Famiglia

  • La famiglia dimenticata

    I dati allarmanti relativi alla decrescita demografica dell’Italia, se da una parte confermano la totale inadempienza di tutti i governi che da trent’anni si sono susseguiti alla guida del Paese nella elaborazione di politiche di sostegno alle famiglie, dall’altra certificano la totale incompetenza dei vertici dirigenziali sulle grottesche analisi proposte anche nel passato relative allo stesso fenomeno. La decrescita demografica può venire interpretata come una sostanziale mancanza di fiducia nel futuro tanto rispetto allo sviluppo economico quanto a quello sociale espressa dalle famiglie e delle singole persone.

    In passato, invece, era stata definita quasi come la degenerazione di un infantile individualismo legato e causato anche da un senso di benessere diffuso. In questo contesto venne coniato ed attribuito in modo molto semplicistico ad una generazione il termine di “bamboccioni”, incapaci cioè di dimostrare di possedere una visione di vita che andasse oltre l’immediatezza nella ricerca del piacere.

    Un’espressione semplicistica che trasudava arroganza e che al tempo stesso si presentava come un cristallino esempio di una presunzione intellettuale poi ovviamente smentita, allora come oggi, da una valutazione più analitica dei dati demografici.

    Dall’analisi dell’ultima indagine demografica risulta infatti che il Trentino Alto Adige, ancora una volta, si dimostra come l’unica zona geografica italiana che possa esprimere un quoziente demografico positivo (*). In queste due province autonome, esattamente come in passato, le giovani famiglie, proprio in ragione della sicurezza di poter contare nel territorio di servizi adeguati alle proprie esigenze, invece di scegliere una vita da “bamboccioni” decidono di aumentare il numero dei componenti familiari. Ovviamente questo è possibile anche in virtù del particolare regime fiscale di cui godono le due province autonome, le quali sono finanziariamente in grado di assicurare questi servizi ai nuclei familiari grazie alle maggiori risorse garantite dal loro status di autonomia.

    Viceversa, nel resto del paese, partendo dalla semplice considerazione di un numero dei posti negli asili nido da sempre inferiore alla richiesta delle giovani famiglie, viene certificata la motivazione di questo continuo calo demografico come espressione di una mancanza di fiducia soprattutto nei confronti dei servizi assicurati dallo Stato il quale, paradossalmente, continua a diminuirne in qualità e capacità a fronte di un continuo aumento della spesa pubblica.

    (*) Il quoziente demografico è un indicatore statistico che permette di misurare diversi aspetti di una popolazione, come il tasso di natalità, il tasso di mortalità, il saldo migratorio, il tasso di crescita totale.

  • Aumentano gli adolescenti disadattati

    L’indice di salute mentale tra gli adolescenti nel 2023 è sceso a 71, rispetto al 72,6 registrato l’anno precedente. I giovani restano la fascia d’età con l’indice più alto, ma in confronto alla media della popolazione è nitido il contrasto tra prima e dopo la pandemia. Un gap che peraltro non sembra essere ancora del tutto recuperato. Spiccato è il divario di genere: tra le adolescenti l’indice di salute mentale è stato pari a 67,4 nel 2023, circa 7 punti in meno dei coetanei maschi (74,3). Sebbene uno svantaggio femminile sia comune a tutte le fasce d’età, lo scarto registrato tra i 14 e i 19 anni è particolarmente ampio.

    “La differenza di genere a svantaggio delle donne si osserva a tutte le età, ma è particolarmente accentuata tra i più giovani e tra i più anziani. Nel 2023, in questi gruppi il divario di genere raggiunge i 7 punti: il punteggio è pari a 74,3 per i ragazzi di 14-19 anni (67,4 tra le coetanee)” segnala l’Istat nel Rapporto Bes 2023 dello scorso aprile 2024.

    Quello sulla salute mentale non è l’unico indicatore che segnala una difficoltà nella condizione di bambini e ragazzi. Dai dati sull’isolamento sociale a quelli sulle dipendenze, fino ai disturbi del comportamento alimentare, i segnali in questa direzione sono numerosi. Tuttavia, se è abbastanza chiaro il quadro complessivo, non è altrettanto semplice ricostruire il fenomeno con una disaggregazione territoriale fine, premessa obbligata per qualsiasi tipo di intervento.

    Un primo elemento che questi dati consentono di analizzare è il contesto familiare. In presenza di un disagio psicologico o di un disturbo, poter contare sul sostegno dei genitori e in generale della famiglia è fondamentale. Tanto è vero che lo studio effettuato durante la pandemia dal garante dell’infanzia e dall’Iss ha fatto emergere questo aspetto come fattore protettivo per la salute mentale dei minori nell’emergenza Covid-19. I dati mostrano che al crescere dell’età, diminuisce la facilità con cui ragazze e ragazzi riescono ad aprirsi con i genitori, con una maggiore facilità nel parlare con la madre. La questione riguarda soprattutto le ragazze. Poco più della metà delle quindicenni dichiara di ricevere un elevato supporto familiare (51,8%), a fronte del 60,7% registrato tra i coetanei maschi. Una quota che varia anche rispetto al territorio di appartenenza. Solo il 42% delle ragazze di Veneto ed Emilia-Romagna dichiara un elevato supporto familiare. Oltre due terzi degli studenti maschi della provincia autonoma di Bolzano (71,7%), della Valle d’Aosta (66,5%) e della Puglia (66,2%) dichiarano un elevato supporto della famiglia. Tra le giovani la quota è sistematicamente più bassa, anche se supera il 60% in 3 territori. Oltre all’area di Bolzano, due regioni del mezzogiorno come Sicilia e Campania. Quest’ultima è anche la regione con il minor divario di genere: la quota di giovani che si sentono supportati dalla famiglia è analoga tra maschi e femmine e sfiora il 61%. Al contrario, meno del 45% delle ragazze di Friuli Venezia Giulia, Marche, Emilia Romagna e Veneto dichiara un elevato supporto familiare.

    Insieme alla famiglia, la scuola è l’altra istituzione con un ruolo centrale. È qui infatti che bambini e ragazzi trascorrono buona parte del proprio tempo, vivendo esperienze che possono influenzarne il benessere e lo sviluppo. Anche in questo caso, l’apprezzamento verso la scuola è inversamente correlato all’età. I rispondenti 11enni a cui “piace molto la scuola” sono il 21% tra le ragazze e il 15% tra i maschi. La quota si dimezza a 13 anni (7% maschi, 10,7% femmine), per poi calare ulteriormente tra i 15enni (5,6% maschi, 7% femmine). In questa fascia d’età, il 61,8% si sente accettato dagli insegnanti, ma solo poco più di uno su 3 (35,4%) percepisce un interesse da parte dei docenti. Due su 3 (66,6%) si sentono accettati per come sono dai compagni di classe. Fortemente correlata con i rapporti con insegnanti e compagni è la percezione di stress rispetto all’esperienza scolastica. La difficoltà di gestire lo stress è uno dei fattori più spesso chiamati in causa per l’impatto sulla dimensione psicologica e sociale. Circa il 60% degli studenti intervistati dichiara di sentirsi molto o abbastanza stressato dalla scuola, una quota cresciuta rispetto alla precedente rilevazione del 2017/18. La percentuale varia rispetto ai territori, all’età e al genere degli studenti. Non raggiunge il 50% in provincia di Bolzano (40,6%) e in Calabria (49%), mentre supera il 62% in Veneto e Valle d’Aosta. Il picco massimo tra le ragazze 15enni: quasi l’80% dichiara di sentirsi abbastanza o molto stressata dall’impegno scolastico (60,2% tra i coetanei maschi).

    Due terzi delle adolescenti dichiara di aver utilizzato spesso i social media per scappare da sentimenti negativi. L’uso problematico dei social è più frequente tra chi viene da una famiglia a basso status socio-economico: tra questi ragazzi raggiunge il 15%, contro il 12,7% di quelli con status medio-altro. Le variazioni sono ampie anche rispetto al territorio di appartenenza: nelle regioni del mezzogiorno si registra un uso più problematico dei social tra i minori. La Campania è la regione italiana dove si registra la maggiore frequenza di un uso problematico dei social media tra gli adolescenti (16%). Seguono, con quote poco inferiori al 15%, Calabria e Puglia.

  • In Italia è emergenza denatalità ma gli italiani vogliono fare figli

    Politiche sociali concertate che tengano conto non solo di una spinta alla genitorialità ma anche una serie di misure concrete che arginino la denatalità per evitare di permanere nell’inverno demografico. E’ quanto è emerso a Firenze, in occasione del XXXVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps).

    Gli italiani vogliono ancora i figli, come rivela l’Istat che ha intervistato non solo adulti in età feconda, ma anche ragazzi più giovani, di 11-19 anni, che nei loro piani hanno anche quello di fare famiglia.

    “L’Italia è un Paese vecchio, è un Paese per i vecchi, dove le nascite continuano a calare”, afferma la dottoressa Chiara Ferrari (Ipsos). “Questo ha un risvolto su tanti aspetti del vivere quotidiano, ma soprattutto sulla società. Andiamo – sottolinea – verso un sistema non più sostenibile, dove ci saranno tre persone anziane per un adulto, quindi un sistema pensionistico che non si sostiene, un sistema scolastico che non si sostiene”.

  • Vivere la vita affrontando ogni giorno quello che ci porta

    Da tempo, purtroppo, sappiamo che vi sono persone, specie giovani, che “affrontano” i loro problemi procurandosi tagli e lesioni volontarie, il fenomeno, negli ultimi anni, è peggiorato colpendo ragazzi sempre più giovani.

    Secondo alcuni dati, di recente pubblicazione, l’autolesionismo è aumentato del 70% interessando ragazzi che hanno una media di età dai 13 ai 14 anni.

    La crescita, non solo per il covid, del disagio dei più giovani, la depressione, l’incapacità di accettarsi e di sentirsi accettati, la violenza sempre più frequente, che molti devono subire, la competizione eccessiva, che emargina tanti, ed i messaggi negativi della rete sono solo alcuni dei motivi per i quali troppi adolescenti si sentono insicuri, frustrati, non capiti, senza un posto nel mondo.

    Il primario di neuropsichiatria infantile del Bambin Gesù di Roma avverte che i tre quarti delle malattie mentali iniziano prima dei 18 anni.

    L’autolesionismo è l’evidente sintomo di una grave sofferenza interiore che i genitori e gli insegnanti dovrebbero poter capire da tanti sintomi, dagli sbalzi d’umore all’eccessiva aggressività o indifferenza a quanto avviene intorno, ai disturbi dell’alimentazione.

    Diventa difficile combattere l’angoscia, che per altro ha attraversato anche le vite dei nonni e dei genitori degli adolescenti di oggi, quando diventa sempre più forte lo spirito di imitazione dei comportamenti di altri componenti del gruppo o di quanto si vede su Tik Tok o su altri sistemi di diffusione di massa che propagano notizie e comportamenti negativi.

    Spesso i tagli sono messaggi che si mandano alla stessa famiglia, anche se i tagli sono in punti nascosti, un grido d’aiuto che non ha suono e visibilità perché chi lo lancia vuole stare solo, è convinto di non essere capito, e contemporaneamente vorrebbe essere salvato.

    Troppe volte anche i genitori sono fragili come i loro figli, non danno loro la sicurezza che si cerca quando si è adolescenti, la scuola è distratta e i social sono diventati prevalenti con le loro orride suggestioni che portano anche a sfidare la morte in folli gare.

    Sapere educare i giovani alla vita per renderli autonomi e consapevoli significa far loro conoscere che l’ansia, la paura, i momenti d’angoscia o d’inadeguatezza fanno parte della vita di ciascuno, e che non bisogna avere paura del buio né rifugiarsi in esso.

    L’autostima è fondamentale, chi si rispetta rispetta gli altri, bisogna imparare a conoscere i propri pregi ed i propri difetti, non sentirsi inermi di fronte al giudizio degli altri, non sentirsi inadeguati o in eterna competizione.

    Ogni essere umano è un piccolo miracolo in se, una piccola grande meraviglia, cerchiamo di dare ai ragazzi, ai bambini il senso della vita che è proprio vivere affrontando ogni giorno quello che ci porta sapendo che non si è mai veramente soli ma che nessuno può sostituirsi a noi per affrontare le prove che ci toccano.

  • I compiti ed i doveri della società e dei genitori nei confronti dei bimbi

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    La terza infanzia comincia a sei anni e finisce sostanzialmente con la quinta elementare dopo la quale si entra nella fase della pubertà.

    Dopo la tragedia della Povera Giulia si moltiplicano le proposte per applicare all’interno della scuola dei nuovi metodi educativi (*) che avrebbero il compito di creare un substrato culturale ed interrelazionale finalizzato alla diminuzione dei reati contro le donne.

    A questi progetti si aggiungono degli interventi anche di personalità più complesse (la cui elaborazione presuppone una maggiore maturità) all’interno delle scuole elementari e quindi dell’infanzia.

    L’istituzione elementare assieme all’ambiente degli affetti familiari dovrebbero, invece, assicurare una stagione di assoluta serenità ai bimbi la quale, nelle fasi successive dello sviluppo, dovrebbe rappresentare un porto sicuro ed un punto di forza e rappresentare un valore rassicurante.

    Nessuno contesta l’eterogeneità del genere umano e come questa rappresenti di per sé un aspetto incontestabile, ma la presenza di particolari personalità presuppone da parte dei ragazzi un minimo di maturità la quale può essere patrimonio solo degli studenti quantomeno delle scuole superiori.

    In altre parole, ancora una volta, la politica di basso profilo, sfruttando l’emotività scatenata dalla tragedia della povera Giulia, sta tentando di esautorare le famiglie nella difficile gestione dei propri figli in nome di una superiore ideologia statale.

    Questi nuclei familiari da tempo si trovano tra mille difficoltà e cercano di far quadrare il bilancio familiare sia economico che affettivo alle cui evidenti difficoltà lo Stato non provvede attraverso il finanziamento di servizi a loro sostegno.

    Al contrario, relegandole ad un ruolo sempre meno centrale, lo Stato vorrebbe creare nuovi interventi “formativi” i quali comunque rappresentano nuovi capitolati di spesa pubblica.

    Come degli speculatori ideologici e politici si cerca di introdurre ed istituzionalizzare la marginalizzazione della stessa famiglia invece di aiutarla, proprio perché dalla sua debolezza cresce la forza di uno stato etico, anche introducendo precocemente delle figure complesse ed articolate rispetto al periodo dell’infanzia.

    In più, questo tipo di intervento dello Stato rappresenta un approccio ideologico per nulla supportato da riscontri oggettivi come evidenziano studi e ricerche sull’incidenza dei femminicidi all’interno di altri paesi europei i quali dovrebbero rappresentare il riferimento politico ed ideologico avendo adottato da tempo i medesimi modelli educativi.

    Il dovere di una società e della famiglia rimane invece quello di garantire la serenità di quei bambini il cui valore rassicurante si esprimerà soprattutto nel periodo adolescenziale e successivamente in quello adulto.

    Non si faccia l’errore di tramutare una tragedia come quella della povera Giulia in una battaglia politica ma soprattutto ideologica e identitaria quando invece si dimostra assolutamente speculativa con l’obiettivo di svilire il ruolo della famiglia la quale, invece, necessiterebbe di un maggiore sostegno anche attraverso il finanziamento di servizi aggiuntivi.

    Il Presidente della Repubblica ha ricordato come la famiglia rappresenti il nucleo fondamentale di una società. Mai come ora questa richiede attenzione ed aiuti e non certo modelli educativi assolutamente autoreferenziali in quanto puramente ideologici.

    (*) 1. educazione sessuale ed affettiva, 2. decreto Zan, 3. altri modelli molto più arditi in termini di sessualità

  • Una famiglia su tre insoddisfatta del quadro economico

    Il quadro economico delle famiglie è peggiorato nel 2022: lo scatto in negativo è stato colto dall’Istat con il report ‘La soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita’, che ha esaminato l’ultimo anno segnato dall’emergenza Covid. I risultati dello studio fanno emergere, di controcanto, una soddisfazione diffusa da parte dei giovani nella fascia d’età 14-19 anni, contenti di aver ritrovato tempo libero e relazioni amicali dopo i lunghi mesi della pandemia.

    Nel 2022, dunque, il 35,1% dei nuclei familiari ha vissuto un aggravamento delle condizioni economiche, andamento che è stato peggiore nelle regioni del Nord, dove il giudizio negativo si è attestato al 35,8% rispetto al 29,4 dell’anno precedente. La situazione non migliora se valutata nel complesso: nel 2022 il grado di soddisfazione per lo stato di salute del proprio portafogli ha segnato una flessione rispetto al 2021, attestandosi al 57% (contro il 58,3% precedente). Calo evidente anche tra le persone in là con gli anni: il 58,8% di chi aveva 75 anni e più ha dichiarato di essere molto o abbastanza soddisfatto (era il 64,5% nel 2021). Al contrario nell’ambito professionale si è registrato un incremento della soddisfazione tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (dal 64,1% al 69,2%), e in maniera più marcata tra le donne (dal 61,9% al 70,3%). In ascesa anche la soddisfazione tra i lavoratori in proprio (dal 46,3% al 51,2%) e tra chi era in cerca di nuova occupazione (dal 27 al 32%).

    Il confronto a livello nazionale sulle capacità economiche conferma purtroppo le distanze tra il nord e il sud, con il primo che si dichiara molto o abbastanza soddisfatto (il 61,5% dei cittadini) e il secondo che evidenzia una flessione, attestandosi al 50,9%. E rispetto al 2021 si è rilevata una flessione maggiore nel Centro, che dal 58,7% è passato al 56,7%.

    Come accennato è andata diversamente per i più giovani, che nel 2022 hanno salutato con favore la ripresa delle attività sociali, un gradimento che è stato espresso dal 58,2% degli interpellati tra i 14 e i 19 anni, con un balzo positivo di 5,9 punti rispetto al 2021. Ad aver goduto della ritrovata libertà anche le persone più mature, almeno se è vero che i 65enni hanno espresso giudizi favorevoli nell’88,6% dei casi, in crescita rispetto all’85,6% di un anno prima. La nota dolente arriva quando viene esaminato lo stato di salute, ambito che comprensibilmente sconta un giudizio più severo tra le persone anziane: per quelle con 75 anni e più i giudizi favorevoli sono passati dal 59,1% del 2021 al 55,3 del 2022.

  • I risparmi del lockdown mettono al sicuro le famiglie ma l’autunno si prospetta duro

    Il ‘tesoretto’ di risparmio accumulato durante la pandemia dalle famiglie, specialmente in forma liquida, con un’incidenza attuale dei depositi pari al 110% del reddito disponibile, rappresenta una fondamentale “garanzia psicologica” che, assumendo un’inflazione in discesa nel corso del 2023, potrà favorire la tenuta dei consumi”. E’ uno degli aspetti più significativi messi in evidenza dall’ultimo Report di Area Studi Legacoop e Prometeia nel quale si sottolinea tuttavia come l’effetto difficilmente coinvolgerà i lavoratori dipendenti a basso reddito. “I rischi sociali di questa fase convulsa sono altissimi” – dichiara Mauro Lusetti, presidente di Legacoop – già durante la pandemia dal nostro osservatorio denunciavamo come l’impatto fosse asimmetrico non solo sulle imprese, ma pure sulle famiglie: da un lato vi era chi forzatamente accumulava risparmi imprevisti, dall’altro lato chi si impoveriva ulteriormente”. Per Lusetti “nelle condizioni italiane occorrono politiche di protezione sociale eccezionali, perché, anche prendendo per buone le previsioni di un rientro progressivo dell’inflazione, già sappiamo che questo autunno sarà durissimo. Aggiungere a questo quadro di ansia e fragilità anche l’instabilità di una fase elettorale è stato un capolavoro di irresponsabilità della politica italiana di cui avremmo certamente voluto fare a meno”.

    Lo studio prevede, per i prossimi trimestri, un recupero della propensione al consumo, nel tentativo delle famiglie di mantenere inalterato il proprio tenore di vita, nonostante la caduta non solo del reddito disponibile reale, ma anche del valore di mercato della propria ricchezza. Lo studio ipotizza, infatti, che non si avvierà una rincorsa prezzi-salari, e ciò comporta che lo shock “da offerta» che si sta sperimentando in Italia (e in tutta Europa), che implica il trasferimento di reddito all’estero via bolletta energetica, sarà pagato in misura importante dai lavoratori dipendenti, in particolare da quelli a basso reddito, su cui questa inflazione concentrata su energia ed alimentari sta esercitando gli effetti maggiori. È dunque importante – suggerisce lo studio – che le misure fiscali volte a contrastare tale inflazione, in un contesto di risorse limitate, siano mirate alle fasce più povere della popolazione e non distribuite a pioggia.

  • Entrati in vigore i nuovi diritti per migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata nell’UE

    A partire dal 2 agosto, tutti gli Stati membri devono applicare norme stabilite a livello dell’UE per migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata di genitori e prestatori di assistenza. Le norme, adottate nel 2019, fissano norme minime per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per prestatori di assistenza. Istituiscono anche diritti aggiuntivi, come il diritto di richiedere formule di lavoro flessibili, che aiuteranno chi ne ha bisogno a portare avanti la propria carriera e la propria vita familiare senza dover sacrificare né l’una né l’altra. Questi diritti, che vengono ad aggiungersi a quelli già esistenti in materia di congedo di maternità, si inquadrano nel pilastro europeo dei diritti sociali e la loro istituzione costituisce un passo essenziale verso la costruzione di un’Unione dell’uguaglianza. La direttiva sull’equilibrio tra vita professionale e vita privata mira ad aumentare i) la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ii) il ricorso al congedo familiare e a modalità di lavoro flessibili. Nel complesso, il tasso di occupazione delle donne nell’UE è inferiore del 10,8% rispetto a quello degli uomini. Inoltre, solo il 68% delle donne con responsabilità familiari lavora, rispetto all’81% degli uomini con responsabilità analoghe. La direttiva concede ai lavoratori dei periodi di congedo per prendersi cura di familiari che hanno bisogno di aiuto e, nel complesso, garantisce che i genitori e i prestatori di assistenza siano in grado di conciliare lavoro e vita privata. 

    Fonte: Commissione europea

  • Tempi stretti

    Secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico si è persa una intera generazione di giovani, inoltre la caduta della natalità e la non raggiunta parità di genere sono ancora gravi ostacoli alla ripresa economica. A questi problemi si aggiunge una scarsa partecipazione al mercato del lavoro nel sud Italia. Questi sono certamente problemi gravi che da anni attendono risposta ma nella speranza che si appronti finalmente quella serie di provvedimenti che possano aiutare a risolverli il mondo politico ed economico deve prendere atto di alcune gravi storture del nostro sistema che, se non saranno eliminate, porteranno all’aggravarsi di una situazione ormai diventata esplosiva. Come si può pensare che da ora in avanti i giovani possano affrontare il problema della denatalità se non sono in grado di potersi costruire una famiglia? Chi ha il lavoro lo ha troppo spesso in attività legate ad una partita iva fittizia o a un contratto a termine che non consente né di pagare un affitto né di accedere a un mutuo per l’acquisto di una pur modesta abitazione. Per avere dei figli bisogno poter garantire che i loro genitori possano vivere insieme e possano offrire ai nascituri una vita dignitosa, oggi invece gran parte dei giovani è costretta, giocoforza, a vivere nella casa paterna/materna e a restare dipendenti dai genitori che si fanno via via più anziani. In troppi settori il lavoro manca, in altri c’è ma per qualifiche che i giovani non hanno e la fascia d’età più colpita è quella dei trentenni/quarantenni. Non possiamo inoltre ignorare che se è vero che diverse persone, ottenuto il reddito di cittadinanza, non hanno più cercato un lavoro è altrettanto vero che il non funzionamento delle strutture preposte a trovare ed offrire lavoro non funzionano, non hanno funzionato in passato e non funzionano quelle inventare per supportare il reddito di cittadinanza, un’altra volta soldi buttati e nessun vero aiuto a chi il lavoro lo cerca. Una delle più grandi storture del cosiddetto mercato del lavoro sono le agenzie e le tante cooperative che offrono dipendenti sia agli enti pubblici che ai privati. I dipendenti di queste agenzie/cooperative lavorano con stipendi inferiori perché parte di quello che l’ente pubblico o il privato paga resta all’agenzia o alla cooperativa. In troppe occasioni gli enti pubblici non assumono più direttamente ma fanno dei bandi di gara per la durata di un anno e le agenzie che vincono il bando siglano con i dipendenti ovviamente contratti a termine così chi lavora per loro è tenuto per il collo ed ogni anno rischia di ritrovarsi senza lavoro. Prendere o lasciare o mangiar questa minestra o saltar dalla finestra. Perciò stipendi ridotti all’osso e precarietà costante, come si pensa di poter aumentare la natalità in questa situazione di totale incertezza? Di fatto, ormai da anni, il mercato del lavoro non è più un rapporto tra chi offre lavoro e chi lo cerca ma è un rapporto di intermediazione sul quale vivono, con più che discreti profitti, alle spalle del lavoratori, persone terze che non rischiano nulla. C’è seriamente da chiedersi come la politica abbia consentito tutto questo, da sinistra a destra, e come i sindacati siano rimasti colpevolmente silenziosi. Questo tipo di sfruttamenti del lavoro è l’aspetto più torbido di un capitalismo autoreferenziale che ha tradito se stesso ma, quel che è peggio, ha sfalsato i rapporti tra lavoratori e datori di lavoro creando quei meccanismi perversi che ci hanno portato, oggi, ad avere centinaia di migliaia di giovani non in grado, pur avendo un lavoro, di sostentarsi con questi e di programmare il futuro, il capitalismo autoreferenziale, la finanza che ha soppiantato l’economia reale stanno distruggendo la società e i tempi sono stretti, molto stretti per porre rimedio.

  • La derubricazione per svuotare di contenuti la terribile vicenda

    È sempre difficile commentare la morte di una ragazza, ancor di più se poi questa avvenga per opera della propria famiglia. Tuttavia il tentativo di una specifica parte dello schieramento politico la quale intende “derubricare” il terribile omicidio di una ragazza inerme a reato di femminicidio (altra definizione per me impropria ma che accetto) rappresenta un’azione politica vergognosa. In questo modo si cerca di attribuire l’intera responsabilità alla figura maschile dello zio sperando così di farlo rientrare nella terribile casistica dei femminicidi dei quali è ricca la nostra cronaca quotidiana.

    Questo rappresenta innanzitutto un insulto alla meraviglia dell’amore materno che tutti quanti noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere, inoltre in questo terribile omicidio un ruolo fondamentale va attribuito anche alla madre la quale ha acconsentito all’esecuzione della propria figlia da parte dello zio. Negare questo aspetto, che vede coinvolta anche la figura femminile della madre nell’assassinio della propria figlia, rappresenta la lettura distorta filtrata dalla lente dell’interesse politico. Una volgare interpretazione di questo terribile delitto dettata da un miserabile interesse finalizzato a svuotare l’intera vicenda del contesto ma soprattutto del contenuto culturale e religioso.

    Ancora una volta una parte della politica non ha esitato nel dimostrarsi espressione dei più bassi istinti al fine di perseguire i propri obiettivi soprattutto con lo scopo evidente di riaffermare la propria visione politica.

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