infortunio

  • Spese coatte: a fine gennaio scade il termine per rinnovare l’assicurazione contro gli infortuni domestici

    L’assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico, istituita dalla legge 493 del 1999, è obbligatoria per tutte le persone di età compresa tra i 18 e i 67 anni che, a titolo gratuito e senza vincolo di subordinazione, si occupano della cura della propria casa e dei propri familiari in modo abituale ed esclusivo.

    Modalità di iscrizione o di rinnovo. La polizza può essere attivata in qualsiasi momento; per chi è già iscritto, la scadenza per il rinnovo è fissata al 31 gennaio 2025. Il pagamento può essere effettuato facilmente online tramite il servizio PagoPA, e se il versamento avviene entro la scadenza, la copertura decorre dal 1° gennaio. Se il pagamento è in ritardo, la polizza partirà dal giorno successivo al versamento.

    L’iscrizione avviene esclusivamente tramite i servizi online dell’Inail, a cui è possibile accedere tramite credenziali Spid, Cie o Cns. La polizza ha validità dal giorno seguente al pagamento del premio.

    Il costo dell’assicurazione è di soli 24 euro all’anno, deducibile fiscalmente, e a carico dello Stato per le famiglie a basso reddito.

    Tramite i servizi telematici è possibile, inoltre, visualizzare sia la situazione assicurativa con i pagamenti effettuati, sia scaricare il certificato annuale di iscrizione per ogni finalità di legge.

    La tutela assicurativa. La polizza ha lo scopo di tutelare gli assicurati contro gli infortuni domestici, ossia gli eventi accidentali, non intenzionali, che si verificano nell’abitazione o nelle sue pertinenze, come giardini, balconi, cantine, soffitte e anche le aree comuni del condominio, durante lo svolgimento di attività domestiche. La protezione si estende anche alle piccole riparazioni fai-da-te e alla cura degli animali domestici, come cani, gatti, pappagallini, conigli, criceti, ecc., che fanno parte integrante della vita familiare.

    È considerata al pari dell’abitazione in cui dimorano l’assicurato e la sua famiglia anche la casa in affitto in cui si trascorrono le vacanze, purché si trovi sul territorio nazionale.

    Le prestazioni offerte dall’assicurazione. La polizza prevede diverse prestazioni che comprendono una rendita diretta, che oscilla da un minimo di 119,23 euro a un massimo di 1.454,08 euro, per inabilità permanente al lavoro pari o superiore al 16%; una prestazione una tantum rivalutabile, attualmente pari a 337,41 euro, per infortuni che comportano un’inabilità permanente compresa tra il 6% e il 15%, e una rendita ai superstiti in caso di morte dell’assicurato, dell’importo massimo di 1.454,08 euro.

    Per gli infortuni domestici, con esito mortale, è prevista anche l’erogazione a favore dei superstiti, o di chiunque dimostri di aver sostenuto le spese funerarie, di un assegno una tantum di 12.240,00 euro, e un’ulteriore prestazione una tantum a carico del Fondo vittime gravi infortuni. Ai titolari di rendita per inabilità permanente assoluta al 100%, che versano in condizioni particolarmente gravi è corrisposto l’assegno mensile per l’assistenza personale continuativa (APC), pari ad euro 667,12.

    Per ulteriori informazioni e chiarimenti sui requisiti di assicurazione e sulle modalità di iscrizione e pagamento del premio si può: chiamare il contact center Inail, dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00, raggiungibile esclusivamente al numero 06.6001, disponibile sia da rete fissa sia da rete mobile secondo il piano tariffario del gestore telefonico di ciascun utente; consultare il sito www.inail.it > Attività e servizi > Assicurazione > Assicurazioni speciali > Lavoro domestico, ove troverà tutti i documenti e le indicazioni relative all’assicurazione.

    Ci si può anche rivolgere a una qualsiasi sede Inail o inviare un’e-mail ad una delle seguenti associazioni delle casalinghe: Obiettivo famiglia/Federcasalinghe: federcasalinghe.segreteria@gmail.com; Movimento italiano casalinghe-Moica: moicanazionale@moica.it; Sindacato casalinghe lavoratrici europee-Scale Ugl: scale@ugl.it.

    Per inoltrare specifiche richieste, anche in relazione alle modalità di accesso e di utilizzo ai servizi online, e per richiedere assistenza, si può utilizzare il canale di accesso telematico ‘Inail risponde’ presente sulla barra blu del portale www.inail.it e raggiungibile alla voce ‘Supporto’.

  • L’Inail equipara il coronavirus all’infortunio sul lavoro, ma limita la responsabilità del datore di lavoro

    Con una propria circolare, l’Inail ha stabilito che il contagio da coronavirus va considerato un infortunio sul lavoro. “Le patologie infettive (vale per il COVID-19, così come, per esempio, per l’epatite, la brucellosi, l’AIDS e il tetano) contratte in occasione di lavoro sono da sempre inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro poiché la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo” si legge nella circolare.

    La circolare n. 22 dell’ente su ‘Tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da coronavirus’ precisa inoltre che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio da Covid-19 non comporta peraltro alcuna responsabilità civile e penale del datore di lavoro; quest’ultima sussiste solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche. Nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, si legge nel documento, violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche “si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del d.l. 16 maggio 2020, n.33”. “Il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro – si legge ancora nella circolare – non è certo bastevole per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Sars-Cov-2, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero. Circostanza questa che ancora una volta porta a sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario”.

  • In attesa di Giustizia: vite in pericolo

    Recentemente sono stati pubblicati i dati forniti dall’INAIL  relativi agli infortuni sul lavoro che consegnano numeri allarmanti per uno dei Paesi più industrializzati del mondo che dovrebbe avere a cuore la salute dei lavoratori e disporre di strumenti e risorse per marginalizzare i rischi collegati alla igiene e sicurezza sul luogo di impiego: 1.218 incidenti mortali nel 2018 – cui si sommano quelli con lesioni di varia entità, anche molto gravi – e già 685 nei primo otto mesi del 2019 a fronte di oltre 400.000 denunce per infortuni e malattie professionali, 17.000 mila decessi negli ultimi dieci anni: un bollettino di guerra.

    Landini, nell’occasione, non ha mancato di lamentare la mancanza di presidi normativi in materia, la cui dislocazione sarebbe opportuna con finalità preventive e dissuasive rispetto ad una minore attenzione dedicata tanto alla formazione del personale, quanto alla cura degli ambienti di lavoro ed – ovviamente – alla dotazione di adeguati dispositivi di protezione individuale.

    Il ragionamento di Landini non è del tutto condivisibile fatta la doverosa premessa che è inaccettabile una media di quasi tre caduti al giorno sul lavoro: il che segnala inequivocabilmente che qualcosa, più di qualcosa, si registra in termini di carenza nel delicato settore della sicurezza frutto probabilmente di risparmi delle imprese nella formazione, nell’utilizzo di mano d’opera a basso costo ma non specializzata,  e della fornitura delle protezioni (caschi, guanti, occhiali, cinture di sicurezza, mascherine ecc.), inadeguata preparazione degli addetti alle mansioni più a rischio, scarso presidio dei responsabili.

    Il sindacalista ha ragione anche nel rilevare che il numero degli Ispettori del Lavoro è inadeguato essendosi dimezzato negli ultimi anni senza che si sia provveduto ai rimpiazzi ma una normativa che potrebbe svolgere una funzione utile esiste già ed è prevista dal decreto legislativo 231/2001 che prevede, oltre alla già prevista responsabilità penale di imprenditori e addetti alla sicurezza, quella dell’impresa in cui si siano verificati infortuni mortali o con conseguenze lesive gravi per colpa nella organizzazione ed in particolare proprio per avere conseguito vantaggi economici risparmiando nei modi descritti.

    La disciplina è molto severa, prevede che l’accertamento delle colpe dell’impresa sia affidato alla magistratura penale e che le sanzioni possano essere molto severe, principalmente di natura economica senza la possibilità di avere sconti  o di evitare di pagare una volta intervenuta la condanna.

    Il punto è che, misteriosamente, l’A.G. applica molto di rado il decreto legislativo 231/01 sebbene preveda la responsabilità delle aziende anche per altri reati di comune commissione da parte dei suoi manager/dipendenti, come la corruzione: basti dire che nel 2017 la Sede Giudiziaria che ha applicato il numero maggiore di volte questa legge (soprattutto in occasione di crimini contro la Pubblica Amministrazione) è stata quella di Milano in 27 casi e ci sono Tribunali dove in quasi vent’anni non è stata mai applicata, come a Treviso, nell’operoso Nord Est. Si dirà, come mai? Le ragioni sono diverse ma quella fondamentale risiede nel fatto che l’azione contro le imprese – che sono persone giuridiche – non è di natura penale (che sarebbe vietata dalla Costituzione) e, quindi, obbligatoria ma è a carattere amministrativo, come tale eludibile.

    Resta quasi isolata l’iniziativa giudiziaria nella tragedia torinese che colpì i lavoratori della Tyssen, ormai alcuni anni addietro.

    E siamo, dunque, alle solite: le leggi ci sono, basta applicarle senza ricorrere a nuovi strumenti o prevedendo innalzamenti di pene. Una normativa che colpisce l’azienda è sicuramente più efficace del codice penale che tocca solo singole persone fisiche, sostituibili e – a volte – sacrificabili: se ne faccia uso  e l’attesa di Giustizia non sarà vana.

     

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