infrastrutture

  • La ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli cattivo affare per le aziende italiane?

    Il consorzio italiano Aeneas chiede di fare chiarezza riguardo al mega-progetto per la ricostruzione dell’Aeroporto internazionale di Tripoli, attualmente bloccato “senza preavviso e senza motivo apparente” da parte del Governo di unità nazionale (Gun). Elio Franci, presidente dell’alleanza italiana di imprese che nel 2017 si è aggiudicata il contratto per il ripristino dello scalo aereo tripolino, distrutto da ben due conflitti (2014 e 2019-20), racconta le proprie preoccupazioni in un’intervista a “Agenzia Nova”. Franci denuncia il blocco irregolare di parte dei pagamenti, trattenute non contrattualizzate e la mancata erogazione dei finanziamenti previsti. “Attualmente siamo in una fase di stallo, con la possibilità di subentro da parte di un subappaltatore locale”, ha denunciato Franci, evidenziando le difficoltà che il consorzio sta affrontando nella realizzazione di un progetto considerato “strategico” sia per l’Italia che per la Libia.

    Il contratto, del valore di decine di milioni di euro, per la realizzazione di due terminal – uno nazionale e uno internazionale – era stato firmato ormai sette anni fa dall’allora Governo di accordo nazionale (Gna), guidato da Fayez al Sarraj. I terminal, secondo il progetto, coprono complessivamente circa 30mila metri quadrati e possono gestire circa sei milioni di passeggeri all’anno. Tuttavia, i lavori assegnati al consorzio italiano Aeneas sono stati sospesi più volte a causa del conflitto armato che, dall’aprile 2019 al giugno 2020, ha interessato direttamente lo scalo aereo, oltre che a causa della pandemia di Covid-19 e alle recenti problematiche relative ai subappaltatori. Franci ha sottolineato che sia Paolo Gentiloni che Mario Draghi erano intervenuti attivamente per tutelare gli interessi italiani: “Anche l’attuale governo ha preso iniziative in tal senso, intervenendo meno di sei mesi fa. Ci auguriamo che questa linea di sostegno continui”.

    Il fascicolo sarà probabilmente rivisto durante il Business forum economico libico-italiano, in programma per il 29 ottobre. Fonti libiche segnalano la possibile partecipazione della presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, sebbene la sua presenza non sia ancora stata confermata. Se dovesse partecipare, sarebbe la quarta visita di Meloni in Libia in un anno e mezzo. “Mi aspetto chiarezza”, afferma il presidente del consorzio. “Saremmo lieti di ricevere un ulteriore intervento del governo. Voglio sottolineare che l’ambasciata d’Italia a Tripoli continua a fornirci supporto, un sostegno che non è mai venuto meno”. Franci spiega che il consorzio ha già completato oltre il 50 per cento dei lavori. “Abbiamo quasi completato la sopraelevazione della struttura; ora dobbiamo terminare la parte interna del terminal, che occupa una superficie di 30 mila metri quadrati”, spiega.

    La manodopera è prevalentemente locale, con circa 300-350 operai attivi sul sito, a cui si aggiungono circa sette persone assunte direttamente dal consorzio. Nella seconda fase, si prevede che il personale italiano o europeo arrivi a circa 30 unità extra libiche. “Stiamo realizzando una serie di corsi di formazione per preparare il personale locale. Li accompagneremo nei prossimi due anni per garantire un avvio efficiente del sistema, seguendo un approccio che applichiamo regolarmente in altre divisioni”, aggiunge Franci. Per quanto riguarda le tempistiche, Franci chiarisce che i ritardi non possono essere imputati alla parte italiana: “Avevamo stimato un periodo di realizzazione compreso tra i 15 e i 18 mesi, ma il problema principale è sempre stato di natura finanziaria. Il contratto non ha mai avuto una copertura finanziaria completa. Tuttavia, abbiamo comunque proseguito con i lavori per non interrompere il progetto. Abbiamo mantenuto una presenza attiva anche nei momenti di incertezza tra le diverse amministrazioni governative”.

    Vale la pena sottolineare che l’interscambio commerciale tra Italia e Libia supera i 9 miliardi di euro all’anno, con l’Italia che si posiziona come principale importatore, terzo esportatore verso la Libia e primo partner per interscambio in generale. Grazie alle sue ricchezze petrolifere, il Paese nordafricano rappresenta un mercato promettente per le imprese italiane, già attive in progetti infrastrutturali ed energetici. Un esempio significativo è l’accordo da 8 miliardi di dollari tra la National Oil Corporation (Noc) libica ed Eni relativo alle strutture offshore A&E, un progetto strategico volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire il mercato interno libico, oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. Il settore rappresenta il fulcro della cooperazione tra Libia e Italia, ma la collaborazione si estende a una vasta gamma di ambiti strategici per il futuro di entrambi, a partire delle infrastrutture.

    Il ripristino del volo diretto tra Roma e Tripoli, avviato il 30 settembre 2023 e formalmente regolato a dicembre 2023, ha peraltro fornito un’importante iniezione di fiducia. L’Italia, unica nazione dell’Europa continentale a operare voli diretti verso la Libia, dal momento che Malta è un’isola, ha manifestato l’intenzione di sostenere il Paese nordafricano nel rafforzare la sua proiezione internazionale, facilitando l’avvio di ulteriori collegamenti. Tuttavia, i partner italiani, europei e internazionali potrebbero percepire negativamente l’impossibilità del consorzio italiano Aeneas di concludere lavori previsti dal contratto a causa di problemi finanziari. Al contrario, il completamento del nuovo aeroporto, progettato per essere molto più grande di Mitiga, l’unico scalo aereo a servire attualmente la capitale della Libia, permetterebbe di aumentare significativamente il numero di voli verso altre destinazioni. In questo modo, la Libia potrebbe non solo consolidare i legami con l’Italia, ma anche ampliare la sua rete di collegamenti aerei con il resto del mondo.

  • La Banca mondiale finanzia l’elettrodotto tra Italia e Tunisia

    Il progetto Elmed, il piano per costruire un’interconnessione elettrica tra Tunisia e Italia, è stato al centro delle discussioni tra la ministra tunisina dell’Industria, delle Miniere e dell’Energia Fatma Thabet Chiboub e i vertici della Banca mondiale. Durante l’incontro, cui hanno partecipato Ahmadou Moustapha Ndiaye, direttore regionale per il Maghreb e Malta, e Paul Noumba, direttore esecutivo per il Nord Africa e il Medio Oriente, è emersa l’importanza di Elmed come “ponte energetico” tra le due sponde del Mediterraneo.

    Elmed collegherà i sistemi elettrici dell’Europa e del Nord Africa, grazie alla sinergia e alla cooperazione tra Terna, gestore della rete italiana, e Steg, la controparte tunisina. La Banca mondiale ha approvato un finanziamento di 268,4 milioni di dollari per sostenere questo progetto strategico, destinato alla costruzione di una stazione di conversione e al rafforzamento della rete elettrica tunisina. Inoltre, il progetto è parte del Country Partnership Framework (Cpf) tra Tunisia e Banca mondiale per il periodo 2023-2027.

    Il progetto Elmed prevede un investimento totale di circa 850 milioni di euro, di cui oltre 300 milioni finanziati dal Connecting Europe Facility (Cef), il fondo dell’Unione europea per lo sviluppo delle infrastrutture energetiche. La Commissione europea ha dimostrato l’importanza strategica di Elmed, destinando oltre la metà del budget disponibile del bando 2022 al progetto. L’elettrodotto si estenderà per circa 220 chilometri, collegando la stazione elettrica di Partanna, in Sicilia, a quella di Mlaabi, nella penisola di Capo Bon in Tunisia. Di questi, circa 200 chilometri saranno coperti da un cavo sottomarino, con una potenza prevista di 600 megawatt e una profondità massima di circa 800 metri lungo il Canale di Sicilia. Un’infrastruttura di questa portata non ha precedenti in termini di coordinamento tra gestori di rete, istituzioni, banche e territori coinvolti.

    Il progetto Elmed punta a garantire una maggiore sicurezza, sostenibilità e resilienza nell’approvvigionamento energetico, favorendo anche l’incremento degli scambi di elettricità prodotta da fonti rinnovabili tra Europa e Nord Africa. Questo si inserisce nella più ampia strategia energetica della Tunisia, che mira a ridurre le emissioni di carbonio del 45 per cento entro il 2030 e a promuovere la crescita economica attraverso investimenti in tecnologie pulite. La Tunisia sta accelerando il suo percorso verso un futuro energetico sostenibile, con l’obiettivo di portare l’energia rinnovabile al 35 per cento del consumo totale entro il 2030, rispetto all’attuale 7 per cento. A tal fine, l’esecutivo tunisino sta incoraggiando investimenti sia nazionali che internazionali, in collaborazione con il settore privato, per sviluppare progetti in linea con l’accordo di Parigi sul clima.

    Durante l’incontro, Ndiaye ha ribadito l’impegno della Banca mondiale a sostenere la Tunisia nella sua transizione energetica, mentre Chiboub ha sottolineato l’importanza del supporto tecnico e finanziario internazionale. La Tunisia ambisce a garantire un approvvigionamento energetico sicuro e accessibile per tutti, mentre sviluppa infrastrutture per l’uso di energie rinnovabili nel settore pubblico, come edifici e illuminazione municipale. Infine, il governo tunisino ha raccomandato la creazione di un decreto che obblighi le istituzioni pubbliche all’uso delle rinnovabili, con un potenziale risparmio energetico di oltre 200 milioni di euro e una riduzione delle emissioni di gas serra pari a 147mila tonnellate di CO2 equivalente.

  • Sete di acqua e di giustizia

    C’è un territorio bellissimo, ricco di storia millenaria, di culture che sono intrecciate nei secoli, di monumenti e vestigia di passati lontani che tutto il mondo invidia. Un territorio arricchito da montagne con, tutto attorno, un  mare  dalle mille sfumature, un territorio dove, purtroppo, a  volte malavita e politica si sono alleate creando tragedie e lutti.

    Sicilia fiera e sofferente, assetata di acqua, Sicilia senza ferrovie e strade adeguate, come tutti sanno da decenni, Sicilia con i rubinetti asciutti per milioni di abitanti e le file di autobotti e le coltivazioni un’altra volta a rischio o già perse e gli animali muoiono.

    Sicilia senza acqua l’altro ieri, ieri, oggi, governatori e ministri distratti o collusi, impotenti o troppo potenti nell’occuparsi dei loro affari invece che di quelli dei siciliani e perciò degli italiani?

    Cosa ha accecato Berlusconi e poi altri, fino ad arrivare a Salvini, inducendoli a credere che il ponte sullo Stretto potesse rappresentare sviluppo  economico in un territorio nel quale mancano le più normali vie di comunicazione, crollano ponti appena fatti ma, sopratutto, si muore di sete perché nessuno ha provveduto, nei decenni, a costruire le infrastrutture per l’acqua?

    Accecati o interessati ad altro? Ignoranti del problema o consapevoli che certi problemi portano sviluppo alle attività criminali, che vendono anche l’acqua?

    La Sicilia ha sete, l’acqua è necessaria per vivere, il governo dia l’acqua prima di pensare al Ponte e Salvini costruisca i binari per i treni e le strade prima di buttare via altro denaro per un ponte che, se non ci sarà una svolta immediata, unirà solo due regioni, Calabria e Sicilia, entrambe prive di strade e ferrovie e assetate di acqua e di giustizia.

  • Le priorità dell’Italia

    La manovra finanziaria non è ancora nota nel testo definitivo ma da tempo infuriano polemiche su bozze più o meno veritiere o inventate.

    Si spera che tutti siano consapevoli delle difficoltà che il governo deve affrontare per dare aiuti a chi ne ha più bisogno e per risolvere problemi complessi, in una situazione di emergenza mondiale per l’intensificarsi dei conflitti, per l’inflazione ancora troppo alta, per l’aumento dei tassi e per l’oggettiva presenza di poche risorse disponibili.

    In molti ritengono, noi compresi, che in questa situazione le opposizioni dovrebbero mostrare maggiore capacità di confrontarsi sui problemi reali invece di affidarsi alle solite sterili dichiarazioni  per dire sempre no a tutto.

    La mancanza di una opposizione capace, senza pregiudizi a priori e in grado di offrire proposte ragionevoli e realizzabili, rende il Paese più povero, rende la completezza della democrazia più a rischio, nega agli italiani un oggettivo diritto di scelta per le competizioni elettorali, come si vede dal continuo aumento dell’assenteismo.

    Sul problema assenteismo pesa anche il rifiuto che i cittadini hanno per leggi elettorali che li hanno privati del loro diritto di scegliere le persone che devono rappresentarli mentre le liste bloccate danno ai leader di partito il potere di decidere chi dovrà essere eletto, spesso mettendo in lista persone  a loro “obbedienti” anche se meno qualificate.

    Non è certo il momento, esaminata con lucidità e consapevolezza la situazione nel suo complesso, di pensare al ponte sullo Stretto mentre rimane incomprensibile, quando si parla di aiuti alla famiglia, alle donne ed alla natalità, il ventilato aumento dell’IVA  sui pannolini.

    Una volta in più ricordiamo, al governo ed alle opposizioni, che le priorità dell’Italia sono, oltre ovviamente dare sicurezza alle categorie svantaggiate ed alle imprese come fonte di lavoro, risolvere tutti i problemi legati alle calamità naturali già avvenute, la messa in sicurezza del territorio, per cercare di prevenire il più possibile altre tragedia, eliminare le pericolosità di strutture pubbliche, partendo dai cavalcavia, dai ponti e dalle scuole,ristrutturare la  rete idrica nazionale che, perdendo gran parte dell’acqua potabile, procura un danno irreversibile.

  • Italia in ritardo sulle opere, speso lo 0,4% del Pil

    Italia in ritardo sulle infrastrutture e con i cittadini insoddisfatti di strade e servizi: spendiamo la metà dei grandi Paesi Ue e negli ultimi 10 anni abbiamo investito nel settore lo 0,4% del Pil, la metà rispetto alla Francia (0,9%).  Mentre la Gran Bretagna ha investito lo 0,8%, seguita da Germania 0,7% e Spagna (0,6%).

    E se il nostro ritardo infrastrutturale non è una novità, a scattare una fotografia della situazione, numeri alla mano, sono i primi dati  di un rapporto, “Sussidiarietà e governo delle infrastrutture”, realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, che sarà presentato in autunno. Dal 2010 al 2020 la Penisola ha speso complessivamente per la costruzione e manutenzione di infrastrutture di trasporto circa 98,3 miliardi di euro. Molto meno dei maggiori partner europei. Gli investimenti hanno superato i 227 miliardi di euro in Germania, 223 in Francia e 186 in Gran Bretagna. Solo la Spagna ha fatto meno di noi con 90 miliardi di euro.

    Un realtà che dovrà cambiare presto, spiega il vicepremier e ministro Matteo Salvini. “Nei prossimi mesi ci saranno investimenti senza precedenti soprattutto per strade, autostrade, ferrovie e dighe: parliamo di 4mila cantieri solo per opere ferroviarie e stradali e 125 miliardi di investimenti esclusivamente per far correre di più e meglio i treni”, afferma. Dei ritardi i cittadini d’altronde ne hanno consapevolezza visto che l’Italia – ricorda il rapporto Fps – è all’ultimo posto fra i 28 paesi Ocse per la soddisfazione degli utenti delle infrastrutture (trasporto, energia, telecomunicazioni, acqua, etc.): appena il 18%, rispetto alla media generale del 38% e ai maggiori partner europei come Francia (53%), Germania (51%) e Gran Bretagna (35%).

    Il 68% degli utenti italiani, inoltre, ritiene che non si sia fatto abbastanza per la realizzazione di infrastrutture, contro una media Ocse del 58%. Il rapporto certifica pure  che la maggior parte degli italiani si muove con le auto private e che c’è una grande disparità di servizi tra Nord e Sud. E ben 3 quarti degli utenti italiani ritengono che un incremento degli investimenti in infrastrutture contribuisca alla crescita del Paese e crei nuovi posti di lavoro.  Attenzione però a come le cose verranno fatte, avverte però Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: “Le infrastrutture di cui ha bisogno il Paese devono essere realizzate in modo sostenibile e coinvolgendo i territori e i corpi intermedi che rappresentano la società civile, invece di essere calate dall’alto”.

  • Crolla un altro ponte

    In provincia di Pisa, sulla provinciale 329, la sera del primo dicembre è improvvisamente crollato un ponte sul quale scorre un traffico molto intenso, solo il caso ha impedito che ci fossero diverse vittime.

    In attesa di nuovi accertamenti, per definire se il crollo sia stato causato dal totale cedimento di un pilastro o da altri ammaloramenti, e in attesa delle opere di demolizione, che porteranno via qualche mese per poi posizionare un ponte Bailey che consentirà il ripristino della viabilità, i cittadini potranno ringraziare Dio per non essere stati sul ponte al momento del crollo e dovranno sopportare tutti i disagi che dureranno molto tempo.

    Forse non solo a me ma anche a tutti gli automobilisti sfuggiti all’ennesimo crollo di un ponte verranno alla mente tutti i ponti e i  cavalcavia che, dopo i controlli effettuati a seguito del crollo del ponte di Genova, sono stati dichiarati bisognosi di immediate opere per la messa in sicurezza.

    Sembra però, al momento, che al Ministro Salvini interessi più il ponte sullo Stretto che rimettere in sesto la rete stradale nazionale e rendere sicuri ponti e cavalcavia.

    Speriamo che questa ultima ennesima tragedia, evitata solo per pura fortuna, ricordi al Ministro che bisogna intervenire con urgenza sia con nuovi e approfonditi controlli che eseguendo le opere necessarie.

    I pochi o tanti soldi dei quali dispone il Governo devono prima di tutto servire per questi interventi e per tutti quelli necessari a garantire l’incolumità delle persone, basta pensare ai tanti edifici scolastici ed alle abitazioni pericolanti. Poi potremo parlare del ponte sullo Stretto per il quale si è già speso troppo rispetto a quanto non si è speso per strade e ferrovie in Calabria e in Sicilia.

  • Gli italiani sono attratti dall’auto 100 volte più che dalla bicicletta

    L’Italia investe per l’auto quasi 100 volte di più di quello che investe per la bici: 98 miliardi di euro contro 1. E questo solo per l’automotive e le infrastrutture stradali, senza contare la riduzione delle tasse sui carburanti (accise) e i sussidi a questi.

    Il risultato è che le città italiane hanno in media appena 2,8 chilometri di ciclabili per abitante, contro i 14 di Amsterdam e gli 8 di Copenhagen. Eppure, basterebbe spendere 3,2

    miliardi di euro in sette anni, 500 milioni all’anno da qui al 2030, per dare all’Italia una rete di ciclabili al livello dell’Europa. I numeri li ha dati un rapporto dal titolo eloquente, “L’Italia non è un paese per bici”. L’hanno preparato le ong ambientaliste Clean Cities, Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), Kyoto Club e Legambiente.

    Quello che esce dallo studio è il ritratto di un Paese  stregato dall’automobile, dove tutte le politiche della mobilità da 60 anni a questa parte sono incentrate sul mezzo privato, dove la bicicletta è vista come un giocattolo per il weekend, non come un mezzo di trasporto ecologico e sostenibile.

    I 2,8 km di piste ciclabili per abitante sono in realtà la media fra alcune città del Nord a livelli scandinavi (Modena, Ferrara e Reggio Emilia hanno dai 12 ai 15 km per abitante) e molte città del Sud a livello africano, con 0 km di ciclabili.

    Le ciclabili sono cresciute del 20% tra il 2015 e il 2020, ma oltre un terzo dei comuni non ha costruito un solo chilometro in più, o ne ha addirittura rimossi alcuni. Le disparità territoriali sono grandissime: nella top 10 ci sono solo città del Nord, mentre in coda alla classifica si trovano quasi solo città del Centro-Sud.

    Secondo il rapporto, per colmare il gap con il resto d’Europa, alle città italiane servirebbero 16.000 km di ciclabili in più rispetto al 2020, per arrivare un totale di 21.000 km al 2030.

    L’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 7 anni, pari a 500 milioni di euro all’anno. Non sono pochi soldi, ma sono appena il 3,5% di quelli già stanziati per l’auto e le sue infrastrutture. E sono molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità.

    Le quattro organizzazioni che hanno presentato il rapporto chiedono al Parlamento e al Ministero delle Infrastrutture di approvare un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di mezzo miliardo di euro l’anno fino al 2030.

  • Salvini e i porti

    Come primo atto di  Salvini, come Ministro delle Infrastrutture, ci saremmo aspettati, come sempre troppo ingenui e fiduciosi, che si mettesse all’opera sui dossier che riguardano le tante situazioni pericolose che minacciano la vita degli italiani: università e cimiteri che crollano, scuole gravemente dissestate che possono ogni giorno creare nuovi disagi e vittime, cavalcavia, ponti, strade a rischio continuo, lavori e controlli mai fatti, opere iniziate da mesi, anche da anni, e non completate, rete idrica quasi al collasso e via discorrendo.

    Invece il ministro Salvini, come primo atto, si è occupato dei porti, non per verificarne la sicurezza, non per capire meglio quanti siano di fatto in mano ai cinesi, senza controllo sulle legalità delle merci sdoganate o in mano alla criminalità organizzata, che contrabbanda, spesso impunita, armi e droga proprio dai porti italiani, l’interesse di Salvini nel suo primo giorno è stato tutto concentrato a chiarire 1) che i porti sono suoi e non del Ministero del Mare, 2) che la cosa che gli interessa è impedire l’arrivo di navi con extracomunitari salvati in mare da morte sicura.

    Chiariamo subito: il problema dell’immigrazione clandestina è grave e va affrontato immediatamente in sede europea e nazionale, e l’Europa deve prendersi le sue responsabilità, rispettare gli impegni presi e disattesi e la questione dovrà essere definitivamente chiarita nel Consiglio europeo, e con accordi bilaterali con i paesi del nord Africa (quelli con i quali è possibile).

    Ma col dicastero di Salvini l’immigrazione c’entra poco, sarebbe più proficuo per tutti, e per il governo, che è appena entrato in carica ed è oberato di difficili dossier, che Salvini dimenticasse di essere stato ministro dell’Interno, per altro di un governo che lui stesso ha fatto cadere, e cominciasse a fare il Ministro del suo dicastero, senza confusioni e occupandosi di come portare le nostre infrastrutture a livelli degni.

  • In viaggio con Connecting Europe Express, il treno europeo simbolo di innovazione e sostenibilità

    E’ iniziato a Lisbona il 2 settembre e terminerà a Parigi il 7 ottobre il viaggio del treno speciale Connecting Europe Express, iniziativa di punta per l’Anno europeo delle ferrovie 2021, che attraverserà più di 100 città europee nel giro di cinque settimane durante le quali sono previsti eventi e conferenze.

    Tutte italiane le tappe dal 5 al 9 settembre: Torino. Milano, Genova, Vaiano, Roma, Nogara, Brennero. Proprio durante la sosta nel capoluogo lombardo è stata sottolineata dalla Coordinatrice Europea del Corridoio del Mediterraneo, Iveta Radičová, l’importanza di investire, attraverso il Next Generation EU, nel settore delle tecnologie e delle comunicazioni affinché le persone possano il più possibile connettersi con le istituzioni dell’UE e permettere a queste ultime di conoscere al meglio i comportamenti e le necessità dei cittadini dell’Unione. Non poteva perciò che essere il treno a simboleggiare l’idea di connessione tra le genti e le città e Milano ben si colloca in questa strategia perché, come ha dichiarato Herald Ruijters, Direttore Generale DG Move della Commissione europea, “è centrale nella prospettiva nazionale e regionale e all’interno dell’Europa. E’ una scommessa per le numerose vie di comunicazione, per la digitalizzazione delle comunicazioni poiché sta rivestendo un ruolo strategico nel processo di decarbonizzazione dei trasporti per il quale l’UE si sta impegnando fortemente”. Il capoluogo meneghino ha un ruolo strategico grazie alle sue autostrade e alla posizione geografica, da un lato è collegata all’Europa continentale, dall’altra ai Balcani e all’intero bacino del Mediterraneo, per non parlare delle infrastrutture, come l’aeroporto di Malpensa che rivestirà un ruolo fondamentale per i prossimi giochi olimpici invernali.

    Il PNRR italiano ha destinato 62 miliardi di euro per gli interventi sulle infrastrutture e sulla logistica.

    Connecting Europe Express è il risultato di una importante cooperazione tra la Commissione europea, la Comunità delle ferrovie europee (CER), operatori ferroviari europei, gestori dell’infrastruttura e numerosi altri partner a livello locale e dell’UE. Un intenso percorso in treno, quale simbolo degli obiettivi di sostenibilità, innovazione e sicurezza che l’Unione europea persegue in tutte le sue politiche.

  • Spunti di riflessione in attesa del Decreto aprile

    E’ il 6 maggio e il tanto annunciato decreto aprile non uscirà neanche oggi o domani. Il decreto da 55 miliardi, il più importante intervento realizzato da uno stato europeo è ancora in via di definizione, tra liti e tensioni nella stesa maggioranza.

    Come sempre, per concentrare tutto e di più, si finisce per far aspettare troppo ed inutilmente e per affastellare, nello stesso testo, interventi che potevano trovare altre formule. Ci aspetterà, come sempre, un testo farraginoso e incomprensibile con tutti gli orpelli di una burocrazia che costringe quasi tutti ad avere un professionista a fianco per capire e per procedere, come sta avvenendo da giorni per i promessi prestiti alle imprese, per non parlare delle casse integrazioni i soldi delle quali, nella maggioranza dei casi, non sono arrivati. Forse invece che alle banche dovevano affidare ad Amazon la consegna dei soldi agli aventi diritto, così almeno potevano spenderli subito direttamente per acquistare quei beni di prima necessità, come il cibo, che i supermercati non danno gratis.

    Si era parlato del rinvio delle bollette ma sembra che tutti le abbiano ricevute con le normali scadenze di pagamento…

    Cosa serve all’Italia oltre alla riapertura, appena possibile, delle attività ancora chiuse con ben chiare le modalità che andranno rispettate e che molti ancora non conoscono? Fatto salvo evidentemente i problemi legati al comparto turistico e al l’indotto, per il quale è opportuno aspettare ancora  qualche  giorno per capire l’evolversi della pandemia e l’efficacia delle norme adottate per evitare il contagio, cosa osta all’apertura immediata di tutti quei cantieri necessari per rimettere in sicurezza strade, ponti, scuole? Solo una normativa diversa che impedisca gare d’appalto lunghissime e comunque non scevre da rischi di infiltrazioni mafiose! Se la ricostruzione del ponte di Genova è stata realizzata in un anno e vi è la proposta di un gruppo di imprese di lavorare insieme per continuare e finire tanti lavori iniziati e rimasti incompiuti perché non partire subito? Perché non dare il via a tante opere  individuate come necessarie ed urgenti e che sono da tempo in attesa? Per far ripartire l’economia ci sarà nel decreto qualche riga dedicata all’ambiente per evitare che in pochi giorni si torni al grado di inquinamento precedente alla chiusura? Qualche riga per dire come e in quanto tempo saranno rimesse a posto le grandi aree colpite dai terremoti, là dove ancora la gente aspetta lo sgombero delle macerie e la ricostruzione delle proprie case ed attività? Ci sarà il progetto di sistemazione di tutta la rete idrica nazionale che perde più della metà dell’acqua potabile, creando ogni giorno un danno ingente perché l’acqua è un bene  sempre più raro ed il rischio di siccità incombe?

    Si affronterà la riorganizzazione diversa delle case per anziani  dando alle Regioni un quadro nazionale da rispettare? E le Regioni, fatte salve le loro competenze, saranno chiamate ad organizzare la sanità sul territorio in modo che non vi siano più le inefficienze e tragedie verificatesi in questi due mesi? Vi è uno studio, dentro o fuori il decreto, per capire quanti medici, infermieri, tecnici di laboratorio, personale sanitario in genere, servono perché l’Italia abbia una sanità non solo con delle eccellenze ma con efficienze  uguali su tutto il territorio  e su questi è stato avviato un confronto con le università?

    Quanti e quali strumenti economici sono stati previsti per finanziare, finalmente, la ricerca scientifica? Se i nostri giovani torneranno a scuola, facendo turni alterni di presenza in aula e di lezioni da remoto, come sarà risolto il problema di coloro che non hanno strumenti informatici o mancano di sufficiente  connessione?

    C’è un progetto per il riassetto del territorio? Da tempo è cominciato un periodo nel quale  non piove per lungo tempo seguito da piogge torrenziali ed avremo allagamenti  e danni come più volte è avvenuto perciò è oggi che dobbiamo occuparci del dissesto idrogeologico per dare sicurezza ai territori e lavoro a tanti addetti.

    Qual è la proposta, l’impegno concreto per snellire la burocrazia che sta uccidendo le imprese e che ridonda negativamente anche sui privati? Il budget di un paese dipende dalle tasse, dirette ed indirette, che paghiamo, perché tutti le paghino occorrono maggiori controlli ma anche tassazioni più eque, per far emergere il sommerso i privati devono poter scaricare molte di quelle spese che per loro oggi sono indeducibili, dall’idraulico all’imbianchino, dall’elettricista al portiere di condominio per la parte di millesimi corrispondente, dall’iva delle parcelle dei professionisti, ai quali ci si deve obbligatoriamente rivolgere in determinate occasioni.

    Di fronte a paesi dell’Unione, come l’Olanda, l’Irlanda, il Lussemburgo, la stessa  Spagna, per parte del suo territorio, che attirano imprese e privati per sistemi di tassazione più favorevoli e meno iniqui, perché anche l’Italia non affronta questo problema? Tassare meno gli utili d’impresa o di transazioni finanziarie, tassare meno i lavoratori ed i pensionati  darebbe un maggior introito globale perché molti non porterebbero più all’estero  la sede della propria società  o la propria  residenza.

    Infine per quanto riguarda i lavoratori irregolari, specie in agricoltura e che per la maggior parte sono extracomunitari ed immigrati non in regola, perché non fare come in Portogallo dove, quando  è scoppiata la pandemia, sono stati regolarizzati per un certo periodo in modo che potessero avere un lavoro ed una casa. Non si tratta di fare sanatorie ma di impedire che persone senza scrupoli utilizzino migliaia  di esseri umani come schiavi facendoli vivere in condizioni antigieniche e pericolose per loro e per tutti.

    Solo alcuni spunti di riflessione con il timore che né maggioranza né opposizione avranno il tempo e la voglia di andare al di là delle parole, intanto aspettiamo il decreto aprile che sarà varato a maggio e non sappiamo  in che mese sarà efficacemente attuato.

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