investitori

  • Unione dei mercati dei capitali: accordo politico per migliorare l’accesso alle informazioni sulle imprese per gli investitori

    La Commissione accoglie con favore l’accordo politico raggiunto tra il Parlamento europeo e il Consiglio riguardante la proposta della Commissione per un punto di accesso unico europeo. L’accordo rappresenta un passo importante per la promozione dei mercati europei dei capitali, sulla base della proposta della Commissione presentata nel pacchetto sull’Unione dei mercati dei capitali di novembre 2021.

    Il punto di accesso unico europeo riguarderà le informazioni pubbliche di tipo finanziario e in materia di sostenibilità relative alle imprese e ai prodotti di investimento dell’UE. In questo modo si aumenterà la visibilità delle imprese presso gli investitori, e cresceranno di conseguenza le fonti di finanziamento, in linea con la strategia in materia di finanza digitale della Commissione. Questo aspetto è particolarmente importante per le piccole imprese nei mercati dei capitali di piccole dimensioni. Il punto di accesso unico europeo garantirà inoltre un facile accesso alla comunicazione societaria sulla sostenibilità pubblicata dalle imprese, sostenendo così gli obiettivi del Green Deal europeo.

     

  • Esce ‘Gli Stangati’, per imparare a navigare nel fosco mare degli investimenti finanziari

    C’è chi ha subito un raggiro finanziario o una truffa e chi ha effettuato investimenti sbagliati. Entrambe le categorie in questione sono state vittime, più o meno inconsapevolmente, di una stangata sul proprio patrimonio investito, frutto di risparmi anche di una vita intera. A tutti loro, e non solo, Stefano Elli, giornalista de Il Sole24 Ore dedica un libro, Gli stangati, disponibile in libreria, e con il noto quotidiano economico, dal prossimo 11 luglio. Da trent’anni anni impegnato a raccontare, attraverso le sue inchieste e i suoi articoli, storie di abusivismo finanziario e operazioni truffaldine che hanno coinvolto migliaia di italiani, nel suo nuovo volume Elli offre uno spaccato sistematico di storie di imbrogli e investimenti traditi, raccogliendoli per tipologia, metodo e modalità operative. L’obiettivo è quello di dare al lettore uno strumento per tutelarsi ed evitare comportamenti che possano mettere a repentaglio il proprio denaro. L’educazione finanziaria è uno dei temi fondamentali de Il Sole 24 Ore, quotidiano da sempre garanzia di un’informazione trasparente, veritiera e utile. Con la pubblicazione di questo volume autore ed editore intendono perseguire un obiettivo comune: contribuire a rendere i lettori meno vulnerabili ed esposti ai comportamenti a rischio raccontando le vicissitudini di coloro che, cedendo alle lusinghe dei gatti e delle volpi 4.0, non sono riusciti a evitarli.

    Il messaggio che si evince è forte e chiaro: leggete quanto è accaduto ad altri per evitare che capiti a voi. Imparate a controllare sempre a chi affidate il vostro risparmio, informatevi prima di fare un investimento, perché i truffatori sono sempre attivi e spesso utilizzano modalità già viste in altre occasioni. Il tono del messaggio non vuole essere moralistico e in questo aiuta la capacità di Stefano Elli di scrivere con taglio ironico e stile veloce e leggero, ma sempre chiaro e preciso.

  • Italia ultima in Europa per appeal verso gli investitori

    L’Italia è il Paese dell’Unione europea con più ostacoli agli investimenti, secondo quanto rileva la Commissione Ue nei Country Reports sulle economie dei Ventotto, mettendo a confronto le carenze negli investimenti dei diversi Stati membri in 19 settori, dal mercato del lavoro alla pubblica amministrazione, dalla finanza alla ricerca.

    L’Italia detiene il record negativo con barriere agli investimenti in 16 aree, in particolare nella pubblica amministrazione e nell’ambiente imprenditoriale. Le carenze riguardano elevati onere amministrativi e normativi, inefficienza del sistema giudiziario, ma anche ritardo nella digitalizzazione. In Italia “sono necessari investimenti adeguati per rafforzare la capacità amministrativa, il capitale umano e l’innovazione, nonché per ridurre le disparità regionali”, scrive la Commissione. Relegate in fondo alla graduatoria anche la Romania, con ostacoli in 15 settori, la Spagna e il Portogallo (14). A trainare gli investimenti in Ue sono invece le economie di Svezia, Danimarca ed Estonia, che presentano barriere limitate rispettivamente a tre e quattro aree.

    Assumendo la presidenza di Eusalp per il 2019 ((fondata nel 2013 da Italia, Francia, Germania, Austria e Slovenia nonché da Svizzera e Liechtenstein, Eusalp coordina un totale di 48 regioni con circa 80 milioni di abitanti), l’Italia ha annunciato – tramite il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, l’assessore regionale all’Ambiente Raffaele Cattaneo e il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti – che la presidenza italiana (coordinata dalla Regione Lombardia, coadiuvata da Piemonte e Provincia Autonomia di Bolzano) porrà al centro della sua iniziativa il tema delle infrastrutture, insieme alla sostenibilità e all’innovazione. Durante l’anno di presidenza, la Lombardia cercherà di valorizzare la green economy e lo sviluppo sostenibile dei territori coniugando le tecnologie più avanzate con le tradizioni dei territori. “Ci crediamo – ha sottolineato il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana – e valorizzeremo la macroregione puntando sull’imprenditoria giovanile e sul il turismo dei nostri territori, sfruttando quell’infrastrutturazione e quei supporti tecnologici che consentono di rendere attrattiva la nostra economia. Inizia un’anno estremamente importante, anche nell’ottica di un nuovo rapporto con l’Ue anche per quanto riguarda il nuovo riparto dei fondi».

  • La continuità fiscale

    Una recente rilevazione statistica ha stabilito come dal 1996 al 2016 le entrate fiscali risultino aumentate del 80% mentre l’indice dei prezzi attorno al 41%. Una progressione della pressione fiscale che coinvolge nella sua responsabilità tutti i governi degli ultimi vent’anni e che ha portato il Total tax rate al 62% attuale. Già con questi numeri è evidente come la pressione fiscale sia assolutamente divenuta il problema centrale della mancanza di sviluppo del nostro paese unita ad  una pubblica amministrazione che non fornisce servizi per i quali la tassazione viene imposta. A questi numeri a dir poco sconvolgenti si aggiungono anche delle considerazioni e relative alla gestione delle politiche fiscali degli ultimi cinque anni.

    Gli 80 euro del governo Renzi  altro non sono se non un rimborso fiscale “venduto” ai cittadini come un bonus (si pensi alla differenza rispetto ai bonus aziendali elargiti per premiare la produttività come i risultati delle aziende). L’origine infantile di tale iniziativa era quella di ricreare un nuovo sostegno economico alla domanda interna. Viceversa non si è ottenuto tale obiettivo e per di più ha introdotto anche un risvolto drammatico, nella malaugurata ipotesi infatti che si esca dalla soglia minima degli 8.000 euro stabilita per ottenere appunto questi fantastici 80 (una situazione legata per esempio alla perdita del posto di lavoro per un fallimento o per la chiusura dell’azienda presso la quale si lavora). Passando così di fatto alla soglia inferiore la normativa varata dal governo Renzi stabilisce addirittura l’obbligo di rimborsare questi 80 euro  percepiti ma non secondo i parametri fiscali minimi indicati.

    In più il governo Gentiloni in questo regime fiscale già insopportabile, che per un’attività commerciale con  un fatturato di 50.000 ne chiede oltre 34 mila di tasse ed anticipi relativi all’anno successivo, ha introdotto anche la flat tax per le rendite finanziarie. La scelta dell’aliquota si è rivelata del 26% e favorisce ovviamente i redditi oltre i 700.000 euro penalizzando ancora una volta i piccoli risparmiatori ed investitori che continuano ad essere considerati “il parco buoi”.

    Non soddisfatto, successivamente lo stesso governo inserisce una sorta di cedolare secca di 100.000 per qualunque titolare di redditi milionari che intenda trasferire la propria residenza fiscale in Italia. L’effetto quindi per una persona che dall’estero sposti la propria residenza fiscale in Italia e dichiarasse un reddito di un milione per effetto di questa nuova normativa fiscale pagherebbe appunto 100.000 euro, quindi un’aliquota pari al 10%.

    Ancor meglio andrebbe se il nuovo “residente fiscale” potesse contare su di un reddito di 5 milioni che abbasserebbe l’aliquota al 5% ma risulterebbe miracolosamente dell’1% per i detentori di redditi di e oltre 10 milioni. Mentre gli altri Stati utilizzano le diverse politiche di incentivazione fiscale per attrarre investimenti industriali, il governo Gentiloni usa la flat tax per offrire una dimora fiscalmente attrattiva per i singoli detentori di redditi milionari: ulteriore idea della politica economica di sviluppo dei governi Renzi e Gentiloni.

    L’effetto di tali decisioni, innanzitutto politiche oltre che economiche, dimostra quale possa essere  la considerazione per i piccoli risparmiatori nel primo caso e nel confronto con le aliquote applicate al reddito per i “nuovi residenti”, nel secondo il valore delle stesse diventa offensivo.

    Viceversa la proposta della flat tax, che viene inserita in un quadro di “rinnovamento” definito addirittura “rivoluzionario” per le ricadute economiche per il ceto medio, dimostra finalmente i primi numeri. Considerando che il reddito medio delle famiglie è di 20.680 euro alcuni dati possono venire in aiuto al fine di comprendere la ricaduta effettiva di tale “rivoluzione”. Da zero a 15.000 euro di imponibile si registra una percentuale del 44,9% della popolazione, mentre dai 15.000 ai 29.000 euro di imponibile un altro 35,6%, sempre dei cittadini italiani. La somma di queste due fasce di contribuenti che vanno da un reddito da 1  a 29.000 euro racchiude l’80,5% dei cittadini.

    Viceversa i titolari di “reddito dichiarato” da 29.000 a 55.000 euro rappresentano il 15,2% dei contribuenti, che diventano il 2,1% per i percettori di reddito nella fascia da 55.000 a 75.000 euro, mentre per chi dichiara un reddito ancora superiore rimane la quota residuale del 2,2%.

    Da questi dati emerge come circa l’80,5% dei contribuenti versi il proprio contributo per finanziare i servizi dello Stato attraverso l’applicazione di aliquote che vanno dal 23 al 27%. In questo caso allora l’introduzione della Flat Tax (unica al 25% proposta dall’Istituto Leoni o doppia per il Governo, quindi attorno al 15% per le fasce reddituali più basse) porterebbe un vantaggio in termini economici piuttosto risibili in quanto il differenziale di aliquote risulta minimo (dal 23-27% attuali al 15% proposto) e per di più va calcolato per imponibili relativamente bassi (al massimo fino a 29.000 euro). Viceversa, nel caso non si scegliesse la versione dell’Istituto Bruno Leoni, la seconda aliquota del 25% come aliquota unica (anche per l’IVA da non dimenticare) per i redditi superiori ai 29.000 euro che ora “contribuiscono” attraverso l’applicazione di  aliquote che vanno dal 38% al 41,5 fino al 43% a seconda delle diverse fasce reddituali ma venisse adottata una aliquota fissa anche del 28-30% (quindi superiore a quelle proposte nei programmi elettorali) comporterebbe un differenziale sul calcolo delle imposte da versare molto alto.

    In quanto la differenza tra l’aliquota Flat (28-30 già di per sé bassa ma che risulterebbe assolutamente indegna se si scegliesse la versione del 23%) e quelle odiernamente applicate risulta sicuramente superiore rispetto alle altre fasce di reddito (80,5%) e per di più tale differenziale andrebbe calcolato su importi di imponibili molto alti.

    La considerazione conclusiva che ne scaturisce dal semplice confronto di tali cifre è molto semplice. Come negli ultimi vent’anni ed ancor più degli ultimi cinque, ora anche in previsione dell’applicazione della Flat tax, si rileva una “CONTINUITA’ FISCALE” volta a penalizzare continuamente il ceto medio, quello che per altro ha maggiormente  pagato la crisi che si protrae da oltre un decennio in più, aggravata dal continuo aumento della pressione fiscale. Questa CONTINUITA’ FISCALE, qualora venisse esplicitamente dichiarata e giustificata con argomentazioni politiche ed economiche potrebbe persino assumere i connotati di una strategia economico-fiscale  legittima da parte di un ceto politico ed economico che perlomeno si  assumerebbero le proprie responsabilità. Nel caso odierno invece si predica esattamente il contrario di quanto poi i numeri evidenziano.

    Un ultimo aspetto, non per questo meno importante, emerge dal fatto che tutte queste “rivoluzioni fiscali”, al di là degli effetti descritti precedentemente, uniscono un ulteriore aggravio per i contribuenti italiani in quanto le coperture risultano calcolate a debito o attraverso ipotetici condoni fiscali. Quindi oltre al danno anche la beffa di vedere aumentato il debito pubblico per delle riforme che vanno contro la maggioranza dei contribuenti. La disonestà intellettuale si manifesta attraverso la distonia tra le dichiarazioni e gli effetti reali delle scelte di questa classe politica ed economica degli ultimi vent’anni. In questo poi confermata anche da quella nuova classe governativa dei “riformatori rivoluzionari” dell’ultimo periodo: tutti insieme dipingono il quadro del nostro declino culturale del quale quello economico ne rappresenta solo una triste espressione.

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