lockdown

  • Effetto lockdown, crescono colf e badanti regolari

    Pandemia e lockdown hanno prodotto effetti positivi per la regolarizzazione di colf, badanti e baby sitter. Grazie soprattutto alla necessità di avere contratti regolari per consentire ai lavoratori di spostarsi liberamente nei periodi delle restrizioni da covid, nel 2020 i contributi versati all’Inps per i lavoratori domestici hanno registrato un incremento del 7,5%.

    In particolare, lo scorso anno i lavoratori domestici per i quali sono stati registrati versamenti contributivi all’Inps sono saliti a 920.722 dagli 848.987 del 2019. Un andamento che fa registrare per questa categoria livelli occupazionali precedenti il 2015, interrompendo una tendenza costantemente decrescente iniziata nel 2013. E l’Osservatorio dell’Inps spiega che due sono gli elementi che hanno maggiormente influenzato l’incremento: in primis il lockdown seguito alla prima ondata di Covid e poi la norma che ha regolamentato l’emersione di rapporti di lavoro irregolari contenuta nel dl Rilancio, “che ha interessato prevalentemente i lavoratori stranieri e i cui effetti probabilmente si estenderanno anche al 2021”.

    Ma l’Assindatcolf avverte che se anche il lavoro regolare è cresciuto rispetto ai livelli pre covid, tuttavia non è riuscito a superare il milione di addetti. E l’Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico si sarebbe aspettata “un incremento ben maggiore e soprattutto relativo alla componente straniera”, come ha osservato il presidente Andrea Zini.

    Secondo i dati Inps, nel 2020 la distribuzione in base al luogo di lavoro indica che il Nord-Ovest è l’area geografica che, con il 30,2%, presenta il maggior numero di presenze tra colf e badanti, seguita dal Centro con il 27,3%, dal Nord-Est con il 20,3%, dal Sud con il 12,7% e dalle Isole con l’9,5%. Tra le regioni, quella che presenta il maggior numero di lavoratori domestici è la Lombardia (172.092 nel 2020, pari al 18,7%), seguita dal Lazio (13,8%), dall’Emilia Romagna (8,7%) e dalla Toscana (8,6%). In queste quattro regioni si concentra quasi la metà di colf, baby sitter e badanti in Italia.

    Guardando alla nazionalità, la prevalenza è di lavoratori stranieri, che nel 2020 erano il 68,8% del totale, quota che però continua la tendenza decrescente iniziata dal 2013. La regione con il maggior numero di lavoratori domestici stranieri è la Lombardia (137.037, il 21,6%), a seguire il Lazio (16,1%) e l’Emilia-Romagna (10,1%). Rispetto alla provenienza, nel 2020 l’Europa dell’Est continua ad essere la zona di origine della maggior parte di loro con 351.684 lavoratori domestici pari al 38,2% del totale, seguiti dai 287.610 lavoratori di cittadinanza italiana (31,2%) e dai lavoratori delle Isole Filippine (7,3%) e del Sud America (7,2%).

  • L’aria pulita ha un prezzo insostenibile: il lockdown

    Il lockdown, per via dell’emergenza sanitaria da coronavirus, ha spinto l’Italia verso la
    decarbonizzazione. Da aprile a giugno sono calati i consumi di energia e crollate le emissioni di Co2, con un’esplosione delle rinnovabili, arrivate a maggio a un record storico. È questa la fotografia che un’analisi dell’Enea sul secondo trimestre 2020 (comparata rispetto allo stesso periodo del 2019) ha scattato al sistema energetico italiano.

    Nel secondo trimestre – viene spiegato – c’è stato un calo del 22% dei consumi di energia e del 26% delle emissioni di CO2. Con un picco negativo che è stato raggiunto ad aprile, con un
    meno 30% in coincidenza della fase più restrittiva del lockdown. Su base semestrale la riduzione è stata del 14% rispetto alla prima metà del 2019. A questo bisogna aggiungere che “il forte calo dei consumi di energia elettrica (meno 13%) ha accresciuto il ‘peso’ delle fonti rinnovabili: nel mese di maggio hanno soddisfatto oltre il 50% della domanda di elettricità (20% da eolico e solare),
    raggiungendo un nuovo massimo storico”. “I cali di consumi e di emissioni sono senza precedenti –
    spiega Francesco Gracceva, il ricercatore dell’Enea che ha curato l’analisi – e anche nell’ipotesi ottimistica di un ritorno alla normalità nella seconda parte dell’anno, a fine 2020 la flessione sarà probabilmente superiore al record negativo del 2009, meno 6% dei consumi di energia. Le emissioni sono diminuite più dei consumi di energia – continua – in quanto si è ridotto principalmente il ricorso alle fonti fossili con maggiore intensità carbonica, come carbone e petrolio”. Nel secondo trimestre, infatti, “la domanda di petrolio è diminuita del 30%, quella di gas naturale del 18% e le importazioni di energia elettrica sono crollate del 70% a fronte di un aumento del 7% delle fonti rinnovabili”. Ma “le stime preliminari evidenziano consumi di energia in ripresa a luglio rispetto ai mesi precedenti, anche se restano molto inferiori rispetto ai livelli allo stesso mese del 2019”. Il crollo delle emissioni di Co2 ha determinato un forte miglioramento del 30% per la componente ‘decarbonizzazione’ nell’indice Ispred, elaborato da per monitorare la transizione del sistema energetico sulla base dell’andamento dei prezzi, della sicurezza e del livello di emissioni. “Tuttavia – spiega Gracceva – è plausibile che in uno scenario di ritorno dell’attività economica sui livelli pre-crisi, la traiettoria delle emissioni torni a discostarsi dagli obiettivi al 2030, se si confermasse il trend degli ultimi anni di modesto disaccoppiamento tra andamento dell’economia e consumi di energia”.

  • La convivenza domestica forzata aumenta le violenze

    Ancora femminicidi e sangue tra le mura domestiche. Dopo la vicenda del 45enne che per ‘vendetta’
    sulla ex ha ucciso i suoi due figli gemelli nel Lecchese prima di togliersi la vita, si registrano nuovi casi: da Grosseto, dove un uomo si è suicidato dopo aver tentato di uccidere la moglie, ora in gravi condizioni, fino al litorale laziale dove a Fregene un 39enne è stato arrestato per aver cercato di colpire
    con una cesoia la moglie in fuga da lui. Episodi che tornano tristemente all’ordine del giorno per gli investigatori: nell’ultimo Report realizzato dall’Organismo permanente di monitoraggio durante l’emergenza coronavirus, si rileva che a partire dalla fine di marzo si assiste ad un costante graduale
    incremento dei ‘reati spia’ della violenza di genere (atti persecutori, maltrattamenti e violenza sessuale), che dagli 886 di fine marzo sono arrivati a 1.080 al 10 maggio 2020, in corrispondenza del progressivo allentamento delle misure restrittive. Il reato che subisce un aumento più significativo è quello dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. Dal primo marzo al 10 maggio, rispetto al periodo di riferimento dello scorso anno, si registra il -46,67% di femminicidi rispetto all’anno precedente (da 30 nel 2019 a 16 nel 2020), il calo è anche in ambito familiare e affettivo (da 23 a 15). Sono anche aumentate le telefonate al numero antiviolenza 1522 del Dipartimento per le Pari Opportunità, nato per sostenere ed aiutare le donne vittime di violenza. Il reato che subisce un aumento più significativo è quello dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. L’elevato numero di richieste di aiuto pervenute al numero dedicato lascia presumere il senso di solitudine e di smarrimento connesso alla difficoltà per le donne di rivolgersi alle forze di polizia. Calano – secondo i dati della Criminalpol – anche le violenze sessuali, al -66%. Ma gli episodi proseguono e dopo il lockdown il rischio è che in questa fase 3 possano registrarsi invece nuovi picchi. Tra le vicende più recenti, c’è quella di un 64enne trovato morto e sua moglie ferita gravemente in una casa alla periferia di Grosseto. L’ipotesi al momento è che l’uomo si sia tolto la vita dopo aver tentato di uccidere la moglie. A Reggio Emilia, invece, un 42enne di origini napoletane è stato arrestato dai carabinieri per aver distrutto l’auto della moglie e poi per aver tentato di aggredire gli stessi militari. La donna, quando è rientrata dal mare, si è persino trovata il marito in casa nonostante nei confronti di quest’ultimo il giudice avesse disposto allontanamento dall’abitazione e divieto di avvicinamento alla coniuge a causa di maltrattamenti subiti in precedenza. A Fregene, invece, la polizia ha messo le manette a un cittadino marocchino di 39 anni, fermato subito dopo aver tentato di uccidere la moglie, una 35enne romana con la quale è sposato da oltre 10 anni. La donna nei giorni scorsi era
    scappata dalla casa in cui vivevano insieme ai loro tre figli, perché esasperata dalle violenze subite negli anni e si era rifugiata nella villetta di famiglia a Fregene. Quando la 35enne è rincasata, se l’è trovato alle spalle con in mano una grossa cesoia con la quale ha tentato di colpirla. Soltanto la prontezza di riflessi della vittima le ha permesso di fuggire, riuscendo ad entrare nell’abitazione e chiudendo dietro la grata della porta, sulla quale si è andato ad infrangere il colpo. Violenze e drammi colpiscono anche i minori: a Genova una studentessa di 16 anni, vittima di una violenza sessuale qualche mese fa, ha tentato il suicidio. A salvarla è stato l’amico del cuore, a cui la ragazza aveva scritto un disperato messaggio.

  • Coronavirus, gli effetti del lockdown

    Con il DPCM del 1 aprile 2020, pochi giorni orsono, il Governo ha prorogato sino al 13 aprile le misure di contenimento per il contrasto alla diffusione del coronavirus.

    Ripercorriamo insieme velocemente le tappe che hanno portato al lockdown. Il 31 gennaio, è stato dichiarato lo “stato di emergenza”; dopo una serie concitata di interventi, che tralascio per non appesantire la lettura, il 22 marzo si è arrivati alla chiusura delle unità produttive non essenziali o strategiche. Tali restrizioni sono tutt’ora vigenti sino al 13 aprile.

    Senza alcun spirito polemico, rilevo che dalla data della declarata emergenza sanitaria a quella del lockdown sono trascorsi più di 50 giorni. Ora, se l’imperativo è contenere la diffusione del virus, è chiaro che la tempestività delle iniziative è fondamentale per cercare di ridurre il numero di contagi e quindi di contenere il periodo di serrata.

    La riduzione dell’epidemia va a braccetto con la ripartenza del tessuto economico: ogni mese di chiusura, queste sono le stime del consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, costa tra gli 85 e i 100 Mld di euro. Queste cifre “che fanno tremare i polsi”, così le ha commentate il presidente del CNDCEC Massimo Miani, impongono certamente di cercare di ridurre al minimo il periodo di lockdown.

    Le stime del centro studi Confindustria su dati ISTAT presentano un calo del PIL di circa 10 punti percentuali per il primo trimestre del 2020 a cui dovrebbe corrispondere, sempre che la situazione sanitaria evolva positivamente in maniera rapida e consenta la ripresa delle attività seppur con tutte le cautele e le precauzioni del caso, un calo del 6% su base annua.

    In marzo è stato varato un primo intervento di sostegno per le imprese e i cittadini per una spesa di circa 25 Mld. di euro; se altrettanto venisse fatto ad aprile con risorse europee, a parità di scenari, si avrebbe una minor riduzione del PIL di 0,5 punti percentuali. Questo dato ci aiuta a comprendere come siano necessarie misure di più ampia portata.

    Il tema principale, come da più parti sostenuto, è la necessità di immettere nel sistema un’adeguata iniezione di liquidità immediatamente fruibile per imprese e cittadini in modo da evitare un pericolo crash finanziario che comporterebbe una prolungata depressione economica e l’insorgere di dolorosi fenomeni sociali.

    In proposito, Confindustria, insieme ai paritetici organismi tedesco e francese, hanno proposto un piano europeo straordinario di 3.000 miliardi di euro di investimenti pubblici. Di questi ci sarebbe una prima tranche di circa 500 miliardi di euro da destinare alle misure di liquidità e agli investimenti in sanità, infrastrutture e digitalizzazione.

    L’obiettivo deve essere quello di evitare che il sistema si fermi per effetto della carenza di liquidità procurata dal lockdown. E questo è vero anche con riferimento a quei settori oggi ancora in esercizio e che, probabilmente, stanno sostenendo picchi di domanda poiché laddove si innestasse la pericolosa crisi senza adeguati sostegni, parecchie aziende sarebbero costrette alla chiusura, molti lavoratori sarebbero privati della capacità di spesa con conseguenze di depressione generale per tutto il sistema.

    Le imprese, dal canto loro, sono chiamate oggi ad un importante sforzo per rivedere costantemente i propri piani finanziari in modo da cercare di prevedere le proprie esigenze e adottare tempestivamente gli strumenti disponibili (ammortizzatori sociali, moratoria dei mutui, ecc.). Dovranno ripensare i propri modelli di business e i processi produttivi alla ricerca di nuova efficienza salvaguardando la salute dei lavoratori. L’obiettivo in questa fase emergenziale è quello di sostenere l’urto e prepararsi alla ripartenza. L’uso delle nuove tecnologiche affiancato alla rivisitazione dei modi di lavoro può essere di estremo aiuto.

    In modo responsabile, chi può pagare lo deve fare, certo con le dovute garanzie e cautele, evitando comportamenti scorretti di rinvio tout court dei pagamenti, sfruttando l’emergenza del momento, che non farebbero che aggravare la situazione economica generale.

    In tutto questo processo potrebbe esserci un effetto ottimizzante che porterà a privilegiare le filiere produttive di qualità accompagnando, di conseguenza, all’uscita quelle che già si collocavano ai margini.

    Il Governo e le istituzioni europee sono chiamate a interventi coraggiosi di sostegno, che non possono trovare adeguata risposta negli strumenti oggi disponibili che erano stati creati secondo logiche non più attuali. Sarà impensabile uscire da questo momento senza incremento del debito pubblico. Aggiungo che, trattandosi di un fenomeno globale, andrebbe trattato a livello sovranazionale e quindi sarebbe quanto mai opportuno, per non dire imprescindibile, che venissero varati nuovi strumenti a valere sul patrimonio di entità e istituzioni europee o comunque dalle stesse garantite.

    Chiudo con un dato positivo che lascia ben sperare anche laddove gli stati europei non riuscissero a fare quell’auspicato salto di passo: la ricchezza delle famiglie italiane a fine 2017, secondo i dati di Banca d’Italia, era pari a 9.743 miliardi di euro, di cui 4.374 detenuti in attività finanziarie. Forse, e sottolineo il forse, veri cambiamenti strutturali nel Paese che ne rivalutassero competitività e efficienza, potrebbero indurre i cittadini a sostenere il debito pubblico anche con riferimento a ipotetiche emissioni straordinarie di titoli di stato dedicati all’emergenza corona virus.

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