Le politiche economiche dei paesi occidentali vengono stabilite e determinate dai vari governi eletti dai cittadini. Logica conseguenza di tale sistema democratico è che questi governi rappresentano una sintesi di diverse strategie politiche, tra le quali il principio della maggioranza che elegge quella con maggior consenso. Il consenso elettorale quindi rappresenta la condizione fondamentale per operare e definire le strategie politiche ed economiche di uno stato democratico.
In questo contesto i vari partiti cercano di ottenere il supporto elettorale dei cittadini anche attraverso l’applicazione di scelte considerate di breve respiro e problematiche sotto il profilo della sostenibilità economica e finanziaria nel medio come nel lungo termine ma che ottengono viceversa il consenso immediato che si traduce ovviamente in consenso elettorale.
In altre parole, nei sistemi democratici il consenso elettorale viene ottenuto oltre che con un democratico confronto tra le diverse opinioni, tra i vari partiti dell’arco costituzionale, anche e forse soprattutto attraverso la gestione della spesa pubblica la quale può venire modulata in relazione all’ottenimento del consenso stesso.
La sua gestione infatti si può tradurre facilmente in servizi ed addirittura in contratti di lavoro indipendentemente dal contesto economico nazionale quanto internazionale e soprattutto non valutando la sostenibilità della finanza pubblica per questi servizi o posti di lavoro aggiuntivi.
La storia economica del nostro paese dimostra infatti come a fronte di oltre 25 anni di promesse relative alla diminuzione della spesa pubblica, o quantomeno di un suo contenimento, espresse da tutti i partiti che poi si sono succeduti alla guida del nostro paese questa risulti sempre aumentata, come certifica il continuo aumento del debito pubblico.
Per di più all’interno di un mercato globale nel quale la crescita economica smentisce sempre più le ridicole affermazioni di possibilità di forte crescita legata alla semplice globalizzazione risulta molto più agevole ottenere il consenso attraverso l’aumento della spesa pubblica la quale rappresenta una fonte sicura legata alla pressione fiscale, anche questa sempre aumentata negli ultimi vent’anni ad una velocità doppia rispetto al inflazione.
Un mercato globale, al di là delle scolastiche definizioni, viene rappresentato soprattutto dall’impossibilità di un unico player di poterne influenzare gli andamenti. Per cui i singoli Stati risultano partecipi al sistema globale e talvolta causa stessa delle diverse crisi economiche che si sono succedute nell’arco degli ultimi anni sia in ambito nazionale che internazionale. La progressiva difficoltà di un equilibrio finanziario del sistema economico e politico nazionale sta mettendo in crisi la stessa sostenibilità del Welfare State, tuttavia rappresenta la forma di democrazia imperfetta ma comunque democrazia.
Viceversa in Cina la scelta centralista e assolutamente non democratica di riservare un mandato politico a vita a presidente a Xi praticamente abilita l’attuale quadro dirigente, ed in particolare il suo premier, a poter operare qualsiasi tipo di scelta strategica economica non preoccupandosi di eventuali ricadute negative nel breve periodo per quanto riguarda la qualità di vita dei cittadini cinesi. Il singolare privilegio di non dover ottenere periodicamente un ulteriore mandato dagli elettori permette di pianificare l’economia indipendentemente dal consenso dei cittadini in quanto non esiste nessuna possibilità di ottenere o di riscontrare e quindi esprimere il gradimento dei cittadini stessi.
Queste due forme di economia che rappresentano l’espressione di due forme di sistemi politici, uno democratico l’altro molto meno in quanto molto più vicino all’economia pianificata, quindi socialista, risultano assolutamente incompatibili all’interno di un mercato che si definisce globale e per questo libero. Un mercato si può definire aperto se risulta basato sulla concorrenza (definizione tanto cara al mondo accademico europeo) quando tutti i sistemi politico-economici vengono posti sulla stessa linea attraverso le proprie scelte di strategia economica e politica e la creazione di fattori competitivi interni utilizzando la spesa pubblica. Questi si uniscono alla creatività ed a sistemi industriali che permettono loro di ottenere e raggiungere un equilibrio economico finanziario in grado di mantenere e di migliorare lo stile come il contenuto di servizi per la qualità della vita dei cittadini.
Risulta evidente invece che questo sistema non possa reggere se vede in competizione sistemi democratici in competizione con altre economie “pianificate” le quali godono di un sistema fiscale assolutamente incompatibile con quello dei paesi avanzati, e cioè di un regime di dumping fiscale retributivo che li mette in una posizione assolutamente al di fuori di ogni sistema concorrenziale.
A questi fattori competitivi si aggiunge poi anche un vero e proprio DUMPING POLITICO in quanto la classe politica e dirigente di questo paese non si trova nella necessità di dover rispondere del proprio operato ai cittadini.
Risulta perciò evidente come il peccato originale si manifesti in due momenti diversi. Il primo sicuramente può venire ricondotto al dicembre 2001, l’anno in cui la Cina entrò nel WTO come espressione di un sistema politico economico simile alle democrazie occidentali. Il secondo momento non è altro che la conseguenza del primo perché all’interno di mercato globale anche il
DUMPING democratico si traduce in un fattore competitivo economico aggiuntivo a favore del sistema politico economico del paese che esprime tale dumping.
Ora finalmente si comincia a leggere qualche timida critica assieme a qualche timido dubbio relativo alla sostenibilità di un sistema che di fatto non possiede credenziali per accedere ad un mercato concorrenziale aperto. Dei dubbi che ancora adesso rappresentano un momento di riflessione minoritario in quanto ancora l’anno scorso l’Unione Europea aveva intenzione di riconoscere lo status di economia democratica alla Cina stessa. Una opzione fortemente osteggiata anche dagli Stati Uniti che si è tradotta poi della definizione di un ibrido riconoscimento all’economia cinese che dimostra ancora una volta il nostro declino culturale continentale.
Ovviamente in questo contesto la complicità di tutti i sistemi politici che si sono alternati alla guida dei nostri paesi occidentali, come dei mondi accademici che hanno salutato tanto l’allargamento ad est dell’Europa, quanto l’ingresso della Cina nel WTO rappresenta un errore strategico di dimensioni epocali.
La differenza rispetto al peccato originale commesso dall’uomo alla sua nascita emerge evidente per la semplice considerazione che il peccato originale e le sue conseguenze ricaddero sull’uomo artefice della propria scelta. Viceversa nell’economia globale le conseguenze di queste colpevoli decisioni della classe politica e dirigente ricadono sui cittadini come sui lavoratori europei ed occidentali in generale.