infrastrutture

  • Le priorità dell’Italia

    La manovra finanziaria non è ancora nota nel testo definitivo ma da tempo infuriano polemiche su bozze più o meno veritiere o inventate.

    Si spera che tutti siano consapevoli delle difficoltà che il governo deve affrontare per dare aiuti a chi ne ha più bisogno e per risolvere problemi complessi, in una situazione di emergenza mondiale per l’intensificarsi dei conflitti, per l’inflazione ancora troppo alta, per l’aumento dei tassi e per l’oggettiva presenza di poche risorse disponibili.

    In molti ritengono, noi compresi, che in questa situazione le opposizioni dovrebbero mostrare maggiore capacità di confrontarsi sui problemi reali invece di affidarsi alle solite sterili dichiarazioni  per dire sempre no a tutto.

    La mancanza di una opposizione capace, senza pregiudizi a priori e in grado di offrire proposte ragionevoli e realizzabili, rende il Paese più povero, rende la completezza della democrazia più a rischio, nega agli italiani un oggettivo diritto di scelta per le competizioni elettorali, come si vede dal continuo aumento dell’assenteismo.

    Sul problema assenteismo pesa anche il rifiuto che i cittadini hanno per leggi elettorali che li hanno privati del loro diritto di scegliere le persone che devono rappresentarli mentre le liste bloccate danno ai leader di partito il potere di decidere chi dovrà essere eletto, spesso mettendo in lista persone  a loro “obbedienti” anche se meno qualificate.

    Non è certo il momento, esaminata con lucidità e consapevolezza la situazione nel suo complesso, di pensare al ponte sullo Stretto mentre rimane incomprensibile, quando si parla di aiuti alla famiglia, alle donne ed alla natalità, il ventilato aumento dell’IVA  sui pannolini.

    Una volta in più ricordiamo, al governo ed alle opposizioni, che le priorità dell’Italia sono, oltre ovviamente dare sicurezza alle categorie svantaggiate ed alle imprese come fonte di lavoro, risolvere tutti i problemi legati alle calamità naturali già avvenute, la messa in sicurezza del territorio, per cercare di prevenire il più possibile altre tragedia, eliminare le pericolosità di strutture pubbliche, partendo dai cavalcavia, dai ponti e dalle scuole,ristrutturare la  rete idrica nazionale che, perdendo gran parte dell’acqua potabile, procura un danno irreversibile.

  • Italia in ritardo sulle opere, speso lo 0,4% del Pil

    Italia in ritardo sulle infrastrutture e con i cittadini insoddisfatti di strade e servizi: spendiamo la metà dei grandi Paesi Ue e negli ultimi 10 anni abbiamo investito nel settore lo 0,4% del Pil, la metà rispetto alla Francia (0,9%).  Mentre la Gran Bretagna ha investito lo 0,8%, seguita da Germania 0,7% e Spagna (0,6%).

    E se il nostro ritardo infrastrutturale non è una novità, a scattare una fotografia della situazione, numeri alla mano, sono i primi dati  di un rapporto, “Sussidiarietà e governo delle infrastrutture”, realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, che sarà presentato in autunno. Dal 2010 al 2020 la Penisola ha speso complessivamente per la costruzione e manutenzione di infrastrutture di trasporto circa 98,3 miliardi di euro. Molto meno dei maggiori partner europei. Gli investimenti hanno superato i 227 miliardi di euro in Germania, 223 in Francia e 186 in Gran Bretagna. Solo la Spagna ha fatto meno di noi con 90 miliardi di euro.

    Un realtà che dovrà cambiare presto, spiega il vicepremier e ministro Matteo Salvini. “Nei prossimi mesi ci saranno investimenti senza precedenti soprattutto per strade, autostrade, ferrovie e dighe: parliamo di 4mila cantieri solo per opere ferroviarie e stradali e 125 miliardi di investimenti esclusivamente per far correre di più e meglio i treni”, afferma. Dei ritardi i cittadini d’altronde ne hanno consapevolezza visto che l’Italia – ricorda il rapporto Fps – è all’ultimo posto fra i 28 paesi Ocse per la soddisfazione degli utenti delle infrastrutture (trasporto, energia, telecomunicazioni, acqua, etc.): appena il 18%, rispetto alla media generale del 38% e ai maggiori partner europei come Francia (53%), Germania (51%) e Gran Bretagna (35%).

    Il 68% degli utenti italiani, inoltre, ritiene che non si sia fatto abbastanza per la realizzazione di infrastrutture, contro una media Ocse del 58%. Il rapporto certifica pure  che la maggior parte degli italiani si muove con le auto private e che c’è una grande disparità di servizi tra Nord e Sud. E ben 3 quarti degli utenti italiani ritengono che un incremento degli investimenti in infrastrutture contribuisca alla crescita del Paese e crei nuovi posti di lavoro.  Attenzione però a come le cose verranno fatte, avverte però Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: “Le infrastrutture di cui ha bisogno il Paese devono essere realizzate in modo sostenibile e coinvolgendo i territori e i corpi intermedi che rappresentano la società civile, invece di essere calate dall’alto”.

  • Crolla un altro ponte

    In provincia di Pisa, sulla provinciale 329, la sera del primo dicembre è improvvisamente crollato un ponte sul quale scorre un traffico molto intenso, solo il caso ha impedito che ci fossero diverse vittime.

    In attesa di nuovi accertamenti, per definire se il crollo sia stato causato dal totale cedimento di un pilastro o da altri ammaloramenti, e in attesa delle opere di demolizione, che porteranno via qualche mese per poi posizionare un ponte Bailey che consentirà il ripristino della viabilità, i cittadini potranno ringraziare Dio per non essere stati sul ponte al momento del crollo e dovranno sopportare tutti i disagi che dureranno molto tempo.

    Forse non solo a me ma anche a tutti gli automobilisti sfuggiti all’ennesimo crollo di un ponte verranno alla mente tutti i ponti e i  cavalcavia che, dopo i controlli effettuati a seguito del crollo del ponte di Genova, sono stati dichiarati bisognosi di immediate opere per la messa in sicurezza.

    Sembra però, al momento, che al Ministro Salvini interessi più il ponte sullo Stretto che rimettere in sesto la rete stradale nazionale e rendere sicuri ponti e cavalcavia.

    Speriamo che questa ultima ennesima tragedia, evitata solo per pura fortuna, ricordi al Ministro che bisogna intervenire con urgenza sia con nuovi e approfonditi controlli che eseguendo le opere necessarie.

    I pochi o tanti soldi dei quali dispone il Governo devono prima di tutto servire per questi interventi e per tutti quelli necessari a garantire l’incolumità delle persone, basta pensare ai tanti edifici scolastici ed alle abitazioni pericolanti. Poi potremo parlare del ponte sullo Stretto per il quale si è già speso troppo rispetto a quanto non si è speso per strade e ferrovie in Calabria e in Sicilia.

  • Gli italiani sono attratti dall’auto 100 volte più che dalla bicicletta

    L’Italia investe per l’auto quasi 100 volte di più di quello che investe per la bici: 98 miliardi di euro contro 1. E questo solo per l’automotive e le infrastrutture stradali, senza contare la riduzione delle tasse sui carburanti (accise) e i sussidi a questi.

    Il risultato è che le città italiane hanno in media appena 2,8 chilometri di ciclabili per abitante, contro i 14 di Amsterdam e gli 8 di Copenhagen. Eppure, basterebbe spendere 3,2

    miliardi di euro in sette anni, 500 milioni all’anno da qui al 2030, per dare all’Italia una rete di ciclabili al livello dell’Europa. I numeri li ha dati un rapporto dal titolo eloquente, “L’Italia non è un paese per bici”. L’hanno preparato le ong ambientaliste Clean Cities, Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), Kyoto Club e Legambiente.

    Quello che esce dallo studio è il ritratto di un Paese  stregato dall’automobile, dove tutte le politiche della mobilità da 60 anni a questa parte sono incentrate sul mezzo privato, dove la bicicletta è vista come un giocattolo per il weekend, non come un mezzo di trasporto ecologico e sostenibile.

    I 2,8 km di piste ciclabili per abitante sono in realtà la media fra alcune città del Nord a livelli scandinavi (Modena, Ferrara e Reggio Emilia hanno dai 12 ai 15 km per abitante) e molte città del Sud a livello africano, con 0 km di ciclabili.

    Le ciclabili sono cresciute del 20% tra il 2015 e il 2020, ma oltre un terzo dei comuni non ha costruito un solo chilometro in più, o ne ha addirittura rimossi alcuni. Le disparità territoriali sono grandissime: nella top 10 ci sono solo città del Nord, mentre in coda alla classifica si trovano quasi solo città del Centro-Sud.

    Secondo il rapporto, per colmare il gap con il resto d’Europa, alle città italiane servirebbero 16.000 km di ciclabili in più rispetto al 2020, per arrivare un totale di 21.000 km al 2030.

    L’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 7 anni, pari a 500 milioni di euro all’anno. Non sono pochi soldi, ma sono appena il 3,5% di quelli già stanziati per l’auto e le sue infrastrutture. E sono molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità.

    Le quattro organizzazioni che hanno presentato il rapporto chiedono al Parlamento e al Ministero delle Infrastrutture di approvare un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di mezzo miliardo di euro l’anno fino al 2030.

  • Salvini e i porti

    Come primo atto di  Salvini, come Ministro delle Infrastrutture, ci saremmo aspettati, come sempre troppo ingenui e fiduciosi, che si mettesse all’opera sui dossier che riguardano le tante situazioni pericolose che minacciano la vita degli italiani: università e cimiteri che crollano, scuole gravemente dissestate che possono ogni giorno creare nuovi disagi e vittime, cavalcavia, ponti, strade a rischio continuo, lavori e controlli mai fatti, opere iniziate da mesi, anche da anni, e non completate, rete idrica quasi al collasso e via discorrendo.

    Invece il ministro Salvini, come primo atto, si è occupato dei porti, non per verificarne la sicurezza, non per capire meglio quanti siano di fatto in mano ai cinesi, senza controllo sulle legalità delle merci sdoganate o in mano alla criminalità organizzata, che contrabbanda, spesso impunita, armi e droga proprio dai porti italiani, l’interesse di Salvini nel suo primo giorno è stato tutto concentrato a chiarire 1) che i porti sono suoi e non del Ministero del Mare, 2) che la cosa che gli interessa è impedire l’arrivo di navi con extracomunitari salvati in mare da morte sicura.

    Chiariamo subito: il problema dell’immigrazione clandestina è grave e va affrontato immediatamente in sede europea e nazionale, e l’Europa deve prendersi le sue responsabilità, rispettare gli impegni presi e disattesi e la questione dovrà essere definitivamente chiarita nel Consiglio europeo, e con accordi bilaterali con i paesi del nord Africa (quelli con i quali è possibile).

    Ma col dicastero di Salvini l’immigrazione c’entra poco, sarebbe più proficuo per tutti, e per il governo, che è appena entrato in carica ed è oberato di difficili dossier, che Salvini dimenticasse di essere stato ministro dell’Interno, per altro di un governo che lui stesso ha fatto cadere, e cominciasse a fare il Ministro del suo dicastero, senza confusioni e occupandosi di come portare le nostre infrastrutture a livelli degni.

  • In viaggio con Connecting Europe Express, il treno europeo simbolo di innovazione e sostenibilità

    E’ iniziato a Lisbona il 2 settembre e terminerà a Parigi il 7 ottobre il viaggio del treno speciale Connecting Europe Express, iniziativa di punta per l’Anno europeo delle ferrovie 2021, che attraverserà più di 100 città europee nel giro di cinque settimane durante le quali sono previsti eventi e conferenze.

    Tutte italiane le tappe dal 5 al 9 settembre: Torino. Milano, Genova, Vaiano, Roma, Nogara, Brennero. Proprio durante la sosta nel capoluogo lombardo è stata sottolineata dalla Coordinatrice Europea del Corridoio del Mediterraneo, Iveta Radičová, l’importanza di investire, attraverso il Next Generation EU, nel settore delle tecnologie e delle comunicazioni affinché le persone possano il più possibile connettersi con le istituzioni dell’UE e permettere a queste ultime di conoscere al meglio i comportamenti e le necessità dei cittadini dell’Unione. Non poteva perciò che essere il treno a simboleggiare l’idea di connessione tra le genti e le città e Milano ben si colloca in questa strategia perché, come ha dichiarato Herald Ruijters, Direttore Generale DG Move della Commissione europea, “è centrale nella prospettiva nazionale e regionale e all’interno dell’Europa. E’ una scommessa per le numerose vie di comunicazione, per la digitalizzazione delle comunicazioni poiché sta rivestendo un ruolo strategico nel processo di decarbonizzazione dei trasporti per il quale l’UE si sta impegnando fortemente”. Il capoluogo meneghino ha un ruolo strategico grazie alle sue autostrade e alla posizione geografica, da un lato è collegata all’Europa continentale, dall’altra ai Balcani e all’intero bacino del Mediterraneo, per non parlare delle infrastrutture, come l’aeroporto di Malpensa che rivestirà un ruolo fondamentale per i prossimi giochi olimpici invernali.

    Il PNRR italiano ha destinato 62 miliardi di euro per gli interventi sulle infrastrutture e sulla logistica.

    Connecting Europe Express è il risultato di una importante cooperazione tra la Commissione europea, la Comunità delle ferrovie europee (CER), operatori ferroviari europei, gestori dell’infrastruttura e numerosi altri partner a livello locale e dell’UE. Un intenso percorso in treno, quale simbolo degli obiettivi di sostenibilità, innovazione e sicurezza che l’Unione europea persegue in tutte le sue politiche.

  • Spunti di riflessione in attesa del Decreto aprile

    E’ il 6 maggio e il tanto annunciato decreto aprile non uscirà neanche oggi o domani. Il decreto da 55 miliardi, il più importante intervento realizzato da uno stato europeo è ancora in via di definizione, tra liti e tensioni nella stesa maggioranza.

    Come sempre, per concentrare tutto e di più, si finisce per far aspettare troppo ed inutilmente e per affastellare, nello stesso testo, interventi che potevano trovare altre formule. Ci aspetterà, come sempre, un testo farraginoso e incomprensibile con tutti gli orpelli di una burocrazia che costringe quasi tutti ad avere un professionista a fianco per capire e per procedere, come sta avvenendo da giorni per i promessi prestiti alle imprese, per non parlare delle casse integrazioni i soldi delle quali, nella maggioranza dei casi, non sono arrivati. Forse invece che alle banche dovevano affidare ad Amazon la consegna dei soldi agli aventi diritto, così almeno potevano spenderli subito direttamente per acquistare quei beni di prima necessità, come il cibo, che i supermercati non danno gratis.

    Si era parlato del rinvio delle bollette ma sembra che tutti le abbiano ricevute con le normali scadenze di pagamento…

    Cosa serve all’Italia oltre alla riapertura, appena possibile, delle attività ancora chiuse con ben chiare le modalità che andranno rispettate e che molti ancora non conoscono? Fatto salvo evidentemente i problemi legati al comparto turistico e al l’indotto, per il quale è opportuno aspettare ancora  qualche  giorno per capire l’evolversi della pandemia e l’efficacia delle norme adottate per evitare il contagio, cosa osta all’apertura immediata di tutti quei cantieri necessari per rimettere in sicurezza strade, ponti, scuole? Solo una normativa diversa che impedisca gare d’appalto lunghissime e comunque non scevre da rischi di infiltrazioni mafiose! Se la ricostruzione del ponte di Genova è stata realizzata in un anno e vi è la proposta di un gruppo di imprese di lavorare insieme per continuare e finire tanti lavori iniziati e rimasti incompiuti perché non partire subito? Perché non dare il via a tante opere  individuate come necessarie ed urgenti e che sono da tempo in attesa? Per far ripartire l’economia ci sarà nel decreto qualche riga dedicata all’ambiente per evitare che in pochi giorni si torni al grado di inquinamento precedente alla chiusura? Qualche riga per dire come e in quanto tempo saranno rimesse a posto le grandi aree colpite dai terremoti, là dove ancora la gente aspetta lo sgombero delle macerie e la ricostruzione delle proprie case ed attività? Ci sarà il progetto di sistemazione di tutta la rete idrica nazionale che perde più della metà dell’acqua potabile, creando ogni giorno un danno ingente perché l’acqua è un bene  sempre più raro ed il rischio di siccità incombe?

    Si affronterà la riorganizzazione diversa delle case per anziani  dando alle Regioni un quadro nazionale da rispettare? E le Regioni, fatte salve le loro competenze, saranno chiamate ad organizzare la sanità sul territorio in modo che non vi siano più le inefficienze e tragedie verificatesi in questi due mesi? Vi è uno studio, dentro o fuori il decreto, per capire quanti medici, infermieri, tecnici di laboratorio, personale sanitario in genere, servono perché l’Italia abbia una sanità non solo con delle eccellenze ma con efficienze  uguali su tutto il territorio  e su questi è stato avviato un confronto con le università?

    Quanti e quali strumenti economici sono stati previsti per finanziare, finalmente, la ricerca scientifica? Se i nostri giovani torneranno a scuola, facendo turni alterni di presenza in aula e di lezioni da remoto, come sarà risolto il problema di coloro che non hanno strumenti informatici o mancano di sufficiente  connessione?

    C’è un progetto per il riassetto del territorio? Da tempo è cominciato un periodo nel quale  non piove per lungo tempo seguito da piogge torrenziali ed avremo allagamenti  e danni come più volte è avvenuto perciò è oggi che dobbiamo occuparci del dissesto idrogeologico per dare sicurezza ai territori e lavoro a tanti addetti.

    Qual è la proposta, l’impegno concreto per snellire la burocrazia che sta uccidendo le imprese e che ridonda negativamente anche sui privati? Il budget di un paese dipende dalle tasse, dirette ed indirette, che paghiamo, perché tutti le paghino occorrono maggiori controlli ma anche tassazioni più eque, per far emergere il sommerso i privati devono poter scaricare molte di quelle spese che per loro oggi sono indeducibili, dall’idraulico all’imbianchino, dall’elettricista al portiere di condominio per la parte di millesimi corrispondente, dall’iva delle parcelle dei professionisti, ai quali ci si deve obbligatoriamente rivolgere in determinate occasioni.

    Di fronte a paesi dell’Unione, come l’Olanda, l’Irlanda, il Lussemburgo, la stessa  Spagna, per parte del suo territorio, che attirano imprese e privati per sistemi di tassazione più favorevoli e meno iniqui, perché anche l’Italia non affronta questo problema? Tassare meno gli utili d’impresa o di transazioni finanziarie, tassare meno i lavoratori ed i pensionati  darebbe un maggior introito globale perché molti non porterebbero più all’estero  la sede della propria società  o la propria  residenza.

    Infine per quanto riguarda i lavoratori irregolari, specie in agricoltura e che per la maggior parte sono extracomunitari ed immigrati non in regola, perché non fare come in Portogallo dove, quando  è scoppiata la pandemia, sono stati regolarizzati per un certo periodo in modo che potessero avere un lavoro ed una casa. Non si tratta di fare sanatorie ma di impedire che persone senza scrupoli utilizzino migliaia  di esseri umani come schiavi facendoli vivere in condizioni antigieniche e pericolose per loro e per tutti.

    Solo alcuni spunti di riflessione con il timore che né maggioranza né opposizione avranno il tempo e la voglia di andare al di là delle parole, intanto aspettiamo il decreto aprile che sarà varato a maggio e non sappiamo  in che mese sarà efficacemente attuato.

  • In Italia gap di infrastrutture per 40 miliardi

    La Cgia di Mestre evidenzia secondo i dati della Commissione europea gli italiani sono costretti a rimanere bloccati nel traffico per quasi 38 ore all’anno, praticamente una settimana di lavoro; nell`Europa a 27 solo Malta e Belgio registrano una situazione peggiore della nostra. Rispetto ai principali Paesi europei, segnala la Cgia, il gap di infrastrutture nel nostro Paese è significativo: se in Olanda si rimane congestionati per 32 ore all’anno, in Francia e Germania si scende attorno a 30 e in Spagna a poco più di 26. La media Ue si attesta a 30,4 ore.

    Le lunghe code che ci angosciano ogni giorno sono riconducibili, in particolar modo, a un paio di cause: la prima dovuta all’insufficienza del numero di mezzi pubblici presenti nelle nostre città (bus, tram, metro, treni, etc.) che costringe tantissimi pendolari ad usare i mezzi privati; la seconda è ascrivibile al grave deficit infrastrutturale che caratterizza il nostro Paese. “Secondo i dati del Ministero dei Trasporti, il deficit di competitività del nostro sistema logistico-infrastrutturale costa all’economia del Paese 40 miliardi di euro all’anno. Anche per questa ragione è necessario che il Governo, a seguito della grave recessione economica che si è abbattuta in queste ultime settimane, investa quanto prima in un piano nazionale per la realizzazione delle opere pubbliche che permetta di ammodernare il Paese, di renderlo più competitivo e, soprattutto, di imprimere una forte scossa positiva alla domanda interna”, sostiene la Cgia. I risultati che emergono dai confronti tra il nostro Paese e i principali Paesi europei, rileva la Cgia di Mestre, “sono impietosi e dimostrano la necessità di intervenire quanto prima”.

    “Sebbene i numeri non siano soddisfacenti – dichiara il segretario Renato Mason – anche l’Italia può comunque contare, nel campo logistico, su molte punte di eccellenza. Tuttavia, il risultato medio nazionale è insufficiente e continuiamo ad essere un Paese che ha bisogno come il pane di realizzare sia le grandi opere sia quelle di dimensione inferiore. Grazie alla cantierizzazione di questi lavori potremmo attivare una leva molto importante per aggredire la recessione e per creare nuovi posti di lavoro”. Senza contare che sono circa una decina le grandi opere che, pur disponendo dei finanziamenti, non hanno ancora visto iniziare i lavori. Alcune di queste infrastrutture strategiche ancora ferme ai blocchi di partenza, ricorda la Cgia, sono: Tav Torino-Lione (8,6 miliardi di euro); Tav Messina-Catania-Palermo (costo 8 miliardi di euro); Gronda di Genova (5 miliardi di euro); Av Verona-Padova IRICAV 2 (4,9 miliardi di euro); Terza corsia A11 Firenze-Pistoia (3 miliardi di euro); Autostrada Roma-Latina (2,8 miliardi di euro); Autostrada Pedemontana Lombarda (2 miliardi di euro); Tav Napoli-Bari lotto Irpinia-Orsara/tratta Orsara Bovino (2 miliardi di euro); Autostrada regionale Cispadana (1,3 miliardi di euro). L’auspicio, segnalano dalla Cgia, è che il “modello Genova” – adottato per la costruzione del ponte sopra il Polcevera progettato da Renzo Piano – “venga esteso a tutte le principali grandi opere già finanziate ma non ancora avviate, attraverso la tanto agognata nomina dei commissari”.

    Anche l’opinione dei grandi manager internazionali conferma lo stato di arretratezza logistico/infrastrutturale del nostro Paese. Dall’elaborazione dell`Ufficio studi della Cgia su dati del World Economic Forum (Wef), tra i 10 Paesi europei più importanti presi in esame, l`Italia si colloca sempre in fondo alla graduatoria per qualità/efficienza del sistema infrastrutturale. In particolare per: qualità delle strade; efficienza dei servizi ferroviari; efficienza dei servizi portuali; copertura della linea internet veloce (fonte: Commissione Europea). Rispetto alla Germania, che è il nostro principale competitor in campo economico, l’Italia sconta un gap del 22% per la qualità delle strade; del 19% per l`efficienza dei servizi ferroviari; del 12% per l`efficienza dei servizi portuali; del 178% per la copertura della linea internet ultraveloce.

    La Cgia, infine, tiene a precisare che “oltre alla realizzazione delle grandi infrastrutture materiali e immateriali abbiamo altrettanto bisogno di portare a termine moltissimi interventi ‘minori’ che sono però indispensabili per la messa in sicurezza di tanti cittadini, di moltissime città e piccoli paesi. Interventi che potrebbero dare una grossa mano alla ripresa della domanda interna”. In particolare, la Cgia ricorda che: “l`88% dei circa 8mila Comuni italiani ha almeno un’area classificata a elevato rischio idrogeologico; il 40% circa delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica è ubicato in zone ad alto rischio sismico; su circa 6.000 opere censite (gallerie, ponti, viadotti, etc.) quasi 2.000 necessitano di interventi urgenti; il 38% dell`acqua trasportata dal sistema idrico pubblico si perde per strada a causa dell`elevato livello di deterioramento della rete”.

  • Il ponte simbolo di un declino

    La semplice immagine di un ponte può rappresentare lo sviluppo e successivamente il declino del nostro Paese.

    Alla fine degli anni 50 la famiglia Perfetti creò “Brooklyn la gomma del ponte” che divenne un simbolo della libertà e dell’imprenditoria italiana nel mondo. Ancora oggi il gruppo lombardo è uno dei Top Player nel settore a livello mondiale. Il ponte, tuttavia, rappresenta anche l’emblema di quella che è stata alla  fine degli anni novanta la politica nazionale della privatizzazione giustificata con una richiesta di maggiore efficientamento.

    In sole due decadi una imprenditoria privata che vive di concessioni pubbliche è riuscita a far crollare il ponte di Genova con la complicità di una classe politica ben conscia dei rischi ai quali venivano sottoposti gli automobilisti. Il ponte di Genova rappresenta ancora una volta l’emblema di quella deriva latino-americana che il nostro Paese ha dovuto subire a causa di una classe politica complice di un sistema compromesso.

    Del resto la vicina Svizzera, come la Germania, ci insegna che le infrastrutture pubbliche di primaria importanza come le autostrade devono restare a gestione statale in quanto devono dimostrarsi un  fattore competitivo per  il sistema economico.

    Di certo non si può efficientare un sistema concedendo un’infrastruttura ad un privato il quale ovviamente per massimizzare il Roe diminuirà le manutenzioni. Ma se il ponte di Genova rappresenta l’apoteosi, la tragica apoteosi di questa classe vigliacca di politici ed imprenditori che, ripeto vivono di concessioni e che nulla hanno a che fare con l’imprenditoria nazionale, il ponte caduto in Toscana dimostra come il quadro sia più generale e decadente. Questo ponte in provincia di Massa Carrara, che aveva subito un controllo da parte dell’Anas (ente pubblico al quale va ricordato che la regione Veneto ha ceduto la rete stradale), senza nessuna causa esterna è crollato miseramente.

    Per fortuna questa volta non ci sono state vittime ma la sintesi rimane la stessa. Risultavano disonesti ed in malafede allora coloro che spinsero per le privatizzazioni delle infrastrutture pubbliche con il solo fine di avvantaggiare dei gruppi di imprenditori che si trasformavano in semplici esattori. Allo stesso modo oggi il ponte crollato in provincia di Massa Carrara dimostra come la struttura pubblica e la sua gestione con i propri quadri dirigenti risultino sostanzialmente inidonei alla mansione.

    Il ponte di Genova come quello in Toscana rappresentano il declino di uno Stato che ambisce a restare all’interno del mondo occidentale e dell’Unione Europea ma ormai è già un esponente di primissimo piano della deriva sudamericana.

  • Strano paese l’Italia

    Per uscire dalla crisi economica precedente all’epidemia di coronavirus (ma già ora lo ripetono per il dopo) tutti gli schieramenti politici e gli economisti indicano negli investimenti in infrastrutture l’unica soluzione per riaprire una fase di sviluppo economico.

    Il 2019 è stato un anno disastroso con nel IV trimestre una riduzione della produzione industriale del-4,3% rispetto al 2018, dei consumi interni a -2,5% ma una pressione fiscale con un +0,5%.

    Al di là degli effetti positivi che risulterebbero solo nel medio-lungo termine e non certamente nell’immediato l’Italia risulta un paese particolare in quanto poi queste infrastrutture, come precedentemente accaduto, potrebbero venire “concesse” ai privati, esattamente come negli anni ‘90.

    Questo per cercare di alleggerire il debito accumulato per la loro realizzazione appoggiati da una schiera di prezzolati e dotti economisti che giustificherebbero tale operazione attraverso concetti come “efficientamento del sistema” e della gestione “privatistica” dell’infrastruttura stessa.

    Successivamente gli investitori privati, per massimizzare la remunerazione del capitale investito (Roe), destinerebbero solo una quota marginale dei ricavi complessivi anche solo alla ordinaria manutenzione di queste opere infrastrutturali. In questo modo a pagarne gli effetti ancora una volta sarà l’utenza attraverso l’aumento dell’indice di pericolosità nell’utilizzo delle stesse Infrastrutture.

    L’Italia, ripeto, è un paese particolare nel quale si utilizzerebbe (come è già successo) il debito pubblico per realizzare delle necessarie opere infrastrutturali che si rivelano come fattori competitivi per l’articolato sistema delle imprese italiane. Questi fattori fondamentali all’interno di un mercato competitivo poi diventano, in concessione, forme speculative di investimento per capitali privati, cioè delle vere rendite di posizione.

    Inoltre questo ulteriore aumento della spesa pubblica renderebbe ancora più centrale e forte il potere della classe politica e governativa consentendone la struttura come reale diarchia (https://www.ilpattosociale.it/2018/11/26/la-vera-diarchia/). Una forma reale di potere che invece una diminuzione della pressione fiscale renderebbe quest’ultima l’unica vera forma di aumento del reddito disponibile a sostegno della domanda interna.

    Non comprendere nulla dalla storia, in particolare quella propria, rappresenta la prima forma di ignoranza che nessun paese, tanto meno l’Italia, si possa concedere.

    L’Italia è veramente un paese particolare in quanto non riesce a trarre vantaggio dall’esperienza neppure dalle politiche seguite nei paesi confinanti come l’Austria, la Svizzera o un po’ più lontani come la Germania.

     

    P.S. Ogni riferimento alla vicenda del Ponte Morandi come di autostrade o del sistema sanitario nazionale italiano risulta assolutamente ricercato e voluto.

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