Economia

  • Il patrimonio olimpico

    Le Olimpiadi, specialmente quando vengono disputate in piccole località turistiche, rappresentano sicuramente un’occasione unica.

    Nel caso delle prossime Olimpiadi 2026 sicuramente anche per il bellunese l’occasione si presentava decisamente interessante ed importante nel senso di un nuovo potenziale economico e specificatamente turistico. Non andrebbe infatti dimenticato che una delle motivazioni giustamente addotte per sostenere la candidatura nel 2018 di Cortina d’Ampezzo come sede delle prossime Olimpiadi 2026 era stata indicata anche nella certezza che questa stupenda manifestazione mondiale si sarebbe potuta rivelare un importante volano nel tentativo di bloccare lo spopolamento delle comunità montane.

    Viceversa, un articolo del 13 febbraio 2024 del Corriere delle Alpi dimostra semplicemente come già ora il primo obiettivo sia stato clamorosamente mancato in quanto viene certificato l’abbandono da parte dei giovani bellunesi dell’intera provincia verso zone ad intensità lavorativa maggiore.

    Nessun effetto si è concretizzato evidente nei cinque anni dall’assegnazione dei giochi all’interno della provincia di Belluno nella quale, invece, si vede confermato il fenomeno dell’esodo giovanile in cerca di lavoro e di condizioni migliori.

    Neppure la tanto contrastata realizzazione della prossima pista di bob nella Conca, per la quale verranno impegnati degli operai norvegesi, ha dato un minimo di respiro all’occupazione bellunese. Il tutto avviene clamorosamente con una implicita approvazione dei sindacati di categoria i quali dovrebbero avere, invece, come primo obiettivo lo sviluppo delle opportunità di lavoro per i residenti. Questo silenzio, infatti, certifica di fatto l’assenso delle maggiori organizzazioni sindacali alle importazioni di manodopera in sostituzione di quella italiana.

    Tornando agli effetti sul territorio, avendo mancato quello occupazionale si potrebbe sperare, allora, nel valore aggiunto offerto come “Patrimonio Olimpico” il quale si compone essenzialmente, oltre l’evento sportivo, della rivalutazione degli asset esistenti e con l’inaugurazione di nuovi impianti per le discipline olimpiche invernali.

    In questo contesto andrebbe considerato l’aspetto fortemente polemico e divisivo che l’allestimento della pista di bob negli ultimi cinque anni ha creato non solo all’interno della comunità ampezzana, ma con degli effetti devastanti in termini di immagine anche a livello internazionale in quanto si sta arrivando ad avere il CIO espressamente contrario alla realizzazione della nuova pista.

    Allora a livello di semplice comunicazione l’obiettivo di una rivalutazione complessiva del paese e delle località (*) che ospiteranno le competizioni olimpiche risulta già ampiamente compromesso. Non solo a causa dei ritardi certificati ed evidenziati persino dagli stessi esponenti della maggioranza in regione, come il leader di Forza Italia, ma soprattutto perché l’evento olimpico si dimostra un elemento divisivo e non più di unità per un intero paese attorno ai contenuti valoriali olimpici. Le Olimpiadi rappresentano un momento meraviglioso di confronto agonistico all’interno però di un contesto che presenta dei valori umani, etici e sportivi molto chiari. A cinque anni dalla loro assegnazione invece il percorso verso la loro realizzazione sta assumendo i contorni di un semplice gioco di finanza e spesa pubblica (**) ma privo di impatti positivi per il territorio sia professionali che lavorativi e soprattutto ancora privi di un barlume di programmi gestionali post olimpici. In ultima analisi, poi, disperdere questo patrimonio rappresenta un delitto nei confronti del territorio bellunese, veneto e nazionale.

    (*) Valutata in modo decisamente ambizioso in oltre 1 miliardo dall’università di Venezia

    (**) Qualcuno disse: “Saranno Giochi ad impatto zero e diffusi con costi notevolmente inferiori rispetto alle precedenti”. Ad ora, a due anni dall’inaugurazione, siamo già arrivati a 3,2 miliardi di cui 2,8 finanziati dallo Stato

  • Ok a Terna: si farà l’elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo

    Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha autorizzato con decreto del 31 gennaio 2024 la realizzazione dell’Adriatic link, l’elettrodotto sottomarino di Terna che unirà le Marche e l’Abruzzo. E’ quanto si legge in una nota. L’opera di sviluppo, inserita tra gli interventi previsti dal Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) e riconosciuta come strategica per il sistema Paese anche dall’Autorità di regolazione, rafforzerà lo scambio di energia nella parte centrale della Penisola rispondendo alle esigenze di sicurezza e flessibilità del sistema elettrico nazionale e agli obiettivi di incremento di energia da fonti rinnovabili.

    Il collegamento elettrico, all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e ambientale, sarà costituito da 2 cavi sottomarini di circa 210 chilometri, posati a una profondità massima di 100 metri, e da 2 cavi terrestri di 40 chilometri. Le stazioni di conversione saranno realizzate nelle vicinanze delle esistenti stazioni elettriche di Cepagatti Pescara, in Abruzzo, e di Fano (Pesaro-Urbino), nelle Marche. Il collegamento consentirà di incrementare di circa mille megawatt la capacità di scambio tra le zone Centro-Sud e Centro-Nord del Paese abilitando l’integrazione e il trasferimento dell’energia prodotta dagli impianti eolici e fotovoltaici del Mezzogiorno verso i centri di consumo del Nord.

    Tramite tale opera strategica – continua la nota – sarà garantito non solo un miglioramento dei requisiti di affidabilità e sicurezza del servizio di trasmissione lungo la dorsale adriatica, ad oggi costituita da un’unica direttrice a 400 chilovolt tra Marche e Abruzzo, ma anche un migliore sfruttamento del parco di generazione nazionale ed una crescente integrazione della generazione rinnovabile.

    Su tale opera, il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: “Con l’autorizzazione ministeriale dell’Adriatic link si pone un altro tassello del percorso intrapreso dallo Stato con Terna per raggiungere gli obiettivi eurounitari di decarbonizzazione del sistema energetico italiano in coerenza con gli obiettivi delineati dal Piano nazionale integrato energia e clima”. “Siamo molto soddisfatti del via libera ottenuto dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica per l’Adriatic link, una delle opere fondamentali del Piano di sviluppo decennale di Terna – ha dichiarato Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato e direttore generale di Terna -. L’infrastruttura, per la quale investiremo circa 1,3 miliardi di euro, aumenterà la sicurezza e la resilienza della rete elettrica di trasmissione nazionale e contribuirà al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, a conferma del ruolo dell’Italia di hub energetico europeo e del Mediterraneo”. L’autorizzazione – si legge nella nota – è il risultato della costante interlocuzione tra il ministero e Terna e del lungo percorso di confronto avviato dall’azienda con il territorio. Dal dicembre 2020, infatti, il dialogo nelle fasi di progettazione e di consultazione pubblica si è concretizzato in oltre 120 incontri svolti con amministrazioni regionali e comunali, associazioni e cittadini.

  • L’inflazione, questa entità negata

    Piano piano stanno emergendo i dati relativi al 2023, non solo afferenti la crescita economica ma soprattutto rispetto all’andamento dell’inflazione la quale, va ricordato, determina comunque un impoverimento, cioè una perdita di valore di tutti gli asset, dal risparmio agli immobili del Paese.

    Il dato generale parla di un aumento dell’inflazione del +5,7% accolto, oltretutto, con entusiasmo dal governo. Il dato veramente allarmante, però, riguarda quello relativo all’andamento dei prezzi alimentari che segna un +9,2% il quale determina sostanzialmente un crollo dei consumi a retribuzioni sostanzialmente costanti. Le vendite al dettaglio a dicembre staccano di un -0,1% in valore e -0,5% in volume su novembre, ed ancora di un +0,3% in valore e -3,2% in volume su base annua. Nel 2023, infine, ad una crescita +2,8% in valore corrisponde un drammatico -3,7% in volume rispetto all’anno precedente.

    Ecco quindi spiegate con pochi dati le conseguenze del fenomeno inflattivo che si manifesta con una maggiore spesa in valore alla quale corrisponde una diminuzione nei volumi.

    La crescita quasi doppia dell’inflazione nel settore alimentare è determinata anche dall’effetto devastante della sospensione degli sconti sulle accise per i carburanti i quali incidono molto di più nei costi dei trasporti di altri beni a maggiore valore aggiunto.

    In questo contesto quindi il carrello tricolore e la diminuzione del cuneo fiscale non hanno determinato, a differenza di quanto affermato dal ministro Urso, nessun effetto se non addirittura hanno peggiorato la situazione.

    La stessa inflazione, da troppi ancora oggi considerata come un fattore competitivo e di sostegno alla crescita delle nostre esportazioni, non ha conseguito gli effetti desiderati, come dimostrano gli ultimi dati relativi all’export dell’ultimo trimestre ed ancora di più quelli recenti del 2024 (https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/pelletteria-la-frenata-del-lusso-allarme-rosso-per-il-distretto-d4cfd74c).

    Questi numeri di economia reale stridono con le affermazioni del governo in carica tanto per la battaglia contro l’inflazione quanto per la presunta crescita economica. Si pensi, infatti, al medesimo effetto nel calcolo del Pil del 2023 il quale segna un segno positivo solo per l’aumento dei prezzi in quanto viene calcolato a prezzi correnti, per di più drogato dall’effetto dei finanziamenti a debito del PNRR.

    In questo contesto di estrema difficoltà dei cittadini e delle imprese, quindi, risulterebbe vitale per la stessa sopravvivenza di un livello di vita decente il totale abbandono di determinati capitoli di spesa quali non garantiscono l’effetto immediato di benessere per i cittadini.

    L’annullamento del faraonico progetto del ponte sullo Stretto di Messina, per esempio, come la rinuncia a determinati fondi destinati alla realizzazione di opere urbanistiche finanziate con il PNRR rappresenterebbero una delle strategie che un buon padre di famiglia adotterebbe in un momento di crisi piuttosto che continuare a ricorrere al debito ormai arrivato alla spaventosa cifra di 2.864 miliardi (quasi mille in più dal novembre 2011 quando segnava 1.987 miliardi il debito pubblico).

    Gli ultimi dodici anni (2012-2024) hanno dimostrato come l’aumento della spesa pubblica e del debito non abbiano determinato nessun effetto positivo. Queste riduzioni di spesa pubblica dovrebbero parallelamente corrispondere a delle riduzioni sulle accise di carburanti e non tanto del cuneo fiscale quanto dell’IVA.

    Tutte le politiche degli ultimi trent’anni hanno determinato congiuntamente un impoverimento del reddito disponibile di oltre il -2,7% per i cittadini italiani a fronte di una crescita in Germania del +34,7 ed in Francia del +27,2.

    Sarebbe un atto di estrema intelligenza dimostrarsi in grado di comprendere come sia arrivato il momento di cambiare strategie economiche, ritornando a considerare come centrale il sostegno alla domanda interna e, contemporaneamente, supportare la competitività delle imprese, non tanto attraverso la compressione dei salari ma con un miglioramento dei servizi offerti dalla macchina burocratica e con una pressione fiscale meno opprimente.

    Questi piccoli numeri definiscono senza ombra di dubbio il fallimento di gran parte della classe politica di economisti ed accademici che si sono succeduti negli ultimi trent’anni anni alla guida del nostro Paese e che ancora oggi stanno facendo pagare ai cittadini normali quella che, per non dire di peggio, è stata la loro incompetenza.

  • Accordo da 105 milioni tra Italia e Senegal

    Nel quadro del vertice Italia-Africa, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, e il ministro dell’Economia, della pianificazione e della cooperazione del Senegal, Doudou Ka, hanno firmato il “Programma di partenariato Senegal-Italia 2024-2026”, che prevede interventi nei settori prioritari dello sviluppo rurale, dell’occupazione, del settore privato e della formazione professionale, dell’istruzione, dell’ambiente e della digitalizzazione. L’impegno finanziario di 105 milioni di euro, si legge in un comunicato dell’ambasciata d’Italia a Dakar, conferma il sostegno italiano agli sforzi del Senegal per uno sviluppo sostenibile e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare. Attraverso un forte partenariato politico, economico, culturale e scientifico, i due Paesi si impegnano a promuovere la pace, la stabilità, lo sradicamento della povertà e l’emancipazione economica e sociale delle fasce più vulnerabili della popolazione. Il nuovo Programma, sostenuto dalla Cooperazione italiana, conferma questa visione condivisa e questo impegno reciproco, aprendo nuove aree di cooperazione e l’utilizzo dei più moderni progressi tecnologici.

    Il Programma ha l’obiettivo di sostenere il governo del Senegal nell’attuazione del suo piano di sviluppo economico e sociale in modo sostenibile e inclusivo, intervenendo nei settori prioritari dello sviluppo rurale, dell’occupazione, del settore privato e della formazione professionale, dell’istruzione e dell’ambiente, oltre che della digitalizzazione. Mira inoltre a combattere le cause profonde della migrazione irregolare, in particolare creando opportunità di istruzione, integrazione socioprofessionale e prospettive economiche, migliorando la governance del fenomeno e garantendo un ritorno, una riammissione e una reintegrazione efficaci e sostenibili dei migranti. In particolare, il Programma intende contribuire a colmare il divario di competenze dei giovani e dei gruppi più vulnerabili e a sostenere opportunità di lavoro che promuovano la stabilità, la crescita economica inclusiva, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile, con un approccio teso a massimizzare il potenziale della migrazione come fattore abilitante per lo sviluppo sostenibile della società senegalese.

    Il Programma ribadisce la centralità di un approccio sistemico che vede la partecipazione, accanto agli attori statali, di rappresentanti della società civile, della cooperazione decentrata e del settore privato italiano e senegalese. Determinante anche il ruolo svolto da altri attori delle realtà territoriali italiane (associazioni di migranti/diaspora, università), che fungeranno da indispensabile anello di congiunzione nelle relazioni con le comunità territoriali senegalesi. Il sostegno finanziario sarà fornito principalmente attraverso programmi bilaterali gestiti dai vari ministeri senegalesi attraverso la concessione di un dono per un valore complessivo di 45 milioni di euro ed un credito d’aiuto di un valore complessivo di 60 milioni di euro. Gli impegni multilaterali italiani sosterranno anche le azioni condotte dalle organizzazioni internazionali che operano nei settori interessati.

  • Brics. Avanza il processo di de-dolarizzazione

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su notiziegeopolitiche.net il 5 febbraio 2024

    Gli Usa non possono più ignorare la de-dollarizzazione che i Brics stanno conducendo da qualche tempo. Le sue conseguenze globali non possono più essere sottovalutate, anche dall’Europa. Ostacolare tale processo vorrebbe dire accentuare lo scontro tra blocchi; osservarlo semplicemente, con distacco e supponenza, significherebbe assistere allo sfaldamento dell’attuale sistema globale. Occorrono delle idee coraggiose di riforma dell’attuale sistema e una nuova visione cooperativa e multilaterale, come il progetto di un paniere globale di monete di cui abbiamo più volte anche noi scritto.
    Il commercio dell’energia, petrolio e gas, è effettuato sempre più con l’utilizzo delle monete locali. Non si tratta solo degli accordi in yuan e rubli tra Cina e Russia di cui si parla da anni. Nel 2023 un quinto di tutto il commercio petrolifero mondiale è stato fatto con monete diverse dal dollaro. In generale l’utilizzo del dollaro nei commerci dei paesi Brics è in forte diminuzione, appena il 28,7% nel 2023.
    In Nigeria, futuro membro dei Brics, gli operatori petroliferi, comprese le raffinerie, hanno deciso di utilizzare la naira, e non il dollaro, anche nelle loro operazioni interne sul petrolio e il gas.
    L’India ha firmato un accordo sul petrolio in rupie con gli Emirati arabi uniti (Eau). E’ il secondo partner commerciale degli Eau. Il totale dei loro scambi raggiungerà presto 100 miliardi di dollari. Gli Eau lavorano con 15 paesi per promuovere scambi in monete locali.
    Nuova Delhi intende pagare in rupie anche il petrolio importato dall’Arabia Saudita e opera intensamente per regolare i suoi commerci internazionali con le monete nazionali. Presentata come una grande democrazia, in contrasto con Cina e Russia, e come amica e alleata dell’Occidente, l’India, però, non è seconda a nessuno nel processo di de-dollarizzazione dei suoi commerci.
    Non c’è solo l’utilizzo delle monete locali. Si stima che il gruppo Brics abbia oggi una quota del 22% delle esportazioni globali di merci e servizi. Tuttavia, la maggior parte degli accordi nel commercio internazionale è effettuata nelle valute del G7 attraverso il sistema interbancario Swift.

    Nel settembre 2023 le quote del dollaro, dell’euro e della sterlina, usate nel sistema Swift, si attestavano rispettivamente al 45,58%, 23,6% e 7,32%. Lo yuan è solo la quinta valuta di pagamento su detto sistema (3,71%), appena dietro lo yen giapponese (4,2%). Nel 2020, tramite Swift sono stati trasmessi messaggi finanziari per un valore di 140 trilioni di dollari per eseguire i pagamenti. Invece, meno dello 0,5% del volume delle transazioni è passato attraverso il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) della Cina.
    Pertanto, la reale indipendenza dei Brics dall’infrastruttura di pagamento internazionale controllata dall’Occidente può essere garantita solo dal proprio sistema di regolamenti multilaterali nelle valute nazionali. Dal 2018 essi lavorano per un progetto, il Brics Pay, che si prefigge anche l’uso di nuove tecnologie come il blockchain e le valute digitali delle banche centrali. Non si tratta di criptovalute. E’ studiato in modo tale da poter utilizzare qualsiasi valuta usata dai membri del gruppo.
    Il Brics Pay ha diversi scopi, principalmente per i pagamenti transfrontalieri nel commercio internazionale tra aziende, banche d’investimento e micro finanza. Esso è stato adottato da diverse istituzioni e aziende nei paesi Brics ed è in costante crescita. La State Bank of India, la russa Sberbank, la Bank of China, la Petrobras e molti altri la utilizzano. Anche l’inglese Standard Chartered Bank ha integrato il Brics Pay nella sua piattaforma di pagamento digitale. Alla base del Brics Pay c’è poi la Nuova Banca per lo Sviluppo, la banca dei Brics, dove sono elaborate tutte le transazioni finanziarie tra le nazioni del gruppo.
    Si ricordi che i Brics rappresentano anche il 15% delle riserve globali di oro. Non poco, anzi una cifra significativa tanto da indurre il gruppo a studiare altri strumenti monetari dove l’oro dovrebbe avere un ruolo importante.
    Non crediamo che il G7 sia pronto ad affrontare riforme radicali come questo tempo richiederebbe.

    * Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista

  • L’agricoltura come asset di difesa strategica

    Le proteste degli agricoltori europei hanno suscitato molte critiche soprattutto da parte dei sostenitori nell’Unione Europea e soprattutto della sua deriva ideologica ambientalista. Questi affermano come le proteste dei coltivatori risultino assolutamente ingiustificate in quanto a fronte del 3% del PIL assicurato dall’agricoltura corrisponda circa il 30% di sostegno finanziario del budget della stessa Unione Europea.

    Un’analisi economica anche corretta ma assolutamente banale in quanto non risulta in grado di comprendere nella sua interezza l’importanza del settore agricolo all’interno di un’ottica di sviluppo e mantenimento della stessa Unione.

    Il sistema agricolo, nella sua articolata complessità, assicura il 4,5% dell’occupazione ma soprattutto acquisisce una valenza strategica all’interno di un periodo internazionale di grandissima difficoltà successivo alla pandemia, alla guerra russo ucraina e ora al conflitto arabo israeliano.

    Mentre tutte le classi politiche europee si vedono impegnate all’interno di una ridicola transizione energetica che pone l’intero sistema economico europeo ed i suoi asset in una posizione di assoluta vulnerabilità, non si è ancora compreso come la produzione e l’approvvigionamento alimentare assicurato al sistema agricolo europeo acquisiscano ora più che mai un valore aggiunto di difesa fondamentale per la sopravvivenza delle Unione Europea.

    L’Europa sembra non comprendere che sostenere ‘ agricoltura del proprio continente, soprattutto all’interno di periodo bellico che si sviluppa su molti fronti, compreso quanto sta avvenendo nel Mar Rosso, rappresenta una tutela strategica fondamentale in previsione di scenari Incerti di politica estera e di conflittualità mondiale.

    Mettere in difficoltà il settore primario all’interno di un’epoca così travagliata come quella attuale rappresenta un suicidio e dimostra una miopia strategica senza precedenti.

    La semplice previsione di scenari internazionali articolati e complessi, che non potranno assicurare nei prossimi decenni la “stabilità” presente fino all’arrivo del covid, dovrebbe risultare sufficiente per convincere le classi politiche dirigenti europee a preservare quanto di buono l’agricoltura e l’industria europea abbiano fino a qui assicurato, indipendentemente dalla imposizione di qualsiasi transizione energetica ed ecologica che attualmente risulta essere solo un favore delle altre macro aree politiche ed economiche.

    La mancanza di sostegno al settore agricolo all’interno di questa situazione si dimostra sostanzialmente come una resa incondizionata, perché non tanto va sostenuta un’idea di sovranismo alimentare quanto il più possibile l’indipendenza alimentare del continente.

    La difesa dell’Unione parte dalla preservazione e conservazione dei propri asset come quello agricolo ed industriale più che dall’invio di armi.

  • La “crescita” economica ed il nesso psicologico

    Gli ultimi dati economici dimostrano ancora una volta la sostanziale stagnazione dell’economia italiana con dieci flessioni consecutive della produzione industriale.

    Nel IV trimestre del 2023 il PIL “cresce” del +0,2% sul trimestre precedente e del +0,5% sul IV trimestre 2022.  Nel 2023 la crescita PIL complessiva si dimostra di un misero +0,7% rispetto al 2022.

    Mentre la Germania si trova in recessione con una crescita negativa del -0,3% del PIL legata alla frenata dell’export, la Spagna fa segnare un interessante +2,5%. La crescita spagnola è dovuta sostanzialmente ad una stabilizzazione e ad un mantenimento dell’export, ma soprattutto ad una crescita della domanda interna.

    Un fattore economico intersecato con un aspetto psicologico che potrebbe trovare una parziale ragione anche nella politica energetica del governo spagnolo.

    Andrebbe ricordato come la stessa famiglia che in Italia dovrebbe spendere per le bollette energetiche oltre mille euro, in Francia pagherebbe 626 euro, in Portogallo 559 e in Spagna addirittura 492 euro.

    La metà della spesa in bollette risparmiata in Spagna, espressione del tetto al prezzo del gas mentre in Italia Draghi attendeva fiducioso il price cap applicato al gas dall’Unione Europea, in un contesto nazionale di sensazione positiva per i cittadini che si sentono tutelati dallo Stato, si può trasformare in una percentuale aggiuntiva di domanda interna in beni e servizi e quindi di sviluppo economico. In altre parole, questa percezione si traduce in un sentiment positivo che favorisce i consumi.

    La mancata crescita italiana del 2023 nasce, invece, anche dalla terribile combinazione tra la scelta di questo governo di togliere le tariffe tutelate e di implementare ancora una volta, come tutti i governi precedenti, la cessione di quote, o “privatizzazioni/liberalizzazioni” come piace ai liberali nostrani, ai fondi privati delle multiutility ed aziende energetiche.

    Anche in questo contesto si inserisce un fattore psicologico individuabile dalla netta percezione provata dagli stessi cittadini italiani di essere diventati semplicemente delle “utenze” da sfruttare a favore delle aziende energetiche alle quali si apre il libero mercato a senso unico, a favore cioè delle aziende le quali applicano tariffe con aumenti anche del 5/600%.

    In questo modo, quindi, si trasforma una percezione nella assoluta certezza di essere stati abbandonati da quello stesso Stato che dovrebbe tutelarli come compito istituzionale. La certezza dell’abbandono statale si trasforma in un sentiment fortemente negativo.

    La flessione della domanda interna italiana, una delle caratteristiche più differenti con la crescita spagnola, rappresenta quindi l’unica “difesa” degli italiani, i cui effetti disastrosi, tuttavia, ricadono sul sistema industriale italiano e, di conseguenza, ancora una volta sui cittadini già in difficoltà.

  • Le auto elettriche cinesi iniziano a impensierire Tesla e Musk

    I cinesi di Byd Auto, sbarcati negli Usa nel 2011 col sostengo di un super investitore come Warren Buffett, stanno iniziando a preoccupare Elon Musk e Tesla, che a suo tempo non videro in loro un serio rivale e che oggi invece hanno iniziato a fare pressioni affinché vengano introdotti dazi e barriere commerciali.

    Il drastico cambio di pensiero è arrivato dopo la pubblicazione dei conti del quarto trimestre del 2023 di Tesla. Musk ha riconosciuto che le aziende automobilistiche cinesi “avranno un successo significativo al di fuori dalla Cina”: “Sono estremamente buone. Se non vengono fissate delle barriere, demoliranno tutte le altre aziende automobilistiche nel mondo.”

    Produttrice di auto non proprio per tutte le tasche, in assenza di dazi e divieti, Tesla potrebbe perdere terreno molto velocemente. Già negli ultimi tempi il colosso di Musk aveva provato a ridurre i prezzi dei modelli attuali, ma a fare la differenza saranno modelli di auto elettriche accessibili a più persone possibili e su questo Tesla è ancora molto indietro. Proprio per questo la casa automobilistica americana ha confermato l’avvio della produzione di una vettura economica, una crossover compatta al momento ribattezzata Redwood, con l’obiettivo di aumentare la competitività dell’azienda. Secondo quanto pronosticato dallo stesso Musk, tuttavia, il nuovo modello di auto elettrica dovrebbe entrare in produzione nell’azienda di Tesla in Texas nella seconda metà del 2025.

  • La Commissione autorizza la joint venture tra Pirelli e PIF

    La Commissione europea ha approvato, a norma del regolamento UE sulle concentrazioni, la costituzione di un’impresa comune (joint venture) da parte dell’impresa italiana Pirelli Tyre S.p.A. (“Pirelli”) e del Fondo pubblico per gli investimenti (PIF) dell’Arabia Saudita. L’operazione riguarda principalmente la produzione e la vendita di pneumatici in Arabia Saudita.

  • L’olimpica miopia

    Non c’è stato giorno nel quale il presidente del Veneto Zaia non abbia tuonato a favore della realizzazione della pista di bob a Cortina d’Ampezzo per le prossime Olimpiadi 2026: un  “investimento” per un’opera che dovrebbe venire realizzata per ottobre 2025.

    In attesa del verdetto del Cio, che avrebbe un’ottica diversa in merito alla realizzazione di una nuova pista, questa pressione politica esercitata dal governatore dovrebbe comportare una spesa pubblica di circa 85 milioni dalla quale ne conseguirà quella per la realizzazione del Villaggio Olimpico con altri 38/39 milioni.

    Nel frattempo la trattativa con Intel, che aveva manifestato la possibilità di realizzare un investimento  in provincia di Verona, è stata assolutamente abbandonata, come confermano le dichiarazioni del management dell’azienda americana.

    La Intel infatti, anche grazie al riconoscimento di circa sei miliardi di agevolazioni fiscali, investirà in Germania oltre trenta miliardi di dollari con una ricaduta occupazionale di tremila dipendenti tra assunzioni ed indiretti.

    Una ottimale strategia, quella dell’azienda di semiconduttori californiana, che risponde ad un valido principio relativo alla riduzione della filiera produttiva per evitare, come emerge ora con la crisi del Mar Rosso, le problematiche gestionali con filiere troppo articolate tra i vari continenti.

    Viceversa, le priorità espresse dalla dirigenza della Regione Veneto dimostrano un sostanziale scollamento dell’intera classe politica veneta e della sua maggioranza, ed in particolare di Luca Zaia, le quali hanno dimostrato di non comprendere l’entità e la ricaduta occupazionale di un simile investimento.

    Se il Presidente della Regione Veneto avesse messo anche solo un decimo dell’impegno per la controversa costruzione della pista di bob a Cortina d’Ampezzo nel favorire la trattativa con Intel ora avremo circa tremila nuovi posti di lavoro.

    La multinazionale americana ha scelto, invece, la Germania e la Polonia grazie certamente ad un pacchetto di agevolazioni fiscali che anche il nostro Paese avrebbe potuto concedere, ma  anche a causa della inconcludenza tanto del governo in carica quanto della Regione Veneto.

    Viceversa, le priorità espresse si sono rivelate nella volontà di ottenere un terzo mandato e, come detto, nella realizzazione della pista di bob supportate dall’ennesima inconcludenza in politica industriale del governo di turno.

    A differenza di quanto viene affermato, la gestione delle Olimpiadi del 2026 si sta già ora rivelando sotto il profilo della comunicazione un autogol clamoroso con tutte le polemiche ed i ritardi ormai conclamati anche se in ultima istanza venisse realizzata la pista di bob.

    Quello che risulta assolutamente ingiustificabile è che per questo risultato di basso profilo si sia perso un obiettivo come quello della realizzazione dell’investimento di Intel che avrebbe portato benessere diffuso per migliaia di persone nel Veneto.

    La miopia olimpica entra ormai nelle patologie oculistiche e politiche riconosciute.

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