gulag

  • I gulag ufficialmente non ci sono più. Ma anche Navalny non c’è più

    Gulag è l’acronimo di Direzione principale dei campi di lavoro correttivi, in russo Glavnoe upravilenie ispravitel no.rudovych legerej. Il termine è diventato popolare in occidente, come descrizione del sistema dei lager sovietici, grazie al racconto di Aleksandr Solzenicyn (uscito in Occidente nel 1973 e in Urss solo nel 1989), ma i gulag risalgono già all’epoca degli zar. Già nel XVIII secolo, infatti, gli oppositori politici venivano spediti in Siberia, a svolgere lavori forzati nei giacimenti presenti in quella regione.

    Dopo la rivoluzione russa e la deposizione dello zar, la prassi di spedire gli oppositori in quelle terre non viene però abolita, anzi. Lenin nel 1918 teorizzò la necessità di «proteggere la repubblica sovietica dai nemici di classe, isolandoli in campi di concentramento, fucilare seduta stante qualsiasi individuo implicato nei complotti, nelle insurrezioni e negli scontri». La Ceka, il servizio segreto antesignano del Kgb e dell’attuale Fsb, provvide a tramutare le parole in fatti: il 3 aprile 1919, il suo capo e fondatore, Feliks Dzerzhinskij, creò la Direzione generale dei campi di lavoro forzato e dei luoghi di detenzione, Gulag appunto. Il primo gulag sovietico, per quanti erano condannati in base all’articolo 58 del codice penale, venne subito aperto presso il monastero delle isole Solovetskije, sul Mar Bianco (è quello al centro del racconto di Solzhenitsyn), ma già nel 1921 i gulag erano diventati 107, più della metà dei quali in Siberia. Tra il 1930 e il 1960, con l’avvio delle purghe staliniane e fin poco oltre la morte dello stesso Stalin, si calcola che siano stati avviati nei gulag oltre 18 milioni di persone: non è dato sapere quante vi siano decedute ma il numero minimo si aggira intorno ai 2 milioni, vale a dire un detenuto ogni 9. A Kolyma, dove si raggiungono temperature di 60 gradi sotto zero, il tasso di mortalità era del 30%. Ancora oggi in alcune zone dove un tempo sorgevano strutture detentive (molte di epoca staliniana furono smantellate dopo la morte dello stesso Stalin) capita che spuntino teschi e ossa umana dalla terra.

    Ufficialmente, la Direzione dei campi è stata cancellata da Michail Gorbaciov nel 1987, ma strutture detentive in Siberia sono tuttora operanti, come testimoniano la detenzione ed il decesso di Aleksej Navlany e la reclusione di Vladimir Kara-Murza. Nell’epoca di Vladimir Putin, secondo le denunce degli oppositori, i processi agli oppositori hanno superato per quantità quelli dell’epoca di Leonid Breznev.

  • In Kazakistan un gulag sovietico grande quanto Lombardia e Piemonte

    A Karaganda, in Kazakistan, esisteva un campo di lavoro grande quanto Lombardia e Piemonte insieme. Attivo dal 1918, fu utilizzato dapprima, all’indomani della Rivoluzione russa, per deportarvi preti, suore e quant’altri si opponevano al nuovo corso e poi per le purghe di Stalin: chi sopravviveva al freddo (che arrivava fino a -50 gradi), veniva impiegato nelle miniere. Il risultato furono 2,5 milioni di morti su 5-6 milioni di detenuti, nell’arco di un solo biennio.

    La Banca di Piacenza organizza ora visite al campo, nel quale furono deportati anche 3mila italiani che vivevano in Crimea, nonché soldati italiani del corpo di spedizione in Russia nella Seconda Guerra Mondiale (un 96enne sopravvissuto dell’Armir vive tutt’oggi a Piacenza), insieme a detenuti di altre 139 nazionalità e di qualsiasi età (anche donne e bambini), in collaborazione con don Pierluigi Callegari, italiano, che della Diocesi di Karaganda è vescovo.

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