Evidentemente la percezione della realtà economica e politica si dimostra spesso espressione di sensibilità contrapposte in particolare modo sulle posizioni sociali.
A livello governativo le venticinque flessioni consecutive della produzione industriale non suscitano ancora oggi alcuna reazione politica, tantomeno strategica o fiscale, come se venisse considerata fisiologica di un periodo di difficoltà più generale. Prova ne sia che il governo già alle prime indicazioni negative relative all’andamento industriale ha comunque aumentato di 17 punti l’Iva, riportandola da 5% a 22%, oltre ad avere annullato gli sconti sulle accise dei carburanti introdotte dal governo Draghi.
Successivamente, di fronte all’esplosione dei costi energetici che nel 2024 hanno costretto 1,2 milioni di famiglie a vedersi aumentata del +80% la bolletta energetica, il governo ha stanziato 3 miliardi come bonus energetico ma destinato a dei precisi profili sociali (reddito/composizione familiare), di fatto una implicita ammissione di mancanza di determinazione nell’adozione di una politica anticiclica.
Viceversa si sono mantenuti tutti quei bonus “ad omnibus” (elettrodomestici, psicologo etc) i quali hanno solo il vantaggio di favorire un singolo settore a discapito di tutti gli altri, non presi in alcuna considerazione.
Le aziende, intanto, hanno visto esplodere i costi energetici nel 2024 del +40% e di un ulteriore +15% per il primo trimestre 2025.
In questo contesto Arera (Autorità di regolazione energia e reti) ha già anticipato come per il 2026 ci sarà un ulteriore aumento del costo energetico per famiglie ed imprese (+1,2%) oltre l’andamento delle quotazioni alla borsa di Amsterdam. Un fattore che determinerà una ulteriore perdita di competitività per le imprese italiane ed una caduta ulteriore della qualità di vita delle famiglie.
Quindi, in oltre due anni, la insostenibilità dei costi energetici ha determinato ed amplificato il crollo della produzione industriale nel settore autoveicoli tornata a livello del 1956 (456.000 auto in ulteriore diminuzione nel primo trimestre 2025). Contemporaneamente in Spagna risulta raddoppiato fino ad un milione il numero di auto prodotte proprio grazie ad un corso energetico inferiore del -53% rispetto a quello italiano.
In altre parole, la politica energetica si dimostra un fattore moltiplicatore aggiuntivo delle continue flessioni di produzione industriale, determinate anche dalla situazione internazionale problematica.
In un simile contesto andrebbero completamente riviste le priorità della spesa pubblica il cui primo obiettivo dovrebbe essere quello di assicurare le migliori condizioni di competitività alle imprese e di serenità alle famiglie attraverso una riduzione sostanziale dei costi energetici. Una considerazione che non sembra interessare il governo in carica, tanto è vero che in piena crisi energetica destina cinque miliardi per la realizzazione di nuovi stadi. Miliardi i quali, uniti ai tre miliardi già stanziati per i bonus energetici, raggiungerebbero la cifra di 8 miliardi che vennero utilizzati dal governo Draghi per ridurre l’Iva di 17 punti applicata ai costi energetici, delineando in questo modo un orizzonte di speranza per le imprese e le famiglie.
Quindi, se, come diceva Einstein, “non è possibile risolvere un problema con lo stesso livello di pensiero che sta creando il problema”, mai come ora sarebbe necessario, per non dire vitale, cambiare appunto gli obiettivi dell’azione governativa. Tralasciando, se non altro nell’immediato, faraonici progetti (ponte sullo Stretto) le cui ricadute economiche ed occupazionali risultano poco chiare allo stesso ministro, e viceversa privilegiare la destinazione di risorse economiche al perseguimento di una politica energetica che assicuri un futuro di competitività alle imprese e di serenità alle famiglie.