Laurea

  • Matricole

    Leggo su The Economist (8/14/2023) che negli Stati Uniti, e non solo, è molto grave la posizione di quei giovani che hanno contratto debiti per frequentare l’Università. Succede che i compensi percepiti, anche grazie ai titoli conseguiti, non sono sufficienti e il debito resta lì a pesare su chi aveva riposto nello studio la speranza di una vita di successo. Che fare, come evitare che una situazione simile si ripeta e gravi sul sistema economico nel suo complesso e sulle casse degli incauti istituti di finanziamento? Si suggerisce di porre in essere una accurata campagna di informazione del tipo, mi verrebbe da immaginare, “il fumo nuoce gravemente alla salute”. Come dire che se uno, malgrado gli avvertimenti insiste nel voler assumere dosi di letteratura, storia, arte e tossici similari dovrà accollarsene la totale responsabilità in termini di costi reali e sociali. Bene, era ora che qualcuno parlasse francamente e dicesse chiaro e tondo che è il mercato che regola le scelte della vita e non già le nostre inclinazioni e passioni; che nessuno ti regala niente tantomeno in cambio di una poesia, una Gioconda o altre simili minuzie. Dunque scegliete bene come realizzare i loro progetti. Alé matematici, iperinformatici e spara superrazzi è il vostro momento. Siete anche fortunati perché, se poi, quando conterete i quattrini, il conto non sarò di vostro gradimento, potrete fare causa a chi vi ha debitamente disinformato. E, gli altri, quelli che si ostinano a voler seguire le loro inclinazioni, lasciateli in pace e non giudicateli. Non è detto che un domani, se vi sentirete un po’ strani, non li cerchiate per una “fumatina” insieme.

  • Ha una laurea solo il 20,1% degli italiani, contro una media europea del 32,8%

    Cresce il divario tra l’Italia e l’Europa nei livelli di istruzione: nel nostro Paese solo il 20,1% della popolazione di 25-64 anni possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. Le quote di laureati sono più alte al Nord (21,3%) e al Centro (24,2%) rispetto al Mezzogiorno (16,2%) ma comunque rimangono lontane dai valori europei. Le laureate nelle discipline scientifiche sono la metà dei colleghi maschi: 1 laureato ‘Stem’ su 3 è maschio contro 1 ragazza su 6. E’ ampia la distanza dagli altri paesi europei anche nella quota di popolazione con almeno un diploma: il 62,9% contro 79% nell’Ue27. Come è alta la quota di giovani che abbandonano gli studi: nel 2020 in Italia è pari al 13,1%, per un totale di circa 543mila giovani, in leggero calo rispetto all’anno precedente. Nonostante l’Italia abbia registrato notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici, la quota di giovani che abbandona troppo presto gli studi resta tra le più alte dell’Ue.

    Un quadro drammatico quello fornito oggi dall’Istat nel Report “Livelli di istruzione e partecipazione alla formazione”, relativo al 2020. In particolare, l’abbandono scolastico caratterizza i ragazzi (15,6%) più delle ragazze (10,4%) e per queste ultime si registra una diminuzione anche nell’ultimo anno (-1,1 punti). Tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi è gravissimo se è vero che risulta più di tre volte superiore a quello degli italiani: 35,4% contro 11%. Peraltro, mentre tra il 2008 e il 2014 si era registrato anche tra gli stranieri un significativo calo degli abbandoni precoci; negli ultimi sei anni la riduzione coinvolge solo cittadini italiani. L’incidenza di abbandoni precoci tra gli stranieri nati all’estero varia molto a seconda dell’età di arrivo in Italia. Tra quelli arrivati entro i 9 anni di età, la quota è pari al 19,7%, sale al 33,4% tra coloro che sono giunti tra i 10 e i 15 anni e raggiunge il 57,3% per chi è entrato in Italia tra i 16 e i 24 anni.

    Lo studio conferma che la dispersione scolastica è fortemente condizionata dalle caratteristiche socio-economiche della famiglia di origine: incidenze molto elevate di abbandoni precoci si riscontrano infatti dove il livello d’istruzione o quello professionale dei genitori è basso L’abbandono degli studi prima del diploma riguarda il 22,7% dei giovani i cui genitori hanno al massimo la licenza media, il 5,9% di quelli che hanno genitori con un titolo secondario superiore e il 2,3% dei giovani con genitori laureati.

    Anche la partecipazione degli adulti alla formazione è più bassa della media europea: nel 2020, la partecipazione degli adulti a un’esperienza di apprendimento recente in Italia è inferiore al valore medio dell’Ue27 (7,2% contro 9,2%) e a quello di Francia (13%), Spagna (11%) e Germania (7,7%). Come pure è minima la partecipazione dei disoccupati alla formazione continua mentre è massima tra gli occupati; in Europa avviene esattamente il contrario.  “Il rapporto Istat sui livelli di istruzione in Italia per il 2020 conferma le criticità da anni riscontrate e alle quali il Pnrr con le riforme e gli investimenti previsti intende porre rimedio, speriamo con successo”, afferma il segretario confederale della Cisl, Angelo Colombini. Per la Cgil nazionale, “è un quadro emergenziale quello delineato quest’oggi dall’Istat, un quadro che rende evidente quali siano le misure da attuare con urgenza: innalzare l’obbligo scolastico e mettere in campo un sistema di formazione permanente che consenta a tutti di continuare ad apprendere e ad ampliare le conoscenze, le capacità e le competenze”.

  • Solo in Romania meno laureati che in Italia

    L’ignoranza abita in Italia, che anche nel 2017, secondo i dati diffusi da Eurostat, è rimasta il fanalino di coda dell’Unione europea per i trentenni laureati: solo il 26,9% della popolazione con un’età compresa tra i 30 e i 34 anni è infatti risultato essere in possesso di un diploma di laurea. L’unico Paese ad aver fatto registrate un dato peggiore è la Romania, dove il tasso dei trentenni laureati si è fermato al 26,3%. Nell’Ue, in media, i laureati sono arrivati ad essere il 39,9% raggiungendo così con tre anni di anticipo l’obiettivo (40%) fissato nell’ambito della strategia ‘Europa 2020’.

    La società di consulenza Willis Towers Watson ha stilato una classifica dei Paesi dove i laureati guadagnano di più indicando al primo posto la Svizzera, dove già al primo impiego si possono guadagnare oltre 78mila euro lordi all’anno. Secondo e terzo posto per Danimarca e Norvegia, dove gli emolumenti si aggirano rispettivamente intorno ai 51mila e ai 49mila euro. Al quarto posto la Germania, dove in media un neolaureato al primo impiego porta a casa 46mila euro. In Francia 34mila, sempre lordi e all’anno. A pari merito si piazzano Italia e Gran Bretagna sui 29mila euro. Il Paese meno conveniente per chi ha terminato la laurea è risultato essere il Portogallo, con prospettive di guadagno di soli 18mila euro.

  • L’Italia rifiuta corsi di laurea in inglese, la Danimarca propone consorzi tra università europee

    Nel mondo globalizzato, l’Ue subisce la pressione di altri continenti che hanno accelerato la crescita e lo sviluppo, anche nella ricerca e nell’istruzione. Oggi le università dei paesi dell’Ue sono sottorappresentate nella fascia più alta delle classifiche internazionali delle università e in Paesi come l’Italia corsi di laurea interamente in inglese sono stati bocciati da ricorsi alla magistratura in nome della difesa della lingua autoctona (mentre le aziende italiane danno per scontato che chiunque cerchi lavoro sappia l’inglese e almeno un’altra lingua). Programmi come il Consiglio europeo della ricerca e le azioni Marie Skłodowska-Curie hanno aumentato la mobilità dei ricercatori europei tra i vari atenei del Continente ma manca ancora un progetto organico, capace di attrarre le persone più talentuose di ogni dove, così da gettare le basi per i più alti standard di istruzione e ricerca in tutto il mondo. Soren Pind, ministro danese dell’Istruzione superiore, ha proposto come primo passo per arrivare a quel traguardo la creazione di consorzi tra università e istituti di istruzione superiore e di ricerca di tre o più Paesi, col sostegno finanziario dell’Unione.

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