green pass

  • Certificato digitale UE: dal primo febbraio al via il periodo di accettazione di 270 giorni

    A partire dal primo febbraio iniziano ad applicarsi le nuove norme relative al periodo standard di accettazione di 270 giorni per i certificati di vaccinazione COVID digitali dell’UE utilizzati per viaggiare all’interno dell’Unione. In linea con le nuove norme stabilite nel regolamento delegato della Commissione del 21 dicembre 2021, gli Stati membri devono accettare i certificati di vaccinazione per un periodo di 270 giorni (9 mesi) dal completamento del ciclo di vaccinazione primario.

    Nel caso dei vaccini monodose, ciò significa 270 giorni dalla prima e unica dose. Per i vaccini a due dosi significa 270 giorni dalla seconda dose o, in linea con la strategia nazionale di vaccinazione, la prima e unica dose dopo la guarigione dal virus. Gli Stati membri non dovrebbero prevedere periodi di accettazione diversi per i viaggi all’interno dell’Unione europea. Il periodo standard di accettazione non si applica ai certificati relativi alle dosi di richiamo.

    Le norme si applicano solo ai certificati di vaccinazione usati per viaggiare nell’UE. Gli Stati membri possono applicare norme diverse quando il certificato COVID digitale dell’UE viene usato in un contesto nazionale, ma sono invitati ad allinearsi al periodo di accettazione stabilito a livello dell’Unione.

    Dal primo febbraio si applicheranno nuove norme anche per quanto riguarda la codifica delle dosi di richiamo nel certificato COVID digitale dell’UE. Come già chiarito a dicembre, le dosi di richiamo saranno registrate come: 3/3 per una dose di richiamo successiva a un ciclo di vaccinazione primario a due dosi; 2/1 per una dose di richiamo successiva a un ciclo di vaccinazione monodose o a una dose di un vaccino bidose somministrato a una persona guarita. I certificati rilasciati secondo modalità diverse prima di tale chiarimento devono essere corretti e rilasciati nuovamente, al fine di garantire che le dosi di richiamo possano essere distinte dallo status di vaccinazione completa.

    Fonte; Commissione europea

  • Contro il covid sì alle precauzioni alle frontiere

    La decisione del governo italiano, di chiedere il tampone a chi entra in Italia anche se proveniente dalla UE e in possesso di vaccinazione, è una obbligata scelta precauzionale per contenere il diffondersi del virus. Ricordiamo che il 24 novembre scorso avevamo scritto al commissario europeo Stella Kyriakides per chiedere di rendere al più presto obbligatorio esibire, entrando in ogni Stato, un certificato di avvenuta vaccinazione o almeno un tampone. Se più adeguate norme precauzionali fossero state attuate prima a tutti i confini interni ed esterni dell’Unione non ci sarebbero stati tanti di quei contagi che purtroppo si sono registrati.

  • La deriva etica ed anticostituzionale

    Quando un governo o una Regione si dimostrano incapaci di gestire una delle opzioni offerte ai lavoratori (vaccino o tamponi) per ottenere il green pass l’approccio alle problematiche legate alla gestione della “ripresa” economica e sociale dai terribili effetti della pandemia si rivela quantomeno inadeguato.

    Da lunedì infatti lo stato italiano NON sarà in grado di assicurare ad oltre due (2) milioni di lavoratori, nel solo Veneto sono trecentomila (300.000), il tampone con una validità di quarantotto (48) ore per consentire loro di accedere al proprio posto di lavoro.

    Il diritto al lavoro tutelato dall’art. 4 della Carta Costituzionale viene disatteso clamorosamente non tanto dalla contrarietà dei sostenitori al green-pass ma all’intera classe governativa statale e regionale. In questa situazione assolutamente imbarazzante per una classe governativa risulta evidente come l’intera responsabilità di un possibile rallentamento delle attività economiche e produttive non possa più venire attribuita a chi sceglie di non vaccinarsi e di affrontare i tamponi ogni 48 ore con i relativi costi da affrontare.

    Essa deve invece venire interamente addebitata alla compagine governativa, statale e regionale, in quanto entrambe hanno affrontato la complessa problematica della gestione pandemica e vaccinale in chiave anticostituzionale ed etico-ideologica.

    Anticostituzionale in quanto non si sono allestite delle strutture in grado di permettere di somministrare quanti tamponi necessari al fine di garantire, con l’ottenimento del green pass successivo al tampone, il diritto al lavoro e quindi l’applicazione dell’art.4 della Costituzione. In più, in pieno delirio etico- ideologico, le stesse istituzioni si dimostravano profondamente convinte di come l’obbligatorietà del green pass avrebbe portato ad una vaccinazione del 100%: un obbiettivo quantomeno infantile.

    Distratti, quindi, dalle proprie convinzioni hanno omesso clamorosamente di allestire, contemporaneamente alla progressione vaccinale, delle strutture in grado di rispondere alla legittima scelta di persone che non intendevano, allora come oggi, vaccinarsi affrontando la procedura dei tamponi ogni 48 ore a pagamento.

    Emerge evidente, ancora una volta, come un problema sanitario sia stato affrontato con parametri troppo spesso etici ed ideologici derubricando come non fondamentale invece l’organizzazione di una parallela “logistica” (supply chain) finalizzata all’offerta di una risposta sanitaria e soprattutto operativa ai non vaccinati.

    A questa situazione il nostro povero paese è mestamente arrivato in quanto, ancora una volta, non emerge chiaro, allora esattamente come adesso, alla classe politica italiana, compresa paradossalmente Confindustria, quale sia l’obiettivo principale da conseguire avendo già raggiunto l’80% dei vaccinati. Va ricordato, quindi, per l’ennesima volta, come l’unico vero obbiettivo, al di là di ogni considerazione relativa alle scelte dei cittadini, sia rappresentato dalla assicurazione di garantire comunque  la continuità produttiva ed economica anche attraverso il rafforzamento della campagna vaccinale e con l’allestimento di strutture per i tamponi ai non vaccinati (https://www.ticinolive.ch/2021/10/15/italia-il-primo-vero-fallimento-del-governo-draghi/).

    Lo Stato e le Regioni dimostrano in questo modo i propri limiti ideologici quanto un velato disprezzo non considerando i cittadini come persone alle quali assicurare comunque un diritto ed un servizio all’interno di un sistema sanitario, indipendentemente dalle proprie scelte anche in campo preventivo e quindi vaccinale. Inoltre, con le loro strategie le istituzioni governative si sono rivelate non in grado di assicurare quanto recitato dall’art.4 della Costituzione e, di conseguenza, si pongono al di fuori del perimetro costituzionale.

    Un’altra occasione persa da questi soggetti pubblici per dimostrare di avere intrapreso finalmente un percorso verso una democrazia liberale all’interno della quale ogni cittadino riceva la giusta considerazione e perciò una tutela dei propri diritti costituzionali, indipendentemente dai comportamenti in quanto lo Stato si attiva comunque per garantirli.

    La deriva verso uno stato etico ed allocato esternamente ai precetti costituzionali emerge già ormai come una terribile realtà.

    P.S. Si ribadisce come chi scrive sia vaccinato e titolare di green pass

  • Certificato COVID digitale dell’UE: la Commissione stanzia 95 milioni di euro per migliorare l’accesso ai test

    La Commissione ha concesso sovvenzioni per un totale di 95 milioni di euro a 20 Stati membri per l’acquisto di test diagnostici COVID-19 al fine di facilitare la consegna del certificato COVID digitale dell’UE. Il finanziamento va di pari passo con la continua distribuzione dei vaccini anti COVID-19 e rientra nell’impegno della Commissione a sostenere l’accesso, a prezzi abbordabili, a test rapidi e accurati per i cittadini che non sono ancora stati vaccinati completamente, in particolare quelli che non possono essere vaccinati per motivi medici.

    Le sovvenzioni, finanziate attraverso lo strumento per il sostegno di emergenza (ESI), consentiranno agli Stati membri di offrire test gratuiti. Questo sostegno, erogato attraverso le autorità nazionali, risponderà alle diverse esigenze dei vari Stati membri.

    Stella Kyriakides, Commissaria per la Salute e la sicurezza alimentare, ha dichiarato: “Il certificato COVID digitale dell’UE ha consentito agli europei di riprendere a viaggiare in condizioni di sicurezza durante l’estate ed è diventato simbolo di un’Europa aperta e sicura. Sebbene la vaccinazione sia fondamentale, in quanto principale risorsa per porre fine alla pandemia, test rapidi e accurati rimangono comunque importanti per contrastare la diffusione della COVID-19. I 20 milioni di test rapidi che abbiamo acquistato per gli Stati membri all’inizio dell’anno e gli odierni annunci di fondi aggiuntivi dimostrano che siamo fermamente impegnati a garantire che i cittadini abbiano accesso ai test e che i nostri certificati digitali siano disponibili per tutti, in particolare per coloro che non possono essere vaccinati.”

    Didier Reynders, Commissario per la Giustizia, ha dichiarato: “Finora oltre 400 milioni di europei hanno ottenuto il certificato e 42 paesi sono già connessi al sistema di certificazione dell’UE. Si tratta di una grande conquista europea che è stata molto apprezzata dai nostri cittadini. Le sovvenzioni annunciate oggi contribuiranno ulteriormente all’uso dei certificati e garantiranno che le persone possano continuare a circolare liberamente e in condizioni di sicurezza. Mi compiaccio per questa decisione e invito i 20 Stati membri a fare il miglior uso possibile dei test supplementari.”

    L’ESI fornisce una risposta di emergenza coordinata per aiutare gli Stati membri a soddisfare le esigenze connesse alla fase acuta immediata della pandemia di COVID-19, nonché alla risoluzione, alla ripresa e alla prevenzione di qualsiasi recrudescenza.

    Fonte> Commissione europea

  • La Commissione stabilisce che i certificati Covid del Marocco sono equivalenti a quelli dell’UE

    Si consolida sempre più il legame tra l’UE e il Marocco. La Direzione generale per il vicinato e i negoziati di allargamento della Commissione europea ha annunciato, nei giorni scorsi, che la Commissione riconoscerà i certificati COVID-19 rilasciati dalle autorità sanitarie del Marocco. La decisione di Bruxelles di inserire il Marocco tra i Paesi dell’Unione già appartenenti al sistema dei green pass fa sì che per la prima volta gli schemi di vaccinazione contro il coronavirus e i documenti sui risultati dei test ottenuti da un paese africano siano accettati dall’UE. Il Marocco è ora considerato parte del quadro giuridico dell’UE che stabilisce la legittimità dei documenti stranieri che intendono fornire informazioni sullo stato del COVID-19 dei viaggiatori. Sulla scia della decisione di Bruxelles, Rabat ha dichiarato che riconoscerà i documenti certificati dell’UE su base reciproca. Ciò consentirà ai viaggiatori europei di entrare in Marocco con i propri certificati digitali.

    L’UE oltre al Marocco ha deciso di includere anche Albania, Andorra, Isole Faroe, Israele, Monaco e Panama nell’elenco di coloro che possono entrare nell’Unione Europea.

  • Via libera dall’Europarlamento al Green pass Ue

    Sono già più di un milione gli europei che hanno già ricevuto i primi certificati digitali Covid. I documenti che dovrebbero facilitare i viaggi in estate durante la pandemia cominciano dunque a farsi strada nel Vecchio continente mentre salgono a nove i Paesi nei quali è già attivo il sistema per il loro mutuo riconoscimento. Ad annunciare l’accelerazione con quasi tre settimane di anticipo rispetto alla data fissata del primo luglio è stata la Commissione europea, nello stesso giorno in cui il Parlamento europeo ha dato il suo via libera ai pass.

    Dall’8 giugno la Spagna e la Lituania hanno reso operativa la piattaforma Ue in via ufficiale iniziando a distribuire i certificati che attestano l’avvenuta vaccinazione, il risultato negativo ad un tampone o la guarigione dal virus. Dunque dopo Bulgaria, Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Grecia, Croazia e Polonia, sono così nove gli Stati membri nei quali è già attivo il sistema.

    “Il regolamento” sui certificati Covid digitali “sottolinea l’importanza di test universali e accessibili per tutti i cittadini, soprattutto per le persone che attraversano le frontiere quotidianamente. E per sostenere questi sforzi la Commissione europea si è impegnata a mobilitare 100 milioni di euro per i test necessari al rilascio del certificato”, ha ricordato nel corso della plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo il commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders. “E’ iniziato un dibattito importante negli Stati membri sul prezzo dei test e sono sicuro che ci saranno nuovi sviluppi nelle prossime settimane sull’accessibilità dei test”, ha aggiunto.

    Con un green pass in mano i singoli titolari dei certificati potranno dunque evitare le quarantene nel Paese di destinazione o di arrivo. Ma non mancheranno alcune eccezioni. Gli Stati membri infatti potranno continuare a conservare la possibilità di imporre ulteriori misure restrittive, nel caso ad esempio della comparsa di una variante. Tali misure però dovranno essere “necessarie e proporzionate per tutelare la salute pubblica”, ha sottolineato Bruxelles.

    “In appena due mesi il Parlamento europeo ha fatto la differenza, tutelando i diritti dei cittadini, difendendo circolazione e privacy, fornendo certezza giuridica e prevenendo discriminazioni”, ha sottolineato il relatore del provvedimento al Pe Juan Fernando Lopez Aguilar, eurodeputato del Gruppo S&d e presidente della commissione per le Libertà civili, precisando che l’obiettivo è “ripristinare Schengen in maniera pienamente funzionante”.

    Dopo l’ok dell’Eurocamera il certificato è atteso alla riunione degli ambasciatori dei 27 Paesi per un ultimo passaggio formale per poi entrare definitivamente in vigore il primo luglio.

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