immigrati

  • La grande confusione

    I repubblicani americani fanno parte della grande famiglia dei Conservatori.

    L’ex Presidente Trump è il candidato alla presidenza dei Repubblicani.

    Giorgia Meloni, che presiede il gruppo dei Conservatori europei, ha sempre lealmente e tenacemente difeso l’Ucraina dalla ingiusta e crudele aggressione di Putin, ed anche i Conservatori inglesi sono sempre stati in prima linea nell’aiutare il presidente ucraino.

    Trump ha dichiarato che Putin e il presidente cinese, che invia armi alla Russia e ne sostiene l’economia, sono due grandi capi di stato che operano bene, e per togliere ogni dubbio su come eserciterà il suo mandato dopo aver detto che farà fare la pace ovunque, anche in Ucraina, ha aggiunto che darà il via, negli Stati Uniti, alla più grande deportazione di immigrati.

    Facciamo fatica ad accettare nello stesso discorso due parole così agli antipodi come pace e deportazione ma in special modo la parola deportazione fa suonare tragiche campane d’allarme: si deportava nell’epoca nazista e nell’Unione Sovietica, si deporta oggi nella Russia di Putin e nella Cina di Xi Jinping.

    Come conciliare allora la presenza di Trump nei Repubblicani e perciò nei Conservatori! Possiamo anche capire che ad alcuni possa piacere la sua aria e il suo piglio da maschio alfa, la sua ricchezza e la sua pettinatura ma quando sentiamo certe parole, certi programmi, non possiamo che porci molte domande e constare che c’è una certa pericolosa confusione su cosa significhi oggi essere conservatori se non arriva nessuna presa di distanza dalle dichiarazioni di Trump.

  • Un autocrate irresponsabile e altri che seguono i propri interessi

    Le virtù si perdono nell’interesse come i fiumi si perdono nel mare.

    François de La Rochefoucauld

    La fine degli anni ’50 del secolo passato è stato un periodo contrassegnato da duri scontri armati a Cuba. Un periodo noto anche come la rivoluzione cubana, durante il quale il movimento marxista, noto come il Movimento del 26 luglio e guidato dai fratelli Fidel e Raul Castro e da Ernesto Che Guevara, cominciò lo scontro armato con il regime di Fulgencio Batista. Un regime quello di Batista, fortemente appoggiato dagli Stati Uniti d’America, visto che a Cuba erano attive diverse loro compagnie multinazionali. Ma anche per contrastare le influenze e la presenza dell’Unione Sovietica nell’isola caraibica. Dopo circa sei anni, finalmente l’8 gennaio 1959, mentre il dittatore Batista nel frattempo era fuggito dall’isola, portando con se anche una grande ricchezza monetaria, i barbudos, i rivoluzionari con la barba, i castristi, entrarono ad Avana. Quello che accadeva in quel periodo a Cuba ha generato non poche preoccupazioni negli Stati Uniti d’America. Si, perché, oltre agli interessi economici e finanziari, dopo aver appoggiato prima Batista, gli Stati Uniti hanno cercato di stabilire buoni rapporti anche con i dirigenti del Movimento del 26 luglio. Anzi, gli statunitensi si stavano preparando ad organizzare un intervento proprio per rovesciare Batista, dopo dei colloqui anche con i castristi. Tutto però rimase solo un progetto non realizzato. Non solo ma, come si dice, oltre la beffa anche l’inganno. Si, perchè i castristi si misero subito sotto l’influenza degli avversari, a scala mondiale, degli Stati Uniti. L’Unione Sovietica allargò le sue aree d’influenza anche ai confini degli Stati Uniti, grazie alla nuova e stabile alleanza con il Movimento del 26 luglio guidato da Fidel Castro.

    Era il 2005 quando nelle sale, prima negli Stati Uniti d’America e poi in Europa, uscì il film The Lost City (Città perduta, citato anche come Avana, città perduta; n.d.a.). Era la prima volta che il noto attore di origine cubana, Andy Garcia, faceva anche il regista. Ed aveva scelto di trattare proprio il periodo dal 1958 e fino alla sostituzione della dittatura di Batista con un’altra dittatura, quella marxista di Fidel Castro. Il personaggio principale Fico Fellove, interpretato dallo stesso Andy Garcia, era il proprietario di un locale notturno molto frequentato ad Avana. Lui e i suoi due fratelli erano cresciuti in una nota e stimata famiglia. Ma mentre i due suoi fratelli erano diventati attivisti, uno del Movimento castrista del 26 luglio e l’altro del partito democratico, Fico si oppone alle varie frazioni comuniste dell’opposizione. The Lost City è un film che, con i suoi personaggi e con quello che essi affrontavano in quel periodo, cerca di portare allo spettatore quello che i cubani hanno vissuto sotto le due dittature. Fico Fellove era uno di loro. Nel film The Lost City si intrecciano anche i sentimenti dei personaggi. Il rapporto di Fico con Aurora, vedova di uno dei suoi fratelli, che aveva perso la vita durante la rivoluzione, rappresenta una colonna importante del film, in tutte le sue dimensioni. Si perché loro due si amavano veramente, ma si sentivano liberi di avere e difendere le proprie convinzioni. E Aurora, come il suo defunto marito, era una sostenitrice del Movimento castrista. Fico sente però il peso della nuova dittatura anche nella gestione del suo locale notturno, un’attività non ben vista dal regime castrista. Poi, in seguito alle statalizzazioni delle attività e delle proprietà private, Fico è stato costretto a chiudere il suo locale ed a decidere di emigrare negli Stati Uniti d’America. È stata una decisione dura e molto difficile, dovendo lasciare sia i suoi stimati genitori, la sua Avana e anche Aurora, la donna che amava. Ma non aveva altre scelte. Una volta negli Stati Uniti, Fico cominciò a lavorare in un locale dove faceva tutte le pulizie. E proprio in quel locale è andata a trovarlo Aurora, che era arrivata a New York con la delegazione cubana per partecipare ad un convegno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Loro due si incontrano e si vede la loro grande sofferenza causata dalla forzata separazione. Ma tutti e due avevano fatto le proprie scelte, che andavano oltre i sentimenti. E in una delle ultime scene del film, prima che Aurora andasse via, alla sua preghiera di ritornare ad Avana, Fico rispose, sofferente ma convinto: “Non posso essere fedele a una causa persa, ma posso esserlo a una città perduta”. Con la “causa persa” intendeva le aspettative deluse dai castristi, perché lui non poteva mai e poi mai appoggiare una nuova dittatura dopo quella di Batista. Mentre ne era convinto che sarebbe stato sempre fedele alla “città perduta”, ad Avana.

    Essere costretti a lasciare la propria famiglia, i propri cari e quel poco che si possiede, a lasciare la città, il paese dove sei nato e hai vissuto, dove hai amici e persone care, non è per niente facile. Anzi, è un dramma umano. Ma anche vivere sotto il giogo delle dittature è molto difficile e anche insopportabile. Ragion per cui milioni di persone, in diverse parti del mondo, sono stati, sono e saranno sempre costretti a lasciare tutto e scappare. Scappare spesso verso un paese del tutto sconosciuto, verso l’incognito. Scappare con la speranza, ma non con la certezza, anzi, di trovare quello che manca in patria. Partendo da quelle poche ma basilari cose, come il diritto di vivere libero, il diritto della libertà di espressione dei propri pensieri e delle proprie convinzioni, il diritto del lavoro, che dà alla persona, oltre ai mezzi di sostenimento, anche la dignità. Lasciare tutto perché si perde anche quel minimo di speranza di avere una vita migliore in patria.

    È proprio quello che spinge milioni di persone ad emigrare. Dalla notte dei tempi e in ogni parte del mondo. Ma in questi ultimi decenni, della sofferenza umana, dei profughi, ci sono anche coloro che ne approfittano. Ci sono varie organizzazioni della criminalità organizzata e dei clan occulti, che spesso si presentano come organizzazioni di beneficenza, che sfruttano quella sofferenza per guadagnare miliardi. Organizzazioni che collaborano e si coordinano tra loro e che in alcuni paesi godono anche delle coperture statali.

    Quanto sta accadendo da molti anni ormai con i profughi che scappano dalle guerre nei loro paesi natali, dagli sfruttamenti di vario genere, ne è una palese testimonianza. Quanto sta accadendo da anni ormai con i profughi provenienti da vari Paesi in Africa ed in Asia, dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan ed altri ancora dimostra la crudeltà e la spietatezza degli sfruttatori. Ma dimostra anche l’ipocrisia dei “grandi del mondo” che, come dice il proverbio, predicano bene ma razzolano male. Un’ipocrisia quella, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, dimostrata e verificata in diverse occasioni, che delude, offende  e deteriora la situazione. Quanto sta accadendo da molti anni ormai con  i grandi flussi dei profughi che scappano ne dimostra perciò anche la gravità e la pericolosità del comportamento indegno dei “grandi del mondo”. Ma purtroppo alcuni di loro hanno fatto dell’ipocrisia e della demagogia un ben esercitato mestiere. Chissà perché?!

    Da alcuni anni ormai, e soprattutto dopo il periodo noto come la primavera araba, i flussi migratori sono aumentati sensibilmente. E le ragioni sono ovvie. Guerre e conflitti armati. Sono stati non pochi i Paesi coinvolti, soprattutto tra il 2010 e 2011. Paesi del nord Africa, ma anche altri Paesi africani e del Golfo Persico. Un flusso che continua massiccio anche attualmente. Anzi adesso molto più intenso e ben provocato dagli sfruttatori. Si tratta di profughi disperati, uomini, donne e bambini, che dietro pagamenti che sono ormai stabiliti, sia come somme che come modi di attuazione, dietro garanzie che obbligano. Profughi che partono soprattutto dalle coste libiche, tunisine, siriane, ma non solo, con delle piccole e fatiscenti imbarcazioni. Profughi che non di rado partono ma purtroppo non riescono ad arrivare a destinazione. Sono migliaia coloro, compresi donne e bambini, spesso anche non accompagnati, che hanno perso la vita durante quei pericolosi attraversamenti. Basta fare riferimento a quanto è purtroppo accaduto ripetutamente sia nelle coste italiane di Lampedusa che in quelle calabresi e siciliane. Una vera e propria, una continua tragedia umana. Una tragedia, di fronte alla quale non si sta trovando ancora una soluzione istituzionale, accettabile, duratura, che rispetta le convenzioni internazionali dei diriti dell’uomo e degli emigrati. Una soluzione che impedisce lo sfruttamento delle persone e che garantisce la loro dignità. Purtroppo quanto sta accadendo da anni con il grave problema dei profughi e dei richiedenti asilo, testimonia ancora anche l’incapacità delle istituzioni internazionali comprese quelle dell’Unione europea, nonché dei massimi rappresentanti dei singoli Stati occidentali a coordirarsi, concordarsi e prendere finalmente le giuste e durature decisioni. Per poi anche rispettare le decisioni prese.

    Ma oltre ai Paesi del nord Africa, del medio e vicino Oriente, del Golfo Persico e dell’Asia, negli ultimi anni si sta verificando anche un vistoso e preoccupante aumento del numero di coloro che scappano dall’Albania. Un fenomeno quello, ripreso dopo molti anni, soprattutto dal 2015 in poi. Un fenomeno ripreso, purtroppo, in un modo veramente allarmante. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa vera, vissuta e veramente sofferta realtà (Accade in Albania, 7 settembre 2015; Crescente spopolamento come sciagura nazionale, 10 febbraio 2020; Un nuovo e più preoccupante esodo, 16 marzo 2021; Similitudini tra l’Afghanistan e l’Albania, 30 agosto 2021; ecc…). Esattamente un anno fa, riferendosi proprio ai tanti albanesi che, con il pericolo di perdere la propria vita, cercavano di arrivare nel Regno Unito, l’autore di queste righe scriveva: “…dai dati risulta che durante i primi sei mesi di quest’anno nel Regno Unito sono arrivati 2165 albanesi, 2066 afghani, 1723 iraniani, 1573 iracheni, 1041 siriani, 850 eritrei, 460 sudanesi, 305 egiziani, 279 vietnamiti e 198 kuwaitiani. I numeri parlano da soli e meglio di qualsiasi commento!” (Scontri diplomatici e governativi sui migranti; 14 novembre 2022).

    Lunedì scorso, il 6 novembre, a Roma è stato firmato, dai rispettivi primi ministri, un accordo tra l’Italia e l’Albania. Secondo quell’accordo l’Italia potrà beneficiare dei territori in Albania per organizzare e gestire due campi dove arriveranno circa 36.000 profughi all’anno per almeno cinque anni! Profughi di quelli che l’Italia non vuole e/o può tenere. Si tratta di quei profughi che le massime autorità italiane, soprattutto il primo ministro, non sono state in grado di distribuire negli altri Paesi membri dell’Unione europea. Profughi che l’Italia non ha potuto, nonostante un accordo firmato recentemente con la Tunisia, fermare ad arrivare nelle coste italiane. Ma per fortuna il primo ministro italiano ha un “caro amico” in Albania, il primo ministro albanese. Lui ha firmato subito il sopracitato accordo. Lui, un irresponsabile autocrate ha accettato la proposta. Mentre l’omologa italiana ha potuto, almeno sulla carta, curare gli interessi del suo Paese. Durante tutta questa settimana ci sono state molte reazioni critiche all’accordo sia in Italia che in Albania. Si tratta di reazioni che si riferiscono alla violazione delle convenzioni internazionali e alle normative dell’Unione europea. Ma ci sono finalmente evidenziate anche l’irresponsabilità e l’inafidabilità del primo ministro albanese. Una tra tante altre, fatta venerdì scorso da un noto comico italiano, durante un suo programma televisivo, “Fratelli di Crozza”. Farebbe bene il primo ministro italiano a trovare e vedere quel programma. Potrebbe servire a lei per conoscere, se ancora non lo sa, chi è veramente il suo “caro amico”, il primo ministro albanese. Prima che se ne deludesse.

    Chi scrive queste righe continuerà a seguire questo argomento ed informare il nostro lettore già dalla prossima settimana. Egli, nel suo piccolo, rispetta ovviamente i diritti dei profughi, ma anche quanto è previsto dalle convenzioni internazionali. Ma egli pensa che gli interessi non devono mai costringere, chicchessia,  ad ignorare le proprie virtù, ovviamente se ne ha tali. Non si deve mai permettere che, come scriveva François de La Rochefoucauld, le virtù si perdono nell’interesse come i fiumi si perdono nel mare.

  • Circa il 10% delle vittime delle inondazioni libiche erano migranti

    Il 10% circa delle persone morte nelle inondazioni che hanno colpito la Libia sono migranti, stando a quanto dichiarato alla BBC dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Secondo i dati dell’OIM, organismo delle Nazioni Unite, nel febbraio 2023 nel paese nordafricano vivevano oltre 706.000 migranti, alcuni erano lì da tempo per lavoro, mentre per la Libia era un punto di transito nel tentativo di raggiungere l’Europa.

    Secondo l’OIM sono quattrocento i migranti morti nelle inondazioni ma il bilancio delle vittime potrebbe cambiare man mano che i corpi saranno recuperati.

    Al momento per l’OIM e l’Organizzazione Mondiale della Sanità il bilancio delle vittime confermato è pari a 3.900, tuttavia, i funzionari che utilizzano metodologie diverse hanno fornito statistiche molto diverse, come il sindaco della città libica Derna che stima siano morte più di 20.000 persone.

    Derna è stata, di gran lunga, la più colpita dalle inondazioni. Due dighe sono crollate a causa delle forti piogge e parti della città sono state sommerse dall’acqua. Circa 10.000 migranti vivevano nella città portuale prima dell’alluvione e l’OIM prevede che il bilancio delle vittime sarà particolarmente alto, considerando che molti vivevano in zone pianeggianti.

  • La Commissione stanzia 14 milioni di euro per migliorare le condizioni di accoglienza a Lampedusa

    La Commissione continua a sostenere l’Italia nella gestione della migrazione. In considerazione dell’aumento del numero di arrivi via mare registrati in Italia nel 2023 e della particolare frequenza delle situazioni di sovraffollamento presso il punto di crisi di Lampedusa, la Commissione fornirà un sostegno finanziario supplementare di emergenza pari a oltre 14 milioni di euro per migliorare le condizioni di accoglienza dei migranti sbarcati nell’isola.

    Il sostegno finanziario della Commissione verrà assegnato all’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che opererà in stretto coordinamento con le autorità italiane e con l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo. Sarà data priorità ai migranti vulnerabili, in particolare ai minori non accompagnati, alle donne incinte, alle donne sole con bambini piccoli e alle persone con disabilità. Laddove necessario si provvederà a coprire le esigenze di base dei beneficiari, quali il vestiario, il cibo e l’assistenza sanitaria di base, nonché a fornire alloggi temporanei.

    Saranno garantiti anche trasferimenti sicuri da Lampedusa ad altre strutture di accoglienza in Italia.

  • Nel 2022 calo degli irregolari in arrivo in Italia, ma aumento degli sbarchi

    Con oltre 6 milioni di stranieri in Italia, al 1 gennaio del 2022, si registra una moderata crescita con 88mila presente in più rispetto a due anni fa. Sono più che raddoppiati i permessi di soggiorno e sono aumentati gli sbarchi. I dati emergono dal XXVIII Rapporto sulle migrazioni elaborato da Fondazione Ismu Ets, presentato a inizio mese all’Università Cattolica di Milano.

    Diminuisce invece del 2,5% la componente irregolare, che costituisce l’8,4% della popolazione straniera complessiva e che nel 2022 si attesta sulle 506mila unità contro le 519mila dell’anno precedente. Un calo, questo, dovuto principalmente all’avanzamento delle pratiche relative alla sanatoria 2020. Secondo quando stimato da Ismu, poi, aumentano del 127% i nuovi permessi di soggiorno, circa 242mila, un valore più che doppio rispetto al 2021, quando l’effetto Covid aveva ridotto i flussi. Circa 6 stranieri su 10 provengono da Paesi terzi (+5,6%) e i cittadini non comunitari provengono per la maggior parte da Marocco (408mila), Albania (397mila), Cina (291mila), Ucraina (230mila). In crescita il numero degli sbarchi che si sono registrati sulle coste italiane nel 2022, 105.129 in tutto con un aumento del 55,8%. I maggiori flussi provengono da Egitto (20.542), Tunisia e Bangladesh.

    Sul fronte scolastico, sempre secondo il rapporto Ismu, per la prima volta da circa 40 anni, nell’anno scolastico 2020/2021 si è verificata un’inversione di tendenza con una diminuzione del numero degli alunni con background migratorio, che risultano essere circa 865mila con una flessione di 11.413 rispetto al precedente anno scolastico. Il 45% degli alunni stranieri ha origini europee e gli studenti con cittadinanza non italiana sono originari di quasi 200 paesi differenti: più di un quarto sono africani, il 20% asiatici e circa l’8% dell’America latina. Romania, Albania e Marocco sono le comunità più numerose nelle scuole superando ciascuna le 100mila presenze. La Lombardia accoglie più di 220mila alunni con cittadinanza non italiana, confermandosi la prima regione italiana, seguita da Emilia-Romagna (104,799), Veneto (94.699), Lazio (80.051) e Piemonte (78.256). I nati in Italia rappresentano il 66,7% degli alunni con Cni. Il 27% degli studenti con cittadinanza non italiana è in ritardo scolastico.

    Per quanto riguarda infine le confessioni religiose, Ismu stima che al primo luglio 2022 i cristiani nel loro complesso rappresentino la maggioranza assoluta (53,1%) tra gli stranieri residenti in Italia.

  • In attesa di Giustizia: inutili rimedi

    Quella verificatasi a Cutro non è la prima e non sarà, purtroppo, l’ultima tragedia del mare cui dovremo assistere a causa della inarrestabile fuga dai paesi di origine di migranti oppressi da guerra, povertà e stenti di ogni genere e quello dei flussi migratori irregolari è un problema molto serio a prescindere da esiti fatali delle traversate cui non è facile per il Governo – qualsiasi governo – trovare un rimedio.

    Certamente non può esserlo, come è stato recentemente fatto, l’aumento delle sanzioni previste per gli scafisti: anzi, è l’ennesima iniziativa del tutto inutile adottata mettendo mano al codice penale.

    Per meglio illustrare quale sia lo spunto di riflessione che la rubrica offre questa settimana, è innanzitutto necessario comprendere bene chi siano davvero i c.d. “scafisti”, intesi come coloro che timonano un malconcio naviglio carico di poveri sventurati verso la destinazione. La figura finisce con il sovrapporsi, confondendosi, con quella dei trafficanti di esseri umani e la differenza non è banale.

    Nella realtà gli organizzatori di questi indegni e lucrosi traffici si guardano bene, come dovrebbe essere facilmente intuibile, anche solo dal mettere un piede su quei barconi della disperazione  condividendo con i passeggeri  i rischi altissimi della traversata: i veri, unici “scafisti” che meriterebbero di essere individuati e severamente puniti sono proprio costoro che, tutt’al più, scortano le carrette del mare fino ai limiti delle acque territoriali del Paese di partenza per poi fare rapido rientro a casa, sui loro motoscafi, abbandonando quei disperati al loro destino. Ecco: questi sono i veri criminali e non li abbiamo mai visti, né mai li vedremo nella assoluta impossibilità di identificarli chiedendo improbabili forme di cooperazione dalle Autorità Giudiziarie del Paese di provenienza.

    Ebbene, la nostra ennesima crociata contro il male che si annuncia con i tradizionali squilli tromba (“stretta sugli scafisti”, “pene più severe per gli scafisti”, “nuovi reati contro gli scafisti”), serve giusto giusto per poter scrivere titoloni sui giornali facendo mostra con i cittadini che anelano giustizia e sicurezza di una muscolatura che a quei delinquenti non fa nemmeno il solletico.

    E vi è di più: negli ultimi dieci anni sono stati arrestati e processati oltre 2500 “scafisti”. Posto che costoro non sono soliti indossare la divisa immacolata ed il cappellino da capitano, essi vengono, a regola, individuati – con intuibile ampio margine di approssimazione – tramite le dichiarazioni degli stessi migranti e dei superstiti, quando accadono naufragi. Orbene, in gran parte dei casi, coloro che sono stati indicati  (ammesso che fossero davvero imbarcati a timonare) altro non sono che migranti come gli altri, che per le più varie ragioni – ed essendo capaci di guidare un natante – si sono detti disposti ad accettare l’incarico dell’ associazione criminale di condurre il barcone; facile immaginare che questo accada per ottenere uno sconto sul costo del viaggio; oppure sono disperati disposti a rischiare la vita ed il carcere per guadagnare qualcosa.

    Per quelli che finiscono nelle nostre mani, spesso individuati con larghissimi margini di incertezza, è tra l’altro già prevista una pena fino a cinque anni di reclusione ma basta che le persone trasbordate siano più di cinque, cioè la normalità del fenomeno, per far scattare l’ipotesi aggravata, un minimo di cinque ed un massimo di quindici anni. Se poi c’è naufragio si aggiunge (almeno) l’omicidio colposo plurimo. Dunque, una aspettativa punitiva già altissima, senza alcun bisogno di novità normative.

    Nel nostro Paese, però, va così: se accade un fatto grave che, magari, interessa anche possibili responsabilità istituzionali, una sola è la risposta: nuove figure di reato, o inasprimento delle pene. E’ un riflesso populista, patrimonio comune dei governi di qualsivoglia colore politico, che usano il diritto penale non per raggiungere un seppur minimo e concreto risultato in termini di dissuasione dal delinquere, ma per lanciare tramite la narrazione mediatica il messaggio di uno Stato che reagisce con implacabile severità. Quale mai sarà il migrante che si rende disponibile a pilotare il barcone perché altrimenti non avrebbe il denaro sufficiente per imbarcarsi, o il disperato che non sa come altrimenti guadagnare nella vita, che recederà dall’intento venendo a sapere (da chi, poi?), che la pena che sta rischiando non è più di 15, ma di 20 anni?

    In compenso va in onda la consueta liturgia dello “Stato che reagisce con fermezza”, ed in attesa che giustizia sia fatta saremo tutti più tranquilli. O, forse, no.

  • In attesa di Giustizia: Bipartisan

    Cauti nella critica e generosi nella lode, in questa rubrica abbiamo magnificato in più occasioni le intraprese del Premier che ha conseguito il titolo di Professore Ordinario con i Punti Fragola dell’Esselunga (qualcuno sostiene con la raccolta, per tempo oculatamente fatta dai genitori, degli indimenticati punti VDB) e del suo discepolo prediletto: l’ilare giureconsulto assurto al seggio di via Arenula.

    Equità vuole che non vengano dimenticate altrettanto mirabolanti azioni di governo, volte a rendere l’Italia un Paese migliore, riferibili ad Esecutivi del passato: questa è una settimana dedicata all’amarcord.

    In una stagione che, climaticamente, inizia ad essere più che mai favorevole agli sbarchi di migranti sulle coste siciliane – tema sempre di attualità – è cosa buona e giusta celebrare come meritano gli interventi di inizio millennio intesi a contrastare il fenomeno.

    La premessa d’obbligo è che, all’epoca, il nostro arsenale normativo disponeva di una legge caratterizzata – se non altro – da una certa chiarezza: la c.d. “Turco-Napolitano” che in quattro punti essenziali affronta il problema. Nei primi articoli statuisce che ai cittadini stranieri sono garantiti i medesimi diritti spettanti agli italiani secondo le convenzioni ed i canoni di diritto internazionale, nonché quello di partecipazione alla vita pubblica locale riservato a coloro che fossero regolarmente soggiornanti. Viene, quindi, fatta una netta distinzione tra regolari ed irregolari.

    L’articolo 4 prevede che l’ingresso nel territorio dello Stato è consentito solo a chi sia munito di un passaporto o valido ed equipollente documento, il successivo contiene la disciplina per il rilascio del permesso di soggiorno e l’articolo 10…i respingimenti di coloro che risultino privi di tali requisiti deputati alla Polizia di Frontiera: in fondo, i medesimi principi enunciati da Matteo Salvini in maniera più pittoresca.

    Legge chiara ma, purtroppo, inefficace perché prevedeva la notifica del decreto di espulsione al soggiornante irregolare (che lo cestinava appena uscito dalla Questura) incorrendo poi nella difficoltà operativa di eseguire materialmente il provvedimento rintracciandolo e rimandandolo al Paese di provenienza.

    Ecco allora, nel 2002, abbattersi sui clandestini la implacabile “Bossi-Fini” con la previsione di nuovi reati, pene più severe e carcere per tutti. Nihil novi sub sole: il ricorso ai soliti strumenti del diritto penale che non fanno paura a nessuno con qualche “curiosità” degna di nota: per esempio la previsione dell’arresto obbligatorio per chi non avesse ottemperato al decreto di espulsione.

    Senonchè, il reato era ed è previsto come contravvenzionale e per le contravvenzioni (che non sono quelle per divieto di sosta, che si chiamano sanzioni amministrative, ma una categoria degli illeciti penali) la legge proibisce la carcerazione preventiva…il risultato fu che le Forze dell’Ordine dovevano obbligatoriamente eseguire arresti, compilare verbali, sottrarre risorse ad altri impieghi e trasmettere tutto in Procura dove il P.M. non poteva fare altro che disporre la liberazione immediata dell’arrestato. Questo, almeno, finché qualcuno se ne accorse e la legge fu modificata: nel frattempo aveva tanto inutilmente quanto inesorabilmente intasato i tribunali.

    Non ammonito da riflessioni salutari, il Governo pensò allora di ricorrere diversamente al mito della sanzione penale, ipotizzando il ricorso all’arresto in flagranza del clandestino al momento dello sbarco.

    Orbene, i sostenitori di questa opzione – parliamo di Ministri e Parlamentari della Repubblica – non avevano considerato quanto prevede la Costituzione e cioè che gli arresti in flagranza devono essere convalidati o meno da un giudice entro al massimo 96 ore.

    Alzi la mano chi, anche senza avere dimestichezza tecnica con la materia, ritiene possibile che uno sventurato G.I.P. di Agrigento o di Ragusa (per fare degli esempi) possa celebrare decine se non centinaia di udienze nel volgere di una manciata di ore e redigere anche le ordinanze conseguenti…a tacer del fatto che si sarebbe dovuto, comunque, trovare posto in carcere per queste torme di sventurati nuovi giunti. Forse, si confidava nel fatto che il Guardasigilli – un ingegnere – ne potesse progettare e realizzare di nuove e capienti, a tempo di record.

    A qualcuno, però, nelle stanze dei bottoni venne, fortunatamente ed in tempo utile, di consultarsi con un amico magistrato la cui fragorosa risata offrì risposta al quesito. E spontanea sorge la domanda: ma, i Capi di Gabinetto, gli innumerevoli magistrati fuori ruolo assegnati a Ministeri e Authority, hanno studiano giurisprudenza alle serali al buio?

    I Governi successivi continuarono a ritoccare in qualche modo – e con i risultati che ben conosciamo –   quella che è divenuta una variopinta arlecchinata normativa e gli scafisti, ben compreso con chi hanno a che fare, ringraziano.

    Malcontate, sono circa duecentocinquantamila le leggi vigenti nel nostro Paese (la media negli altri Membri UE è di circa 1/10) ed a queste si aggiungono circolari interpretative, direttive, protocolli di intesa e regolamenti…fatevi una domanda e datevi la risposta del perché la Giustizia non funziona.

  • Covid-19 spaventa gli immigrati, i permessi di soggiorno calano del 58%

    L’emergenza Covid ha più che dimezzato i flussi migratori verso il nostro Paese, un fenomeno legato alla chiusura delle frontiere da parte di molti Stati. Nei primi sei mesi del 2020 i permessi di soggiorno sono calati del 57,7% rispetto al 2019 che già aveva registrato una significativa contrazione dell’accoglienza per ragioni di asilo, diminuita del 47,4% rispetto al 2018. E nel mese di marzo, che ha segnato l’inizio del lockdown, è stato quasi azzerato il rilascio di questo tipo di permessi. A fotografare come il Coronaviurs abbia inciso anche sull’arrivo e sulla situazione dei  migranti in Italia è il report dell’Istat dedicato ai cittadini non comunitari, che rivela anche un’altra novità: l’aumento nel 2019 del 10,1% delle acquisizioni di cittadinanza da parte di “non comunitari”.

    Nei primi 6 mesi del 2019 erano stati rilasciati oltre 100mila nuovi permessi di soggiorno mentre nello stesso periodo del 2020 ne sono stati registrati meno di 43mila. La contrazione maggiore ad aprile e maggio (rispettivamente -93,4% e -86,7%). A risentire della chiusura delle frontiere e del rallentamento dell’attività amministrativa nelle prime fasi del lockdown sono state tutte le motivazioni di ingresso. La più rilevante, quella per ricongiungimento familiare, ha visto una contrazione del 63,6% mentre i permessi per richiesta asilo sono diminuiti del 55,5%.

    Anche se meno consistente in termini assoluti, significativo anche il calo degli ingressi per lavoro stagionale, su cui ha pesato molto la chiusura delle frontiere; la diminuzione in questo caso è stata del 65,1%: da 2.158 nuovi permessi per nei primi 6 mesi del 2019 a si è passati a 753 nel primo semestre di quest’anno. Con una percentuale record in Emilia Romagna, dove il crollo dei permessi per lavoro stagionale è pari al 90% rispetto allo stesso periodo del 2019.

    “La pandemia, con il blocco delle frontiere, ha impedito l’arrivo in Italia di quasi due lavoratori stagionali su 3 (65,1%) da Paesi extra Ue, con un impatto drammatico sulle attività agricole”, sottolinea la  Coldiretti, che fa notare l'”impatto” che questa situazione ha avuto sulle attività di raccolta, dalla frutta alle olive fino alla vendemmia, “in assenza di strumenti flessibili adeguati per affrontare l’emergenza”. E chiede perciò “misure per favorire l’accesso al lavoro degli italiani, come l’introduzione di voucher semplificati per consentire anche a percettori di ammortizzatori sociali, studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne”.

     

  • Al fisco gli immigrati rendono 18 miliardi

    In Italia le tasse e i contributi dei lavoratori stranieri valgono 18 miliardi. C’è un basso impatto sulla spesa pubblica: il saldo costi/benefici è di +500 milioni. Mentre dalla “sanatoria” 2020 ci potrebbe essere un gettito potenziale di 360 milioni annui. Gli occupati stranieri oggi producono il 9,5% del Pil italiano, ovvero 147 milioni di euro (l’anno scorso era il 9%), ma il potenziale è frenato da lavoro nero e presenza irregolare. E’ quanto emerge dall’edizione 2020 del Rapporto annuale sull’economia

    dell’Immigrazione dal titolo “Dieci anni di economia dell’immigrazione”, a cura della Fondazione Leone Moressa. Lo studio è stato redatto con il contributo della Cgia di Mestre e il patrocinio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), dei ministeri degli Esteri e dell’Economia e dell’Università Cà Foscari di Venezia.

    Dal 2011 l’Italia ha di fatto, evidenzia il Rapporto, chiuso la porta agli immigrati extra-comunitari in cerca di lavoro, che per entrare in Italia hanno potuto usare solo i ricongiungimenti familiari o le richieste d’asilo. Oggi gli occupati stranieri in Italia sono 2,5 milioni e negli ultimi 10 anni sono aumentati di 600mila unità (+31% dal 2010). È un’occupazione concentrata prevalentemente nelle professioni meno qualificate, pertanto al momento è complementare rispetto all’occupazione italiana. I lavoratori stranieri sono prevalentemente uomini (56,3%) e 7 su 10 hanno un’età compresa tra 35 e 54 anni. Oltre la metà ha come titolo di studio la licenza media, mentre solo il 12% è laureato. Il valore aggiunto generato dai lavoratori stranieri è di 146,7 miliardi di euro, pari 9,5% del Pil. Valore ridimensionato, evidenzia il Rapporto, da presenza irregolare, lavoro nero e poca mobilità sociale.

    Altro aspetto sottolineato nel rapporto è che gli stranieri sono in aumento, ma gli ingressi per lavoro sono in calo. Dal 2010 ad oggi gli stranieri residenti in Italia sono passati da 3,65 a 5,26 milioni (+44%), arrivando a rappresentare l’8,7% della popolazione (e superando il 10% in molte Regioni). Tuttavia, i nuovi permessi di soggiorno sono complessivamente diminuiti del 70%, a causa di una riduzione drastica di quelli per lavoro (-97%): gli stranieri (extra-comunitari) oggi arrivano soprattutto per ricongiungimento familiare o motivi umanitari.

    Nel documento un capitolo è dedicato all’espansione delle imprese straniere. Nell’ultimo decennio l’imprenditoria straniera, infatti, è stata uno dei fenomeni più significativi: gli imprenditori nati in Italia sono diminuiti (-9,4%), mentre i nati all’estero sono aumentati (+32,7%). Le nazionalità più numerose sono Cina, Romania, Marocco e Albania, ma la crescita più significativa si registra tra gli imprenditori del Bangladesh e del Pakistan. Il 95% delle imprese a conduzione straniera è di proprietà straniera “esclusiva”, quindi senza soci italiani. Le imprese straniere producono un valore aggiunto di 125,9 miliardi, pari all’8,0% del totale. L’incidenza maggiore si registra nell’edilizia (18,4% del valore aggiunto del settore).

    Per quanto riguarda l’impatto fiscale per l’Italia ci sono più benefici che costi. I contribuenti stranieri in Italia sono 2,29 milioni e nel 2019 hanno dichiarato redditi per 29,08 miliardi e versato Irpef per 3,66 miliardi. Sommando addizionali locali e contributi previdenziali e sociali si arriva a 17,9 miliardi. Oggi il saldo tra entrate (Irpef, Iva, contributi, ecc.) e costi (scuola, sanità, pensioni, ecc.) dell’immigrazione è ancora positivo (+500 milioni). Gli stranieri sono giovani e incidono poco su pensioni e sanità, principali voci della spesa pubblica. Ma i lavori poco qualificati e la poca mobilità sociale – avverte lo studio – possono portare nel lungo periodo ad un saldo negativo.

     

     

  • In Italia 3,7 milioni di extracomunitari in regola, all’inizio del 2019

    Al primo gennaio 2019 i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia sono 3.717.406 (+2.472 unità rispetto all’anno precedente), provenienti principalmente da Marocco, Albania, Cina e Ucraina, che coprono il 38% delle presenze. L’incidenza dei minori è pari al 21,7%. E’ quanto emerge dai nuovi Rapporti annuali sulle comunità migranti in Italia, curati dal Ministero del Lavoro, con la collaborazione di Anpal Servizi.

    I permessi rilasciati per motivi di lavoro rappresentano il 6% dei nuovi titoli. Cresce ancora la quota di titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo sul totale dei regolarmente soggiornanti (62,3%). Sono 103.478 i cittadini di origine non comunitaria diventati italiani nel corso del 2018, provenienti principalmente da Albania (21.841), Marocco (15.496), Brasile (10.660) e India (5.425).

    Il 7,4% della forza lavoro è di cittadinanza non comunitaria. Nel 2018 il tasso di occupazione della popolazione proveniente da Paesi Terzi in Italia è pari al 60,1%, a fronte del 58,2% registrato tra gli italiani.

    Relativamente alla partecipazione al mondo del lavoro della componente femminile della popolazione si registrano differenze macroscopiche tra le comunità: a fronte di un tasso di disoccupazione medio femminile per i cittadini non comunitari pari al 17,1%, l’indicatore tocca il valore più basso nelle comunità filippina e cinese (rispettivamente 3,1% e 4,7%), mentre risulta elevatissimo per le donne tunisine (51,4%) e senegalesi (40,2%).

    Il 79% delle imprese a conduzione straniera è guidato da cittadini non comunitari. Crescono in particolare le imprese individuali guidate da cittadini non comunitari in Italia che a fine 2018 sono 379.160, un numero in crescita dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Le comunità più rappresentate tra gli imprenditori individuali extra Ue sono la marocchina (17,7%), la cinese (14%), l’albanese (8,5%) e la bangladese (8,2%).

    Complessivamente, fra il 2017 e il 2018 le rimesse dall’Italia verso il resto del mondo sono cresciute del 14%, raggiungendo i 5,8 miliardi di euro. Nei primi cinque paesi di destinazione delle rimesse in uscita dall’Italia ci sono quattro Paesi asiatici: il Bangladesh, primo paese di destinazione (12,1%), le Filippine, al terzo posto, con il 7,6% dei volumi, il Pakistan (6,1%) e l’India (5,6%).

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