Economia

  • Extra profitti anche fiscali e la credibilità del Paese

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Anche questo governo, esattamente come il precedente, segue il rituale della solita spasmodica ricerca, nonostante gli “extraprofitti fiscali” assicurati dal Fiscal Drag, di nuove risorse finanziarie che dimostra ancora una volta come gli anni passino senza lasciare nessuna traccia e fornisce un’ulteriore dimostrazione di come gli ultimi due governi non siamo poi tanto diversi.

    Il governo Draghi cercò inutilmente di tassare gli extra profitti delle aziende energetiche in un periodo di esplosione appunto dei costi dell’energia. Ora il governo Melon, in una medesima situazione, cioè nel pieno di una crisi industriale e sistemica dell’economia reale, di fronte agli imbarazzanti profitti del sistema bancario, adotta la medesima strategia fiscale la quale ovviamente sortirà gli stessi risultati ottenuti dal governo precedente.

    Si dimostra francamente avvilente come la questione decisamente complessa relativa ad una rimodulazione della pressione fiscale, sia diventata una semplice guerra ideologica di posizione tra schieramenti favorevoli al mantenimento dell’attuale asset fiscale ed altri che chiedono l’introduzione di una tassazione aggiuntiva. Una contrapposizione che si manifesta non solo nel classico conflitto tra maggioranza e opposizione, ma che si insinua persino tra gli alleati nella maggioranza di governo.

    Nessuno, tuttavia, in questo supportati dal supino silenzio del mondo accademico incapace di definire una posizione terza rispetto alle strategie economiche governative e delle opposizioni, si dimostra in grado di elaborare un’analisi che tenga nella dovuta considerazione il conseguente danno reputazionale alla credibilità del Paese con la introduzione di una normativa fiscale retroattiva.

    Questa politica fiscale si dimostra Infatti deleteria ed in grado di rivelarsi un fattore disincentivante nella determinazione dei flussi di investimenti, specialmente internazionali, verso il Paese.

    Non è difficile, infatti, adottando una semplice analisi economica, comprendere come una fiscalità retroattiva, ma anche solo l’ipotesi di una sua possibile applicazione, renda problematica, se non addirittura azzardata, qualsiasi possibilità di elaborare un piano strategico di investimenti.

    Un sistema fiscale dovrebbe assicurare un prelievo certo ed equo, e la propria stabilità dovrebbe dimostrarsi come un volano di sviluppo per il paese attirando operatori economici e quindi preziosi investimenti finalizzati alla crescita economica. Quando invece la fiscalità diventa l’Extrema Ratio per trovare quattro spiccioli che permettano un equilibrio di bilancio, diventa un fattore destabilizzante e assolutamente antieconomico per il Paese.

    Sembra incredibile come questo governo e il precedente non abbiano tenuto in alcuna considerazione gli effetti reputazionali devastanti di questa retroattività fiscale nei confronti degli extra profitti delle banche o delle aziende nel settore energetico. Questa infantile politica fiscale paradossalmente si rivela come un fattore determinante al pari dei costi energetici nel favorire concorrenti, in quanto l’incertezza fiscale risulta avere un costo incalcolabile che rende impossibile una qualsiasi progettualità economica.

    Non si intende certamente difendere le banche ora e tantomeno le aziende energetiche allora, ma la fiscalità richiede competenze articolate e non esponenti politici dalla dubbia competenza, incapaci persino di valutare gli effetti reputazioni di una singola norma fiscale.

  • La forma dell’acqua

    Nel principio dell’acqua Talete di Mileto affermava come l’acqua rappresentasse la sostanza primordiale da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna. A questo principio si potrebbe aggiungere anche che l’acqua trova e definisce il proprio percorso in ragione degli impedimenti che trova lungo il proprio deflusso.

    Come l’acqua gli investimenti in generale rappresentano il primo anello (la sostanza primordiale di Talete) di una complessa catena di sviluppo che trova la propria ultima definizione nella creazione anche di una nuova occupazione.

    Emerge, quindi, come naturale conseguenza che gli investimenti si dirigano verso quelle aree economiche nelle quali abbiamo la sicurezza di non trovare impedimenti (ed ecco il percorso come per l’acqua) di ordine burocratico, fiscale e normativo o, peggio, ideologico.

    Quindi, se gli investimenti si confermano nella loro essenza molto simili alla “forma dell’acqua” si comprende, allora, la strategia del gruppo farmaceutico Svizzero Roche che investirà 50 Mld di dollari negli Stati Uniti e che determinerà la creazione di 12.000 posti di lavoro.

    Nella medesima lunghezza d’onda si dimostra anche Novartis la quale ha destinato oltre 7000 Mld di dollari per nuove linee produttive sul territorio statunitense e, di conseguenza, 5.000 nuovi posti di lavoro.

    Adesso anche Stellantis ha deciso di dirottare i propri investimenti oltre Oceano con oltre 13 miliardi di dollari stanziati per nuovi insediamenti produttivi, mentre gli stabilimenti italiani del gruppo risultano tutti caratterizzati dall’adozione, per buona parte dei dipendenti, di contratti di solidarietà e si riduce la produzione di autovetture a 325.000 unità, pari a quella del 1953, Il gruppo, una volta italiano, guarda agli Stati Uniti. Per non parlare della terribile situazione occupazionale a Torino, un tempo polo dell’automobile europeo, dove degli oltre 57.000 operai metalmeccanici impiegati nella complessa filiera dell’Automotive attualmente il 70% risulta in cassa integrazione. Nessuno ha intenzione di assolvere la strategia di Stellantis e del suo azionariato e management, la quale ha usufruito fino a poche stagioni addietro di incentivi statali di ogni genere, anche durante il covid con le garanzie statali poi regolarmente restituite. Andrebbe, tuttavia, riconosciuto come all’interno di un mondo contemporaneo e globale le scelte di investimento di ogni azienda, come detto prima, vengono determinate dal contesto normativo, fiscale e burocratico.

    In tale situazione in Europa il contesto si dimostra assolutamente disastroso per una diretta responsabilità attribuibile sostanzialmente a due soggetti politici, e cioè l’Unione europea, soprattutto con le sue ultime due Commissioni, e la serie dei governi italiani che si sono succeduti alla guida del Paese negli ultimi trent’anni.

    La scelta ideologica operata dalla Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen con l’imposizione del Green Deal, il quale comporta il divieto di produzione e vendita di motori endotermici dal 2035, anticipato al 2030 per quanto riguarda autonoleggi e flotte aziendali, si rivela un volano fantastico per gli investimenti del settore Automotive negli Stati Uniti  dove le restrizioni in termini di emissioni sono state abolite riuscendo in più così ad aggirare i dazi imposti dall’amministrazione Trump.

    Le aziende che hanno deciso di investire nel mercato statunitense possono trovare inoltre costi energetici inferiori rispetto a quelli praticati in Europa, che subisce gli effetti anche della sciagurata scelta della Germania di chiudere le centrali nucleari. E successivamente si è legata alle forniture del gas russo diventando ostaggio della politica di Putin con l’apertura del conflitto russo ucraino.

    Come la Germania, l’Italia, seconda economia manifatturiera in Europa, sta perdendo da anni, ad assoluta propria insaputa, buona parte degli investimenti nella filiera automobilistica ed industriale, proprio a causa di una trentennale assenza di una qualsiasi politica energetica la quale rappresenta il primo passo di una politica di sviluppo industriale ed economico, dimostrandosi in più non sazia di questo disastro strategico causato anche dall’aumento di oltre 17 punti dell’Iva per le bollette energetiche. L’ultimo intervento elaborato dal governo in carica è quello dell’introduzione di un pacchetto di incentivi nel settore auto i quali, come diceva Marchionne, favoriranno le auto estere e nel periodo attuale quelle “a carbone” provenienti dalla Cina (*).

    In Europa ed in Italia si dimostrano ancora una volta incapaci di comprendere la stessa forma dell’acqua ed ovviamente degli investimenti.

    (*) La Cina importa oltre 542 milioni di tonnellate di carbone in crescita nel 2025 del 12%

  • La sola visione futura assicura il futuro al Paese

    La sola libertà della visione futura è in grado di assicurare un futuro al Paese.  A differenza di quanto afferma il  mainstream, la vera priorità del nostro Paese non è rappresentata, come molti affermano, dalla formazione di tecnici in grado di realizzare i prodotti, quanto invece dall’espressione della Libertà di pensiero, intesa da Marchionne come la capacità di avere una Visione Futura ed in grado di identificare le opportunità di una  nazione e di un’azienda per affrontare le sfide attuali e del futuro (https://www.instagram.com/reel/DPwrQ44jsrj/?igsh=MWthaWljeHAwaGg1Yg==).

    Non è quindi la competenza tecnica la priorità da perseguire (e nel periodo dell’intervento del manager ancora non esisteva l’AI che tende a rendere alla portata di tutti le competenze tecniche anche se non quelle pratiche), ma la libertà di pensiero. In altre parole, appunto, la Visione.

    Quando si sentono i politici e il mondo accademico nel loro complesso parlare di “competenze” per rilanciare l’industria come più in generale l’economia nazionale, andrebbe ricordato loro come solo una visione futura, espressione di libertà e cultura, possano assicurare un futuro al nostro Paese.

    Un passaggio fondamentale che, ed ecco quindi che si parla di adeguamento e rinnovamento culturale, dovrebbe ridisegnare anche lo stesso perimetro di formazione della scuola e del mondo accademico. Questi, infatti, invece di proporre un modello politico ed economico da seguire dovrebbero fornire gli strumenti culturali per crearne di nuovi. Ridurre tutto, invece, alle sole competenze tecniche non fa che aprire le porte del know how esistente alle multinazionali straniere che già stanno facendo incetta delle PMI italiane, le quali operano in un Paese nel quale molto spesso la classe dirigente e politica non ne conosce le reali difficoltà.

    Viceversa, la visione futura risulta necessaria per la sopravvivenza del sistema industriale quanto di quello economico nel suo complesso e va ricercata e valorizzata, non come oggi che viene addirittura allontanata in quanto richiede investimenti economici e culturali che il mondo politico non è in grado di realizzare ed anche solo di ipotizzare.

    Mai come ora la mancanza di una visione del nostro Paese negli ultimi trent’anni rappresenta la prima causa della disastrosa politica energetica che ci vede ora con i prezzi più alti d’Europa. Nessuno negli ultimi 30 anni ha dimostrato la capacità di fornire una visione del Paese in ambito di approvvigionamento energetico dimostrando così di possedere una visione in grado di spaziare nel tempo ben oltre l’ultimo appuntamento elettorale, che rappresenta l’orizzonte operativo del mondo politico.

    Nel contesto di un mercato fortemente competitivo, per superare anche il dumping retributivo, energetico e sociale dei paesi in via di sviluppo, risultano assolutamente vitali le visioni globali in grado di valutare le potenzialità dei sistemi italiani ed europei in rapporto con i molteplici concorrenti.

    Questa visione come espressione culturale, se veramente espressione della libertà di pensiero, si rivelerà assolutamente distante da ogni ideologia la quale rende le menti schiave dei principi politici che lo schema ideologico esprime. Basti pensare nella contemporaneità all’ideologia ambientalista che ha già distrutto e sta azzerando il sistema Automotive europeo con la cieca applicazione del GreenDeal.

    La libertà, quindi, si esprime attraverso la capacità di superare i propri schemi ideologici avanzando verso il futuro. Viceversa ancora oggi questo atteggiamento ideologico, e per questo anti culturale, accomuna socialisti, conservatori e liberali chiusi tra le loro piccole ed obsolete certezze ideologiche che nascondono, tuttavia, una totale incapacità nell’elaborazione di una visione del futuro che risulti anche in minima parte lontana dalle proprie certezze ideologiche.

    Solo la libertà nella elaborazione di una visione futura, e quindi espressione della cultura, potrebbe fornire un orientamento e, di conseguenza, offrire una possibilità di salvezza al Paese.

  • La Grande Illusione

    Da decenni si giustifica la normativa fiscale sempre più invasiva con il principio “pagare tutti per pagare di meno”. In effetti il recupero dell’evasione fiscale avanza con ritmi costanti ma con effetti assolutamente nulli per i cittadini. L’evasione fiscale in Italia risulta appunto in diminuzione, con una riduzione del “tax gap” del 15% nel 2024 rispetto al 2019, secondo dati del Ministero. Questo miglioramento è attribuito al potenziamento delle attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate. Tuttavia, contemporaneamente, sempre tra il 2019 e il 2024, la pressione fiscale in Italia è aumentata, arrivando al 42,6% nel 2024, secondo i dati ISTAT. A queste percentuali andrebbero anche considerati i dati di Unimpresa che sono ancora più imbarazzanti (https://lnkd.in/dqK93WNS).

    Questo incremento è dovuto principalmente a un aumento delle entrate tributarie e contributive, in misura ben maggiore rispetto alla crescita del PIL ( Fiscal Drag*). A questo risultato hanno contribuito comunque anche l’aumento delle accise sui prodotti energetici, l’aumento del gettito IRPEF e delle imposte sui redditi da capitale. Contemporaneamente Il debito pubblico italiano è cresciuto, passando da circa 2.409 miliardi di euro nel 2019 ad oltre 2.868 miliardi di euro a ottobre 2024, raggiungendo nell’ottobre 2025 i 3.057 miliardi.

    Sempre tra 2019 e 2024 le retribuzioni, invece, hanno perso un potere d’acquisto di oltre il -10% a causa proprio di quell’inflazione che ha accresciuto le entrate fiscali dello Stato. Nei soli ultimi cinque anni, quindi, lo Stato ha visto moltiplicarsi le entrate fiscali grazie al recupero dell’evasione fiscale, al Fiscal drag, all’aumento delle accise e dell’ Iva (+17%) sulle bollette energetiche.

    Contemporaneamente, a parte il settore della Difesa che ha visto aumentare specialmente negli ultimi tre anni la dotazione finanziaria, in tutti gli altri settori abbiamo assistito ad una riduzione sostanziale dei finanziamenti. Basti pensare al sistema sanitario nazionale (SSN) al quale, pur aumentando le dotazioni finanziarie nominali, la sua percentuale sul Pil è andata diminuendo, infatti al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025. La Germania, solo per dare un esempio, ha una percentuale di 10,6% di spesa sanitaria sul Pil.

    Da questi semplici dati emerge come ad ogni riforma esattamente come ad ogni aumento della pressione fiscale corrisponda una esplosione non solo dei volumi nominali della spesa pubblica ma anche della propria inefficienza. Quindi, inevitabilmente, la Spesa Pubblica non si può più definire come il veicolo finanziario attraverso il quale lo stato fornisce servizi alla popolazione ed assicura i diritti di cui ogni cittadino dovrebbe usufruire. La grande illusione obbliga ad una ridefinizione della Spesa Pubblica intesa come la leva del potere centrale molto simile alla gestione del credito (**).

    Mai come ora lo Stato ed il sistema bancario, quest’ultimo con utili da record, si dimostrano uniti nel perseguire obiettivi lontani dagli interessi dei cittadini.

    (*) 2022 https://www.ilpattosociale.it/attualita/fiscal-drag/

    (**) 2018 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

  • Tunisia a caccia di investimenti italiani

    Tunisi ha ospitato a fine settembre il forum “Investment Africa 2025” radunando decine di aziende italiane e tunisine, istituzioni economiche e diplomatiche di Italia e Tunisia, per sostenere nuove possibili sinergie ed espansioni. All’evento è intervenuto anche l’ambasciatore d’Italia in Tunisia, Alessandro Prunas, che ha ribadito la profondità dei legami economici tra i due Paesi all’insegna della diplomazia della crescita. Sandro Fratini, presidente del centro d’affari italo-tunisino Delta Center, ha sottolineato l’importanza di accompagnare gli operatori italiani alla scoperta del mercato locale, che si sta affermando come hub strategico in Africa. Sempre più aziende italiane, nel biennio 2024-2025, hanno intensificato la loro presenza in Tunisia o annunciato piani di espansione significativi.

    L’ambasciatore Prunas ha ricordato che l’Italia si conferma un partner economico di primaria importanza per la Tunisia. Con investimenti pari a 159,4 milioni di dinari tunisini (47 milioni di euro), l’Italia si è confermato il secondo Paese investitore nel primo semestre del 2025. Questa cifra, che rappresenta circa il 10% degli investimenti diretti esteri (Ide) totali (escluso il settore energetico), testimonia il forte legame e la fiducia degli investitori italiani nel mercato tunisino. Nel dettaglio, l’industria manifatturiera ha attratto circa il 62,9% degli Ide totali, seguita dal settore energetico con il 24,3%. I servizi e l’agricoltura hanno contribuito in misura minore. Guido D’Amico, presidente di Confimprese Italia, ha dichiarato che il forum “è stata l’occasione per confermare i rapporti economici che legano l’Italia alla Tunisia e al Mediterraneo come fulcro dello sviluppo d’impresa del terzo millennio”. D’Amico ha evidenziato che la collaborazione con Delta Center, Confimprese e Conect è “l’esempio di una cooperazione strategica per realizzare l’impegno imprenditoriale e istituzionale che porterà il nostro Paese a completare il progetto del Piano Mattei”. Per sostenere nel tempo questo rapporto, Confimprese Italia “ha previsto un panel relativo all’internazionalizzazione di impresa con una delegazione istituzionale tunisina durante le celebrazioni dei 30 anni di Confimprese Italia”, ha aggiunto D’Amico.

    Il Paese nordafricano si sta affermando come un hub strategico per le aziende italiane, che nel biennio 2024-2025 hanno intensificato la loro presenza o annunciato piani di espansione significativi in settori chiave come l’automotive, il tessile, l’energia e la tecnologia. I dati relativi alla prima metà del 2025, recentemente pubblicati dall’Agenza per la promozione degli investimenti esteri (Fipa), indicano che gli Investimenti diretti esteri (Ide) hanno raggiunto 1,65 miliardi di dinari tunisini (circa 492,7 milioni di euro), segnando un aumento del 20,8% rispetto allo stesso periodo del 2024, del 35,8% rispetto al 2023 e del 63,6% rispetto al 2022. A trainare questa ripresa sono stati principalmente il settore manifatturiero e quello energetico, che insieme rappresentano la quasi totalità degli investimenti esteri.

    In questo contesto di crescita, l’Italia si conferma un partner economico di primaria importanza per la Tunisia. Con investimenti pari a 159,4 milioni di dinari tunisini (47 milioni di euro), il 10% del totale, l’Italia si posiziona come il secondo Paese investitore da gennaio a fine giugno 2025, preceduta solamente dalla Francia con investimenti pari a 421 milioni di dinari tunisini (circa 124 milioni di euro), ovvero oltre il 33% degli Ide totali, esclusa l’energia. Gli investimenti totali dichiarati – che includono sia progetti esteri che nazionali – hanno raggiunto circa 3,3 miliardi di dinari (pari a un miliardo di euro) nei primi sei mesi dell’anno. Questo dato, che comprende nuovi progetti ed espansioni aziendali, riflette un clima di fiducia generale e un rinnovato slancio per l’economia tunisina. Secondo l’ultimo rapporto di Qhala e Qubit Hub, la Tunisia si è anche aggiudicata il secondo posto nell’Africa 2025 AI Talent Readiness Index, a pari merito con l’Egitto e subito dietro il Sudafrica. Questa classifica testimonia la rapida trasformazione digitale della Tunisia, l’integrazione delle Ict nell’istruzione e le strategie sostenute dal governo tunisino per promuovere i talenti del settore dell’intelligenza artificiale a livello mondiale.

    Di particolare importanza è poi il fatto che la Tunisia ha già rilasciato oltre 350 certificati di origine per l’esportazione di prodotti locali verso vari Paesi africani, nel quadro dell’accordo sulla Zona di libero scambio continentale africana (Zlecaf). Tali certificazioni permettono alle aziende esportatrici di beneficiare della riduzione dei dazi doganali, la cui soppressione è prevista a partire dal primo gennaio 2026. La Zlecaf, operativa dal maggio 2019 e ratificata dalla Tunisia nell’agosto 2020, è un progetto chiave dell’Unione africana (Ua) volto a promuovere la cooperazione Sud-Sud per un’Africa integrata, prospera e pacifica, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2063 dell’Ua. Tale accordo mira a rafforzare le relazioni commerciali tra i 55 Stati membri, che rappresentano un mercato di oltre 300 milioni di consumatori e un volume di scambi annuo stimato in 3,4 miliardi di dollari, eliminando le barriere doganali alla libera circolazione di beni e servizi. Secondo i dati del Centro di promozione delle esportazioni (Cepex), il potenziale inesplorato della Tunisia in Africa è stimato a circa 1,2 miliardi di dollari, con opportunità maggiori nel Nord Africa (754 milioni di dollari). Attualmente, secondo il ministero tunisino dell’Industria, delle Miniere e dell’Energia, ci sono circa 910 aziende italiane operative nel Paese nordafricano. Di queste, circa 370 operano nel settore industriale e impiegano oltre 57mila persone. Nel settore del tessile e abbigliamento, circa un terzo sono italiane.

  • La rapacità fiscale italiana mette in fuga quasi 200 miliardi di euro

    Jannick Sinner è stato biasimato come uno che fugge dalle tasse per aver preso la residenza a Montecarlo, l’Olanda viene biasimata come paradiso fiscale e chi vi sposta la sede aziendale viene bollato come traditore della patria. Considerare che uno Stato che induce un proprio cittadino o azienda a trasferirsi è forse uno Stato che chiede troppo per quello che offre, che troppa ingordigia priva il Belpaese dei suoi elementi più performanti non sembra purtroppo far parte dell’orizzonte del pensiero nello Stivale. Peccato, anzitutto in termini di vivacità intellettuale e dibattito culturale. Ma peccato anche perché una soluzione al problema dell’evasione fiscale appare tanto più efficace e realistica quanto più si fonda su un’analisi non solo di quanto viene evaso ma anche del perché si evade.

    Il Global Tax Evasion Report 2024 di EuTax Observatory, gruppo di riceva della Paris School of Economics stima in 196,5 miliardi di euro la somma complessiva di quanto non dichiarato e non versato al fisco, spesso tramite spostamento all’estero delle somme su cui versare le tasse. Centoottantuno di quei miliardi sono infatti depositati in conti correnti di banche offshore oppure impiegati in attività finanziarie all’estero. Ottantadue miliardi e 600 milioni sono depositati in Svizzera, 61,5 miliardi in altri Paesi dell’Unione europea fiscalmente più benigni dell’Italia, 26,6 in Asia (do you know Singapore?) e 11 miliardi in aree offshore delle Americhe. Altri 15,5 miliardi sono stati invece dirottati su investimenti immobiliari anzitutto in Costa Azzurra e Parigi (con buona pace dell’ex premier transalpino che ha accusato l’Italia di concorrenza fiscale sleale) e poi a Dubai e Singapore (se è così attraente forse sarebbe da studiare e magari copiare prima di biasimarla, le best practices magari esistono anche in tema di tasse e imposte).

    Quello che troppo spesso ci si scorda di aggiungere è che non tutto quello che viene evaso o eluso è perso per il fisco. Secondo la relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), nel 2024 sono stati recuperati complessivamente 26,3 miliardi di euro (con un incremento del 6,5% rispetto al 2023, pari a 1,6 miliardi di euro), di cui circa 22,8 miliardi, provengono dai controlli ordinari effettuati dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza (12,6 miliardi sono stati versati dai contribuenti dopo aver ricevuto un atto dell’Agenzia delle Entrate; 5,7 miliardi a seguito di una cartella e 4,5 miliardi sono frutto delle attività di promozione della compliance). Gli incassi da misure straordinarie, sempre riferiti all’Agenzia delle Entrate (Rottamazione delle cartelle e pagamenti residui derivanti dalla definizione delle liti pendenti e dalla vecchia pace fiscale), ammontano a 3,5 miliardi, con una flessione di oltre il 30% rispetto al 2023.

  • L’ultima moda dei Comuni per i trasporti locali: tornare ai tram

    Con una spesa di 5,4 miliardi, parzialmente coperti dal Pnrr, nelle città italiane sono in costruzione 250 chilometri di nuove tranvie che porteranno a incrementare l’attuale rete del 63%. Palermo estenderà la rete di 64,2 km, Padova di 30,3, Firenze di 25, Bologna di 23,4, Bergamo di 23,2, Milano di 35,9, Brescia di 23,2, Napoli di 4,1, Cagliari di 6,9 e Sassari di 2,5.

    Scomparso negli anni ‘60 il tram sfrutta oggi la spinta della transizione ecologica, delle richieste dell’Unione Europea di riduzione delle emissioni a partire dal 2030 e dei fondi del Pnrr, si torna a costruire tranvie. Le nuove linee, secondo l’associazione ambientalista, taglieranno 105mila tonnellate di CO₂ l’anno, pari all’1% delle emissioni di tutto il settore dei trasporti. Molto più economico della metropolitana, un chilometro di percorso ha un costo di costruzione tra i 12 e i 40 milioni invece che di 80-200 e il tram ha anche il vantaggio di togliere spazio lungo le strade: Milano insegna che la pretesa di ridurre lo spazio per le auto non porta a ridurre le auto circolanti quanto piuttosto ad aumentare le fila di auto in coda lungo strade meno ampie, ma per chi fa della lotta all’auto la mission della propria amministrazione poter vantare di combattere il traffico veicolare mentre risparmia sul trasporto pubblico è quantomeno una tentazione cui è difficile resistere.

    A Bologna il tram tornerà dopo oltre 60 anni. Le due linee in costruzione (sulle 4 inizialmente previste) copriranno 22,4 km, numeri ancora lontani dagli oltre 80 km attivi nel 1939, prima che la rete fosse smantellata nel 1963. Il percorso in costruzione peraltro non ha mancato di suscitare già proteste per alcune pensiline che in alcune zone sono troppo alte rispetto agli edifici circostanti e alla loro conformazione.

    Firenze vanta due linee in esercizio (la T1 attivata nel 2010 con l’ultima estensione nel 2018 e la T2 inaugurata nel 2019 e ampliata quest’anno), con una terza in costruzione da gennaio 2025 ed il tram già collega nodi strategici: il parcheggio bus e auto di Villa Costanza (al lato dell’autostrada A1), l’aeroporto, l’ospedale Careggi, la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, l’Università e il centro storico. Stesso discorso per Padova, dove il Sir1, attivo dal 2007, attualmente trasporta 33mila passeggeri al giorno, coprendo un quarto di tutti gli spostamenti pubblici cittadini.

    A Palermo il tram è tornato da 10 anni, ma dei 64 chilometri di nuove linee non se ne realizzerà nessuno entro la scadenza programmata del 2026. Lo Stato aveva stanziato 481 milioni di euro e l’opera è stata poi inserita nel Pnrr ma i cantieri non sono praticamente nemmeno partiti e il Comune è tornato a bussare al Ministero dei Trasporti per chiedere nuovamente fondi statali. Non va molto meglio a Roma arranca: quattro nuove linee previste e quelle attuali rimaste ferme fino a febbraio per una riqualificazione durata quasi otto mesi.

    Nonostante i progressi, l’Italia resta in netto ritardo rispetto al resto d’Europa. Le tranvie italiane coprono appena 397 km, contro gli 878 della Francia e i 2.044 della Germania. A Milano peraltro il detto ‘taches al tram’ ha sempre significato: arrangiati, problema tuo.

  • Amazon consente alle Pmi italiane vendite per oltre 1,2 miliardi oltre confine

    Amazon ha annunciato gli ultimi dati del Report sull’Impatto delle oltre 20.000 Piccole e Medie Imprese (PMI) italiane che vendono sul suo negozio online. Di queste, oltre il 65% ha venduto anche al di fuori dei confini nazionali, registrando più di 1,2 miliardi di euro di vendite all’estero. Sul totale delle Poi presenti su Amazon, sono oltre 9.000 (più del 45%) quelle che provengono da aree rurali o a bassa densità di popolazione. Nel solo 2024, 6.000 di queste hanno registrato 500 milioni di euro di vendite all’estero.

    Lombardia, Campania, Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna sono le prime cinque regioni più virtuose per valore di vendite all’estero e con il più alto numero di PMI locali presenti sul negozio online; Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Spagna sono i Paesi in cui le PMI italiane hanno venduto con maggiore successo.

    Nata nel 2015 dalla volontà di promuovere l’eccellenza della creatività e del saper fare italiano, la vetrina Made in Italy di Amazon oggi supporta oltre 5.500 aziende del Made in Italy a vendere i propri articoli in undici Paesi del mondo. Sono più di 3 milioni i prodotti della vetrina messi a disposizione dei clienti a livello internazionale e 18 i percorsi regionali presenti all’interno della vetrina che ospitano le tipicità locali. Dal 2019, la vetrina gode della collaborazione di Agenzia ICE, che promuove e supporta le aziende che aderiscono al bando a vendere su Amazon e sulla vetrina Made in Italy attraverso specifiche attività di marketing per l’e-commerce. Tra queste, un piano di formazione per la vendita online e di promozione dei loro prodotti, in Italia e all’estero. L’accordo tra Agenzia ICE e Amazon ha coinvolto finora oltre 2.800 Poi italiane e messo a disposizione dei clienti Amazon a livello internazionale più di 700.000 nuovi prodotti Made in Italy.

    “La Vetrina Made in Italy è una storia di successo della strategia di sostegno all’export italiano nel mondo: con un investimento pubblico di 11,5 milioni di Euro è stato generato un fatturato superiore a 650 milioni di Euro in 10 anni. Risultati che confermano quanto sia strategico, per un tessuto imprenditoriale come quello italiano, favorire l’accesso a strumenti digitali avanzati, capaci di amplificare la visibilità internazionale e ridurre le barriere all’ingresso sui mercati. Transizioni digitali e verdi sono una garanzia di crescita esponenziale dell’export e della proiezione delle aziende nel mondo”, ha commentato Fabrizio Lobasso, Vicedirettore Generale per l’Internazionalizzazione economica al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

    Amazon ha inoltre annunciato che dal 5 al 12 ottobre sarà disponibile per i clienti giapponesi ed europei una speciale finestra dal nome “Happy 10th Anniversary Made in Italy!”, che consentirà loro di conoscere e acquistare una curata selezione di prodotti dell’eccellenza del Bel Paese all’interno della vetrina Made in Italy. “Giappone e Italia condividono molte sfide comuni. Tra queste, la necessità di sostenere le realtà di piccole e medie dimensioni in un contesto globale sempre più competitivo. La vetrina ‘Made in Italy’, lanciata da Amazon Italia nel 2015, rappresenta un’iniziativa all’avanguardia che valorizza le imprese di piccole e medie dimensioni, cuore pulsante del made in Italy, offrendo loro una piattaforma concreta per crescere sui mercati esteri. Lo stesso accade in Giappone con il ‘Japan Store’ di Amazon. Confido che iniziative come queste continuino a contribuire in modo significativo alla crescita commerciale delle piccole e medie attività in Giappone, in Italia e in tutto il mondo”, ha commentato Nabeshima Tokuko, Console Generale Aggiunta del Giappone a Milano.

    Le oltre 20.000 Pmi italiane che vendono attraverso Amazon sono distribuite su tutto il territorio nazionale, contribuendo a generare valore all’interno delle singole economie locali in modo omogeneo. Analizzando in particolare le vendite all’estero dalle PMI nelle singole regioni, la Lombardia si conferma la prima in classifica per valore dell’export, con oltre 345 milioni di euro di vendite registrate all’estero nel 2024 e più di 3.400 Pmi della regione presenti su Amazon, di cui oltre il 65% esporta. Seguono la Campania, con un export di oltre 170 milioni di euro e più di 3.100 Poi, di cui oltre il 60% esporta; Lazio con più di 115 milioni di euro registrati all’estero e più di 1.800 Pmi, di cui oltre il 65% esporta; Toscana, con più di 100 milioni di euro registrati all’estero e oltre 1.100 Pmi, di cui più del 65% esporta. A chiudere la top 5 infine l’Emilia-Romagna, con oltre 1.400 Pmi, di cui più del 65% esporta. Queste ultime nel 2024 hanno registrato più di 95 milioni di euro di vendite all’estero. Tra le altre regioni con un elevato livello di export figurano anche Piemonte (oltre 85 milioni di euro e oltre 1.100 Pmi), Veneto (oltre 80 milioni di euro e oltre 1.400 Pmi), Puglia (oltre 45 milioni di euro e più di 1.600 Pmi); Sicilia (più di 45 milioni di euro e oltre 1.300 Pmi) e Marche (oltre 40 milioni di euro e più di 550 Pmi).

    Da quando Amazon è arrivata in Italia, nel 2010, ha investito oltre 25 miliardi di euro per costruire infrastrutture, creare posti di lavoro e supportare migliaia di imprese locali. Solo nel 2024, gli investimenti hanno superato i 4 miliardi di euro. Attualmente l’azienda impiega nel nostro Paese oltre 19.000 persone con contratto a tempo indeterminato, attive in oltre 60 strutture distribuite su tutto il territorio nazionale – tra cui sedi logistiche, uffici corporate, data center e il servizio clienti. A questi si aggiungono i posti di lavoro indiretti: secondo le stime di Keystone, nel 2024, si stima che gli investimenti di Amazon in Italia abbiano sostenuto oltre 40mila posti di lavoro indiretti e più di 10mila posti di lavoro indotti in settori come costruzioni, logistica e altri servizi professionali.

  • L’ipocrisia sovranista

    Troppi ancora credono che il sovranismo nazionale, cioè la legittima volontà di porre lo sviluppo del proprio Paese come primo obiettivo della politica governativa, abbia come strumento fondamentale e venga esercitata attraverso la gestione della propria valuta (la lira).

    Sempre sulla base di questo schema ideologico si creerebbero le condizioni che permetterebbero un continuo processo di “svalutazione competitiva” la quale, se fornisce un vantaggio valutario a favore dell’export, dall’altra depatrimonializza tutti gli asset espressi in quella valuta svalutata, stipendi compresi.

    Mentre ci si avvia verso un nuovo turno elettorale all’interno del quale fa capolino nuovamente un concetto sovranista “di prima il Veneto -la centralità delle Marche”, e comunque il pensiero di una tutela dell’intera Nazione Italiana ritorna al centro di tutte le retoriche espresse dai partiti come dal governo, l’azienda petrolifera IP viene ceduta ad un gruppo azero. Questa non rappresenta una semplice operazione finanziaria, la quale, come diretta conseguenza, avrà la riduzione del margine operativo nella politica strategica del governo italiano, ma l’azienda petrolifera viene acquisita dallo Stato dell’Azerbaigian che vuole assicurarsi, all’interno della propria politica energetica, un asset importante in terra italica.

    Uno stato, che non fa parte dell’Unione Europea e che ha un conflitto aperto con l’etnia armena, acquisisce quindi un’azienda privata italiana nel settore energetico che rappresenta assieme alle politiche infrastrutturali e a quelle della Difesa la vera legittima espressione di una tutela degli interessi nazionali che qualcuno potrebbe definire come espressione di un nuovo sovranismo nazionale. Un’operazione peraltro che ha richiesto una dotazione finanziaria minima (2,5/3 miliardi) ma il cui impatto nella limitazione del potere espresso dall’istituzione italiane potrà essere ben più importante. Inoltre non va dimenticato che anche in questo modo si creano le condizioni per una crescita delle bollette energetiche la quale mina la qualità della vita delle famiglie e contemporaneamente la competitività nel mercato globale delle imprese.

    In altre parole mentre gli stati, anche da noi lontani, continuano ad esprimere delle politiche “sovraniste” finalizzate ad assicurare il conseguimento dell’interesse nazionale nel campo energetico infrastrutturale e delle comunicazioni (*), l’Italia continua a cedere asset fondamentali. Per cui il sovranismo italiano, che si è espresso nella semplice nostalgica riesumazione di una sovranità monetaria, dovrebbe ritrovare la propria identità nella gestione e soprattutto nella salvaguardia degli asset fondamentali i quali contribuiscono a determinare la sovranità (espressione della legittima manifestazione della volontà degli elettori) di un qualsiasi stato. E, di conseguenza, anche dell’Italia.

    (*) Si pensi alla acquisizione di Vodafone e Fastweb esercitata da Swisscom al 50% partecipata dallo Stato svizzero.

  • La Commissione è favorevole a un accordo sulla modernizzazione della politica di coesione

    La Commissione europea è favorevole all’adozione di importanti aggiornamenti alla politica di coesione 2021-2027 da parte del Parlamento europeo e del Consiglio. I cambiamenti consentiranno agli Stati membri e alle regioni dell’UE di riassegnare i fondi verso nuove priorità strategiche, e di rafforzare in tal modo gli investimenti in competitività, difesa, alloggi sostenibili a prezzi accessibili, resilienza idrica e transizione energetica.

    Gli Stati membri e le regioni che intendono investire in queste nuove priorità beneficeranno di tassi di prefinanziamento più elevati (fino al 20%) per contribuire ad accelerare l’avvio e l’attuazione dei progetti. I tassi di prefinanziamento inoltre aumenteranno ulteriormente per i programmi che riassegneranno almeno il 10% del loro valore totale alle nuove priorità.

    I fondi riprogrammati beneficeranno inoltre di tassi di cofinanziamento dell’UE più elevati (10 punti percentuali in più rispetto ai tassi applicabili), riducendo così la necessaria integrazione proveniente dai bilanci nazionali. Infine, sono previste condizioni ancora più favorevoli per le regioni dell’UE confinanti con la Russia e la Bielorussia colpite negativamente dalla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina.

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