malattia

  • Dipendenza da gioco: lo Stato non può più tergiversare

    Nonostante le tante speranze suscitate dalle promesse della politica, dopo che da più parti nel passato si erano elevate molte voci  per sollecitare interventi idonei a frenare lo smodato aumento dei giocatori d’azzardo,nulla è cambiato.

    La ludopatia è una malattia in continua crescita e sono sempre più giovani i giocatori.

    Nella sola Lombardia i dati evidenziano che il 40% dei quindicenni ha giocato d’azzardo o partecipato a scommesse e la percentuale aumenta per i diciassettenni anche se per legge, ma poi di fatto solo teoricamente, il gioco d’azzardo è proibito ai minori di diciotto anni.

    In considerevole aumento è anche il volume di denaro giocato, e sono in aumento le dipendenze, con le evidenti conseguenze per la società, infatti molte persone con il gioco hanno la vita segnata e spesso sono coinvolte, nella sventura, le loro famiglie.

    Secondo  dati, riportati anche dal Corriere della Sera, in Lombardia vi sono 13 sale Bingo, 848 macchinette Vit (terminal lotteria) e 8338 apparecchi AWP, se a questo aggiungiamo tutto il mondo del gioco on line e del gioco in nero si vede bene come il pericolo sia sempre in agguato per tanti giovani, pericolo che in troppi casi colpisce anche persone anziane e sole.

    I video giochi, altro settore che diviene sempre più pericoloso per i giochi violenti, stanno diventando anch’essi strumento, veicolo per il gioco d’azzardo visto che sono consentite scommesse e sistemi che invitano a investire soldi per aumentare la possibilità di vincere.

    Non è da trascurare inoltre che alla dipendenza del gioco spesso si associa la dipendenza da alcool e droghe.

    La politica ha il dovere di non tergiversare ulteriormente, lo Stato può anche trarre un apparente beneficio da alcuni tipi di gioco ma i danni ai quali si deve poi riparare nelle strutture sanitarie vanificano questo introito, senza valutare inoltre le conseguenze che restano nella psiche delle persone, né può essere più oltre ignorato che dietro al mondo del gioco d’azzardo si nascondono ben note organizzazioni criminali.

    Continuare ad ignora il problema o a demandarne la soluzione sine die diventa colpevole.

  • Chi rinvia sempre può avere malattie più serie della semplice pigrizia

    Chi è propenso a rinviare, sistematicamente e non occasionalmente, è più esposto ad ansia, depressione e stress, dorme male e soffre maggiormente di solitudine. Lo afferma una ricerca condotta da esperti in salute dell’università di Stoccolma con particolare riferimento agli studenti.

    La tendenza a rinviare è più diffusa tra i giovani che tra gli adulti, in percentuali rispettivamente pari al 70% e al 20% del totale e si manifesta come un fallimento del sistema di autoregolazione dell’individuo. Gli studiosi suddividono le persone afflitte da procrastinazione in tre categorie: intenzionali, consapevoli delle scelte che fanno, non intenzionali, meno consapevoli del proprio atteggiamento (semplicisticamente, li si potrebbe individuare come pigri), attivi e passivi, a seconda che ritengano o meno che rinviare ciò che dovrebbero fare sia non solo non dannoso ma anche utile e necessario.

    L’autoregolazione, la gestione della propria agenda è una funzione svolta principalmente (ma con l’ausilio di altri parti del cervello) dalla corteccia prefrontrale. Come terapia per sfuggire alla tendenza a rinviare, viene suggerito di scorporare l’impegno da affrontare così da non vederlo come un monolite impervio e procedere step by step, traendo motivazione e spinta propulsiva dai singoli risultati conseguiti. Molto importante è anche inserire della pause rigenerative, dei momenti di svago tra i vari passi da compiere per portare a compimento l’impegno da affrontare.

  • L’influenza aviaria è arrivata anche al Polo Sud

    Anche il Polo Sud è stato colpito dal virus dell’influenza aviaria H5N1, arrivato probabilmente insieme agli uccelli selvatici provenienti dall’America meridionale.

    Il virus H5N1 è in grado di viaggiare, spostandosi con gli uccelli migratori. Ed è così che dal Sud America ha raggiunto l’Antartide, dove la sua presenza è stata confermata a partire dal 2022 grazie alla ricerca condotta dall’Agenzia britannica per la salute di piante e animali (Apha) e pubblicata sulla rivista Nature Communications.

    La presenza del virus H5N1 in Antartide era stata segnalata tra febbraio e marzo e poi nell’aprile 2024, quando una ricerca australiana lo aveva individuato nella zona nord-occidentale e isolato negli Skua, uccelli simili ai gabbiani e molto comuni lungo le coste antartiche. L’allarme è stato tale da costringere a interrompere le campagne di ricerca sui pinguini.

    Adesso la ricerca condotta dal gruppo dell’Apha guidato da Ashley Banyard, e del quale fa parte il virologo italiano Marco Falchieri, ha trovato il virus H5N1 sia negli uccelli sia nei mammiferi che vivono nelle isole Falkland e nella Georgia del Sud. Oltre che negli Skua, il virus è stato rilevato negli zigoli e nelle sterne; fra gli animali marini, sono state colpite le foche elefante.

    La ricerca britannica fornisce la dimostrazione definitiva di quanto il virus dell’aviaria si sia diffuso su un’area geografica molto vasta, tanto da far scattare un campanello d’allarme per gli animali selvatici che, come quelli antartici, vivono nelle regioni più remote del mondo. In particolare, gli autori della ricerca ritengono opportuno mantenere alta la guardia analizzando in dettaglio la circolazione del virus nell’ecosistema antartico. Osservano, per esempio, come sia importante mettere a punto misure di prevenzione e attuare una sorveglianza continua allo scopo di mitigare i rischi per la fauna selvatica che vive in zone remote, ma non inaccessibili, come dimostra il caso dell’Antartide.

    Il virus potrebbe aver ucciso più di 30mila leoni marini sudamericani e oltre 2.500 cuccioli di elefante marino.

  • La Commissione riconosce la Sardegna e la Svezia indenni dalla peste suina africana

    La Commissione europea ha ufficialmente riconosciuto la Sardegna e la Svezia indenni dalla peste suina africana mediante una revisione del regime di regionalizzazione dell’UE adottata il 23 settembre. La peste suina africana è una malattia virale mortale che colpisce i suini domestici e selvatici.

    Per la Sardegna ciò segna la fine di un focolaio di peste suina africana di genotipo I sviluppatosi per la prima volta nel 1978. L’eliminazione della malattia è stata conseguita mediante un rigoroso programma di eradicazione e controllo, sostenuto dall’UE e guidato da un gruppo di esperti nazionali e regionali. Le azioni comprendevano in particolare una sorveglianza rafforzata dei cinghiali e dei suini domestici associata a misure di biosicurezza, nonché la formazione di operatori quali allevatori e cacciatori.

    In Svezia lo status di paese indenne da peste suina africana è stato concesso un anno dopo che la malattia è stata rilevata per la prima volta in un cinghiale morto nella contea del Västmanland. Questo risultato è dovuto alla rapida attuazione da parte delle autorità svedesi di misure per controllare ed eradicare la malattia, adattate sulla base delle raccomandazioni del gruppo veterinario di emergenza dell’UE (EUVET). Dalla breve epidemia di agosto-settembre dello scorso anno, in Svezia non sono stati segnalati nuovi casi.

    La Commissione continua a sostenere gli altri Stati membri affinché restino vigili e applichino la legislazione europea pertinente per combattere la malattia.

  • Il virus delle scimmie individuato anche fuori dall’Africa. Capua lancia l’allarme epidemia

    L’agenzia sanitaria pubblica svedese ha registrato quello che afferma essere il primo caso di una nuova variante contagiosa del virus Mpox, conosciuto come vaiolo delle scimmie, al di fuori del continente africano. L’agenzia ha affermato che la persona ha contratto il contagio durante un soggiorno in una zona dell’Africa in cui è attualmente in corso un’importante epidemia di mpox Clade 1. La notizia arriva solo poche ore dopo che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che l’epidemia di mpox in alcune parti dell’Africa è ora un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. Almeno 450 persone sono morte durante la prima epidemia nella Repubblica Democratica del Congo e da allora la malattia si è diffusa in alcune zone dell’Africa centrale e orientale.

    È la seconda volta in tre anni che l’oma ha designato un’epidemia di mpox come un’emergenza globale. In precedenza lo aveva fatto nel luglio 2022. L’epidemia ha colpito quasi 100.000 persone, principalmente uomini gay e bisessuali, in 116 paesi, e ha ucciso circa 200 persone, riporta in New York Times. La minaccia questa volta è più letale. Dall’inizio di quest’anno, la sola Repubblica Democratica del Congo ha segnalato più di 14.000 casi di mpox e 524 decessi. Tra le persone più a rischio ci sono le donne e i bambini sotto i 15 anni. “Il rilevamento e la rapida diffusione di un nuovo clade di mpox nella Repubblica Democratica del Congo orientale, il suo rilevamento nei paesi vicini che non avevano precedentemente segnalato l’mpox e il potenziale di ulteriore diffusione all’interno dell’Africa e oltre è molto preoccupante”, ha detto il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS.

    In precedenza chiamato vaiolo delle scimmie, il virus è stato scoperto per la prima volta negli esseri umani nel 1970 in quella che oggi è la Repubblica Democratica del Congo. L’mpox è una malattia infettiva causata da un virus trasmesso agli esseri umani da animali infetti, ma può anche essere trasmessa da uomo a uomo attraverso uno stretto contatto fisico. La malattia provoca febbre, dolori muscolari e grandi lesioni cutanee simili a foruncoli. A maggio 2022, le infezioni da mpox sono aumentate in tutto il mondo, colpendo principalmente uomini gay e bisessuali, a causa del sottoclade clade 2b.

    L’OMS aveva già dichiarato un’emergenza sanitaria pubblica durata da luglio 2022 a maggio 2023. L’epidemia, che ora si è ampiamente attenuata, ha causato circa 140 decessi su circa 90.000 casi. Il sottoclade clade 1b, che è aumentato in Congo da settembre 2023, causa una malattia più grave del clade 2b, con un tasso di mortalità più elevato. L’emergenza era stata dichiarata solo sette volte in precedenza dal 2009: per influenza suina H1N1, poliovirus, Ebola, virus Zika, di nuovo Ebola, Covid-19 e mpox. “Il rilevamento e la rapida diffusione di un nuovo clade di mpox nella RDC orientale, il suo rilevamento nei paesi vicini che non avevano precedentemente segnalato mpox e il potenziale di ulteriore diffusione in Africa e oltre sono molto preoccupanti”, ha affermato Tedros.
    Tornando al caso in Svezia, l’agenzia di sanità pubblica ha così sottolineato in un comunicato stampa. “Crediamo che la Svezia sia ben preparata per diagnosticare, isolare e trattare le persone affette da mumpox in modo sicuro ed efficace. Il fatto che una persona venga curata per il morbo nel paese non implica rischi per il resto della popolazione”. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ritiene attualmente che questo rischio sia molto basso, ha affermato. E dopo il caso annunciato dalla Svezia, l’OMS ha detto che presto potrebbero essere confermati in Europa altri casi: “La conferma dell’mpox Clade 1 in Svezia è un chiaro riflesso dell’interconnessione del nostro mondo… è probabile che nei prossimi giorni e settimane si verifichino altri casi importati di Clade 1 nella regione europea».

    La virologa italiana Ilaria Capua avverte che «Ci sarà un’altra pandemia, non sappiamo quale ma qualcosa di molto più aggressivo del Covid» spiegando che «non è che perché abbiamo avuto il Covid siamo a posto per i prossimi 200 anni». In un’intervista al Resto del Carlino, la virologa spiega che le pandemie sono un fenomeno ciclico e sollecita «una capacità di risposta a queste emergenze che sia ragionata, consapevole e studiata anche sulla base del territorio». La virologa mette infine in guardia sul rischio di trasmissione di patogeni attraverso il contatto diretto tra uomini e animali, particolarmente presente in luoghi con scarsa igiene, come i mercati di animali vivi. «Il salto di specie avviene quando c’è un contatto ravvicinato fra l’uomo e l’animale, i mercati di animali vivi dove specie che in natura non si incontrerebbero mai e invece sono nelle stesse gabbie ci sono ancora. Questi posti sono dei veri e propri gironi infernali».

  • La peste suina un problema che ritorna e preoccupa

    Salvo qualche quotidiano locale da tempo il silenzio stampa è sceso sul grave problema della peste suina che, negli ultimi anni, sta creando notevoli danni, non solo economici, negli allevamenti di molti paesi europei e l’Italia è tra questi.

    La peste suina, in precedenza, ha portato all’abbattimento di milioni di maiali in Cina dove il maiale non solo è utilizzato per il mercato interno ma anche esportato in notevoli quantità, vivo o macellato.

    Il Italia la regione che in passato ha avuto più problemi è stata la Sardegna, la peste suina è diffusa da cinghiali e maiali selvatici che la attaccano ai maiali da allevamento. Già da due anni vi sono zone, in Piemonte, in Liguria ed Emilia, nelle quali è stato proibito il passaggio nei boschi con i cani e la ricerca dei tartufi proprio per la recrudescenza dell’epidemia, recentemente anche la Toscana ha identificato cinghiali infetti.

    Nei prossimi giorni in Emilia Romagna partirà un piano di abbattimento, con operatori esperti, dei cinghiali per cercare di arginare la diffusione della peste, e partirà in primis dalle province di Parma e Piacenza, al momento le più colpite.

    La peste suina se è presente in un allevamento comporta l’abbattimento di tutti gli animali, danno economico molto ingente con conseguenze anche per lo smaltimento delle carcasse ed il rischio, purtroppo presente, che qualcuno, per cercare di contenere il danno, cerchi di macellare e vendere maiali ammalati, fortunatamente la rete sicura dei veterinari e della finanza procede con controlli a tappeto.

    Apparentemente la peste suina non si attacca all’uomo ma vi sono stati sporadici casi sospetti e comunque l’uomo, inconsapevolmente, rischia di essere veicolo di trasmissione del virus che può restare in incubazione fino a 100 giorni.

    Mentre partono le nuove iniziative delle regioni per contrastare il diffondersi della peste Il Patto Sociale vi ha dato notizia del libro Operazione Pig, edito da Europa Edizioni, di Albert de Bonnet, che tratta proprio dell’argomento oggi ritornato di primaria importanza.

    Un romanzo nel quale realtà e fantasia si intrecciano con scenari che, purtroppo, potrebbero non essere sempre di fantapolitica visti i molti laboratori che, nel mondo, lavorano su nuovi virus, spesso per creare nuove armi.

  • ‘E’ ancora un gioco?’, il vademecum dei Carabinieri che aiuta a riconoscere i sintomi da ludopatia

    Pensi al gioco tutto il giorno, ti capita di nascondere il tuo vizio del gioco a quelli che ti stanno più vicino, ti poni dei limiti che poi trovi difficile rispettare. Sono alcuni dei comportamenti segnalati nell’opuscolo sui rischi della dipendenza da gioco d’azzardo, E’ ancora un gioco?, distribuito dal Comando provinciale dei Carabinieri di Piacenza. La pubblicazione aiuta a mettere tutti in guardia dai sintomi, spesso, e magari volutamente, sottovalutati di una vera e propria patologia, la ludopatia, che va ben oltre il desiderio di una vincita che possa aiutare a vivere economicamente meglio.

    Parlando di un problema, conosciuto sin dall’antichità, come ricerche archeologiche e antropologiche dimostrano, e riconosciuto ormai come malattia che pone al centro della vita quotidiana il gioco, la ricerca spasmodica di denaro per giocare mettendo a serio rischio la propria vita e quella dei familiari, l’opuscolo offre consigli per affrontare la dipendenza.

    Innanzitutto invita a capire che si è davanti ad un problema e a chiedere perciò aiuto ai propri cari per cominciare a risolverlo; parlare con il medico di famiglia per essere indirizzati in centri specializzati per curarsi con trattamenti terapeutici adeguati: provare ad organizzare un’attività ricreativa che possa sostituire il gioco d’azzardo; convincersi che non serve cercare di risolvere il problema da soli, ma che è necessario un aiuto esterno.

  • Torna di moda il binomio Cina e infezioni; via il pipistrello, ora c’è la scimmia

    Un nuovo virus in Cina preoccupa il mondo. Un uomo di 37 anni è in condizioni critiche dopo aver contratto l’herpes B, ovvero il virus delle scimmie. Con molta probabilità è stato contagiato dalla malattia all’interno di un parco di Hong Kong, il parco Kam Shan, dove ci si può avvicinare agli animali e dove il 37enne ha riferito di essere stato graffiato da un esemplare di scimmia.

    Il paziente ha avuto una febbre altissima e poi ha perso conoscenza. Affaticamento, febbre e dolori muscolari sono sintomi tipici del virus delle scimmie, compaiono dopo 3-7 giorni dal contagio e ricordano molto quelli del Covid-19. Col passare del tempo, se non si trattano questi primi sintomi, però, insorgeranno difficoltà respiratorie, dolore all’addome e vomito.

    Il virus simiae, noto anche come herpes B, è un agente patogeno che fa parte della famiglia degli Herpesviridae . È stato identificato per la prima volta nel 1932 e si trova principalmente nei macachi, ma per le scimmie si tratta di una malattia asintomatica, mentre una volta che viene trasmesso all’uomo può causare gravi danni all’organismo. L’herpes B si stabilisce nel corpo umano grazie al contatto di fluidi infetti delle scimmie oppure di graffi e morsi da parte di questi esemplari.  L’herpes B, in fase avanzata, provoca delle dolorose infiammazioni nel midollo osseo e nel cervello e, a quel punto, solo il 20% dei contagiati sopravvive. La ferita da cui il virus ha fatto il suo ingresso potrebbe riempirsi di vescicole

    Il caso del 37enne contagiato non è l’unico che conosciamo: nel 2021 un veterinario era morto di herpes B a Pechino, dopo aver presentato sintomi come nausea e vomito. Secondo i medici, l’infezione è estremamente rara (sono stati contati soltanto una cinquantina di casi dal 1932 a oggi) ma davvero fatale (21 di questi sono morti). Se le popolazioni che vivono in aree rurali o accanto a parchi che ospitano esemplari di scimmie non si terranno a distanza dagli animali per evitare morsi e graffi, il virus simiae potrebbe rapidamente diffondersi.

  • Allarme peste suina a Piacenza e Parma

    La peste suina si sta estendendo nelle zone di Parma e Piacenza e la Regione Emilia Romagna, mentre tramite l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi sollecita, già da tempo, una strategia nazionale, è corsa ai ripari, mettendo a disposizione 3,5 milioni di euro per la prevenzione dei danni da fauna selvatica, 8 milioni di euro per il rafforzamento della biosicurezza nelle aziende suinicole attraverso fondi regionali e Programma di Sviluppo Rurale. Inoltre ha affidato 2 milioni di euro al Commissario per la prevenzione della peste suina e la posa di reti di protezione nelle zone di confine tra Piacenza e Parma, per proteggere gli allevamenti.

    Il 24 ottobre la Provincia di Piacenza ha invitato il professor David Garcia Paez (docente di tossicologia, farmaceutica e biologia in diverse università e formatore per diverse realtà zootecniche iberiche e sudamericane) e gli esperti in biosicurezza Carlos Gamito e Jordi Ramirez ad illustrare le misure adottate in Spagna per far fronte alla medesima peste. La Spagna stan ottenendo ottimi risultati attraverso conoscenza: informazione diffusa a tutti gli attori del territorio (addetti ai lavori ma anche popolazione) circa le modalità di trasmissione e i danni generati dalla peste, prevenzione attraverso la preparazione individuale di tutti coloro che operano nella filiera e nel controllo ed automatismi di disinfezione per persone e mezzi in aziende/allevamenti.

    La filiera suinicola in Emilia-Romagna conta circa 1.200 allevamenti, 1,2 milioni di capi e una produzione lorda vendibile stimata in 307 milioni di euro. I prodotti a base di carne Dop e Igp hanno un valore alla produzione pari a 1,93 miliardi di euro e un valore al consumo pari a 4,98 miliardi di euro. L’export vale 601 milioni di euro. Il 53% del fatturato nazionale relativo ai prodotti a base carne Dop e Igp derivante dalla filiera è attribuibile all’Emilia-Romagna.

  • Emergenza Alzheimer, in Italia 2,3 milioni casi nel 2050

    Entro il 2050 in Italia potrebbero vivere 2,3 milioni di persone affette da demenze come la malattia di Alzheimer, circa 800 mila in più rispetto a oggi. Si tratta, però, di una traiettoria che potrebbe essere modificata: fino al 40% di questi casi potrebbe essere infatti ritardato o evitato del tutto intervenendo sui principali fattori di rischio. È con questo messaggio che la Federazione Alzheimer Italia e Alzheimer’s Disease International hanno lanciato la dodicesima edizione del Mese Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra a settembre, chiedendo ai governi di tutto il mondo di rafforzare il finanziamento sui principali fattori di rischio per la demenza e le strategie di contrasto alla loro diffusione.

    Al momento, non sembra che ciò stia avvenendo. «L’Italia, aderendo nel 2017 al Piano di azione globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla risposta di salute pubblica alla demenza, si è impegnata a dare priorità alla riduzione del rischio», afferma la presidente della Federazione Alzheimer Italia Katia Pinto. «Un aspetto che non è sufficientemente considerato nel nostro Piano Nazionale Demenze, che, oltretutto, potrebbe a breve rimanere di nuovo senza fondi: lo stanziamento economico previsto con la legge di Bilancio del 2021 si esaurirà infatti nei prossimi mesi. Per questo chiediamo con forza al Governo di garantire nuovi fondi al Piano, così da permettere di proseguire il lavoro già iniziato e implementare inoltre iniziative efficaci di prevenzione», conclude Pinto.

    Secondo un’analisi condotta nel 2000 dalla ‘Lancet Commission on dementia prevention, intervention, and care’ sono 12 i principali fattori di rischio per la demenza: l’inattività fisica, il fumo, il consumo di alcol, le  lesioni alla testa, i contatti sociali poco frequenti, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, scarsi livelli di istruzione e l’inquinamento. È intervenendo su questi che si può cambiare lo scenario epidemiologico della malattia, riducendo fino al 40% i casi su scala globale, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito.

    «Investire nella riduzione del rischio è un punto chiave, in assenza di un trattamento o di una cura, per prevenire il maggior numero possibile di casi di demenza», dice Paola Barbarino, ceo di Alzheimer’s Disease International. «Dobbiamo garantire che i cittadini in tutto il mondo siano consapevoli di quali sono le strategie attuabili, a tutte le età, e abbiano accesso alle informazioni, ai consigli e ai servizi di supporto necessari».

    Intanto, c’è grande attesa per le nuove terapie. Negli ultimi due anni si sono resi disponibili i primi medicinali diretti contro le placche amiloidi, ritenute responsabili del declino cognitivo. In Usa due prodotti sono stati già approvati e una terza approvazione è attesa per la fine dell’anno. A breve potrebbero essere disponibili anche in Europa. Questi farmaci non curano la malattia, ma, rallentandone la progressione, potrebbero cambiare la vita di molti malati.

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