Etichetta

  • Le norme europee sui prodotti con latte si applicheranno dal 2020

    Scaduta il 31 marzo scorso la disciplina sperimentale dell’etichettatura dei prodotti preimballati contenenti latte, l’Italia continuerà ad applicare le norme ‘sperimentali’ sull’origine del latte e prodotti derivati fino al prossimo 1 aprile, secondo quando dispone una proroga contenuta in un decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali emanato il 18 marzo scorso (modifica del decreto 9 dicembre 2016, concernente l’indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori).

    Con il silenzio-assenso della Commissione Europea, l’etichettatura riporta l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, con le diciture «paese di mungitura» (il nome del Paese nel quale è stato munto il latte) e «Paese di condizionamento o di trasformazione» (nome del Paese nel quale il latte e’ stato condizionato o trasformato).

    Dall’1 aprile del 2020 sarà applicabile all’Italia il regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 sulle informazioni da fornire ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento.

  • Secondo uno studio della Commissione europea alcuni prodotti alimentari prodotti nell’UE hanno marchi simili ma composizioni diverse

    La Commissione ha pubblicato i risultati di una campagna di prova paneuropea sui prodotti alimentari da cui emerge che alcuni prodotti, pur avendo una diversa composizione, recano un marchio identico o simile. Lo studio parte dall’impegno del Presidente Junker, sin dal suo discorso sullo stato dell’Unione nel 2017, ad affrontare il problema delle differenze di qualità dei prodotti. La Commissione europea ha promosso così diverse iniziative e ha pubblicato il 24 giugno uno studio basato sull’analisi di prodotti alimentari secondo una stessa metodologia in tutta l’UE, per meglio comprendere il fenomeno delle differenze di qualità dei prodotti. Dall’analisi condotta dal Centro comune di ricerca (JRC, il servizio interno della Commissione europea per la scienza e la conoscenza) su 1.400 prodotti alimentari in 19 paesi dell’UE è risultato che il 9% dei prodotti messi a confronto differiva per composizione sebbene la parte anteriore della confezione fosse identica. Per un altro 22% dei prodotti, per i quali sono state rilevate differenze di composizione, la parte anteriore della confezione era simile. Lo studio non ha messo in evidenza un modello geografico coerente. In base alla nuova metodologia messa a punto, le autorità nazionali competenti saranno ora in grado di effettuare caso per caso l’analisi necessaria a individuare le pratiche ingannevoli vietate dal diritto dei consumatori dell’UE.
    Lo studio ha analizzato 1.380 esemplari di 128 diversi prodotti alimentari di 19 Stati membri. Tuttavia si tratta di un campione non rappresentativo della grande varietà di prodotti alimentari disponibili sul mercato dell’UE. Dallo studio è emerso che nella maggioranza dei casi la composizione dei prodotti coincideva con il modo in cui erano presentati: per il 23% dei prodotti quanto indicato sulla parte anteriore della confezione e la composizione coincidevano, mentre per il 27% dei prodotti a una diversa composizione corrispondeva una diversa parte anteriore della confezione; il 9% dei prodotti presentati come identici nei diversi paesi dell’UE aveva una composizione diversa: tali prodotti presentavano una parte anteriore della confezione identica ma una composizione differente. Un altro 22% dei prodotti presentati in modo simile aveva una composizione differente: tali prodotti presentavano una parte anteriore della confezione simile ma una composizione differente; non è stato rilevato alcun modello geografico coerente per quanto riguarda l’uso di imballaggi identici o simili per prodotti con una composizione differente. Inoltre le differenze di composizione rilevate nei prodotti analizzati non implicano necessariamente una differenza di qualità.

  • Made in Italy sotto attacco

    No a bollini allarmistici o a tasse per dissuadere il consumo di alimenti come olio extravergine, Parmigiano Reggiano o prosciutto di Parma che, dal Sudamerica all’Europa, rischiano di essere ingiustamente diffamati da sistemi di etichettatura ingannevoli e politiche fiscali che sostengono modelli alimentari sbagliati. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento al progetto di risoluzione che “esorta gli Stati Membri a adottare politiche fiscali e regolatorie” che dissuadano dal consumo di cibi insalubri che è stato presentato a Ginevra dai sette Paesi della “Foreign Policy and Global Health (Fpgh)” che verrà discusso dall’Assemblea Generale Onu a New York entro l’anno. Una iniziativa promossa da Brasile, Francia, Indonesia, Norvegia, Senegal, Sudafrica e Thailandia che contraddice il documento approvato il 27 settembre scorso al Terzo Forum di alto livello delle Nazioni Uniti sulle malattie non trasmissibili in cui – sottolinea la Coldiretti – grazie al pressing esercitato dall’Italia non sono stati menzionati strumenti dissuasivi su prodotti alimentari e bevande. Il nuovo attacco punta a colpire gli alimenti che contengono zuccheri, grassi e sale chiedendo di predisporre apposite etichette nutrizionali e di riformulare le ricette, sulla base di un modello di alimentazione artificiale ispirato dalle multinazionali che mette di fatto in pericolo – denuncia la Coldiretti – il futuro prodotti Made in Italy dalle tradizioni plurisecolari trasmesse da generazioni di agricoltori che si sono impegnati per mantenere le caratteristiche inalterate nel tempo.
    Un patrimonio che è alla base della dieta mediterranea che ha consentito all’Italia di conquistare con ben il 7% della popolazione, il primato della percentuale più alta di ultraottantenni in Europa davanti a Grecia e Spagna ma anche una speranza di vita che è tra le più alte a livello mondiale ed è pari a 80,6 per gli uomini e a 85 per le donne. Un ruolo importante per la salute che – continua la Coldiretti – è stato riconosciuto anche con l’iscrizione della dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco il 16 novembre 2010.
    Un corretto regime alimentare – sostiene la Coldiretti – si fonda infatti sull’equilibrio nutrizionale tra i diversi cibi consumati e non va ricercato sullo specifico prodotto. Non esistono cibi sani o insalubri, ma solo diete più o meno sane.
    Il rischio – precisa la Coldiretti – è che vengano promossi in tutto il mondo sistemi di informazione visiva come quello adottato in Cile dove le si è già iniziato a marchiare con il bollino nero, sconsigliandone di fatto l’acquisto, prodotti come il Parmigiano, il Gorgonzola, il prosciutto e, addirittura, gli gnocchi e le esportazioni del made in Italy agroalimentare sono crollate del 12% nei primi sette mesi del 2018 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. O come il caso dell’etichetta a semaforo adottata in Gran Bretagna che finiscono per escludere nella dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta. Vengono infatti promossi con il semaforo verde cibi spazzatura con edulcoranti al posto dello zucchero e bocciati elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva considerato il simbolo della dieta mediterranea, ma anche i principali formaggi e salumi italiani. Ad essere discriminati con quasi l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop) che la l’Unione Europea e le stesse istituzioni internazionali dovrebbero invece tutelare. L’etichetta a semaforo inglese invece indica con i bollini rosso, giallo o verde il contenuto di nutrienti critici per la salute come grassi, sali e zuccheri, ma non basandosi sulle quantità effettivamente consumate, bensì solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, porta a conclusioni fuorvianti come il ‘Nutri-score’ francese che a differenza classifica gli alimenti con cinque colori secondo il loro contenuto di ingredienti considerati “cattivi” (grassi, zuccheri) ‘ma anche buoni” (fibre, frutta, verdura).
    Il bisogno di informazioni del consumatore sui contenuti nutrizionali – sostiene la Coldiretti – deve essere soddisfatto nella maniera più completa e dettagliata, ma anche con chiarezza, a partire dalla necessità di usare segnali univoci e inequivocabili per certificare le informazioni più rilevanti per i cittadini mentre sistemi troppo semplificati cercano di condizionare in modo ingannevole la scelta del consumatore. Bisogna dunque evitare il rischio di alimentare una pericolosa deriva internazionale che può portare alla tassazione di prodotti particolarmente ricchi in sale, zucchero e grassi ma anche all’apposizioni di allarmi, avvertenze o addirittura immagini shock sulle confezioni per scoraggiarne i consumi. Un pericolo rilevante per il Made in Italy agroalimentare che nel 2018 – conclude la Coldiretti – ha messo a segno un nuovo record delle esportazioni con un +3% nei primi sei mesi dopo il valore di 41,03 miliardi del 2017.

    Fonte: Panorámica – Análisis e Investigación sobre América Latina y la Unión Europea

  • Italia primatista europea per controlli sugli alimentari

    Con oltre 1400 segnalazioni, nel 2017 l’Italia è stato il Paese europeo più attivo nel sistema di allerta rapido europeo per alimenti e mangimi che garantisce la sicurezza alimentare. Il primato nell’utilizzo dello strumento per lo scambio di informazioni tra autorità nazionali Ue sulle misure adottate in risposta a questi rischi nasce dal maggior numero di prime notifiche e di risposte a segnalazioni degli altri stati membri. Questo segnala il livello di guardia molto alto che le autorità italiane mantengono sulla sicurezza alimentare. Il maggior numero di notifiche riguardano prodotti di origine spagnola, soprattutto per la presenza di mercurio nel pesce, e nazionali. Come in altri Paesi europei, l’anno passato si è distinto per un aumento delle segnalazioni sul fipronil, la sostanza al centro del caso delle uova contaminate che ha interessato soprattutto Belgio e Olanda nell’estate 2017. Altre segnalazioni dell’Italia riguardano pollame con salmonella o la presenza di aflatossine in noci, prodotti a base di noci e semi.

  • Libero scambio: quale modello?

    La libera circolazione delle merci non gravata di alcun tipo di tassazione aggiuntiva rappresenta lo scenario ideale ed ovviamente teorico al quale i vari accordi commerciali tra le diverse realtà economiche e  politiche timidamente tendono ad avvicinarsi. Nel mondo reale infatti la concorrenza non comincia tra prodotti (piuttosto tra filiere produttive), e quindi tra sistemi normativi relativi alla fiscalità, alla tutela del lavoro e della produzione e, ultimamente, anche alla sostenibilità. Questi sistemi si confrontano poi attraverso i prodotti (e le filiere), e quindi  la sola ricerca di un aumento della produttività non può certamente compensare i dumping sociali, fiscali ed economici tra Paesi evoluti ed in via di sviluppo. Una delle ricette più banali proposte da oltre quindici anni dal mondo accademico italiano per combattere l’invasione di prodotti a basso costo provenienti dai Paesi del Far East.

    In questo contesto così articolato di un mercato globale che pone in concorrenza beni di consumo ed intermedi, espressione di culture e normative assolutamente diverse tanto diventare esse stesse fattori competitivi, recentemente si è innescata una nuova situazione politica ed economica con  l’esito del referendum in Gran Bretagna relativo all’uscita dall’Unione stessa. La gestione della Brexit infatti rappresenta una nuova opportunità in relazione alle politiche commerciali di libero scambio che vede contrapposte l’Unione Europea alla Gran Bretagna. Il punto d’arrivo dichiarato all’Unione stessa può venire indicato in due obiettivi: il  primo relativo ad un accordo di libero scambio, quindi con zero quote, zero tariffe, ed un secondo, forse ancora più qualificante, relativo al riconoscimento delle oltre tremila specificità o, meglio, tremila indicazioni geografiche per le quali l’Europea chiede la protezione all’interno del mercato britannico.

    In questo ambito la posizione dell’Italia è assolutamente preminente in quanto quasi un terzo (935) di queste protezioni richieste rappresenta appunto l’indicazione di prodotti italiani che vanno dal prosecco al parmigiano reggiano. Questo punto rappresenta una scelta molto qualificante, e potremmo aggiungere assolutamente tardiva, da parte della Unione Europea. In questo senso, infatti, vanno ricordate le critiche che vennero altrettanto giustamente mosse all’accordo relativo e flussi commerciali tra Unione Europea e Canada (il Ceta) all’interno del quale la tutela delle specificità geografiche italiane si fermò al misero numero di quarantatre. In altre parole nel Ceta hanno trovato una propria tutela  poco più del 4% di quei prodotti espressioni della specificità geografica e culturale italiana che invece rappresentano l’obiettivo attuale nella trattativa con la Gran Bretagna. Nella scelta della trattativa tra Gran Bretagna ed Unione Europea la tutela del prodotto inteso come il risultato finale di una filiera produttiva, e quindi espressione contemporanea della cultura di un determinato Paese, pare abbia trovato finalmente una propria espressione e tutela.

    Tornando quindi agli obiettivi raggiungibili in riferimento al Ceta, tutte le critiche risultarono assolutamente corrette e nulla avevano a che fare, come qualcuno disse, in base ad una contrarietà culturale con gli accordi relativi ai flussi commerciali ed al libero mercato. Quest’ultimo rappresenta certamente un traguardo che indica una direzione più che un punto da raggiungere.

    Tale direzione può essere indicata ancora meglio non attraverso l’omogeneizzare delle diverse espressioni culturali che i prodotti esprimono ma fornendo una tutela aggiuntiva a quella nazionale per offrire successivamente la possibilità al consumatore di scegliere liberamente attraverso il proprio acquisto.

    In fondo la semplice condizione  per rendere un libero mercato viene rappresentata dalla conoscenza e quindi dalla certificazione della filiera produttiva.

  • Il simbolismo oscurantista

    Il XX secolo di fatto ha portato le società occidentali alla secolarizzazione intesa come forma della supremazia del pensiero umano in relazione alle  religioni ma anche alle ideologie rispetto alle vecchie culture ormai obsolete. Il distacco tra stato civile e religione viene salutato come un passaggio fondamentale nello sviluppo delle società occidentali verso la modernità e con essa verso un benessere economico conseguente che rappresenta la principale forma di libertà del singolo cittadino.

    Il XXI secolo invece vede incredibilmente il ritorno di un “simbolismo oscurantista” come nessuno avrebbe  mai potuto prevedere successivamente alla secolarizzazione della società civile del secolo precedente. L’Italia, la sua cultura ed il suo “way of  life” rappresentano un punto di riferimento “dell’arte del buon vivere” unito alle eccellenze del tessile-abbigliamento-calzaturiero e dell’arredamento (insieme all’automazione rappresentano infatti le eccellenze delle 4A). La bontà del sistema agroalimentare italiano viene ampiamente confermata anche attraverso l’età media degli italiani, ben al di sopra della media mondiale, come dimostra del resto la continua ricerca dell’INPS di un equilibrio a fronte di un aumento dell’età media appunto.

    Viceversa, l’ONU e l’organizzazione Mondiale della Sanità (in questo supportati anche da gruppi di acquisto della grande distribuzione europei), esattamente come fece l’Inghilterra l’anno scorso, intendono ‘bollinare’ tutte le magnifiche espressioni del buon vivere e del sistema agroalimentare italiano attraverso l’applicazione di un semaforo dalle tre luci di diverso colore. Il simbolo del semaforo diventa la manifestazione più oscurantista e anticulturale, perfettamente in linea con quanto deciso in Europa attraverso l’applicazione di fotografie scandalosamente trucide di persone ammalate sui pacchetti di sigarette. Invece di trovare una normativa che offra la possibilità ai consumatori di comprendere gli ingredienti e le quantità all’interno di un determinato alimento, sia esso il Parmigiano Reggiano o un junk food, si preferisce bypassare la volontà e la possibilità di scelta dei consumatori attraverso l’applicazione di un simbolo.

    Quindi, in una società civile che va verso l’abolizione dell’intermediazione commerciale ed anche culturale grazie alle nuove tecnologie, si interpone una nuova figura terza che dovrebbe, attraverso la propria attività e giudizio (e quindi arbitrio), esprimere il proprio parere relativo all’alimento attraverso l’apposizione di un colore del singolo semaforo. Questo rappresenta un fatto antistorico nell’evoluzione della società iperconnessa e tecnologica odierna.

    L’ONU dovrebbe preoccuparsi di prevenire le guerre, attività nella quale ha fallito clamorosamente mentre l’organizzazione Mondiale della Sanità, invece di riconoscere le peculiarità dell’alimentazione e dei prodotti italiani, diventa il braccio armato che ha la funzione, ancora una volta come già in altri settori, di annullare tutte le specificità del sistema agroalimentare del quale l’Italia ne rappresenta l’eccellenza mondiale assoluta.

    Paradossale poi, andando a verificare gli effetti di queste strategie basate semplicemente sulla scelta di un simbolo, come quella europea già citata, “ideata” con l’obiettivo di arginare il consumo di sigarette, che in Italia, per esempio, tale consumo risulta aumentato del 1,2%, arrivando al 11,4% ed è soprattutto in forte crescita presso gli adolescenti, dimostrando così l’assoluta inefficacia della strategia europea.

    La campagna europea contro il fumo dimostra ancora una volta come queste patetiche strategie di comunicazione vengano ideate e realizzate da professionalità assolutamente distaccate dalla  società contemporanea ed espressione di una presunzione senza limiti. Paradossale poi che i risultati non vengano mai verificati e passino direttamente nell’oblio.

    Tornando al ridicolo sistema di bollinatura “a semaforo”, già adottato in Inghilterra e in altri paesi dell’America Latina, si dimostra, ancora una volta, come le autorità politiche nazionali, internazionali e mondiali rappresentino la conferma di declino culturale rispetto all’evoluzione delle società delle quali loro non risultano sicuramente più espressione.

    Questa strategia in più si dimostra, ironicamente, anche in assoluto ritardo, oltre ad essere antifunzionale, in quanto chiunque abbia la patente verifica quotidianamente come per la maggior parte delle reti viarie, specialmente urbane, vengano eliminati sempre più i semafori che rappresentano un’imposizione che regola in modo asettico e rigido i tempi di passaggio e di attesa a favore delle rotonde che risultano autoregolamentate una volta comprese, da parte degli automobilisti, le regole fondamentali.

    Questo dimostra ancora una volta come la conoscenza completa del prodotto, dalla dichiarazione sulla confezione della filiera produttiva e del contenuto interno dell’eccellenza italiana, rappresenti l’unica soluzione per rendere  responsabile il cittadino del proprio acquisto e consumo.

    Mai come ora queste nuove strategie si dimostrano espressione di un nuovo “simbolismo  oscurantista” che meriterebbe una nuova secolarizzazione per riportare al centro dello sviluppo consapevole la conoscenza come nuova ed unica vera forma di secolarizzazione della società e dei mercati moderni e globali. Una conoscenza espressione di una cultura che rappresenterebbe anche un approccio “iconoclasta” nei confronti dei nuovi simboli di questo oscurantismo. Solo la conoscenza libera ed obiettiva può portare ad  un progressivo processo e così rendere consapevole e libero il consumatore nella propria scelta.

  • Anche il made in Italy in etichetta può essere ingannevole

    Alcune importanti aziende italiane sono finite nel mirino dell’Antitrust per avere commercializzato prodotti alimentari vantando impropriamente il Made in Italy. L’infrazione sta nel fatto che l’etichetta era ingannevole in quanto il rimando all’italianità del prodotto alimentare era in realtà riferito al luogo di trasformazione del cibo, Italia appunto, ma non alla sua provenienza. Mancava cioè l’origine del prodotto, e capita così che spesso fagioli, pomodori o riso, in confezioni in cui appare un piccolo tricolore, inducano il consumatore, che negli ultimi anni si è fatto più attento in materia di lettura dell’etichetta, a credere che quanto sta per acquistare, e consumare, sia italiano al 100%. Di tali inganni, e perciò infrazioni, parla la relazione annuale del Garante della Concorrenza, presentata al Senato, e ciò ha consentito all’Antitrust di fare il punto sugli interventi adottati nel 2017 (anno di riferimento della relazione) e in generale sulla giurisprudenza nel settore agroalimentare a tutela del consumatore. Secondo la normativa vigente dell’UE, come ha sottolineato il Garante, Pitruzzella, “il paese d’origine o il luogo di provenienza non figurano tra le indicazioni obbligatorie in etichetta” e quindi, ai fini del Codice del consumo  “la valutazione dell’idoneità di un’etichetta a indurre in errore l’acquirente va operata in relazione all’aspettativa di un consumatore medio, informato ed attento circa l’origine e la provenienza del prodotto alimentare”. Scopo dell’intervento dell’Antitrust, quindi, è quello “di orientare gli operatori al rispetto di elevati standard di chiarezza e trasparenza sotto il profilo delle informazioni da veicolare al consumatore tramite l’etichetta dei prodotti alimentari, anche al di là della conformità della stessa alle specifiche prescrizioni poste dalla normativa di settore”. La corretta informazione nel settore agroalimentare è fondamentale e per questo è necessario che così come sia adeguatamente indicata la provenienza geografica allo stesso modo loghi o immagini che rimandano ad un made in Italy ingannevole, cioè solo per la trasformazione dei prodotti, non siano di proporzioni così vistose. La conseguenza è un pessimo servizio che si offre al consumatore.

  • La Commissione europea pubblica una metodologia comune di prova sulle differenze di qualità nei prodotti alimentari

    Il Centro comune di ricerca (JRC), il servizio della Commissione europea per la scienza e la conoscenza, ha elaborato una metodologia comune per consentire alle autorità nazionali di tutela dei consumatori di effettuare prove che confrontino la composizione e le caratteristiche dei prodotti alimentari commercializzati in confezioni simili nell’Unione. Quest’iniziativa completa le azioni già intraprese dalla Commissione in seguito al discorso sullo stato dell’Unione del Presidente Juncker.

    Il Centro comune di ricerca ha presentato la metodologia nella riunione del Forum ad alto livello per un miglior funzionamento della filiera alimentare.

    Nel giugno 2017 il Forum ad alto livello per un miglior funzionamento della filiera alimentare, scelto dalla Commissione per affrontare la questione delle differenze di qualità nei prodotti alimentari, ha incaricato il Centro comune di ricerca di sviluppare la metodologia. La metodologia completa le azioni annunciate nell’iniziativa della Commissione chiamata “new deal” per i consumatori che mira a chiarire e rafforzare i diritti dei consumatori, anche vietando le pratiche di differenziazione qualitativa dei prodotti che sono ingannevoli per i consumatori; permettere a enti qualificati di avviare azioni rappresentative per conto dei consumatori; dotare di maggiori poteri sanzionatori le autorità degli Stati membri che tutelano i consumatori.

    Tutti i prodotti alimentari venduti nell’UE devono rispettare severe norme di sicurezza e i consumatori devono essere informati delle caratteristiche principali, stabilite in particolare nel diritto dell’UE in materia di etichettatura, e non dovrebbero essere indotti in errore, ad esempio, dalle confezioni. Alle autorità nazionali responsabili della sicurezza alimentare e della tutela dei consumatori spetta il compito di garantire che gli alimenti immessi sul mercato unico rispettino la pertinente legislazione dell’UE. La metodologia di prova,  che si basa sui principi fondamentali della trasparenza, comparabilità, selezione di campioni analoghi e prova dei prodotti, aiuterà le autorità ad accertare che i prodotti alimentari siano commercializzati in conformità al diritto dell’Unione.

    Con il coordinamento del Centro comune di ricerca, i laboratori di alcuni Stati membri dell’UE applicheranno ora la metodologia in una campagna di prova paneuropea, al fine di raccogliere dati sulla portata del problema delle differenze di qualità. I primi risultati dovrebbero essere disponibili entro la fine del 2018. Questo esercizio dovrebbe fornire orientamenti pratici alle autorità che indagano sulle pratiche ingannevoli.

    Soddisfazione è stata espressa dai Commissari europei Bieńkowska, responsabile per il Mercato interno, l’industria, l’imprenditoria e le PMI, Věra Jourová, responsabile per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere e Tibor Navracsics, Commissario per l’Istruzione, la cultura, i giovani e lo sport e responsabile per il Centro comune di ricerca, secondo i quali con la nuova iniziativa tutti i cittadini dell’Unione godranno degli stessi diritti e di un trattamento equo all’interno del mercato unico, per sentirsi tutelati e trattati allo stesso modo e ricevere informazioni chiare e oneste sui prodotti che acquistano.

    Fonte: Comunicato della Commissione europea del 14/06/2018

  • Maggior chiarezza sull’origine degli ingredienti dei prodotti alimentari

    I Paesi membri dell’Ue, inclusa l’Italia, hanno approvato a larga maggioranza, con le sole astensioni di Germania e Lussemburgo, il regolamento esecutivo sull’indicazione in etichetta dell’origine dell’ingrediente principale degli alimenti, come il grano per la pasta o il latte. Le norme specificano le modalità con cui i produttori saranno obbligati a fornire informazioni sull’origine in etichetta quando il luogo di provenienza dell’alimento è indicato o anche semplicemente evocato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario. Il regolamento lascia molta flessibilità sulla portata geografica del riferimento all’origine (da ‘Ue / non Ue’, fino all’indicazione del paese o della regione), non si applica ai prodotti Dop, Igp e Stg, né quelli a marchio registrato. Il regolamento entrerà in vigore dopo tre giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ue e si applicherà dall’aprile 2020. Resta da valutare l’impatto che l’approvazione avrà sui decreti sull’origine degli alimenti già in vigore in alcuni paesi Ue, come Francia e Italia.

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