ubbidire a Dio. Ne era convinto Benjamin Franklin. Chi scrive queste righe trova significativa e condivide l’affermazione di Blaise Pascal, secondo cui la giustizia senza la forza è impotente e la forza senza la giustizia è tirannica.

  • Due più due

    Putin si reca dal presidente cinese lanciando un messaggio criptico: ”Il piano cinese per la pace può essere un buon punto di partenza”, peccato che nessun altro, oltre a loro due, lo conosca e che tutti invece conosciamo molti degli interessi comuni che legano i due paesi, interessi che ovviamente non corrispondono ai diritti del popolo ucraino.

    Dopo le stragi di Hamas Il presidente cinese ha annunciato al mondo arabo la sua vicinanza ed il suo sostegno alla causa palestinese.

    Abu Mazen proclama che i palestinesi non sono Hamas, ma i palestinesi di Gaza hanno scelto Hamas già dal lontano 2007.

    Hamas ha usato i soldi della cooperazione internazionale per armarsi sempre di più senza migliorare di un millimetro la vita degli abitanti della striscia di Gaza, ha come obiettivo principale la distruzione di Israele, ha condotto in modo militare un’operazione terrorista di violenza inaudita, che ha portato alle morte, per ora accertata, di più di 1300 cittadini israeliani, migliaia di feriti, almeno 200 ostaggi, e ben sapendo che ci sarebbe stata una violenta e legittima reazione da parte di Israele.

    L’Isis ha proclamato la Jihad, il che non è una novità visto che non l’aveva mai ritirata, e nei paesi occidentali stanno ricominciando gli attentati, documenti e volantini del cosiddetto stato islamico sono stati ritrovati dai soldati israeliani nei luoghi delle stragi.

    Gli hezbollah si uniscono alla guerra contro Israele mentre i paesi musulmani più moderati, anche se carenti di democrazia sostanziale, rischiano rivolte interne da parte dei fratelli musulmani.

    L’Iran gioca le sue carte per ottenere via libera per l’atomica e ancor maggiore peso nell’area o per scatenare una guerra non solo contro Israele o altri paesi musulmani nemici da sempre, ma anche per dare una svolta alle proteste interne che continuano e l’amicizia, la collaborazione tra Iran e Hamas è nota da sempre.

    Non ci sarebbe da stupirsi se ricominciassero, con più violenza, anche le azioni degli al Shabaab non solo nel corno d’Africa ma in tutti quei paesi africani nei quali i governi sono impegnati a combattere  il terrorismo.

    Molti paesi africani hanno al loro interno guerre e sommosse nelle quali la mano della Russia è presente, anche dopo la scomparsa di Prigozhin, mentre la Cina tiene in pugno altri paesi del continente africano per gli enormi prestiti fatti e che questi non avranno mai modo di restituire, i gravi problemi del continente africano rientrano nello scenario di un conflitto che rischia di essere sempre più esteso.

    La Russia con la battaglia del grano sta portando alla fame paesi africani musulmani le cui democrazie agli albori si sono dimostrare  troppo fragili.

    L’attenzione dei media da alcuni giorni si è spostata quasi completamente dalla guerra in Ucraina con il rischio che l’opinione pubblica se ne disinteressi e che possano crescere le più o meno palesi simpatie di alcuni per Putin e per il suo progetto, condiviso con il presidente cinese e non solo, di un nuovo ordine mondiale.

    Non è un mistero la convinzione, che troppi hanno, che i sistemi autoritari funzionino meglio delle democrazie, democrazie che rischiano quando metà della popolazione non si reca al voto.

    La reazione di Israele, se sarà portata avanti fino alla distruzione, almeno di gran parte di Hamas, rischia di scatenare un altro conflitto senza precedenti, se si fermerà Israele rischia la propria esistenza e il rischio è anche del mondo occidentale che non potrà più pensare di vivere in pace come negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale.

    Sono solo alcune considerazioni, molte altre se ne potrebbero fare, esaminando gli errori degli uni e degli altri e la debolezza, la quasi inesistenza, da tempo, delle Nazioni Unite ma lasciamo questo lavoro ai tanti che in televisione parlano, spesso a ruota libera, mentre abbiamo, anche in questi giorni, visto bruciare in piazza le bandiere di Israele e gridare morte ai sionisti.

    La sofferenza dei civili palestinesi sotto le bombe, che doveva portare a più tempestivi aiuti umanitari, non deve lasciare indifferenti ma non può farci dimenticare che Hamas usa i civili come scudi umani mentre continua a lanciare missili su Israele, due errori non fanno mai una ragione, ciascuno si prenda  responsabilità e conseguenze
    Vogliamo solo ricordare che 1) è difficile fare i fluire maggiormente la diplomazia dopo che la si è ignorata per anni basandoci invece su qualche  improvvido Twitter, 2) se si vuole salvare Gaza bisogna eliminare Hamas, 3) se si vuole fermare la guerra Abu Mazen e i paesi arabi devono subito riconoscere Israele, solo con il pieno riconoscimento di Israele, e a seguire dello stato palestinese, si potrà sperare di costruire un Medio Oriente che guardi al futuro e continuare nelle azioni necessarie a distruggere il terrorismo. Resta fermo il fatto che Gerusalemme è la culla delle tre religioni monoteiste.

    In sintesi due più due non fanno quattro se chi conta ha obiettivi diversi dalla pace.

  • Giornata internazionale della democrazia: dichiarazione congiunta dell’Alto rappresentante/Vicepresidente Josep Borrell e della Vicepresidente Šuica

    In occasione della Giornata internazionale della democrazia, che si celebra ogni anno il 15 settembre, l’Unione europea ribadisce il suo fermo impegno a sostenere e difendere la democrazia, basata sui diritti umani universali, all’interno e al di là delle sue frontiere.

    La democrazia ha trasformato e migliorato le società di tutto il mondo. L’erosione della democrazia e dei diritti umani è tuttavia una realtà che non risparmia nessuno.

    La guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina costituisce anche un attacco alla democrazia e all’ordine basato su regole. L’Unione europea, i suoi Stati membri e le democrazie di tutto il mondo si sono riuniti per sostenere l’Ucraina, riconoscendo che sono in gioco i principi fondamentali delle nostre società.

    Nessuna democrazia è immune alle sfide che ci troviamo ad affrontare oggi. Dobbiamo sempre restare vigili e agire sugli sforzi continui per attaccare lo Stato di diritto, sopprimere le libertà civili, manipolare le elezioni e reprimere la società civile.

    Mano a mano che i regimi autoritari sviluppano e diffondono false narrazioni che si presentano come semplici alternative alle democrazie, non dobbiamo sottovalutare il potenziale nefasto delle attività di manipolazione delle informazioni e di disinformazione.

    L’inclusività è la forza della democrazia. Il rigetto dell’autoritarismo è possibile quando le persone di tutte le generazioni sono in grado di esercitare le loro libertà e i loro diritti per partecipare e impegnarsi nelle rispettive società. Siamo determinati a proteggere le istituzioni democratiche che sono alla base della nostra democrazia. Tale protezione va di pari passo con l’approfondimento del nostro impegno nei confronti dei cittadini per costruire la resilienza democratica.

    Il nostro impegno a favore dell’inclusività è illustrato dalle nostre innovazioni in materia di coinvolgimento dei cittadini all’interno dell’Unione europea attraverso panel di cittadini, sulla scorta del successo della Conferenza sul futuro dell’Europa. Le innovazioni nel nostro ecosistema democratico ci consentono di condividere reciprocamente gli insegnamenti tratti. Inoltre, il nostro operato globale per consentire alle donne, ai giovani e ai bambini di partecipare agli affari pubblici e al processo decisionale è un investimento per il futuro. Ciò è legato all’importanza di trasmettere i valori fondamentali e di dotare i cittadini delle competenze necessarie per impegnarsi nella democrazia e sostenerla.

    L’Unione europea continuerà a dialogare con i paesi di tutto il mondo per unire le forze con coloro che credono nei principi e nei valori democratici in Africa, Asia-Pacifico, Americhe ed Europa. Dobbiamo continuare ad adoperarci per trovare un terreno e interessi comuni con i nostri partner.

    Più che mai, dobbiamo sostenere attivamente i paesi con aperture democratiche e continuare a dotarci di meccanismi di sostegno agili e flessibili, anche attraverso il sistema multilaterale

    Perché insieme costruiamo la democrazia. Insieme difendiamo la democrazia. Insieme difendiamo l’universalità dei diritti umani.

  • Se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?

    Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri.

    Santa Madre Teresa di Calcutta

    Era il 1865 quando Lewis Carroll, un giovane scrittore, matematico e prete inglese, il cui vero nome era Charles Lutwidge Dogson, pubblicò “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” (titolo in originale: Alice’s Adventures in Wonderland). Un libro i cui personaggi sono delle strane creature, esseri umani, animali e carte da gioco a sembianza umana, frutto dell’immaginazione dell’autore. Tutto comincia quando, dopo essersi addormentata, nel sogno Alice segue un coniglio bianco attraverso la sua tana che diventa sempre più buia. Ragion per cui Alice non può vedere una buca profonda e cade. Precipitando giù, si trova davanti ad un giardino, la cui entrata è troppo piccola. Ma alla fine riesce ad entrare dentro. Si trova così nel regno della Regina di Cuori. In seguito e fino alla fine, Alice si troverà in un luogo dove tutto era strano, surreale e fantastico. Lei si trova così nel Paese delle Meraviglie. E lì incontra molti personaggi come la Regina del paese, ma anche il Cappellaio matto, la lepre marzolina, il gatto del Cheshire che appare e scompare subito dopo, il bruco, la lucertola, la duchessa brutta, il ghiro dormiglione e tanti altri. Ma nel Paese delle Meraviglie, la maggior parte degli abitanti erano delle carte da gioco. E non a caso, appena entrata nel Paese delle Meraviglie, Alice incontra tre giardinieri con corpo proprio di carta da gioco. Loro si affrettavano a dipingere di rosso i petali delle rose bianche perché se no la regina avrebbe tagliato le loro teste. E mentre i tre giardinieri spiegano tutto ad Alice, arriva la regina che ordina subito l’attuazione della punizione estrema. Alice però riesce a nascondere i giardinieri, salvandoli. Nel Paese delle Meraviglie tutti devono ubbidire ai sovrani del regno: il Re e la Regina di Cuori. Il Re è anche il Magistrato del Paese, mentre la Regina non permette mai che i sudditi disobbediscano, minacciando di farli giustiziare. Ma non a caso, nel Paese delle Meraviglie tutto può succedere e, perciò, nonostante la determinazione della regina, non si eseguono mai delle esecuzioni. Si, perché il Paese delle Meraviglie è un regno dove tutto è diverso da quello che sembra essere e dove la logica normale degli esseri umani non esiste. È un Paese dove la natura e l’ordine delle cose cambiano continuamente. Ragion per cui, anche Alice comincia ad adattarsi al nuovo mondo in cui si trova, cambiando anche fisicamente. Il suo corpo, o parte del corpo, si ingrandisce o diminuisce a seconda delle circostanze e a seconda di quello che fa e che mangia. Quando lei mangia nella casa del coniglio diventa enorme. E quando il coniglio tira dei sassi ad Alice, i sassi diventano dei saporiti pasticcini e lei, mangiandone uno diventa di nuovo piccolissima. Un’altra volta si trova con il collo lungo, dopo aver toccato le due parti del fungo. Il Paese delle Meraviglie è un luogo dove tutte le leggi del mondo reale non hanno senso e non si verificano. Così come anche il tempo e lo spazio. Alice è stata poi costretta a partecipare come testimone, insieme con il cappellaio matto e la cuoca della duchessa brutta, al processo giudiziario contro il fante di cuori. Nel frattempo però lei era diventata sempre più corpulenta. Ragion per cui non temeva più né il re, che era il magistrato e neanche la regina. E ritrovato il necessario raziocinio, Alice rivolgendosi a loro disse la verità: “non siete altro che un mazzo di carte”. Al che anche il sogno finisce e, risvegliandosi, Alice abbraccia sua sorella e insieme vanno a prendere il tè. Così termina il libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”.

    L’autore di queste righe analizzerà in seguito la realtà vissuta e spesso anche sofferta in un Paese europeo, ma senza nominarlo. Lo chiamerà semplicemente il Paese delle Meraviglie, anche se non è quello descritto maestosamente da Lewis Carroll nel suo libro “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. Lo chiamerà così, con questo nome di fantasia, semplicemente perché chi governa e gestisce la cosa pubblica lì cerca di convincere chiunque che si tratta proprio di un Paese dove tutto sta progredendo e andando a meraviglia. E tutto grazie alla sua dedizione e devozione, nonché alla sua lungimiranza. Ma la vera realtà è ben diversa da quella che si cerca di far credere a tutti, sia ai cittadini del Paese delle Meraviglie, che ai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e delle cancellerie dei singoli Paesi. L’autore di queste righe è convinto però, fatti accaduti e documentati alla mano, che nel Paese delle Meraviglie, si sta progredendo, sì, ma verso il peggio, verso il consolidamento di un regime dittatoriale camuffato. Un regime il quale usa sempre più la sua ben organizzata e potente propaganda governativa per apparire diverso da quello che in realtà è. Un regime che usa anche la maggior parte dei media. Un regime camuffato da una parvenza di “pluripartitismo”, che sceglie e appoggia anche chi deve rappresentare l’opposizione “ufficiale”. E colui che rappresenta istituzionalmente il nuovo regime camuffato, il primo ministro, non perde nessuna occasione di ripetere che lui non è “un dittatore e neanche un autocrate”. Sì, proprio così, testimoniando in questo modo i suoi complessi di colpa che la sua psiche non riesce a nascondere.

    Ma la vera, vissuta e sofferta realtà nel Paese delle Meraviglie, sempre fatti accaduti, documentati e denunciati ufficialmente alla mano, testimonia che lì si stanno continuamente calpestando sempre più i diritti e i principi base della democrazia, permettendo il consolidamento della dittatura.

    Una dittatura viene definita nei vari dizionari di diverse lingue del mondo come “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo, rappresentato da una o più persone, che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri”. Mentre il dittatore è la persona che lo rappresenta. L’autore di queste righe ha trattato spesso questo argomento. Egli scriveva per il nostro lettore che “La storia ci insegna che le dittature sono esistite già nell’antichità, poi nel medioevo e nei secoli successivi. Sono ben note le dittature e i regimi del secolo passato, prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Così come sono note anche le dittature, alcune camuffate, di questo nuovo secolo in diverse parti del mondo. Una dittatura, in generale, è una forma di organizzazione dello Stato che ignora consapevolmente la Costituzione e le leggi dello stesso Stato e annienta in ogni modo anche il fondamentale principio della separazione dei poteri, formulata maestosamente da Montesquieu nel 1848, nella sua opera intitolata Spirito delle leggi …” (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023). Trattando sempre il principio della separazione dei poteri, in un altro articolo per il nostro lettore, l’autore di queste righe scriveva: “La necessità della divisione dei poteri in uno Stato era già prevista da Aristotele e Platone nell’antica Grecia circa 2300 anni fa. Un principio, quello della divisione dei poteri, che è stato trattato anche nei secoli scorsi da vari filosofi, tra i quali anche Locke e poi Montesquieu” (Il fallimento voluto ed attuato di una riforma; 26 ottobre 2020). Mentre riferendosi a quanto è stato scritto da Montesquieu nel suo libro De l’esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.) riguardo al principio della separazione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario), l’autore di queste righe citava, sempre per il nostro lettore, la convinzione di Montesquieu: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Poi riferendosi all’importanza della separazione del potere legislativo da quello esecutivo e giudiziario, citava di nuovo Montesquieu: “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. E sottolineava la convinzione di Montesquieu: “Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022). Nel Paese delle Meraviglie però, in palese e consapevole violazione del principio della separazione dei poteri, una persona sola, il rappresentante istituzionale del regime dittatoriale, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, controlla oltre al potere esecutivo e legislativo, anche quello giudiziario. In più controlla anche quello ormai noto come il quarto potere, i media. Perciò tutto porta a pensare che nel Paese delle Meraviglie la democrazia abbia sempre meno a che fare con la realtà, mentre è in continuo consolidamento un regime dittatoriale camuffato.

    Il Paese delle Meraviglie è un Paese candidato all’adesione all’Unione europea. E come tale ha l’obbligo di rispettare, tra l’altro, anche i tre criteri di Copenaghen. Un obbligo quello per tutti i Paesi che hanno avviato un percorso di adesione. Il criterio politico prevede la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Ma le istituzioni, controllate con mano di ferro da una persona sola e/o da chi per lui, non possono però garantire niente che non abbia a che fare con la sua volontà e i suoi interessi. Nel Paese delle Meraviglie non si rispetta neanche il criterio economico, il quale prevede l’esistenza di un’economia di mercato affidabile. Da anni ormai il mercato viene controllato da alcuni oligarchi, “amici” di colui che rappresenta il regime. Nel Paese delle Meraviglie non si può rispettare ed adempiere neanche il terzo criterio, quello dell’acquis comunitario. Lo testimoniano, tra l’altro, anche le continue condizioni poste al Paese delle Meraviglie dal Consiglio europeo che aumentano sempre e che da tre anni ormai sono diventate quindici. Ma i massimi rappresentanti istituzionali del Paese delle Meraviglie non rispettano non solo i criteri di Copenaghen. Da anni fanno lo stesso anche con l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione che ogni Paese che vuole aderire nell’Unione europea è obbligato a rispettare, dal momento che diventa firmatario. E non sono valse a niente le diverse contestazioni fatte soprattutto dal Consiglio europeo.

    La realtà vera, vissuta e sofferta nel Paese delle Meraviglie è veramente preoccupante. E con le “meraviglie” che cerca di far credere e convincere il gestore istituzionale del regime dittatoriale camuffato e la sua propaganda non ha niente a che fare. L’autore di queste righe ha sempre informato il nostro lettore, con la dovuta e richiesta oggettività, di questa preoccupante e pericolosa realtà. Alcuni anni fa egli, usando sempre l’allegoria delle favole e paragonando il nuovo autocrate del Paese delle Meraviglie ad un re, scriveva per il nostro lettore: “Essendo un re capace di tutto e pieno di poteri, aveva anche il dono di fare delle magie. E per magia il re costruì, da un cetriolo, un gigantesco carrozzone. […] Il re trasformò, con la sua bacchetta magica una mandria di pecore in tantissimi cavalli e li attaccò al gigantesco carrozzone. Le pecore le prese dalla Fattoria degli Animali, inventata da George Orwell. Il re le mise tutte in fila, stupide e ubbidienti, e le chiamò ministri e alti funzionari. Il loro compito era semplicemente quello di trainare il carrozzone, al quale il re diede il nome Governo. […] Il siffatto monarca prese le briglie e cercò di portare il carrozzone fino in cima. Ma sempre non ci riusciva. E sempre il carrozzone, invece di salire, scendeva e rischiava di precipitare nei burroni” (La mosca cocchiera; 7 gennaio 2019). E se non si è indovinato ancora di chi e di quale Paese si tratta, allora si potrebbe cercare di chi e dove è stata ospite, insieme con la sua famiglia, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia, tra il 14 ed il 17 agosto scorso. Oppure si potrebbe cercare perché il primo ministro greco ha tolto ogni appoggio del suo governo, anche nelle istituzioni dell’Unione europea, all’autocrate del Paese delle Meraviglie, che da anni sta abusando del potere, prima conferito ed in seguito usurpato.

    Chi scrive queste righe, riferendosi al Paese delle Meraviglie (nome di fantasia) e aperto ad ogni suggerimento, fa una semplice domanda: se non è un regime dittatoriale camuffato, allora cos’è?  Egli condivide la convinzione di Santa Madre Teresa di Calcutta, secondo la quale “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”.

Pulsante per tornare all'inizio