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  • A Milano tornano Micam e Mipel, le fiere di calzatura e pelletteria

    Un settore che ha vissuto un 2021 di generale ripresa quello della moda made in Italy, che però ancora non ha raggiunto i livelli pre-pandemia e guarda con preoccupazione agli eventi legati alla guerra tra Russia e Ucraina. Questo quanto emerso oggi a Milano alla presentazione di quattro fiere del settore moda, fashion e accessori che hanno unito le forze per trarre il massimo di rispettivi appuntamenti al polo fieristico di Rho di metà marzo. Micam, Salone Internazionale della Calzatura; Mipel, Evento internazionale dedicato alla pelletteria e all’accessorio moda; The One Milano, Salone dell’Haut-à-Porter; avranno luogo infatti in contemporanea, dal 13 al 15 marzo 2022, mentre Homi Fashion&Jewels Exhibition, evento dedicato al gioiello moda e all’accessorio sarà in parziale sovrapposizione dall’11 al 14 marzo, sempre all’interno del polo fieristico di Fiera Milano a Rho. Uniti dall’#BetterTogether, gli eventi più importanti del mondo fashion e dell’accessorio, porteranno in fiera oltre 1.400 brand in totale, aziende italiane e internazionali che trasformeranno il quartiere fieristico nell’avanguardia dello stile e della creatività. Nello specifico, il comparto calzaturiero italiano ha registrato nel 2021 un incremento del fatturato del +18,7% sul 2020 attestandosi a 12,7 miliardi di euro. Un valore però ancora inferiore all’epoca pre-covid (-11 per cento rispetto al 2019). L’export (+17,5 per cento nei confronti dell’anno precedente) ha raggiunto in valore (10,3 miliardi di euro a consuntivo) il secondo miglior risultato di sempre, anche al netto dell’inflazione. Bene, in particolare, le prime due destinazioni, ovvero Svizzera (+16,2% in valore sul 2020, nei primi 11 mesi) e Francia (+24%), tradizionalmente legate al terzismo; ma anche Usa (+42%) e Cina (+37,5%) che ha già abbondantemente superato i livelli 2019. Per quanto riguarda invece l’export italiano dei prodotti della filiera Fashion&Bijoux, 2021 è avvenuto un significativo recupero (+11.5% nei valori in euro), anche se parziale, dopo le penalizzazioni del 2020 (-14.7%), attestandosi attorno ai 3.5 miliardi di euro. “Milano per la moda è una delle città simbolo in assoluto – ha detto l’assessore comunale al lavoro e allo sviluppo economico Alessia Cappello -. La fashion week appena conclusa è andata molto bene, ha avuto moltissimi ospiti internazionali e ancora di più con queste fiere abbiamo la possibilità di aprire la città al mondo”. “L’altra cosa bellissima – ha aggiunto l’assessore – è poterlo fare assieme, con quattro fiere internazionali che decidono di fare squadra, perché alla fine è questo che dobbiamo fare tutti assieme per il Paese”.

    “Rappresentare Fiera Milano è rappresentare una piattaforma dove le imprese possono tornare a incontrare i loro mercati di riferimento. Da quando siamo ripartiti, il 15 di giugno, è stato un crescendo, con oltre 1 milione di spettatori in tre mesi, oltre 30 manifestazioni, e un grande riscontro pubblico e aziende”, ha dichiarato Luca Palermo, amministratore delegato di Fiera Milano SpA. Ora, con la crisi pandemica che lascia il posto a quella ucraina, però, le preoccupazioni degli addetti ai settori moda, pelletteria e fashion non finiscono. “Siamo riusciti a fare un grosso recupero quest’anno, malgrado tutto quello che è successo, arrivando rispetto al 2020 a un +22,7% di fatturato. I nostri mercati di riferimento, però’, son proprio l’area Russa e i paesi limitrofi”, ha dichiarato non senza preoccupazione Norberto Albertalli, presidente “The One Milano”. “Il settore nel 2021 ha avuto una buona ripresa – ha poi confermato Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici -, anche se il primo trimestre ci ha fatto un po’ penare, poi abbiamo avuto dati alquanto positivi. Sono comunque ancora dati che non raggiungono il 2019, restando sotto di circa 11 punti percentuali. Abbiamo la parte concentrata con le case di moda internazionali con risultato positivo mentre abbiamo una sofferenza delle piccole industrie”. Questa sofferenza delle piccole e medie imprese di settore è stata confermata anche dal presidente di Assopellettieri Franco Gabbrielli, che ha parlato di un andamento “a due velocità”, con da una parte “le aziende a marchio proprio che stanno soffrendo molto, perché affrontano un mercato globale difficile con investimenti grandi che a volte non possono fare”, e dall’altra le grandi aziende, che “stanno ricevendo molte richieste e hanno un incremento importante».

  • Alibaba: la realtà senza tutele

    Una rassegna fieristica rappresenta l’espressione del livello raggiunto dalle imprese in un determinato settore: in altre parole rappresenta lo stato dell’arte di un determinato settore industriale o di servizi.

    All’interno di due settori trainanti per l’Italia come quello metalmeccanico e tessile-abbigliamento questi momenti fieristici presentano, attraverso la propria produzione, anche il livello di know-how (industriale e professionale) raggiunto dalle aziende ed in termini generali dal made in Italy.

    Prima dell’avvento del digitale, addirittura in occasione degli appuntamenti fieristici, in particolar modo se di prodotti intermedi, come per esempio dei tessuti o filati nel tessile abbigliamento, veniva applicata una sorta di tutela fisica dei prodotti esposti i quali potevano venire semplicemente apprezzati per la “mano” ma nulla più a fronte di tentativi di tagli e strappi finalizzati alla clonazione.

    Con l’avvento del telefonino e dell’economia digitale questi prodotti, espressione complessa di studi e ricerche notevoli, possono venire copiati in un modo istantaneo: in questo senso viene interpretato molto spesso il cartello “no photo” esposto da alcune aziende all’interno dei propri stand. In altre parole, la tutela proprio all’interno di un momento di incontro come una fiera non viene mai meno. Questo risulta fondamentale perché la semplice salvaguardia di un prodotto (finale, intermedio o strumentale non vi è alcuna differenza) rappresenta la tutela dell’intera filiera che contribuisce alla realizzazione, attraverso il proprio know how industriale e professionale, del prodotto esposto soprattutto in una logica di politica di sviluppo economico (https://www.ilpattosociale.it/attualita/made-in-italy-valore-economico-etico-e-politico/).

    Da sempre la sintesi dell’azione di una classe politica e dirigente dovrebbe risultare dal doppio obiettivo di una tutela del know-how espresso attraverso i prodotti dal complesso sistema industriale sempre all’interno di una politica di sviluppo. In questo contesto, allora, ecco come l’accordo siglato dal ministro Di Maio e dall’Ice con la piattaforma Alibaba (*), sulla base del quale verranno posti on-line i prodotti (strumentali ed intermedi) del Made in Italy in una piattaforma B2B, rappresenta un autogol clamoroso in assenza di una ferrea tutela del know-how e dei diritti di copyright espressi.

    Si ricorda in tal senso che solo nel settore calzaturiero italiano sono circa duemila (2.000) i marchi clonati da aziende cinesi la cui tutela è impossibile in considerazione della vastità e complessità del sistema giudiziario cinese. A conferma, infatti, solo Zegna, Kartel e Ferrero sono riuscite ad ottenere la tutela dei propri prodotti attraverso una sentenza dei Tribunali cinesi.

    In questo contesto porre on-line il nostro “stato dell’arte” come espressione del livello tecnologico, stilistico e della ricerca raggiunto in ogni settore dal Made in Italy senza contemporaneamente l’introduzione di una chiara e precisa normativa aggiuntiva a tutela di quanto viene esposto offre così la possibilità a tutte le industrie cinesi di copiare in modo ancora più agevole.

    Francamente non si riescono a capire le ragioni dell’entusiasmo di un tale ministro Di Maio incapace di comprendere le problematiche implicite di un accordo con la piattaforma cinese e che espone l’intero settore del made in Italy, privo di tutele aggiuntive, ad un vero e proprio rischio clonazione. E’ incredibile in questo contesto anche il silenzio di Confindustria. Quasi che la tutela delle produzioni dei propri associati risulti secondaria agli accordi politici con il governo.

    Non comprendere le conseguenze delle proprie scelte quando si assumono posizioni di governo non rappresenta più un difetto ma una colpa grave.

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