grano

  • Crollano del 10% le semine di grano duro

    Crollano le semine di grano duro in Italia dove si stimano per il 2024 appena 1.134.742 ettari coltivati in calo del 10% a livello nazionale, con punte del 17% nel centro Italia e di oltre l’11% nel sud Italia e nelle isole rispetto all’anno precedente secondo l’incontro sulle previsioni di semina che si è svolto al Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare il 22 febbraio scorso.

    Si tratta di un calo significativo con le superfici coltivate che sono scese mai così basse negli ultimi 6 anni. Un andamento spinto secondo l’analisi della Coldiretti dalle basse quotazioni favorite da un incremento record delle importazioni proveniente da Paesi extra europei nel 2023 (+130% su base tendenziale) secondo le analisi del centro studi Divulga che evidenzia che Turchia e Russia, sono divenute rispettivamente secondo e terzo fornitore italiano, seguite da Canada, che ha registrato un +83% e resta comunque il primo fornitore.

    L’Italia è stata invasa nel 2023 da un’ondata di grano duro russo (+1164%) e turco (+798%), mai registrata prima, che ha fatto calare le quotazioni del prodotto nazionale del 15%. Stazionarie invece sono le superfici seminate a grano tenero pari a 606.653 ettari (+1,4%) mentre in calo dell’8% la superficie dedicata alla semina dell’orzo per un totale di 267.078 ettari.

  • Scorte europee di gas già ok da agosto

    Le riserve di gas dell’Unione europea sono arrivate ad essere piene al 90%, due mesi e mezzo prima della scadenza prevista il primo novembre. Lo ha riferito la Commissione europea, specificando che tali dati mostrano come il blocco comunitario sia “ben preparato” in vista della stagione invernale. A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e della drastica riduzione delle forniture russe, i Paesi membri dell’Ue hanno adottato a giugno del 2022 un quadro legislativo che obbliga a raggiungere collettivamente un tasso di riempimento dei loro depositi di gas del 90% il primo novembre di ogni anno. Secondo i dati aggregati di Gas Infrastructure Europe (Gie), un’associazione che riunisce gli operatori europei delle infrastrutture del gas, oggi in media gli impianti di stoccaggio europei erano pieni al 90,12%, circa 93 miliardi di metri cubi in totale.

    I livelli variano a seconda del Paese, dal 77% in Lettonia a oltre il 99% in Spagna, con la Francia che mostra un tasso dell’84% mentre l’Italia si attesta sopra la media: il 13 agosto è stata superata la quota 90%, mentre secondo l’ultimo rilevamento il riempimento degli stoccaggi di gas nazionali è salito ora al 90,62%.

    “L’Ue è ben preparata per l’inverno, questo contribuirà a stabilizzare ulteriormente i mercati (dell’energia) nei prossimi mesi”, ha affermato la Commissario europea per l’Energia Kadri Simson commentando gli ultimi dati. “La Commissione continuerà a monitorare la situazione per garantire che i livelli di stoccaggio rimangano sufficientemente alti con l’avvicinarsi dell’inverno”, ha affermato Simson.

  • Togliamo a Putin l’arma del grano

    Fino a qualche anno fa chi deteneva il petrolio aveva in mano il futuro di altre nazioni, poi è venuto il tempo delle terre rare, senza le quali il nostro moderno sistema di vita si inceppa, e del nucleare, che da minaccia reciproca, ma controllata, impediva alle grandi potenze di annientarsi vicendevolmente e consentiva alle altre di avere l’energia necessaria, anche se spesso rischiosa.

    Nessuno si era reso conto che la vera potenza è detenere le materie alimentari, le strutture per coltivare, produrre, conservare ed esportare quegli alimenti primari senza i quali molte popolazioni sono destinate alla carestia ed alla morte per fame.

    Anche negli anni scorsi si sapeva quanta disperazione stringeva d’assedio paesi più poveri: la mancanza di acqua e, conseguentemente, di cibo è stata causa anche di varie sommosse e rivoluzioni oltre che una ovvia spinta inarrestabile all’immigrazione.

    La guerra che Putin ha portato e continua, con immutata ferocia, a portare in Ucraina si è tramutata in una guerra a tutto campo con la nuova decisione di sospendere l’accordo sul grano che porta la conseguenza, a lui ben nota, di provocare altra fame e disperazione in molti paesi i quali necessitano di quel grano, russo od ucraino che sia, per continuare a sopravvivere.

    La sospensione dell’accordo, oltre a portare nuova fame e disperazione, avrà l’ovvia conseguenza di moltiplicare l’esodo di massa, che già avviene dai paesi più poveri, verso l’Europa: un’immigrazione sempre più massiccia e incontrollabile è la potente arma di Putin contro l’Occidente, specie europeo.

    La sospensione dell’accordo sul grano è l’arma di ricatto e di pressione che potrebbe spingere, in breve, paesi non occidentali, ma che sono stati favorevoli a sostenere la resistenza Ucraina, a cambiare posizione e a fare pressioni, nelle sedi internazionali, per una soluzione al conflitto anche accettando le imposizioni russe.

    Non dimentichiamoci che a Bruxelles paesi dell’America Latina hanno già manifestato, nei giorni scorsi, il loro pensiero in merito al proseguimento di aiuti all’Ucraina.

    Il cibo è un arma spaventosa e non può essere lasciata alla Russia, noi stessi non siamo in grado, come non lo eravamo per l’energia, di essere autosufficienti.

    È urgente che, mentre si useranno tutti i mezzi possibili per tornare a fare rispettare l’accordo sul grano, si comprenda la necessità, in sede nazionale ed europea, di una nuova politica agricola che metta a regime tutta la terra possibile per le coltivazioni di interesse europeo ed extra europeo e che si trovino nuovi modi di cooperazione con quei paesi che potrebbero coltivare meglio se avessero l’acqua e maggiori strumenti di produzione.

  • Grano italiano sottopagato

    “L’industria confessa di pagare il grano italiano il 10% in meno rispetto a quello straniero che spesso proviene da Paesi come il Canada dove viene coltivato usando il glifosate nella fase di preraccolta secondo modalità vietate in Italia”. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare negativamente le dichiarazioni di Unione Italiana Food che di fatto confermano le speculazioni in atto sul grano italiano destinato alla produzione di pasta. E’ necessario adeguare da subito le quotazioni per sostenere la produzione nazionale in un momento difficile per l’economia e l’occupazione.

    Non è accettabile che di fronte all’aumento del 18% del prezzo della pasta al consumo rilevato dall’Istat nell’ultimo anno, il grano duro nazionale necessario per produrla venga invece sottopagato agli agricoltori il 30% in meno, nello stesso periodo.

    La pasta è ottenuta direttamente dalla lavorazione del grano con l’aggiunta della sola acqua e non trovano dunque alcuna giustificazione le divergenze registrate nelle quotazioni, con la forbice dei prezzi che si allarga e mette a rischio i bilanci dei consumatori e quelli degli agricoltori.

    Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali.

    Fonte: Il Punto Coldiretti del 19 aprile 2023

  • Corsi e ricorsi

    1932: nei lunghi mesi che vanno dal 1932 al 1933 una terribile carestia sconvolse l’Ucraina, una calamità che fece morire di fame milioni di persone. Una tragedia che gli ucraini ricordano col nome di Holodomor, sterminio per fame.

    La insensata campagna di forzata coltivazione agraria, iniziata da Stalin nel 1929, è l’inizio di quella tragedia.

    Nelle campagne della fertile Ucraina, domata nel 1917 dopo una strenua resistenza alla Russia, arrivano migliaia di funzionari sovietici mandati da Mosca ad imporre la pianificazione voluta dal soviet. E’ la fine della libertà, della proprietà privata, dell’agricoltura tradizionale che aveva dato da vivere fino ad allora, è la nascita dei kolchoz, di quelle cooperative agricole nelle quali i contadini non erano più agricoltori proprietari ma braccianti che dovevano seguire ordini altrui con uno stipendio statale.

    La terra, gli animali, i macchinari, i raccolti diventarono tutti di proprietà pubblica.

    I piccoli proprietari, i piccoli agricoltori si ribellarono, quella terra era loro, dei loro padri, dei loro figli, non poteva diventare proprietà del soviet che bollò i kulaki come forza contro la rivoluzione e ne deportò due milioni in Siberia, da dove non sarebbero più tornati.

    Chi non fu deportato e non riuscì a scappare diventò un nuovo servo della gleba, caduto nella disperazione cercò di non contribuire più ai lavori, entrò in una resistenza apparentemente passiva, i contadini, che non volevano collaborare con il soviet, cercarono, quando potevano, di nascondere i raccolti e, piuttosto che consegnare gli animali al kolchoz, li macellarono o li lasciarono andare via liberi.

    La produzione agricola crollò di anno in anno e Stalin, senza la produzione necessaria di grano e perciò di pane, aumentò le restrizioni, fece requisire più del 70% del grano prodotto in Ucraina lasciando la popolazione senza cibo, promulgò la legge delle cinque spighe per la quale chiunque fosse stato trovato a nascondere un pugno di cibo, un pezzo di pane, poteva essere punito con dieci anni di carcere nei terribili gulag o con la fucilazione.

    La fame diventò dilagante, la carestia, causata dalle sciagurate scelte del regime comunista, la totale mancanza di cibo dovuta alle continue requisizioni portarono a milioni di morti dei quali una gran parte bambini.

    2022: sono passati 90 anni da quella tragedia e Putin, il nuovo Stalin che prova ad ammantarsi dei panni di uno zar mentre è solo un dittatore assassino, riprova ad annientare l’Ucraina: dove le bombe non sono riuscite a piegare l’esercito ed il popolo ora prova con il freddo e il buio.

    La storia si ripete: sull’Ucraina si abbatte ancora una volta la spietatezza di un uomo, del capo della Russia, che si chiami grande Russia o soviet poco cambia, ma questa volta gli ucraini non sono soli, il loro coraggio ha trovato, e deve continuare a trovare, appoggio, aiuto concreto, condivisione in Europa e in tanta Stati e popoli nel mondo e i terribili giorni di Holodomor dovrebbero essere ricordati da tutti come i giorni di un vero genocidio.

    Questa volta la storia non deve ripetersi.

  • L’UE aumenta le esportazioni di cereali

    La Commissione ha pubblicato l’ultima relazione mensile sul commercio agroalimentare, secondo la quale nel luglio 2022 le esportazioni e le importazioni agroalimentari dell’UE hanno subito un lieve rallentamento in termini di valore.

    Sebbene sia diminuito del 2% rispetto a giugno e si attesti attualmente a 19,2 miliardi di €, il valore delle esportazioni dell’UE rimane molto più elevato rispetto allo scorso anno. Nello stesso periodo anche le importazioni dell’Unione sono diminuite del 2%, raggiungendo 14,3 miliardi di € nel luglio 2022. La bilancia commerciale dell’UE rimane stabile a 4,9 miliardi di €.

    Nonostante il calo del valore complessivo delle esportazioni, quelle di cereali dell’Unione, in particolare di frumento ma anche di orzo, sono aumentate, in particolare verso il Medio Oriente e il Nord Africa (MENA). Nel luglio 2022 l’UE ha infatti esportato 1,9 milioni di tonnellate di frumento in Medio Oriente e Nord Africa, registrando un aumento del 300% rispetto al luglio dello scorso anno. In luglio le esportazioni totali di frumento verso il mondo hanno raggiunto i 3 milioni di tonnellate, con un aumento del 74% rispetto allo scorso anno.

    Le categorie che hanno registrato un calo delle esportazioni in luglio sono la frutta e la frutta a guscio (-15%) e gli ortaggi (-10%). Le esportazioni di olive e di olio d’oliva sono diminuite del 14% in luglio, principalmente a causa del calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti. Le importazioni di uve, semi di girasole e banane sono quelle che hanno subito un calo maggiore in luglio rispetto a giugno (rispettivamente del 24%, 20% e 18%).

    Le importazioni dell’UE dall’Ucraina crescono per il quarto mese consecutivo, a seguito della liberalizzazione temporanea degli scambi e del migliore funzionamento dei corridoi di solidarietà. Anche le importazioni dell’Unione dai principali partner commerciali, come il Brasile e gli Stati Uniti, sono aumentate, in particolare per il granturco e la soia.

    La relazione mette l’accento anche sui flussi commerciali tra l’UE e il Regno Unito, che è diventato il principale partner commerciale dell’UE per i prodotti agroalimentari, raggiungendo 53,8 miliardi di € nel 2021.

  • Ukraine war: Can India feed the world?

    Last week, Indian PM Narendra Modi told US President Joe Biden that India was ready to ship food to the rest of the world following supply shocks and rising prices due to the war in Ukraine.

    Mr Modi said India had “enough food” for its 1.4 billion people, and it was “ready to supply food stocks to the world from tomorrow” if the World Trade Organization (WTO) allowed.

    Commodity prices were already at a 10-year high before the war in Ukraine because of global harvest issues. They have leapt after the war and are already at their highest since 1990, according to the UN Food and Agricultural Organisation (UNFAO) food-price index.

    Russia and Ukraine are two of the world’s major wheat exporters and account for about a third of global annual wheat sales. The two countries also account for 55% of the global annual sunflower oil exports, and 17% of exports of maize and barley. Together, they were expected to export 14 million tonnes of wheat and over 16 million tonnes of maize this year, according to UNFAO.

    “The supply disruptions and threat of embargo facing Russia means that these exports have to be taken out of the equation. India could step in to export more, especially when it has enough stocks of wheat,” says Upali Galketi Aratchilage, a Rome-based economist at UNFAO.

    India is the second biggest producer of rice and wheat in the world. As of early April, it had 74 million tonnes of the two staples in stock. Of this, 21 million tonnes have been kept for its strategic reserve and the Public Distribution System (PDS), which gives more than 700 million poor people access to cheap food.

    India is also one of the cheapest global suppliers of wheat and rice: it is already exporting rice to nearly 150 countries and wheat to 68. It exported some 7 million tonnes of wheat in 2020-2021. Traders, reacting to rising demand in the international market, have already entered contracts for exports of more than 3 million tonnes of wheat during April to July, according to officials. Farm exports exceeded a record $50bn in 2021-22.

    India has the capacity to export 22 million tonnes of rice and 16 million tonnes of wheat in this fiscal year, according to Ashok Gulati, a professor of agriculture at the Indian Council for Research on International Economic Relations. “If the WTO allows government stocks to be exported, it can be even higher. This will help cool the global prices and reduce the burden of importing countries around the world,” he says.

    There are some reservations though. “We have enough stocks at the moment. But there are some concerns, and we should not become gung-ho about feeding the world,” says Harish Damodaran, a senior fellow at the Centre for Policy Research, a Delhi-based think tank.

    First, there are fears of a less-than-expected harvest. India’s new wheat season is under way and officials project a record 111 million tonnes be harvested – the sixth bumper crop season in a row.

    But experts like Mr Damodaran are not convinced. He believes the yield will be much lower because of fertiliser shortages and the vagaries of the weather – excessive rains and severe early summer heat. “We are overestimating the production,” he says. “We will know in another 10 days.”

    Another question mark, say experts, is over fertilisers, a basic component of farming. India’s stocks have fallen low after the war – India imports di-ammonium phosphate and fertilisers containing nitrogen, phosphate, sulphur and potash. Russia and Belarus account for 40% of the world’s potash exports. Globally, fertiliser prices are already high due to soaring gas prices.

    A shortage of fertilisers could easily hit production in the next harvest season. One way to get around this, says Mr Damodaran, is for India to explore “wheat-for-fertiliser deals” with countries like Egypt and in Africa.

    Also, if the war gets prolonged, India might face logistical challenges in stepping up exports. “Exporting huge volumes of cereals involves huge infrastructure like transportation, storage, ships. Also the capacity to start shipping in high volumes,” says Mr Aratchilage. There is also the question of higher freight costs.

    Lastly, there is the overriding concern over galloping food prices at home – food inflation hit a 16-month-high of 7.68% in March. This has been mainly driven by price rises of edible oils, vegetables, cereals, milk, meat and fish. India’s central bank has warned about “elevated global price pressures in key food items” leading to to “high uncertainty” over inflation.

    The Russian invasion is likely to have “serious consequences” for global food security, according to IFPRI, a think tank. The UNFAO estimates that a prolonged disruption to exports of wheat, fertiliser and other commodities from Russia and Ukraine could push up the number of undernourished people in the world from eight to 13 million.

    By the government’s own admission, more than three million children remain undernourished in India despite bountiful crops and ample food stocks. (Prime Minister Modi’s native state, Gujarat, has the third highest number of such children.) “You cannot be cavalier about food security. You cannot play around with the food earmarked for the subsidised food system,” says Mr Damodaran.

    If there is one thing India’s politicians know it is that food – or the lack of it – determines their fate: state and federal governments have tumbled in the past because of soaring onion prices.

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